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La maledizione della parola

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Academic year: 2021

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Aesthetica Preprint

Supplementa

La maledizione della parola

di Fritz Mauthner

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Il Centro Internazionale Studi di Estetica

è un Istituto di Alta Cultura costituito nel novembre del 1980 da un gruppo di studiosi di Estetica. Con d.p.r. del 7 gennaio 1990 è stato riconosciuto Ente Morale. Attivo nei campi della ricerca scientifica e della promozione culturale, organizza regolarmente Convegni, Seminari, Giornate di Studio, Incontri, Tavole rotonde, Conferenze; cura la collana editoriale Aesthetica© e pubblica il perio- dico Aesthetica Preprint© con i suoi Supplementa. Ha sede presso l’Università degli Studi di Palermo ed è presieduto fin dalla sua fondazione da Luigi Russo.

Aesthetica Preprint©

Supplementa

è la collana editoriale pubblicata dal Centro Internazionale Studi di Esteti- ca a integrazione del periodico Aesthetica Preprint©. Viene inviata agli stu- diosi im pegnati nelle problematiche estetiche, ai repertori bibliografici, alle maggiori biblioteche e istituzioni di cultura umanistica italiane e straniere.

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Aesthetica Preprint

Supplementa

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Settembre 2008

Centro Internazionale Studi di Estetica

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Fritz Mauthner, 1849-1923

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Fritz Mauthner

La maledizione della parola

Testi di critica del linguaggio

a cura di Luisa Bertolini

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Il presente volume viene pubblicato col contributo del Miur (prin 2006, respon- sabile scientifico prof. Gianna Gigliotti) – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Dipartimento di Ricerche Filosofiche.

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Indice

Presentazione: Fritz Mauthner e la maledizione della parola di Luisa Bertolini

1. Linguaggio e metafora in Fritz Mauthner 7

2. Il linguaggio come metafora 13

3. Metafora e rappresentazione 23

4. La teoria della metafora 34

Bibliografia 59

La maledizione della parola: Testi di critica del linguaggio di Fritz Mauthner Critica del linguaggio Prefazione 77

Introduzione 78

L’essenza del linguaggio 79

Linguaggio e socialismo 90

La superstizione della parola 93

Pensare e parlare 96

Anima e sensi 100

L’arte della parola 102

La metafora 104

Dizionario di Filosofia Significato (Bedeutung) 117

Coscienza (Bewusstsein) 120

Cosa (Ding) 121

Unità (Einheit) 123

Conoscere (Erkennen) 129

Umorismo (Humor) 132

Ridere (Lachen) 140

Bello (Schön) 140

Verità (Wahrheit) 148

Mondo aggettivo 152

Mondo sostantivo 154

Mondo verbale 155

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Le tre immagini del mondo

Le tre nuove categorie 161

Dappertutto tre mondi. L’attore 166

Epilogo 166

Indice dei nomi 169

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Presentazione

Fritz Mauthner e la maledizione della parola

di Luisa Bertolini

1. Linguaggio e metafora in Fritz Mauthner

«Mauthner è del tutto Mauthner, vorrei dire è più di quanto lo sia.

È un uomo intelligente e pieno di spirito, ma c’è una stoffa di seta che credo si chiami cangiante. Si presenta molto bene, ma non si sa se sia verde, rossa oppure marrone; Mauthner evoca sempre qualcosa, quando però si vuol dire: “mi permetta”, è già andato via – Mauthner è l’ospite più splendido, ma insieme anche il cameriere più ordinario, quello che ti porta via il piatto proprio quando stai per cominciare».

Così lo scrittore berlinese Theodor Fontane ci presenta Fritz Mauthner, cogliendo in pochi tratti il carattere dell’uomo e del pensatore 1: il con- tributo di questo filosofo – per lunghi anni dimenticato e in Italia poco conosciuto 2 – si può riassumere infatti nel lavoro critico contro ogni ovvietà e pregiudizio filosofico e nell’individuazione dell’analisi del lin- guaggio come terreno fondamentale per questa operazione. L’approdo è una posizione radicalmente scettica e nominalistica che sembra esaurirsi nell’osservazione arguta e brillante che svuota ogni cosa di senso e lascia il lettore a mani vuote. Da una più attenta considerazione del percorso intellettuale di questo autore emergono però alcuni nuclei tematici che rivelano maturità teoretica e ritornano nella filosofia contemporanea, mostrando una sua fortuna, per così dire, sotterranea.

Mauthner indica come compito di tutta la sua produzione intellet- tuale la critica del linguaggio e nella ricostruzione posteriore delle sue Erinnerungen 3 afferma di esservi stato in un certo modo predestinato in quanto ebreo nato in una provincia slava dell’Impero austro-unga- rico, dove il tedesco era la lingua degli impiegati, della formazione, della poesia e dei parenti; il ceco la lingua dei contadini e delle donne di servizio, ma anche la lingua storica del regno di Boemia; l’ebraico, la lingua sacra dell’Antico testamento, divenuta il Mauscheldeutsch dei rigattieri ebrei, ma anche talora degli eleganti uomini di commercio 4. In un altro passo lo scrittore attribuisce però il fallimento della scrit- tura poetica proprio a questo, al cattivo tedesco di Praga, il «tedesco cartaceo» 5, troppo artificiale, imposto dal padre, oppure il cosiddetto Kleinseitner Deutsch, il tedesco con influenze austriache, parlato nel suo quartiere, oppure ancora il misto di tedesco e ceco, definito con

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spregio Kuchelbömisch, il ceco della servitù; di qui il rancore, che dure- rà per tutta la vita, per l’assenza di una lingua madre e di un dialetto, mescolato al risentimento per la mancanza di un’educazione religio- sa 6. Orgoglio e rancore insieme caratterizzano del resto tutte le svolte principali della sua vita intellettuale: l’abbandono degli studi per la poesia, la scelta della carriera giornalistica a Berlino, la svolta filosofica e il primo allontanamento dalla città nel quartiere di Grünewald, la fuga da Berlino e gli studi filosofici e scientifici a Freiburg e, infine, la scelta dell’isolamento a Meersburg, sul lago di Costanza.

Mauthner era nato il 22 novembre del 1849 a Horschitz (Horˇice), una piccola cittadina della Boemia orientale, vicino a Königgrätz e Sadowa, come egli ricorda con una punta di orgoglio nazionalistico te- desco 7, da padre ebreo «non religioso» e da madre «antireligiosa», in una famiglia borghese completamente assimilata che pochi anni dopo, nel 1855, si era trasferita a Praga per dare ai figli un’istruzione adegua- ta. Lo scrittore ricostruisce con astio il periodo della sua formazione e del suo insuccesso scolastico: dalla scuola privata elementare ebraica, la Klippschule (scuola dell’abbiccì), al Piaristengymnasium, scuola cat- tolica, dove metà degli studenti erano ebrei e non mancava qualche protestante, e infine nel Kleinseitner Gymnasium 8, liceo di lingua te- desca. Alle lamentele contro l’astrattezza e la meccanicità degli studi si accompagna l’insofferenza per la preparazione superficiale in tutte e tre le lingue della sua formazione, il tedesco, il ceco e l’ebraico. Il 1866 segna una svolta politica: la vittoria prussiana nella guerra contro l’Au- stria con la battaglia di Sadowa e l’occupazione di Praga provocano nel giovane Mauthner il passaggio da un coscienza genericamente austriaca («non eravamo per la grande Germania» 9; «noi austriaci dovevamo ri- manere i signori della Germania (credevamo di esserlo), per poter poi, in casa, farla finita con i cechi» 10) a un nazionalismo grande-tedesco con tratti talora fanatici e deciso odio anticeco 11. L’acutizzarsi del con- flitto etnico, la progressiva diminuzione della componente tedesca nella Praga della seconda metà dell’Ottocento 12, la rovina finanziaria del padre che muore nel 1874, costituiscono lo sfondo del periodo degli studi universitari in giurisprudenza e del loro abbandono, anche in se- guito a un attacco di emottisi, a favore della poesia. Queste premesse, a cui si aggiunge lo scarso successo letterario, rendono comprensibile la scelta, nel 1876, del trasferimento a Berlino.

