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Metafora e rappresentazione

Nel documento La maledizione della parola (pagine 25-36)

In un primo momento sembra senz’altro di poter definire la con-cezione mauthneriana della metafora con il cattivo attributo di “psico-logica”, riconducendola alla categoria peggiorativa di “psicologismo”, se intendiamo con questo termine la dissoluzione dell’apriori e la sua spiegazione in termini genetici. Lo stesso Mauthner ribadisce più volte di voler ridurre la filosofia a psicologia e per la linguistica afferma che essa costituisce soltanto un capitolo della psicologia 108. Nello stesso tempo però il nostro filosofo afferma che lo psicologismo «sarebbe la verità, se la nostra psiche non dovesse parlare» 109, se la parola potesse, per così dire, assomigliare alla rappresentazione. Ma l’idea della parola come metafora è collegata al suo carattere polisemico, ambiguo, non riconducibile a un concetto definito, ma a una pluralità di rappresen-tazioni; in ogni momento – egli scrive – sono presenti una quantità di rappresentazioni individuali che stanno pronte fuori della «cruna della nostra coscienza» 110 e che passiamo velocemente in rassegna. Alla pa-rola corrisponde la sedimentazione di rappresentazioni simili, mai eguali però, che fluttuano una sull’altra, senza poter combaciare in modo esat-to. Più avanti l’autore tornerà a riflettere sul termine “rappresentazione” che già indicherebbe un’attività spirituale complessa, richiedendo a sua volta la mediazione del linguaggio 111: provvisoriamente possiamo dire allora che la parola evoca un mondo di associazioni, un complesso di sensazioni e di percezioni sensibili. Gli organi di senso a loro volta non sono poi certamente lo specchio del mondo, essi hanno avuto un’evo-luzione casuale, orientata dai criteri dell’economia e del bisogno, costi-tuiscono quindi dei filtri, dei setacci, che lasciano passare soltanto una minima parte delle caratteristiche delle cose 112. Questa selezione è stata essenziale per la vita quotidiana, perché una configurazione più precisa degli organi di senso che ci facesse percepire differenze microscopiche, come ad esempio l’intera variazione delle oscillazioni ondulatorie

stu-diate dalla fisica nel campo dei suoni e dei colori, non avrebbe reso possibile l’orientamento dell’uomo nel mondo.

Sul piano gnoseologico una conoscenza trasparente del mondo rima-ne impossibile: intelletto e mondo non combaciano, non si adattano l’un l’altro come un guanto alla mano o la mano al guanto (e con questo ro-vesciamento allude alla rivoluzione copernicana di Kant, e – stando alla metafora – non ci è nemmeno dato sapere se nel guanto vi sia davvero una mano 113); il mondo svanisce nell’illusione, dissolto nelle ombre del mito della caverna di Platone e coperto dal velo di Maya delle antiche dottrine dei Veda interpretate da Schopenhauer, coinvolgendo anche il soggetto nel mistero dell’inconoscibile. Ma lo scetticismo radicale, applicato all’ambito del soggetto del conoscere, apre un nuovo piano di indagine per la critica del linguaggio e la seconda parte del primo volume dei Beiträge si presenta come un’acuta disamina delle teorie psicologiche del tempo che ne individua alcune importanti aporie. La duplicazione del mondo attuata dal materialismo, dallo spiritualismo, ma anche dal parallelismo psico-fisico ha, secondo Mauthner, come imme-diata conseguenza l’applicazione al mondo interno dei concetti elaborati per il mondo esterno, con il risultato di costruire enigmi senza soluzione sul rapporto tra anima e corpo e problemi senza senso, come il tentativo di individuare la collocazione dell’anima o la diatriba sull’anima degli animali 114. Allo stesso modo la psicologia fisiologica, che scopre nel cervello i correlati fisici delle associazioni psichiche, non farebbe altro che raddoppiare l’enigma 115, e Fechner, che chiama parallele due cose che invero coincidono, risolverebbe il problema del rapporto tra fisico e psichico soltanto a parole: i pesci – commenta Mauthner con una metafora – vedono la superficie del mare da sotto, gli uccelli dall’alto e in psicologia noi ci troviamo nell’imbarazzante situazione di un uomo che possa guardare solo da un lato lo specchio del mare 116. Anima e corpo sono quindi solo parole, metafore appunto; l’io, con i suoi con-fini incerti e incostanti, illusione delle illusioni 117, la coscienza «vuoto pleonasmo» 118: lo specchio del nostro cervello riflette di volta in volta quello che gli è davanti, ma non si può guardarvi dentro come in uno specchio oculare 119.

