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Metanarrativa modernista

Considerando la storia letteraria novecentesca nel suo complesso, si riconoscono due periodi in cui la letteratura lavora per un cambiamento delle proprie regole che consenta un più netto adeguamento della forma narrativa alle teorie filosofiche e alla visione del mondo che queste stesse regole suggerivano. Questi due periodi sono circoscrivibili alla prima metà del secolo e ai vent’anni che vanno del 1968 al 1989.

Il primo periodo in questione, quello che interessa il primo quarto del XX secolo, si destreggia tra filosofie del nichilismo e dell’inconscio, tra la perdita dei valori tradizionali e il terribile avvento e radicamento dei regimi totalitari. Tale cambiamento fu così imponente da poter competere – quanto alla portata - con epoche come il periodo classico greco/latino o l’umanesimo. Tuttavia quelle erano epoche classiche, divenute modelli tradizionali a cui affiliarsi o da cui discostarsi. I primi cinquanta anni del Novecento sono invece un’epoca i cui portati non si sono ancora sedimentati nella coscienza umana.

Allo scoccare del Novecento l’umanità si sveglia in un mondo nuovo; in pochi anni hanno visto la luce tre opere capitali: Also sprach Zarathustra di Friedrich Nietzsche, pubblicata tra il 1883 e il 1885; Matière et Mémoire di Henri Bergson del 1896, e Die

Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) di Sigmund Freud, opera pubblicata nel 1899.

Friedrich Nietzsche, che muore nel primo anno del nuovo secolo, ha appena completato la sua opera di smantellamento della razionalità e dell’idealismo e di genesi del nichilismo. Dalla riflessione sul tempo individuale di Matière et Mémoire traggono origine e linfa vitale le ricerche dei tempi perduti tanto care all’epoca. La freudiana scoperta dell’inconscio frammenta anche l’individuo, ultimo caposaldo dell’integrità ottocentesca. L’idealismo e il positivismo diventano quasi immediatamente un retaggio del passato con cui non si prescinde dal fare i conti, ma che si ritiene sostanzialmente superato. In questo clima culturale, che sta alla base di quel movimento letterario chiamato modernismo, il romanzo realista si sgretola nelle forme e nei contenuti; con le opere di Proust, Mann, Joyce, Woolf e Kafka si segna la definitiva nascita di un nuovo modo di concepire il mondo e quindi il romanzo.

Non necessariamente il romanzo modernista è anche metanarrativo, ma la disintegrazione del senso del reale a cui si è andati incontro provoca un forte straniamento e una dissoluzione del margine che divide la realtà dalla finzione. Dal lavoro di metateatro di Pirandello alle strutture metanarrative contenute in alcuni racconti di Bontempelli, all’ultimo romanzo della trilogia di Beckett intitolato L’Innomable e pubblicato nel 1953 si assiste a un disfacimento delle strutture convenzionali del fare letteratura. L’opera di Luigi Pirandello è forse l’esempio più facile di questo procedimento. L’iconicità della scena teatrale rende più evidente la confusione dei ruoli dei personaggi; inoltre la sospensione dell’incredululità20

stipulata tra attori e pubblico è così fragile da poter essere interrotta a piacere dalla semplice

20 La frase venne coniata da Samuel Taylor Coleridge in un suo scritto del 1817: “...in which it was agreed, that my endeavours should be directed to persons and characters supernatural, or at least romantic, yet so as to transfer from our inward nature a human interest and a semblance of truth sufficient to procure for these shadows of imagination that willing suspension of disbelief for the moment, which constitutes poetic faith» (Cfr. Samuel Taylor Coleridge, Biographia literaria, Oxford University Press, 1973, II, p.6).