Mauthner sceglie Berlino e non Vienna, la città più veloce del mon- do contro la capitale della lentezza: Berlino «la sola capitale tedesca del futuro» 13, centro oltre che della politica e dell’economia, della scienza e della cultura, del giornalismo, delle riviste culturali, della produzio- ne libraria e della critica teatrale. Qui si rivolge a Arthur Levysohn, direttore di uno dei giornali più importanti della città, il “Berliner Ta- geblatt” dell’editore Rudolf Mosse 14. Non trova immediatamente una collocazione fissa, ma dalla metà del 1877 collabora regolarmente per

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sette anni al settimanale “Deutsches Montags-Blatt”, dello stesso edi- tore, come scrittore satirico e critico teatrale. La fama improvvisa gli deriva dalle parodie pubblicate su questo giornale a partire dall’inizio di giugno del 1878, raccolte l’anno dopo in un libro con il titolo Nach berühmte Muster 15, al quale fanno seguito anche alcuni romanzi.

Nell’ambiente culturale berlinese questo signore altissimo e magro, con naso adunco e una lunga barba che lo fa assomigliare a un anti- co profeta 16, sembra a suo agio. La sua figura di intellettuale ebreo assimilato 17 si colloca al centro della vita culturale della capitale 18. Molto ampio è anche lo spettro delle sue conoscenze personali: com- prende nomi come Lou Andreas-Salomé, Else Lasker-Schüler, Oskar Maria Graf, Richard Beer-Hofman, Kurt Hiller, Hermann Hesse, Erich Mühsam, Theodor Fontane, Maximilian Harden, Gerhard Hauptmann, Theodor Mommsen, Walter Rathenau e Franz Oppenheimer 19. Anche sul piano personale questo momento appare sereno, segnato dal matri- monio con Jenny Ehrenberg e dalla nascita dell’unica figlia Grete.

Mauthner non è però soddisfatto di un successo che gli pare troppo effimero e mondano, si lamenta di aver speso tanti anni in un lavoro maledetto e di esserne a ragione stanco. Ma già dal 1891 egli aveva iniziato, la notte, quasi in segreto, un nuovo e imponente lavoro filo- sofico di analisi e di critica del linguaggio. Le radici psicologiche di questa scelta risalgono ancora più indietro (un primo abbozzo, gettato nel fuoco, nel 1873, poi la ripresa segreta del tema e ventisette anni di preparazione, come ci dice Mauthner nella prefazione); decisivo sembra però l’incontro con il giovane scrittore anarchico Gustav Landauer.

Nonostante la diversità del carattere e delle opinioni politiche, per molti versi contrapposte 20, Landauer è di stimolo e di concreto aiuto nella stesura dell’opera, soprattutto dopo la morte della moglie di Mauthner nel gennaio del 1896 e l’insorgere di una grave malattia agli occhi. I tre grossi volumi dei Beiträge zu einer Kritik der Sprache verranno pubbli- cati tra il 1901 e il 1902 dall’editore Cotta e ottengono una risonanza maggiore di quanto l’autore lamenti 21, non paragonabile però al suo successo come scrittore satirico.

Per altri versi la critica del linguaggio ha origine proprio nell’attività giornalistica, nell’atto di mimesi dello scrittore di parodie che si na- sconde dietro la maschera del linguaggio altrui, per forzarne i momenti più deboli e rivelarne il pregiudizio; nasce dall’avventarsi contro il lin- guaggio che egli usa quotidianamente con successo, dal voler scavare da autodidatta nella cultura filosofica e scientifica del suo tempo alla ricerca della superstizione della parola, oscillando, come rivela nella prefazione, tra momenti di presunzione e momenti di abbattimento e mortificazione 22.

Il primo volume dei Beiträge prende avvio dall’impossibilità di defi- nire l’essenza del linguaggio che immediatamente si declina nelle diver- se lingue, nei dialetti, nelle lingue particolari, nelle lingue individuali,

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spesso diverse nelle diverse fasi della vita, presente solo nel suono pronunciato che svanisce nell’attimo. Alla mancanza di una definizione analitica suppliscono allora le metafore che si accumulano una sull’altra e che si esauriscono nell’affermazione pragmatica che il linguaggio non è altro che l’uso del linguaggio. Con la metafora eraclitea che raffigura l’incessante mutamento del significato delle parole nell’immagine delle gocce d’acqua della corrente di un fiume Mauthner inizia la disso- luzione di qualsiasi fondamento che assicuri al mondo e al soggetto conoscente una qualsiasi continuità e solidità. Come per il seguace di Eraclito del Teeteto platonico le sostanze si sgretolano nel mutamento e le qualità si presentano solo negli attributi sensibili, nella consapevo- lezza che il compito critico esigerebbe, come pretendeva Socrate 23, un nuovo linguaggio e che il linguaggio a nostra disposizione è appunto il nostro linguaggio.

Il problema diventa ancor più evidente per il linguaggio della psi- cologia cui Mauthner addebita di aver prodotto la duplicazione del mondo in interno ed esterno, linguaggio e pensiero, memoria e co- scienza, e di aver applicato al mondo interno il linguaggio del mondo esterno. Mauthner vi trova tuttavia alcune indicazioni importanti che si concludono nella teoria, se così si può chiamare, dei Zufallssinne, in gran parte ripresa dalla concezione di Ernst Mach, con qualche suggestione ricavata da Schopenhauer e Nietzsche. La tesi consiste nell’affermazione che i nostri organi di senso, costituitisi nel corso di una evoluzione biologica che ha seguito vie traverse e casuali in una storia senza leggi, sono simili a filtri che lasciano passare solo una minima parte delle caratteristiche delle cose, che sono quindi inadat- ti a cogliere l’infinita complessità del reale e sufficienti soltanto allo scopo di orientarsi nel mondo, di sopravvivere e di comunicare. Le rappresentazioni, le immagini che ci facciamo delle cose, si modificano continuamente come in un caleidoscopio e il concetto contenuto nella parola, cerniera provvisoria per un complesso di sensazioni, sorge dalla stratificazione di rappresentazioni simili, ma non identiche, che scivola- no l’una sull’altra senza potersi mai sovrapporre in modo esatto. Mau- thner è però consapevole della provvisorietà di una simile definizione, sa che in questa enunciazione vi sono aspetti metaforici, immagini che inducono all’inganno, come il concetto di immagine, appunto.

Nella disamina delle teorie del linguaggio contemporanee, contenu- ta nel secondo e nel terzo volume, Mauthner accoglie sostanzialmen- te la teoria dei neogrammatici e in particolare di Hermann Paul che aveva accentuato la dissoluzione dell’apriori di una lingua presupposta come unitaria nella comunità dei parlanti che raccontano storie comu- ni. Nonostante alcune critiche che rimangono alla superficie, Mauthner condivide con Paul l’impostazione della ricerca delle condizioni di possibilità dell’accordo linguistico, l’accento posto sull’uso individuale della lingua, sulla discrepanza tra l’utilizzazione della parola da parte

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dell’individuo e quella sancita dall’uso, l’affermazione dell’impossibi- lità di comunicare il contenuto rappresentativo mediante la parola, il ricoscimento del carattere polisemico del linguaggio e dell’inevitabilità del malinteso. La classificazione dei mutamenti linguistici costituisce poi la premessa della teoria della parola come metafora che Mauthner elabora aggiungendovi altre suggestioni provenienti dalla filosofia del linguaggio e dall’estetica.

La pubblicazione dei Beiträge avviene in un periodo della vita di Mauthner di difficoltà e di depressione; nell’ottobre del 1905 si trasfe- risce a Freiburg con l’intenzione di dedicarsi agli studi, lontano dai ru- mori della grande città e dall’attività giornalistica. «A dicembre – scrive Kühn – segue il cane» 24, e nelle lettere agli amici Mauthner riferisce di lunghe passeggiate con il cane nella solitudine e nel dubbio di non riuscire più a vivere. Riprende però lentamente gli studi, frequenta l’università seguendo corsi di matematica e di discipline scientifiche, conosce Hans Vaihinger e per suo tramite entra nella società kantiana, incontra Martin Buber, per il quale scrive la breve monografia divulga- tiva Die Sprache. Ma la novità principale è la frequentazione di Hedwig Straub, scrittrice ebrea e tedesca 25, che aveva studiato filosofia a Zurigo con Avenarius, il teorico relativista dell’esperienza pura 26, e medicina a Parigi e che aveva poi lavorato come medico per dieci anni tra i bedui- ni nel deserto del Sahara. Con l’aiuto della Straub, che diverrà la sua seconda moglie, Mauthner affronta un lavoro nuovo e impegnativo, la stesura di un dizionario dei principali termini filosofici.