Mauthner afferma di aver maturato queste sue convinzioni nel suo periodo di formazione a Praga; fa risalire l’idea della povertà dei nostri cinque sensi, della struttura contingente della sensibilità, alla lettura di Nietzsche (ma su questo più avanti) e sostiene di essere stato stimolato alla critica del linguaggio da una conferenza sul principio di conser-vazione del lavoro che Ernst Mach aveva tenuto a Praga nel 1872. Si tratta invero di una ricostruzione a posteriori 120, ma questo non toglie che si possano rintracciare nelle pagine dei Beiträge molte suggestioni che derivano con evidenza dalla rilettura del lavoro di Mach.

Il testo della prolusione contiene una disamina critica dei concetti fondamentali della fisica considerati secondo il motto «la storia ha fatto

tutto, la storia può mutare tutto» 121. I concetti, sostiene Mach, sono astrazioni che debbono essere sempre riconducibili ai fenomeni sus-sunti; per alcuni concetti abbiamo scordato il percorso compiuto per raggiungerli e li chiamiamo metafisici 122. La scienza si deve limitare alla connessione più ampia possibile dei fatti, senza cercare di immaginare qualcosa dietro i fenomeni, e deve essere consapevole che quello che li tiene insieme è sempre una forma arbitraria, che varia con il no-stro punto di vista culturale 123. Universalizzare questo punto di vista, come tenta di fare la concezione meccanica del mondo, significa, per Mach, ritornare alla metafisica; la conclusione è kantiana: se il mondo è una macchina, in cui il movimento di certe parti è determinato dal movimento di altre, nulla è però determinato per l’intera macchina 124. Accanto poi al procedimento che collega i fenomeni, la scienza ha anche il compito di scomporre i fatti complessi in fatti più semplici, non ulteriormente scomponibili: questi fatti-base, come egli li chiama, non sono altro che incomprensibilità non abituali ridotte a incompren-sibilità abituali e la scelta di questi fatti-base «è questione di comodità, storia e abitudine» 125. In breve, la conferenza di Praga conteneva tutti i presupposti per una critica del linguaggio della metafisica nella scien-za, come Mauthner riconosce più volte.

La critica al meccanicismo veniva poi confermata dalle ricerche successive dello scienziato sullo spazio e sul tempo della percezione, sui suoni e sui colori, esposte nel libro Die Analyse der

Empfindun-gen, la cui prima edizione è del 1886. Nelle Osservazioni preliminari

antimetafisiche, che introducono le ricerche fisiologiche, il punto di partenza del nostro conoscere viene descritto fenomenologicamente: «colori, suoni, calore, pressioni, spazi, tempi ecc. sono connessi fra loro in modo molteplice e ad essi sono legati disposizioni, sentimenti e volizioni. Da questo tessuto emerge ciò che è relativamente più stabile e durevole, imprimendosi nella memoria ed esprimendosi nella parola. Come relativamente più durevoli si segnalano innanzitutto complessi coordinati (funzionalmente) nello spazio e nel tempo di colori, suoni, pressioni ecc., i quali proprio perciò assumono nomi specifici e ven-gono indicato come corpi (Körper). Tali complessi non sono affatto persistenti in senso assoluto» 126. In questa formulazione Mach evita l’espressione “complessi di sensazioni”: gli elementi sono sensazioni al livello dell’astrazione, dell’idealizzazione, cioè dell’ordinamento di una serie che permette di renderli oggetto di esperimento 127; essi – scrive Mach – sono sensazioni soltanto sotto un certo rispetto: un colore è un oggetto fisico in relazione alla sorgente di luce, è una sensazione in relazione alla retina 128. I complessi di elementi si compongono poi variamente e possono esigere una descrizione fisica o fisiologica oppure psicologica: in relazione all’elemento ordinatore si danno diverse im-magini del mondo, come dirà Mauthner, oppure reti a diverse maglie, come dirà Wittgenstein.

