3.2.1–ARCHEOZOOLOGIA E METODI DI ANALISI
Come premessa all’esposizione delle tecniche e metodi utilizzati nel corso di questa ricerca, si contestualizza di seguito l’ambito e il filone della disciplina in oggetto.
L’archeozoologia è la disciplina che studia le relazioni intercorse tra l’uomo e il mondo animale nel passato.
Gran parte delle metodologie e delle tecniche di analisi impiegate sono condivise con la paleontologia e la zoologia, ma il divergere dell’archeozoologia si incentra nel ricostruire il comportamento umano attraverso lo studio dei resti faunistici provenienti da giacimenti archeologici. Gli aspetti che coinvolgono la sfera della tafonomia, possono fornire indicazioni
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utili circa ”l’economia”, le strategie di sussistenza e il tipo di sfruttamento dell’animale adottati dai gruppi umani nei siti presi in esame.
I principali scopi dell’archeozoologia (Gautier, 1983; Chaix e Meniel, 1996) sono:
- stabilire il tipo di relazioni intercorse tra gli animali e i gruppi umani, con la finalità di fornire le ragioni della loro presenza nel sito e il loro utilizzo;
- riconoscere e descrivere le specie;
- evidenziare eventuali conseguenze biologiche e/o ecologiche in seguito all’intervento dell’uomo (ad esempio in seguito alla domesticazione);
- contribuire alla conoscenza dei gruppi umani, del loro ambiente e del loro modo di vivere. È importante sottolineare che per questa disciplina non esistono limiti cronologici o spaziali. Le informazioni ottenute da un studio faunistico di un sito sono di ordine paleoecologico e paleoeconomico. Il primo si riferisce alla definizione del tipo di ambiente circostante il sito, basandosi sulle specie rinvenute, il secondo riguarda l’identificazione delle specie che venivano sfruttate e le strategie di sussistenza utilizzate dai gruppi umani.
La ricerca tafonomica - Il termine tafonomia è stato coniato dal paleontologo russo Ivan Efremov nel 1940, ed è composto da due parole greche: taphos (sepoltura) e nomos (legge), come molte altre branche delle scienze storiche, coinvolge due distinti ma necessari tipi di ricerca. Il primo concerne l’osservazione di processi attuali che avvengono durante la transizione degli elementi organici dalla biosfera alla litosfera, prestando particolare attenzione a quelli che producono effetti e tracce simili a quelle osservabili sui reperti fossili. L’altro si occupa dello studio dell’evidenza fossile, considerando però i risultati ottenuti dalle analisi dei contesti attuali (Gifford, 1981).
Questa disciplina nacque nell’ambito della paleontologia, ma risulta oggi molto importante anche per gli archeologi, soprattutto archeozoologi e archeobotanici, i quali lavorano con i resti organici rinvenuti nei giacimenti.
Essi presero in prestito l’idea che i reperti sono probabilmente compromessi, ossia che le informazioni concernenti la morfologia, l’ecologia e la storia degli organismi sono alterate o sono state perse durante il periodo di tempo trascorso dalla loro morte al loro ritrovamento (Dodson, 1980; Lawrence, 1968, 1971).
Sistematiche ricerche tafonomiche iniziano ad essere condotte negli anni Settanta, ma già negli anni Quaranta il paleontologo svizzero Frédéric Koby aveva condotto alcuni studi molto accurati, anche se ancora pionieristici, in questa direzione (Koby, 1941, 1943, 1953).
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Durante gli anni Ottanta venne fatta una sintesi delle conoscenze e stabilita una metodologia comune su base scientifica, divulgata attraverso la diffusione di tre grandi opere pubblicate nel 1981 (R. Binford, C. K. Brain, e Pat Shipman).
Generalmente la tafonomia riguarda i processi e gli effetti post-mortem, pre- e post- seppellimento dei reperti faunistici (Fig. 3.2_1).
“Una cronologia generale degli agenti e dei processi tafonomici che colpiscono i resti faunistici è definita storia tafonomica o percorso tafonomico” (R.L. Lyman 1994).
Gifford (1981) sostiene che la ricerca tafonomica ha due differenti scopi: riconoscere le tracce tafonomiche che hanno colpito i resti, e, quindi, determinare la natura delle stesse tracce precisando i meccanismi responsabili in modo tale da ricostruire la storia tafonomica.
Gli eventi post-mortem, attraverso l’allontanamento dal contesto originale, l’alterazione o la distruzione dei resti faunistici, causano la perdita di molte informazioni relative all’animale prima in vita (Lawrence 1968; Gifford 1981).
È necessario ricordare che i resti fossili sono solo il risultato di una selezione, che nella maggior parte dei casi è accidentale, la quale quindi non rappresenta esattamente la reale composizione della fauna in quel momento e in quello spazio precisi. Infatti, l’alterazione dell’insieme può condurre ad una ricostruzione distorta ed incompleta del passato, in termini di ambienti ed economie.