Das Wörterbuch der Philosophie, questo Mauthner voleva come ti- tolo, non per vanità, scrive nell’introduzione, ma perché con l’articolo determinativo egli non intendeva il dizionario come unico o migliore, ma il dizionario dei termini che la filosofia ha usato, il dizionario della nostra filosofia. La filosofia, a sua volta, è teoria del conoscere e la teoria del conoscere è critica del linguaggio, rassegnazione scettica di fronte all’impossibilità di conoscere il mondo, che non vuole presentar- si come pura negazione, ma come il nostro miglior sapere. Nel circolo di memoria, pensiero e linguaggio – termini che si sovrappongono e spesso vengono identificati – le parole sono soltanto «i segni per ri- cordare o i nomi per le esperienze senza nome, numerose, troppe per essere senza parole e senza nome» 27. Nel corso di una storia priva di leggi e di direzione le parole migrano assieme agli uomini e alle cose che essi portano con sé e con esse migrano anche i concetti astratti.

Egli sceglie allora poco più di duecento parole della filosofia, delle quali non ricostruisce l’etimo alla ricerca di un significato originario, ma ne segue le migrazioni (Wortwanderungen) attraverso le deriva- zioni, i prestiti (Entlehnungen) e i calchi (Lehnübersetzungen). Non quindi un catalogo del mondo, ma un insieme di piccole monografie dei concetti astratti, di concetti morti e di concetti apparenti (Schein- begriffe), ai quali nulla corrisponde nella nostra esperienza. Mauthner li

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chiama concetti «sostantivi», ipostatizzazioni arbitrarie del linguaggio, capaci tuttavia di dare vita a rappresentazioni che diventano motivo dell’agire, pregiudizi in grado di provocare una guerra di religione o la caccia alle streghe. La decostruzione critica assume così anche una dimensione pratica nella consapevolezza della potenza psicologica di tali concetti, delle loro radici nell’essenza stessa del linguaggio: «i con- cetti della filosofia – dato che la filosofia inizia là dove finisce il sapere dell’esperienza – rimangono sospesi nelle più alte regioni tra il pericolo dell’apparenza e il pericolo dell’antica mistica» 28.

La critica del linguaggio della filosofia si esprime già nell’imposta- zione enciclopedica che rifiuta l’ordinamento gerarchico per sostituirlo con il «criterio infantile» dell’ordine alfabetico 29, prende di mira le pa- role più usate, trasforma la domanda sull’essenza nell’indagine sull’uso del nome. Ne risulta una disamina dei problemi più importanti della storia del pensiero che rivela conoscenze amplissime, ma anche conclu- sioni affrettate e soggettive. In ogni caso la materia è più ordinata, le conoscenze scientifiche si sono ampliate anche alle discipline matema- tiche e fisiche, il tono – a parte qualche caso anche clamoroso 30 – più pacato. A questo non è certo estranea la presenza della Straub con la sua personalità delicata e tenace, con le sue conoscenze linguistiche e scientifiche.

Con Hedwig, che sposerà l’anno seguente, si trasferisce nel 1909 a Meersburg sul lago di Costanza in una casa di vetro, la Glaserhäusle, dove trascorre gli ultimi anni dedicandosi a un componimento poetico sulla figura del Buddha, alla mistica e ai quattro volumi dell’opera Der Atheismus und seine Geschichte im Abendlande, pubblicata nel 1920.

Anche questo lavoro è concepito come critica del linguaggio e parte dalla disamina dei concetti di Dio, eresia, superstizione, ateismo e di altri termini legati alla storia delle religioni, in particolare della religio- ne cristiana. La ricostruzione della «liberazione dal concetto di Dio» 31 prende in considerazione allora anche le critiche filosofiche, le soluzioni eretiche, le lotte contro il potere della Chiesa. La scepsi conoscitiva e linguistica impedisce una soluzione materialistica e trasforma l’ateismo in una mistica senza Dio, nella quale non vi è nome per un Dio, come non vi sono nomi adeguati per le cose del mondo 32. Ma l’idillio del

“Buddha di Meersburg” era già stato avvelenato da alcune polemiche politiche e religiose, ma soprattutto dallo scontro con Landauer per gli articoli nazionalistici che Mauthner aveva scritto all’inizio della guerra mondiale e per il suo giudizio negativo sulla partecipazione dell’amico alla Repubblica dei consigli di Monaco, nella repressione della quale Landauer aveva trovato la morte, assassinato in prigione.

Nel suo ultimo anno di vita Mauthner riassume le sue tesi filosofi- che nello scritto Die drei Bilder der Welt, interrotto dalla morte, il 29 giugno del 1923.

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2. Il linguaggio come metafora

La filosofia di Mauthner non ha propriamente un inizio, e non vor- rebbe averlo, eppure la sua critica del linguaggio prende avvio proprio nel modo più classico, con la citazione dal Vangelo di Giovanni: «in principio era la parola» 33. Con la parola – continua però – gli uomini sono al principio del conoscere e rimangono fermi se restano presso la parola; chi voglia procedere oltre, deve liberarsi dalla parola e dalla su- perstizione della parola, riscattare il mondo dalla tirannia del linguag- gio 34. Sembra un punto di partenza, ma l’autore ci avverte subito che l’espressione «in principio» muta il suo senso appena procediamo oltre nel pronunciare le cinque parole della proposizione «in principio era la parola». Subito dopo, la metafora della scala accresce il disagio del lettore disorientato. I suoi gradini ci incatenano al linguaggio dell’at- timo, di quel determinato gradino che abbiamo toccato anche solo di sfuggita e solo con le punte dei piedi, anche se ci siamo costruiti da noi i gradini per quell’attimo. Del resto non troviamo la scala, perché Mauthner – come farà Wittgenstein – l’ha distrutta: «devo annientare il linguaggio passo dopo passo dietro di me e davanti a me e dentro di me, devo distruggere ogni piolo della scala mentre salgo. Chi vuole seguire, ricostruisca i pioli per poi distruggerli di nuovo» 35.

La circolarità di questo inizio si manifesta nella struttura delle pri- me pagine. In effetti non è questo l’inizio: come ha notato Elisabeth Bredeck, le prime pagine del testo presentano una successione apparen- temente scoordinata di citazioni e annotazioni: prima l’epistola dedica- toria di Descartes dei Principia, a cui seguono, nella seconda edizione, la prefazione con il programma di critica del linguaggio e l’indice, poi le citazioni di Locke, Vico, Hamann, Jacobi e Kleist 36. L’invocazione dello spirito cartesiano si accosta al richiamo all’empirismo e alla tra- dizione asistematica. L’approccio al tema è già decostruzione.

Lo stile della scrittura riflette questa tensione: Mauthner non vuole procedere verso la verità, il linguaggio diventa un mezzo di sperimenta- zione, viene piegato e rotto, alla ricerca di una formulazione libera da norme e pregiudizi 37. È uno stile espressionistico, capace di far sentire davvero la lingua, provocatorio nell’uso compiaciuto degli ossimori 38, scandito dagli scarti e dagli slittamenti improvvisi verso il basso, nella sciatteria ostentata della lingua da mercato. Non sempre il risultato è felice: talora l’autore risolve con arguzia ebraica un intreccio comples- so, altrove si perde in lunghe divagazioni che gli prendono la mano.

Rimane l’obiettivo di presentare lo scetticismo linguistico nell’anda- mento stesso della lingua nella quale il significato della parola ripetuta slitta, viene trasposto, diventa ostensione della metafora.

Forse è questa la ragione della sua fortuna tra i letterati e della sfortuna presso i filosofi. Dalle lettere che Mauthner scrive a Hugo von Hofmannsthal, dopo la pubblicazione della Chandos-Brief 39, tra-

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spare l’orgoglio di ritrovare nelle riflessioni del protagonista, lo scrittore classico che si commiata dalla parola, l’eco di molti passaggi della sua critica del linguaggio 40 e l’imbarazzata richiesta di un adeguato rico- noscimento. Nonostante la reticenza del poeta ad ammettere di aver trovato esclusiva ispirazione dalle tesi del filosofo 41 su una problematica d’altronde molto presente nella letteratura austriaca del tempo, sappia- mo che nella sua biblioteca sono presenti il primo e il terzo volume dei Beiträge e che nei fogli del Nachlass Mauthner viene citato più volte 42. Christian Morgenstern, il poeta del grottesco e dell’assurdo, si dichiara invece esplicitamente seguace di Mauthner e attribuisce alla lettura della Kritik der Sprache l’essere venuto in chiaro sull’essenza del linguaggio, giustificazione teorica del suo gioco poetico con la parola 43.