Questo approccio permetteva a Mach di sfuggire alla duplicazione metafisica di soggetto e oggetto, di fenomeno e cosa in sé, di illusione e realtà: la matita immersa nell’acqua, emblema dell’illusione dei sensi, risulta otticamente spezzata, ma tattilmente e metricamente diritta. I complessi, ordinati herbartianamente in modo seriale (ordinamento spaziale e temporale, serie cromatica o tonale), sono poi scomponibili senza il residuo di una cosa in sé: la sostanza, al contrario, non è altro che l’ipostatizzazione di un’entità che viene staccata dalla serie delle sensazioni in base a un’istanza di totalità.

E semplice complesso di elementi risultava anche l’altro polo del conoscere, l’io, che perdeva così la sua identità definita. Mach sancisce in questo modo la fine dell’io, fonte, a suo dire, di tutte le assurdità me-tafisiche, e indica come premessa di questa concezione un’osservazione di Lichtenberg sulla difficoltà di tracciare una netta linea di demarca-zione tra le rappresentazioni che dipendono da noi e quelle che non ne dipendono. Lichtenberg osservava che non si dovrebbe dire “ich denke”, ma piuttosto “es denkt”, allo stesso modo in cui si dice “es blitzt” 129. Riassumendo con un appunto di Mach: «Mondo e io sono più o meno soltanto sintesi (Zusammenfassungen) arbitrarie» 130.

Mach offriva così alla cultura del suo tempo un approccio ai con-cetti di io, cosa, spazio, tempo e causa, che costituì un punto di rife-rimento non solo per scienziati, ma anche per scrittori e letterati: la sua critica al feticismo del linguaggio, alla «superstizione della parola» – come egli si esprime in Erkenntnis und Irrtum, citando l’antropologo Tylor 131 – ritorna in espressioni e in immagini, spesso con richiami espliciti, in tutta la riflessione sulla crisi della parola, sul divario, ormai riconosciuto, tra le parole e le cose, nella dissoluzione e nelle estreme difese dell’io nella letteratura della Vienna dell’inizio del Novecento (basti citare Musil, Hofmannsthal e Weininger). Non stupisce quindi che Mauthner nel periodo della stesura dei Beiträge torni a quella lontana suggestione, legga i libri di Mach e cerchi anche di stabilire un contatto personale con il pensatore moravo 132.

La definizione del rapporto tra fisico e psichico come semplice diversità di rapporti tra elementi che possono essere oggetto di de-scrizione da parte della fisica, della fisiologia oppure della psicologia, l’inutilità di riferirsi a una componente ulteriore che faccia da sostrato ai due ambiti – come ancora il parallelismo tendeva a fare – ritorna nelle analisi gnoseologiche e antropologiche di Mauthner, nell’affer-mazione della diversità solo di grado tra il pensiero animale e quello dell’uomo, nella definizione dell’intelletto come capacità intuitiva che si sviluppa per necessità di sopravvivenza biologica, nella considerazione della memoria non solo come sedimentazione psichica, ma anche ma-teriale delle esperienze in tutte le vie sensibili e motorie 133. Quando Mach paragona l’attività della memoria all’uso di vecchi violini ben suonati e Mauthner si meraviglia di quante tracce mnemoniche debba

contenere l’ala di un uccello, non si tratta di banali osservazioni ma-terialistiche, ma della considerazione della natura in una prospettiva storica e dell’uomo come parte di essa. Nell’analisi del linguaggio que-sto significa di nuovo partire dalla sua dimensione naturale: Mauthner, come Mach, afferma che si impara a parlare come si impara a respirare e a camminare 134.

Katherine Arens, che ha ampiamente analizzato il debito intellet-tuale di Mauthner nei confronti di Mach, lo riassume nel paradigma del «funzionalismo», nell’affermazione cioè del valore contingente dei modelli teorici che, di volta in volta, si presentano come sistemazio-ni parziali dei dati empirici in funzione di determinati problemi da risolvere 135. Questa impostazione del problema del conoscere non approdava però in Mach a un esito scettico, non alla rassegnazione, alla rinuncia compiaciuta e malinconica dell’Ignorabimus di du Bois-Reymond (e che in alcuni momenti ritroviamo anche in Mauthner), né si presentava come un’incursione dello scienziato nel campo della filosofia che si ripromettesse di risolverne gli enigmi; in Erkenntnis

und Irrtum egli si definirà un cacciatore domenicale della filosofia 136: un cacciatore, possiamo dire, capace di muoversi senza assunzioni pre-concette e di colpire nel segno i preconcetti di un’intera tradizione del pensiero.