uscita dell’attore dallo spazio scenico che gli era stato riservato. Nella narrativa, che non richiede né la presenza di attori né quella di una scena, la sospensione dell’incredulità è più difficile da infrangere. Si è fatto accenno, nel primo paragrafo di questo capitolo, allo stream

of consciousness come stratagemma narrativo capace di rendere il travaglio interiore di una

coscienza. Già con il venir meno di valori fondamentali del XIX secolo quali le nozioni di progresso e di certezza, il modello del romanzo ottocentesco venne percepito come inadeguato. Per questo motivo, nonostante il fatto che le opere di metanarrativa nei primi anni del secolo non siano né abbondanti né di enorme prestigio (tranne ovviamente qualche eccezione), il modernismo deve essere considerato la culla della metanarrativa postmoderna. L’eliminazione del narratore onnisciente, la focalizzazione sempre più marcata e complessa, l’uso narrativo del discorso riportato soprattutto nelle sue varietà indirette e monologiche sono l’esito di una prima ma quanto mai essenziale riflessione sulla forma del romanzo. E’ noto come venga comunemente riconosciuta la presenza di un meta-teatro di inizio Novecento, dimenticandosi però che l’elaborazione meta-teatrale nasce da autori che avevano sperimentato questo stesso procedimento nella narrativa prima ancora che sulla scena.

I romanzi che propongono scelte metanarrative, in questi primi decenni del XX secolo, hanno alcune caratteristiche in comune. La cifra per analizzarli sembra essere quella di un rapporto conflittuale tra personaggi e autore. I personaggi, da sempre sottomessi alla decisione autoriale, si ribellano e, attraverso l’affermazione della propria individualità e del libero arbitrio, accusano il loro autore di non avere alcun diritto di decidere delle loro vite. Molto spesso, le pagine metanarrative contenute nei racconti di Pirandello, Bontempelli o Unamuno accolgono lunghi dialoghi tra l’autore e i suoi personaggi, che si presentano al suo cospetto molto spesso senza esserne invitati. L’atmosfera che se ne ricava è quella di un ribaltamento dei canoni tradizionali con cui si è abituati a pensare al romanzo e quel che ne deriva è uno straniamento, che spesso si tramuta in ironia. Gli esempi di questo atteggiamento metanarrativo si ritrovano nel capitolo III, a cui è acclusa una antologia.

Il clima sovversivo nella cultura di inizio Novecento raggiunge forse il suo punto più alto con il manifesto del surrealismo di Andrè Breton del 1924 in cui convergono le energie del dadaismo di Tristan Tzara (1912-1920), che si era preso in carico la necessità di distruggere e sbeffeggiare tutti i criteri tradizionali attivi nella società e nella cultura. Il surrealismo aggiunge a quell’iconoclastia una sostanziale pars construens. Il nome surrealitè indica un fenomeno che si posiziona al di sopra della realtà e viene a indicare una realtà assoluta. Molte pratiche del Surrealismo derivano però dalla filosofia e psicologia freudiana; nei testi si ricerca l’accostamento irrazionale di immagini così come avviene nei sogni. Il

metodo della scrittura automatica fa leva sull’inconscio e sulle immagini che esso genera. Non occorre distruggere l’arte così come la conosciamo, basta sconvolgerne il senso per dimostrarne i meccanismi logici e convenzionali. L’esempio più lampante di questo procedimento sono le svariate opere (una per tutte “Ceci n’est pas une pipe”) del pittore René Magritte in cui un’immagine che convenzionalmente ci rimanda a un oggetto sensibile viene smentito da una frase in calce al quadro. Come tutte le avanguardie successive, anche il Surrealismo ebbe una forte compromissione con la politica: già nel 1924 il gruppo anarchico che faceva capo a Breton venne a confluire con quello comunista guidato da Aragon e da J. Bernier, direttore della rivista Clarté. Ma la teoria del Surrealismo si pone per prima il problema sociale che sarà fondamentale per la filosofia posteriore e per lo sviluppo della nuova forma del romanzo: come realizzare la liberazione dell'uomo? La via dei surrealisti è quella della valorizzazione delle componenti della personalità che le strettoie della civiltà e delle istituzioni sociali spengono. Ciò significa privilegiare nella produzione tutto il mondo dell'inconscio: la dimensione onirica, il groviglio oscuro delle pulsioni e frustrazioni, gli stati allucinatori. Attraverso l’inconscio si sarebbero collegate due dimensioni da sempre in opposizione: quella del sogno e quella della realtà.

Il critico egiziano Ihab Hassan, che è già stato qui ricordato, ha identificato nel Dadaismo e nel Surrealismo le prime rivoluzioni dell'arte e del linguaggio, che hanno condotto al Postmoderno e quindi al nuovo romanzo degli anni Sessanta.

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