Mauthner è letto anche da Samuel Beckett e James Joyce, quando, tra il 1929 e il ’30 a Parigi, Joyce sta lavorando alla contaminazione linguistica di Finnegans Wake e Beckett cerca nei Beiträge qualcosa che possa servire alla scrittura di Joyce; ne copia su un quaderno – come riferisce a Linda Ben-Zvi – anche un lungo passo sul nominalismo e sulla sua indimostrabilità, sull’inutilità della parola 44. Sempre nell’am- bito della sperimentazione linguistica, ma in un diverso contesto, negli anni sessanta, il viennese Oswald Wiener, nel suo romanzo di decostru- zione, die verbesserung von mitteleuropa, lo cita come provvisorio rife- rimento per una scelta ancor più radicale di rinuncia al linguaggio 45. Infine Jorge Luis Borges afferma di consultare spesso il Wörterbuch der Philosophie di Mauthner e a lui si ispira in alcuni racconti 46.

La diffidenza dell’accademia si conferma invece con il passare degli anni; nonostante l’opinione di Ernst Mach che prevedeva un ricono- scimento, lento ma certo 47, la letteratura critica tarda a prenderlo in considerazione e il suo nome rimane legato alla proposizione 4.0031 del Tractatus logico-philosophicus, nella quale Wittgenstein afferma: «tutta la filosofia è “critica del linguaggio”. Ma non nel senso di Mauthner».

Solo a partire dal saggio di Gershon Weiler del 1958 è iniziato uno stu- dio più attento del suo pensiero; eppure ancora Hans Kühn, il critico che gli dedica il testo analitico più completo, corredato dall’intera bi- bliografia dei suoi scritti, lo intitola Gescheiterte Sprachkritik, il naufra- gio della critica del linguaggio. Gli studi successivi, che prenderemo in considerazione in relazione a problemi specifici, hanno certamente un approccio più cauto, eppure affiora spesso l’idea che Mauthner non sia proprio un filosofo. In un certo senso non lo è, e non ha voluto esserlo.

Egli rimane ai margini della tradizione filosofica, scarta problemi, che a noi continuano a parere importanti, con battute di spirito che ci lascia- no stupefatti per la superficialità; in qualche altro passo sembra voler cancellare con un solo gesto di insofferenza l’intero impianto dei temi della Critica della ragion pura e di un secolo successivo di interpretazio- ni. A tutto questo si aggiungono le querimonie sull’accademia che san- no più di risentimento che di consapevolezza. Mauthner propone però

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un cambiamento del punto di vista che richiede un’attenzione inedita alla dimensione empirica del linguaggio. Per questo la sua riduzione della filosofia a critica del linguaggio mantiene una dimensione filosofica e permette di tornare ai temi di prima con uno sguardo diverso: «dopo si ascolta, si pensa, si parla diversamente» 48. Del resto la filosofia non ha mai preteso di fare di più e lo stesso Wittgenstein finirà per fare una critica del linguaggio proprio nel senso di Mauthner 49.

Partiamo allora dall’indicazione di Elisabeth Bredeck che, nel sag- gio sulle metafore del conoscere in Mauthner, suggerisce una lettura, per così dire, non letterale dell’opera: dopo un iniziale approccio ana- litico che cercava nel testo la contraddizione e l’incoerenza, concede una valutazione più indulgente che ci presenta l’unica possibilità di approccio all’opera di Mauthner, la lettura delle sue metafore. Il lavoro della studiosa americana parte dall’analisi della circolarità dell’inizio e finisce con la citazione dantesca dei primi versi del ii canto del Paradi- so che chiude i Beiträge 50: un nuovo gioco sull’inizio e la fine: Dante all’inizio del suo percorso verso la verità garantita da Dio 51, Mauthner davvero alla fine e con il sorriso beffardo di chi dice al lettore che il suo suggerimento a non seguirlo arriva troppo tardi.

La conclusione non è del tutto una sorpresa perché lo stile argo- mentativo di Mauthner procede fin dalle prime pagine nel continuo spostamento del piano del discorso, nella posizione di sempre nuove domande metafisiche che riguardano l’essenza del linguaggio e nello svuotamento delle stesse domande. Così nella prefazione alla seconda edizione dei Beiträge Mauthner definisce come obiettivo principale del suo lavoro filosofico l’indagine sull’«essenza del linguaggio», ma sug- gerisce immediatamente l’impossibilità di una definizione: il linguaggio è un termine generale, astratto, inafferrabile, perché è costituito dalla

«massa enorme di tutti i suoni umani [...] detti o scritti dagli uomini per comprendersi in un qualche luogo della terra» 52 e, nello stesso tempo, si presenta soltanto nella singola parola, nel singolo suono che svanisce appena lo si è pronunciato; il linguaggio – concluderà poco più avanti – propriamente non esiste, preso in sé è una «non-cosa senza essenza (ein wesenloses Unding)» 53.

Eppure l’intenzione di lavorare sull’essenza del linguaggio non sem- bra un semplice espediente, perché la critica del linguaggio viene defi- nita come un compito inevitabile. Ma se non è possibile un approccio analitico l’unica strada sembra la metafora e la prima metafora che Mauthner usa nei Beiträge per descrivere il linguaggio è eraclitea: la corrente del fiume rende in immagine il carattere instabile dei signi- ficati; il fiume, paragonato alla singola lingua, muta a sua volta il suo corso con l’andare del tempo. Non soddisfatto del fluire dell’acqua, l’autore accenna alla possibilità di paragonare la lingua a una corrente d’aria e al letto di questa corrente. Ma l’immagine del fiume sugge- risce anche l’inutilità – al fine di coglierne l’essenza – dello studio

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geografico-scientifico che ne ricostruisca il percorso o la costituzione fisico-chimica e richiama la mitologia delle divinità fluviali che rego- lano il flusso dell’acqua. La trinità di pensiero, logica e grammatica, alla quale attribuiamo un valore normativo ed esterno al linguaggio, si nasconde piuttosto dentro di esso 54.

L’impossibilità di definire il linguaggio se non mediante metafore, conduce Mauthner alla tesi che il linguaggio è semplicemente e prag- maticamente l’uso del linguaggio. L’uso suggerisce una nuova metafora:

il linguaggio è un gioco di società le cui regole diventano più cogenti quanti più giocatori vi partecipano 55, ma anche la bella immagine del linguaggio come città del socialismo realizzato, nelle condutture della quale scorrono luce e veleno, acqua e sporcizia 56. Di qui si moltipli- cano le metafore della maledizione: il linguaggio è l’ostetrica dalle dita sporche che uccidono la partoriente 57, è la sferza con la quale ognuno è guardiano e schiavo dell’altro, è la scimmia addomesticata del circo che si crede un artista, è la diavolessa che ha promesso all’uomo i frutti dell’albero della conoscenza e in cambio gli ha dato un frutto cancero- geno, parole per cose, etichette per bottiglie vuote 58; il linguaggio è il vecchio frac del signore di Gerlach, rammendato fino a non essere più lo stesso 59, è l’aringa immersa nella soluzione salata del pensiero 60, è il veleno prodotto dall’uomo che gli antichi chiamavano antropotoxina 61. L’accumulo di metafore vecchie e nuove modifica il significato di quelle tradizionali e rivela non solo che il linguaggio non è un catalogo del mondo, ma che alla sua essenza appartiene il malinteso, l’incompren- sione, la sinonimia (in senso aristotelico, per cui il bue e l’uomo, in quanto animali, sono sinonimi) e i più gravi malintesi si manifestano nella morale, nella politica, nel diritto, nella cultura, dove «le parole ridono come a casa propria» 62.

Il crescendo delle metafore ha però anche un senso teoretico, vuole condurci alla tesi che la parola in quanto tale è metafora; essa non ha a che vedere né con il mondo esterno, né con quello interno, è carica solo della sua storia, non evoca immagini, ma «immagini di immagini di immagini» in uno sviluppo senza fine di metafora in metafora 63. Questa autoreferenzialità della parola ha senso soltanto nella poesia, dove la maledizione diventa magia e le parole, che conservano la ric- chezza della metafora originaria, hanno peso – scrive Mauthner citando Maeterlink – grazie al silenzio in cui sono immerse 64. Il silenzio di una mistica senza Dio, che si pone con il sentimento di fronte a una realtà inafferrabile al pensiero, è l’altro esito dello scetticismo linguistico di Mauthner. L’invocazione del silenzio, apparentemente in contraddizione con la scrittura di migliaia e migliaia di pagine, rimane un avvertimento critico: guardando al passato – egli scrive – la critica del linguaggio è scetticismo, guardando al futuro è misticismo 65. La nostra analisi si limita allo sguardo verso il passato.