Anche Mauthner, quando si interroga sulla possibilità di fare della linguistica una scienza, si paragona al viaggiatore che può solo descrive-re i costumi di un popolo, ma egli espande il modello funzionalistico di Mach nella direzione dello scetticismo: il mondo è immagine soggettiva dei nostri Zufallssinne, la scienza non ha alcun fondamento possibile, la logica è vuota tautologia, il soggetto metafisico è ridotto all’io empirico, a sua volta frantumato nell’indeterminatezza dei suoi confini. A questo proposito con un’osservazione simile a quella di Mach e di Lichtenberg, Mauthner sostiene: la mia sensazione “verde”, grün, significa origina-riamente che io vengo begrünt, il prato mi verdeggia, begrünt mich 137. Limitarsi alla descrizione fenomenologica farebbe quindi saltare le ca-tegorie della grammatica; l’autocritica del linguaggio diviene il suicidio del linguaggio.

Il confronto con Mach si fa poi più serrato a partire dal periodo nel quale Mauthner sta ultimando il secondo volume dei Beiträge e appare ancora più chiaramente nel terzo. Oltre alla lettura dell’Analisis, delle Vorlesungen e della Mechanik, Mauthner ha affrontato anche la

Wärmelehre (uscita nel 1896) che nell’ultima parte tratta con ampiezza

il linguaggio della scienza. L’applicazione del modello biologico darwi-niano allo sviluppo delle idee scientifiche in termini di trasformazione e di adattamento permette a Mach l’approfondimento di alcune riflessioni sulla teoria del conoscere. Si tratta in primo luogo del processo psico-logico dell’associazione, della comparazione come base dell’astrazione: così, ad esempio, i termini indicanti colore, forse nati dall’arte del

ta-tuaggio che riproduce le tinte dei fiori e dei frutti, divengono autonomi, astratti, vengono intesi senza pensare al loro primitivo riferimento. La formazione del concetto deriva allora dall’individuazione dell’ugua-glianza di una parte di un complesso di sensazioni con una parte di un altro complesso, che permette l’associazione per somiglianza. Ma il passaggio più interessante di questa trattazione, almeno dal punto di vista di Mauthner, è il rapporto che Mach stabilisce tra concetto e intuizione. Il concetto – afferma Mach– è enigmatico: se lo consideria-mo dal punto di vista logico, lo vediaconsideria-mo come il prodotto psichico più preciso e determinato, se ne cerchiamo il contenuto intuitivo, reperiamo soltanto un’immagine confusa. Il procedimento di formazione delle idee viene paragonato alla composizione delle figure della pittura dell’antico Egitto, che non corrispondono a un’unica percezione visiva, ma sono composte di percezioni diverse: la testa e il capo sono rappresentati di profilo, ma la copertura del capo e il petto si vedono di fronte; si tratta di una sorta di percezione intermedia che appunta l’attenzione su alcuni aspetti e ne trascura altri. Nella stessa nota, che rimanda a questa osservazione contenuta in una conferenza, Mach cita Paul Carus che definisce il concetto in analogia alle somiglianze di famiglia che il suocero Hegeler aveva osservato in alcune foto composte da Galton 138. L’immagine è individuale, come le foto dei singoli componenti della famiglia, il concetto non sta in rapporto con una immagine definita, con una rappresentazione finita (fertig), è piuttosto un’indicazione a esaminare alcune caratteristiche della rappresentazione, a individuare le somiglianze di famiglia. Acquisire un concetto significa allora avvia-re un sistema di operazioni che si può appavvia-rendeavvia-re solo nella prassi, nell’esercizio, come ci si deve esercitare per imparare la matematica o una lingua straniera. La definizione del concetto in Mauthner ripren-de allora questa impostazione nell’affermare che il concetto non è in relazione con una determinata rappresentazione, ma con «una catena o un tessuto, una rete o ancor più esattamente un piccolo mondo, un microcosmo di associazioni di idee», un microcosmo «che non è uni-dimensionale come una catena, non biuni-dimensionale come un tessuto o una rete, ma tridimensionale o, in relazione al tempo, quadridimen-sionale come un mondo» 139.