L’esposizione della tesi che la parola è metafora si trova circa a

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metà del secondo volume dei Beiträge e si colloca dopo la critica alla questione dell’origine del linguaggio. Rovesciando il rapporto trascen- dentale tra Ursprung ed Entstehung, Mauthner rifiuta con decisione la questione delle origini del linguaggio e preferisce parlare di evoluzione della lingua, proponendoci di provare di nuovo con una metafora che prende il concetto nel senso più ovvio e comune e finisce con una nuova domanda su questo senso. La domanda è posta volontariamente in modo banale: qual è il nutrimento che fa crescere il linguaggio?

La metafora dell’organismo, già criticata altrove 66, introduce la tesi centrale: il linguaggio, che forse deriva dalle espressioni primordiali dello stupore, della gioia e del dolore, si sviluppa – e questa è per il nostro autore una vera e propria ipotesi – attraverso la metafora:

«il linguaggio – scrive – è cresciuto e ancor oggi cresce a partire dal- la memoria umana (e memoria umana è a sua volta solo linguaggio) soltanto mediante la trasposizione (Übertragung, metafeJrein) di una parola definita (fertig) su un’impressione indefinita, mediante confronto dunque, mediante questo atto eterno del à-peu-près, mediante questo infinito circoscrivere e parlar figurato, che costituisce la forza artistica e la debolezza logica del linguaggio» 67.

L’idea del carattere essenzialmente metaforico del linguaggio non è certo una concezione originale di Mauthner; se ne potrebbero cercare le tracce in innumerevoli fili che annodano la storia della filosofia con la rinascita della retorica, con le teorie del conoscere, con le ricerche psicologiche e la nascita della semantica. Le tracce lontane vengono cercate da Mauthner nell’analisi gnoseologica del rapporto tra la pa- rola e la cosa degli empiristi inglesi e nella riflessione sul linguaggio di Vico, Hamann e von Humboldt; gli influssi più diretti si possono individuare invece nel dibattito psicologico e linguistico della fine Ot- tocento. Del resto il carattere originale della posizione di Mauthner non consiste tanto nella elaborazione di una nuova teoria, dato che tutti gli elementi che ne fanno parte si possono rintracciare nei suoi predecessori, ma – come ha notato Weiler – nel sottomettere questi elementi all’idea dominante della critica del linguaggio 68. Questa im- postazione richiede che anche la nostra ricerca debba considerare le tesi dell’autore in continuo dialogo con le posizioni teoriche che egli riprende, critica e decostruisce.

La prima fonte citata dal nostro autore è Locke e più volte egli si ripromette di dedicare un’analisi adeguata al suo libro sul linguaggio, il terzo del Saggio sull’intelligenza umana. Il pensatore inglese non consi- dera però la metafora come uno strumento per comprendere la natura del linguaggio in generale; quando parla della metafora, la considera come un vero e proprio inganno nel suo alludere a incerte somiglian- ze più che analizzare e distinguere 69. Mauthner è interessato però a questo elemento di ambiguità che egli ritrova nel rapporto stabilito da Locke tra parola e idea, nell’affermazione che le parole sono segni

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sensibili per le idee; il che stava a significare che esse non sono segni delle cose e nemmeno delle idee che stanno nella mente dell’altro, che il loro contenuto rappresentativo è del tutto privato: l’esempio di Locke è quello dell’oro, nel quale il bambino vede solo il colore bril- lante, mentre altri possono aggiungervi il peso, la malleabilità e altre caratteristiche. Ma la soggettività della rappresentazione viene argina- ta da Locke con la distinzione tra vari tipi di idee; le idee semplici, corrispondenti alle qualità sensibili, resistono all’albero di Porfirio e alla definizione per via della differenza specifica (non c’è nulla che posso tralasciare dall’idea di bianco e di rosso per farle concordare nel genere “colore”), e in questa loro originarietà possono essere in qualche modo esibite e riprodotte. Nei modi misti invece, come nel caso di “giustizia” o “beatitudine”, abbiamo a che fare con concetti astratti e combinati in modo del tutto arbitrario; nel caso poi delle sostanze egli sembra propenso a considerarle come una collazione di caratteristiche da enumerare 70, difficilmente risolvibile in una chiara determinazione del significato. Nella definizione dell’oro allora l’enu- merazione aggiungerà al colore giallo la duttilità, la fusibilità, la fissità e così via senza pretendere di penetrare nella sua essenza reale che ci rimane sconosciuta. Questa cautela critica è alla base dell’acuta analisi dell’ambiguità e delle oscurità del linguaggio che si accompagna alla consapevolezza della difficoltà di questo compito: «tanto è difficile il- lustrare il vario significato e le molteplici imperfezioni delle parole, quando non abbiamo altro che parole per farlo», una frase che, ab- biamo visto, compare tra le citazioni che introducono la trattazione dell’essenza del linguaggio nel primo volume dei Beiträge 71. In Locke Mauthner trova quindi l’attenzione posta sulla funzione del linguaggio nel processo stesso della conoscenza, l’idea della discrepanza tra con- tenuto rappresentativo e parola e quindi la necessità, nella formazione dei concetti astratti, di far uso di parole provenienti dalle operazioni su cose sensibili trasferendole ai processi del pensiero 72.

Per l’affermazione dell’origine metaforica del linguaggio è poi ancor più pertinente il riferimento a Vico, che egli cita subito dopo 73. Nel pensatore napoletano Mauthner trova prima di tutto un’attenzione alla lingua come documento della storia dell’umanità e al suo legame con la “storia delle cose”, in una prospettiva antirazionalistica, come di- mostra l’altra citazione posta all’inizio dei Beiträge, accanto a quella di Locke: «homo non intelligendo fit omnia». Questa impostazione trova conferma nel racconto metaforico delle origini della storia ideale eterna che fa precedere geneticamente il parlar figurato all’uso dei termini propri: la metafora allora, come «accorciata Favoletta», condensa in un universale fantastico – phantastische Gattungsbegriff, traduce Mauthner – gli eventi della natura e del cielo e li attribuisce all’immagine di una divinità, il nome della quale prende forma dal grido della paura. Tutte le lingue procedono quindi nel dare alle cose inanimate «trasporti del

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corpo animato, e delle sue parti, e degli humani sensi e umane passioni», il che corrisponde a una delle definizioni di Quintiliano 74. Vico pro- cede oltre nell’esame della metonimia, che veste concetti astratti con l’effetto al posto della causa (la morte pallida), e della sineddocche che trasporta la parte al tutto, mentre assegna la figura dell’ironia a tempi più tardi, quelli della riflessione 75.

Mauthner scrive però di essere arrivato a Vico solo in un secondo momento, dopo aver elaborato la propria teoria e attraverso una sug- gestione di Goethe 76; lo considera più un precursore della critica del linguaggio che uno stimolo diretto al proprio lavoro. Del resto l’atten- zione alla funzione della metafora non solo in ambito retorico e poetico, ma come strumento teorico in grado di spiegare aspetti fondamentali dell’evoluzione del linguaggio in generale, era elemento acquisito nel- la filosofia e nella linguistica dell’Ottocento tedesco. Mauthner stesso traccia un filo che collega Vico, Hamann e Herder 77 e, nonostante sia decisamente dalla parte di Herder nel negare l’origine divina del linguaggio 78, rivela una maggiore affinità e simpatia per le affermazioni oracolari del Mago del Nord che aveva letto nelle figure della Bibbia la traduzione del dialetto di Dio nel linguaggio dell’uomo.

Hamann è fonte di ispirazione in primo luogo per lo stile, per il suo lento prendere avvio nel groviglio dei titoli, delle dediche spesso occasionali e incomprensibili, dei motti duplici e triplici 79, per la sua sensibilità per la lingua che accosta la profezia a intermezzi scurrili, per la sua predilezione per la maschera, la parodia e, non ultimo, la metafora. E le metafore che scorrono una sull’altra nell’Aesthetica in nuce dipanano la tesi sull’origine del linguaggio dalla poesia, «lingua materna del genere umano» 80, nel ventaglio delle immagini che dal- la prima parola di Dio, “sia la luce”, alla creazione dell’uomo a sua immagine, proseguono in un crescendo di citazioni che devono esse- re state modello al lavoro di Mauthner. La trasposizione che avviene nel processo metaforico viene spiegata da Hamann con una ulteriore metafora: «pensare è tradurre: da un linguaggio di angeli in un lin- guaggio di uomini, ossia pensieri in parole, fatti in nomi, immagini in segni, che possono essere poetici o kyriologici, storici, o simbolici o geroglifici… e filosofici o caratteristici» 81 e questa stessa esigenza di rendere in immagine, di mettere «mani, piedi, ali» 82 alle astrazioni e alle ipotesi è alla base della metacritica alla Critica della ragion pura dell’amico Kant, che Mauthner cita a più riprese. In questo breve testo Hamann aveva richiamato la tesi di Berkeley, ripresa da Hume, che tutte le idee generali non sono altro che idee particolari congiunte a una certa parola che dà loro un significato più esteso e fa sì, all’occor- renza, che ne richiamino altre individuali simili a loro. Il linguaggio diventava così, come sottolinea Mauthner, primo e ultimo organo e criterio della ragione, senza altra garanzia all’infuori dell’uso e della tradizione 83. Contro l’idolo della pura ragione Hamann richiama la

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priorità genealogica del linguaggio: suoni e lettere sono le pure forme a priori, dalle quali sorge la lingua più antica della musica, come dal ritmo del polso e del respiro la prima misura del tempo e dalle figu- re del disegno e della pittura la determinazione dello spazio 84. Non idee innate, dice, ma certo matrici che vanno a ricomporre la frattura kantiana tra sensibilità e intelletto, facendo scorrere tra l’una e l’altro schiere di intuizioni e di concetti.

Si può quindi considerare Mauthner come il continuatore di questa metacritica della ragione ed egli stesso ha la pretesa di presentare le proprie ricerche come continuazione e completamento dell’impresa del filosofo di Königsberg, come critica della ragione impura – Kritik der unreinen Vernunft, scrive Lüktenhaus a proposito, usando però un’espressione di Gerber 85 – come trasformazione della critica della ragione in critica del linguaggio. Il primo passo in questa direzione è stato fatto, secondo Mauthner, proprio da Kant nella Kritik der Ur- teilskraft, da intendersi come una critica dei concetti e delle parole nell’ambito del bello; «sarebbe stato meglio – scrive – che fosse stato così anche per la ragion pura: avremmo la critica del linguaggio» 86. Certamente la disamina kantiana della forma soggettiva del giudizio estetico, della funzione dell’immaginazione, dell’analogia e delle ipoti- posi simboliche nella terza critica doveva essere importante per Mau- thner, ma egli non entra nel merito.

Le metacritiche di Hamann e Herder costituiscono poi solo una prima tappa di un processo di relativizzazione e di storicizzazione del- l’apriori che prosegue nel corso dell’Ottocento con la «trasposizione del trascendentale dal pensiero al linguaggio» attuata da von Humboldt 87, con la dialettica tra a priori e a posteriori nello spirito dei popoli della Völkerpsychologie di Steinthal e si conclude nell’estrema dinamicizzazione delle analisi dei neogrammatici sull’uso della lingua e lo scarto indi- viduale 88. Mauthner trae le conseguenze di questo percorso e in questo senso lo si può senz’altro considerare, come scrive Lia Formigari, partecipe di un approccio “attualistico” al tema del linguaggio che ha il suo lontano ascendente nel concetto di ejnevrgeia di von Humboldt e nello stesso tempo «il punto di non ritorno» di quella tradizione 89. La ripresa della visione della lingua come «qualcosa di continuamente, in ogni attimo, transeunte», non opera (e[rgon), ma attività (ejnevrgeia), secondo la famosa definizione di von Humboldt 90, avviene infatti solo dal lato della definizione dell’atto individuale del parlare, mentre l’accento posto sulla produttività conoscitiva, sulla creazione della soggettività e la fiducia nella corrispondenza tra rappresentazioni proprie e altrui, fondata sul riferimento alla totalità della lingua, vengono lasciate cadere nella critica antimetafisica. Nello stesso tempo la frattura che si è aperta tra contenuto rappresentativo e parola pronunciata, teorizzata dal principale esponente dei neogrammatici, Hermann Paul, e ripresa da Mauthner, rappresenta davvero un «punto di non ritorno».

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Nella ricostruzione storica delle teorie sul linguaggio del secondo volume dei Beiträge von Humboldt rimane un riferimento molto im- portante e l’ammirazione per la sua presa di posizione politica auten- ticamente liberale e contraria a ogni dispotismo si mescola al consenso per la tesi che le lingue in ultima analisi – con una leggera forzatura di Mauthner – rimangono creazioni dell’individuo 91. A Mauthner piace il carattere asistematico di un pensiero che non perviene a definizioni conclusive, e non tanto perché le consideri ovvie, ma proprio perché non ne viene davvero a capo, forse per il carattere circolare di ogni discorso sul linguaggio. Queste osservazioni rimandano all’impossibilità di cogliere l’essenza del linguaggio se non per mezzo di metafore, alla considerazione della lingua come un tessuto, una «rete di analogie»

in cui si è cristallizzata una visione del mondo 92, come un cerchio dal quale è possibile uscire solo passando in un’altra lingua – metafora questa che ritorna nei Beiträge – ma in una visione unitaria, a sua volta resa in metafora con l’immagine del prisma 93.

Mauthner passa invece subito alla critica delle formulazioni, a suo parere oscillanti e contraddittorie, sullo spirito che creerebbe la lingua e sulla lingua che creerebbe lo spirito; ripete l’accusa di Steinthal nei confronti del maestro, di voler cioè dedurre il linguaggio dal pensie- ro, mentre sarebbe più semplice ricavare dal linguaggio le leggi del pensiero. In particolare il nostro autore riprende il concetto di innere Sprachform, che von Humboldt aveva posto a fondamento della diversa attenzione delle lingue ai diversi aspetti delle cose, del prevalere del- la componente intellettiva oppure di quella sintetica, e gli conferisce un senso del tutto diverso ed empirico. Ritiene che questo concetto sia finalistico e contraddittorio, perché assegna una forma a qualcosa di interiore che non può aver forma, indicando talora l’insieme delle idee che fanno riferimento alla lingua, talora l’uso del linguaggio 94. In concreto però il filosofo illuminista, come Mauthner non si fa scrupolo di definire von Humboldt 95, intenderebbe per forma interiore della lingua una cosa diversa a ogni paragrafo: la logica del pensiero come essa si esprime nella grammatica oppure la grammatica astratta come si esprime nelle singole forme linguistiche e qualche volta persino il tertium comparationis che compare alla fantasia nella formazione di nuove parole 96. Non dobbiamo allora prenderlo alla lettera, la forma interna è soltanto la nostra sensibilità (Gefühl) linguistica per la nostra madrelingua che ci fa intendere una parola inesistente come “flierbte”

come un imperfetto del verbo altrettanto inesistente “flierben”.

Per dimostrare la sua tesi della parola come metafora, Mauthner at- tinge però al bagaglio delle argomentazioni e degli esempi degli studi di semantica, che non solo avevano individuato nella creazione dell’espres- sione figurata uno dei principali processi che accompagnano il muta- mento semantico, ma ne avevano fornito anche una trattazione analitica.

Mauthner conosce e cita numerosi studi di semasiologia, il filone di

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ricerca che nella Germania dell’Ottocento costituisce la premessa della nascita della semantica, disciplina inaugurata dalla pubblicazione, nel 1897 a Parigi, del testo di Michel Bréal Essai de sémantique. Science des significations. Di Bréal cita il detto: «noi siamo, più o meno, dei dizionari viventi della lingua francese» 97, invero per criticarlo subito dopo per la mancanza di un approfondimento psicologico. Ma l’approccio semantico dello studioso francese era vicino alla critica del linguaggio per il concet- to non normativo delle leggi linguistiche che si limitano a rilevare delle regolarità, per la concezione del rapporto tra le parole e le cose e per l’importanza centrale della metafora. La logica del linguaggio è per Bréal una logica di tipo particolare, avanza per tappe, devia, sosta e riparte, procede per analogie e contiene continui riferimenti soggettivi. Bréal dedica poi una particolare attenzione alla metafora, affermando come sia spesso difficile riconoscere le metafore più antiche, ormai scolorite;

esse poi non rimangono legate alla lingua in cui nascono, ma viaggiano da un idioma a un altro. Questo contribuisce a dare alla parola un carattere polisemico: il linguaggio designa le cose, ma in modo incom- pleto e inesatto; i sostantivi racchiudono solo quella parte di verità che può essere racchiusa da un nome e che è necessariamente più piccola quanto maggiore è il grado di realtà posseduto dall’oggetto 98. «Il lin- guaggio – conclude con una tesi che Mauthner ripete più volte – può solo restituirci l’eco del nostro stesso pensiero» 99.