Nel capitolo sul linguaggio della Wärmelehre Mach, riprendendo l’idea del carattere operativo dell’acquisizione del concetto, sostiene che i segni sonori hanno preso senso e significato alla presenza di osservatori comuni e di una comune attività, citando Geiger 140 e Noiré 141, ma que-sti riferimenti non sembrano a Mauthner sufficienti, egli pensa di essere andato più avanti di questi autori nella critica del linguaggio 142.

Nel Wörterbuch der Philosophie (1910) Mauthner continua a fare ri-ferimento al pensiero di Mach in numerose voci e con molte citazioni, lo considera anche una fonte per la sua teoria delle tre immagini del mondo. Ora ha anche a disposizione Erkenntnis und Irrtum (1905), il

testo epistemologico che riassume e approfondisce i risultati di tutta la riflessione di Mach sulla formazione dei concetti scientifici, sulla loro radice nel precategoriale e nel linguaggio ordinario. La parola viene definita come centro di associazioni, viene indagata nel sua dimensione magica e superstiziosa, nella sua funzione nel processo di astrazione, nei suoi significati mutevoli e nei suoi trasferimenti e, in una nota, troviamo anche il riconoscimento dello stimolo ricevuto dalla lettura degli scritti di Mauthner. In particolare vanno poi segnalate le pagi-ne in cui Mach tratta il concetto di analogia e afferma l’importanza dell’uso euristico delle immagini nella scienza 143.

Mauthner si propone per la filosofia un compito analogo a quello che Mach ha svolto nei confronti dei principali concetti della scienza, ma il diverso punto di vista e la differenza dell’oggetto in questione svelano la dimensione scettica e radicale del progetto del filosofo. L’or-dinamento alfabetico, «triviale» (termine dal paradossale doppio senso: volgare o riferito alla cultura del trivio medievale), «brutale» e «infanti-le», si adatta perfettamente alla dimensione circolare del suo pensiero, alla condensazione in nuclei decentrati dell’argomentazione; non solo, esso rappresenta l’unico ordine possibile che permette i rimandi da un qualsivoglia punto ad un altro e una consultazione semplice. L’enciclo-pedia filosofica che espone lo stato della filosofia sancisce nel contem-po la mancanza del suo fondamento, l’imcontem-possibilità di individuare un criterio gerarchico nel nostro conoscere, di mettere ordine nel sape-re; e nell’etimo del termine (e[gkuklo") Mauthner non vuole cogliere l’idea di completezza, ma del girare in cerchio, del mordersi la coda 144. Nella rassegna dei tentativi storici di sistemazione enciclopedica, oltre all’apprezzamento per il dizionario storico e critico di Bayle, «lessico di conversazione di tutti gli spiriti scettici» 145, troviamo una citazione di Stumpf a conferma della provvisorietà e della circolarità del sistema delle scienze: «gli oggetti delle scienze non sono disposti come cerchi concentrici intorno a un unico punto centrale, ma formano parecchie ondate, che si incrociano partendo da punti centrali autonomi» 146.

Al posto di concetti puri, ai quali siano state strappate, derubate per via di astrazione (un calco coniato da Boezio del greco ejx ajfairev-sew", usato da Aristotele e tradotto in un altro contesto da Cicerone con detractio) tutte le caratteristiche concrete, troviamo soltanto le pa-role in uso nella filosofia, papa-role che sono migrate, sono state trasferite, traslate, assieme alle cose e ai popoli, portando con sé, nelle derivazioni, nei prestiti, nelle traduzioni e nei calchi, molteplici sfumature di senso. Mauthner non crede quindi alla possibilità di una definizione rigorosa dei singoli termini, afferma che una definizione «pulita» sarebbe tauto-logica, illusoria, come la pretesa di calmare la fame con un menù che pone accanto ai nomi francesi la loro traduzione in tedesco 147.

Questo non vale solo per le parole della filosofia, ma in genere per tutte le nostre parole. Possiamo dire che una parola ha significato allo

stesso modo in cui possiamo dire che una cosa ha delle proprietà, anche se non c’è una cosa al di fuori e accanto alle sue proprietà. Il significato appartiene alla parola, non c’è un significato in sé, un signi-ficato «obiettivo-ideale» – e qui Mauthner scrive frettolosamente, tra parentesi: Husserl; lo possiamo indicare solo pressappoco, ricostruendo la storia della parola, criticando il significato momentaneo, riportando

Nel documento La maledizione della parola (pagine 25-36)

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