Il linguista più vicino a Mauthner è però Hermann Paul: egli lo cita spesso, anche se talora in maniera polemica 100. L’esponente prin- cipale del movimento dei neogrammatici, influenzato dal darwinismo di Spencer, aveva proposto un approccio radicalmente empiristico alla scienza del linguaggio, considerata come disciplina storica, disamina delle espressioni degli uomini nel loro operare concreto. Mauthner in- dica il passo in avanti compiuto da Paul rispetto alla Völkerspychologie nel focalizzare l’interesse sull’individuo, sull’uso linguistico del parlante e sulle condizioni di possibilità di comprensione da parte dell’interlo- cutore, e di giungere così all’idea fondamentale che ogni innovazione fonetica e semantica sia opera dell’individuo 101. Nei Prinzipien der Sprachgeschichte Mauthner poteva trovare un’impostazione psicologica di stampo herbartiano, centrata sul meccanismo, conscio e inconscio, di aggregazione delle rappresentazioni nella mente dell’individuo, e un’indagine sul rapporto tra questo piano, privato e incomunicabile, e l’uso linguistico. La spiegazione storico-genetica dei mutamenti fonetici e semantici, fondata sulla dialettica di significato usuale di un termine e di significato occasionale 102, era basata sul riconoscimento del carattere polisemico di molte parole in uso e sulla necessità quindi di rendere tale significato univoco e concreto allo scopo della comprensione tra parlanti. Queste deviazioni dall’uso comune venivano classificate da Paul secondo gli opposti principî della specializzazione 103 e dell’ampliamento del significato 104, principî ai quali egli aveva aggiunto il trasferimento

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a quanto collegato nello spazio, nel tempo e per causa 105. La metafora diventava allora uno dei mezzi più importanti per la creazione di nomi per complessi rappresentativi per i quali non esistono ancora parole che li designino, ma anche per quelli che già possedevano un nome, costituendo un complesso di immagini sedimentate che caratterizza le differenze di interesse degli individui e dei popoli.

La rassegna dei tipi di metafora di Paul non rappresenta però sol- tanto un fondo di «idee ed esempi» a cui attingere 106: il nuovo rap- porto stabilito dall’analisi dei neogrammatici tra linguistica e psicologia e il riferimento a Herbart impegnano Mauthner a fare i conti con la tradizione degli studi di psicologia 107, aprendo un altro ventaglio di prospettive che richiedono una sintesi.

3. Metafora e rappresentazione

In un primo momento sembra senz’altro di poter definire la con- cezione mauthneriana della metafora con il cattivo attributo di “psico- logica”, riconducendola alla categoria peggiorativa di “psicologismo”, se intendiamo con questo termine la dissoluzione dell’apriori e la sua spiegazione in termini genetici. Lo stesso Mauthner ribadisce più volte di voler ridurre la filosofia a psicologia e per la linguistica afferma che essa costituisce soltanto un capitolo della psicologia 108. Nello stesso tempo però il nostro filosofo afferma che lo psicologismo «sarebbe la verità, se la nostra psiche non dovesse parlare» 109, se la parola potesse, per così dire, assomigliare alla rappresentazione. Ma l’idea della parola come metafora è collegata al suo carattere polisemico, ambiguo, non riconducibile a un concetto definito, ma a una pluralità di rappresen- tazioni; in ogni momento – egli scrive – sono presenti una quantità di rappresentazioni individuali che stanno pronte fuori della «cruna della nostra coscienza» 110 e che passiamo velocemente in rassegna. Alla pa- rola corrisponde la sedimentazione di rappresentazioni simili, mai eguali però, che fluttuano una sull’altra, senza poter combaciare in modo esat- to. Più avanti l’autore tornerà a riflettere sul termine “rappresentazione”

che già indicherebbe un’attività spirituale complessa, richiedendo a sua volta la mediazione del linguaggio 111: provvisoriamente possiamo dire allora che la parola evoca un mondo di associazioni, un complesso di sensazioni e di percezioni sensibili. Gli organi di senso a loro volta non sono poi certamente lo specchio del mondo, essi hanno avuto un’evo- luzione casuale, orientata dai criteri dell’economia e del bisogno, costi- tuiscono quindi dei filtri, dei setacci, che lasciano passare soltanto una minima parte delle caratteristiche delle cose 112. Questa selezione è stata essenziale per la vita quotidiana, perché una configurazione più precisa degli organi di senso che ci facesse percepire differenze microscopiche, come ad esempio l’intera variazione delle oscillazioni ondulatorie stu-

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diate dalla fisica nel campo dei suoni e dei colori, non avrebbe reso possibile l’orientamento dell’uomo nel mondo.

Sul piano gnoseologico una conoscenza trasparente del mondo rima- ne impossibile: intelletto e mondo non combaciano, non si adattano l’un l’altro come un guanto alla mano o la mano al guanto (e con questo ro- vesciamento allude alla rivoluzione copernicana di Kant, e – stando alla metafora – non ci è nemmeno dato sapere se nel guanto vi sia davvero una mano 113); il mondo svanisce nell’illusione, dissolto nelle ombre del mito della caverna di Platone e coperto dal velo di Maya delle antiche dottrine dei Veda interpretate da Schopenhauer, coinvolgendo anche il soggetto nel mistero dell’inconoscibile. Ma lo scetticismo radicale, applicato all’ambito del soggetto del conoscere, apre un nuovo piano di indagine per la critica del linguaggio e la seconda parte del primo volume dei Beiträge si presenta come un’acuta disamina delle teorie psicologiche del tempo che ne individua alcune importanti aporie. La duplicazione del mondo attuata dal materialismo, dallo spiritualismo, ma anche dal parallelismo psico-fisico ha, secondo Mauthner, come imme- diata conseguenza l’applicazione al mondo interno dei concetti elaborati per il mondo esterno, con il risultato di costruire enigmi senza soluzione sul rapporto tra anima e corpo e problemi senza senso, come il tentativo di individuare la collocazione dell’anima o la diatriba sull’anima degli animali 114. Allo stesso modo la psicologia fisiologica, che scopre nel cervello i correlati fisici delle associazioni psichiche, non farebbe altro che raddoppiare l’enigma 115, e Fechner, che chiama parallele due cose che invero coincidono, risolverebbe il problema del rapporto tra fisico e psichico soltanto a parole: i pesci – commenta Mauthner con una metafora – vedono la superficie del mare da sotto, gli uccelli dall’alto e in psicologia noi ci troviamo nell’imbarazzante situazione di un uomo che possa guardare solo da un lato lo specchio del mare 116. Anima e corpo sono quindi solo parole, metafore appunto; l’io, con i suoi con- fini incerti e incostanti, illusione delle illusioni 117, la coscienza «vuoto pleonasmo» 118: lo specchio del nostro cervello riflette di volta in volta quello che gli è davanti, ma non si può guardarvi dentro come in uno specchio oculare 119.

Mauthner afferma di aver maturato queste sue convinzioni nel suo periodo di formazione a Praga; fa risalire l’idea della povertà dei nostri cinque sensi, della struttura contingente della sensibilità, alla lettura di Nietzsche (ma su questo più avanti) e sostiene di essere stato stimolato alla critica del linguaggio da una conferenza sul principio di conser- vazione del lavoro che Ernst Mach aveva tenuto a Praga nel 1872. Si tratta invero di una ricostruzione a posteriori 120, ma questo non toglie che si possano rintracciare nelle pagine dei Beiträge molte suggestioni che derivano con evidenza dalla rilettura del lavoro di Mach.

Il testo della prolusione contiene una disamina critica dei concetti fondamentali della fisica considerati secondo il motto «la storia ha fatto

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tutto, la storia può mutare tutto» 121. I concetti, sostiene Mach, sono astrazioni che debbono essere sempre riconducibili ai fenomeni sus- sunti; per alcuni concetti abbiamo scordato il percorso compiuto per raggiungerli e li chiamiamo metafisici 122. La scienza si deve limitare alla connessione più ampia possibile dei fatti, senza cercare di immaginare qualcosa dietro i fenomeni, e deve essere consapevole che quello che li tiene insieme è sempre una forma arbitraria, che varia con il no- stro punto di vista culturale 123. Universalizzare questo punto di vista, come tenta di fare la concezione meccanica del mondo, significa, per Mach, ritornare alla metafisica; la conclusione è kantiana: se il mondo è una macchina, in cui il movimento di certe parti è determinato dal movimento di altre, nulla è però determinato per l’intera macchina 124. Accanto poi al procedimento che collega i fenomeni, la scienza ha anche il compito di scomporre i fatti complessi in fatti più semplici, non ulteriormente scomponibili: questi fatti-base, come egli li chiama, non sono altro che incomprensibilità non abituali ridotte a incompren- sibilità abituali e la scelta di questi fatti-base «è questione di comodità, storia e abitudine» 125. In breve, la conferenza di Praga conteneva tutti i presupposti per una critica del linguaggio della metafisica nella scien- za, come Mauthner riconosce più volte.

La critica al meccanicismo veniva poi confermata dalle ricerche successive dello scienziato sullo spazio e sul tempo della percezione, sui suoni e sui colori, esposte nel libro Die Analyse der Empfindun- gen, la cui prima edizione è del 1886. Nelle Osservazioni preliminari antimetafisiche, che introducono le ricerche fisiologiche, il punto di partenza del nostro conoscere viene descritto fenomenologicamente:

«colori, suoni, calore, pressioni, spazi, tempi ecc. sono connessi fra loro in modo molteplice e ad essi sono legati disposizioni, sentimenti e volizioni. Da questo tessuto emerge ciò che è relativamente più stabile e durevole, imprimendosi nella memoria ed esprimendosi nella parola.

Come relativamente più durevoli si segnalano innanzitutto complessi coordinati (funzionalmente) nello spazio e nel tempo di colori, suoni, pressioni ecc., i quali proprio perciò assumono nomi specifici e ven- gono indicato come corpi (Körper). Tali complessi non sono affatto persistenti in senso assoluto» 126. In questa formulazione Mach evita l’espressione “complessi di sensazioni”: gli elementi sono sensazioni al livello dell’astrazione, dell’idealizzazione, cioè dell’ordinamento di una serie che permette di renderli oggetto di esperimento 127; essi – scrive Mach – sono sensazioni soltanto sotto un certo rispetto: un colore è un oggetto fisico in relazione alla sorgente di luce, è una sensazione in relazione alla retina 128. I complessi di elementi si compongono poi variamente e possono esigere una descrizione fisica o fisiologica oppure psicologica: in relazione all’elemento ordinatore si danno diverse im- magini del mondo, come dirà Mauthner, oppure reti a diverse maglie, come dirà Wittgenstein.

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Questo approccio permetteva a Mach di sfuggire alla duplicazione metafisica di soggetto e oggetto, di fenomeno e cosa in sé, di illusione e realtà: la matita immersa nell’acqua, emblema dell’illusione dei sensi, risulta otticamente spezzata, ma tattilmente e metricamente diritta. I complessi, ordinati herbartianamente in modo seriale (ordinamento spaziale e temporale, serie cromatica o tonale), sono poi scomponibili senza il residuo di una cosa in sé: la sostanza, al contrario, non è altro che l’ipostatizzazione di un’entità che viene staccata dalla serie delle sensazioni in base a un’istanza di totalità.

E semplice complesso di elementi risultava anche l’altro polo del conoscere, l’io, che perdeva così la sua identità definita. Mach sancisce in questo modo la fine dell’io, fonte, a suo dire, di tutte le assurdità me- tafisiche, e indica come premessa di questa concezione un’osservazione di Lichtenberg sulla difficoltà di tracciare una netta linea di demarca- zione tra le rappresentazioni che dipendono da noi e quelle che non ne dipendono. Lichtenberg osservava che non si dovrebbe dire “ich denke”, ma piuttosto “es denkt”, allo stesso modo in cui si dice “es blitzt” 129. Riassumendo con un appunto di Mach: «Mondo e io sono più o meno soltanto sintesi (Zusammenfassungen) arbitrarie» 130.

Mach offriva così alla cultura del suo tempo un approccio ai con- cetti di io, cosa, spazio, tempo e causa, che costituì un punto di rife- rimento non solo per scienziati, ma anche per scrittori e letterati: la sua critica al feticismo del linguaggio, alla «superstizione della parola»

– come egli si esprime in Erkenntnis und Irrtum, citando l’antropologo Tylor 131 – ritorna in espressioni e in immagini, spesso con richiami espliciti, in tutta la riflessione sulla crisi della parola, sul divario, ormai riconosciuto, tra le parole e le cose, nella dissoluzione e nelle estreme difese dell’io nella letteratura della Vienna dell’inizio del Novecento (basti citare Musil, Hofmannsthal e Weininger). Non stupisce quindi che Mauthner nel periodo della stesura dei Beiträge torni a quella lontana suggestione, legga i libri di Mach e cerchi anche di stabilire un contatto personale con il pensatore moravo 132.

La definizione del rapporto tra fisico e psichico come semplice diversità di rapporti tra elementi che possono essere oggetto di de- scrizione da parte della fisica, della fisiologia oppure della psicologia, l’inutilità di riferirsi a una componente ulteriore che faccia da sostrato ai due ambiti – come ancora il parallelismo tendeva a fare – ritorna nelle analisi gnoseologiche e antropologiche di Mauthner, nell’affer- mazione della diversità solo di grado tra il pensiero animale e quello dell’uomo, nella definizione dell’intelletto come capacità intuitiva che si sviluppa per necessità di sopravvivenza biologica, nella considerazione della memoria non solo come sedimentazione psichica, ma anche ma- teriale delle esperienze in tutte le vie sensibili e motorie 133. Quando Mach paragona l’attività della memoria all’uso di vecchi violini ben suonati e Mauthner si meraviglia di quante tracce mnemoniche debba

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contenere l’ala di un uccello, non si tratta di banali osservazioni ma- terialistiche, ma della considerazione della natura in una prospettiva storica e dell’uomo come parte di essa. Nell’analisi del linguaggio que- sto significa di nuovo partire dalla sua dimensione naturale: Mauthner, come Mach, afferma che si impara a parlare come si impara a respirare e a camminare 134.

Katherine Arens, che ha ampiamente analizzato il debito intellet- tuale di Mauthner nei confronti di Mach, lo riassume nel paradigma del «funzionalismo», nell’affermazione cioè del valore contingente dei modelli teorici che, di volta in volta, si presentano come sistemazio- ni parziali dei dati empirici in funzione di determinati problemi da risolvere 135. Questa impostazione del problema del conoscere non approdava però in Mach a un esito scettico, non alla rassegnazione, alla rinuncia compiaciuta e malinconica dell’Ignorabimus di du Bois- Reymond (e che in alcuni momenti ritroviamo anche in Mauthner), né si presentava come un’incursione dello scienziato nel campo della filosofia che si ripromettesse di risolverne gli enigmi; in Erkenntnis und Irrtum egli si definirà un cacciatore domenicale della filosofia 136: un cacciatore, possiamo dire, capace di muoversi senza assunzioni pre- concette e di colpire nel segno i preconcetti di un’intera tradizione del pensiero.

Anche Mauthner, quando si interroga sulla possibilità di fare della linguistica una scienza, si paragona al viaggiatore che può solo descrive- re i costumi di un popolo, ma egli espande il modello funzionalistico di Mach nella direzione dello scetticismo: il mondo è immagine soggettiva dei nostri Zufallssinne, la scienza non ha alcun fondamento possibile, la logica è vuota tautologia, il soggetto metafisico è ridotto all’io empirico, a sua volta frantumato nell’indeterminatezza dei suoi confini. A questo proposito con un’osservazione simile a quella di Mach e di Lichtenberg, Mauthner sostiene: la mia sensazione “verde”, grün, significa origina- riamente che io vengo begrünt, il prato mi verdeggia, begrünt mich 137. Limitarsi alla descrizione fenomenologica farebbe quindi saltare le ca- tegorie della grammatica; l’autocritica del linguaggio diviene il suicidio del linguaggio.

Il confronto con Mach si fa poi più serrato a partire dal periodo nel quale Mauthner sta ultimando il secondo volume dei Beiträge e appare ancora più chiaramente nel terzo. Oltre alla lettura dell’Analisis, delle Vorlesungen e della Mechanik, Mauthner ha affrontato anche la Wärmelehre (uscita nel 1896) che nell’ultima parte tratta con ampiezza il linguaggio della scienza. L’applicazione del modello biologico darwi- niano allo sviluppo delle idee scientifiche in termini di trasformazione e di adattamento permette a Mach l’approfondimento di alcune riflessioni sulla teoria del conoscere. Si tratta in primo luogo del processo psico- logico dell’associazione, della comparazione come base dell’astrazione:

così, ad esempio, i termini indicanti colore, forse nati dall’arte del ta-

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