Gifford (1981) afferma che l’insieme dei reperti rinvenuti è il risultato delle singole storie tafonomiche di ogni resto, poiché ogni resto è collegato ad un suo proprio percorso. Ogni resto è il risultato di una catena di eventi che potrebbe conservare piuttosto che distruggere quelle stesse materie organiche.
Shipman (1979) sostiene che chi si occupa di tafonomia cerca una risposta alla domanda “Perché sono qui queste ossa?”. Ed è attraverso lidentificazione di tutti gli eventi passati responsabili dell’accumulo e dell’alterazione dei resti faunistici che è possibile ricostruire la loro storia tafonomica e spiegare perché e come si è formato l’insieme faunistico rinvenuto.
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Figura 3.2_1: Schema degli eventi e dei processi post-deposizionali.
Müller (1951) divise la tafonomia in due ambiti:
Biostratinomia: il termine fu coniato da Weigelt negli anni Venti; essa è lo studio delle trasformazioni dei resti organici dopo la morte dell’animale ma prima del loro seppellimento finale;
Studi diagenetici: essi sono relativi alle trasformazioni che avvengono tra il seppellimento e il ritrovamento.
Durante la fase dalla morte alla scoperta si avvicendano numerosi cambiamenti, che includono anche la perdita degli elementi scheletrici più fragili, e alcuni di questi cambiamenti hanno luogo quando il materiale viene depositato (biostratinomici) ed altri dopo la deposizione e il seppellimento (diagenetici) (Reitz e Wing 1999).
La biostratinomia è l’ambito più importante per quanto concerne il rapporto tra animali ed i gruppi umani, poiché i comportamenti umani (quale ad esempio la macellazione) sono generalmente biostratinomici (Lyman 1994).
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3.2.2-OSSERVAZIONI MACROSCOPICHE E MICROSCOPICHE
Una volta suddiviso il materiale presso l’Università di Ferrara, al Dipartimento di Biologia ed Evoluzione e più precisamente al L.A.T. (Laboratorio di Archeozoologia e Tafonomia) è stata effettuata una più accurata pulizia per mezzo di acqua tiepida e pennellino, grazie alla quale sono affiorate le caratteristiche sottostanti dei reperti ossei, in alcuni casi coperti da un sottile opaco velo di terra residua (quelli lavati in loco) o da strati più consistenti (quelli lavati in un secondo momento). In seguito a questa operazione, che ha richiesto tempo e minuzia date le ridotte dimensioni e le fragili condizioni di alcuni reperti, questi sono stati divisi e accorpati in minimo due minigrip differenti per ogni sottoriquadro da 33 x 33 cm, con la dicitura temporanea “combuste” e “non combuste”, stabilita in base ad una prima veloce valutazione visiva, in attesa di una più attenta analisi. In questo passaggio si sono eseguite le stesse operazioni anche i per reperti di grotta di Fumane provenienti dal Museo Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” e dall’Università di Torino dipartimento di Anatomia, Farmacologia e Medicina Legale, dov’era depositato parte del materiale riferibile a più datate campagne di scavo, di cui poi si dirà in dettaglio.
Si è proceduto con la suddivisione (sulla falsa riga della precedente) di tutti i reperti per note tafonomiche (ove possibile distinguerle a occhio nudo o con lenti d’ingrandimento 10x, 20x, 40x) di origine naturale (manganese, weathering, radici ecc.), antropiche (combuste, calcinate, tracce di macellazione, strumenti) e animali (tracce di carnivori e rosicchiature ecc). Allo stesso tempo, dove l’evidenza era consistente e dove le dimensioni e la conservazione lo hanno permesso, si sono identificati anche elemento anatomico e specie. Nel contempo si effettuavano i conteggi dei pezzi che sono stati suddivisi per dimensioni (in cm da 0 a 1; da 1 a 2;da 2 a 3; da 3 a 4; da 4 a 5; e > di 5), accorpando quelli di una stessa dimensione e elemento anatomico, solo nel caso in cui fossero indeterminati e/o presentassero le stesse indicazioni tafonomiche di origine naturale o più di una di esse.
Per tutti i reperti superiori ai 3 cm di lunghezza (con qualsiasi orientamento), e/o di rilevante interesse ai fini dello studio (tafonomico, tracce antropiche, determinati, e/o determinabili da un punto di vista anatomico e/o paleontologico), si sono misurate anche larghezza (LA 0-1 cm; LA 1-2 cm; LA 2-3 cm; LA 3-4 cm; LA 4-5 cm; LA >5 cm) e spessore (S 0-1 cm; S 1-2 cm; S 2-3 cm; S 3-4 cm; S 4-5 cm; S >5 cm). Tutti i reperti ad esclusione dei rilevati che presentano il loro numero proprio da scavo e gli indeterminati, sono stati marcati con al vertice dei dati standard, il numero di studio progressivo per ogni US e/o complesso culturale,
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accompagnato da una sigla: rifacente al sito, ad es. Rio Secco: RS 1, RS2 ecc.; ad una lettera di riferimento, ad es. Fumane: R1, R2 ecc., per le US uluzziane, D1, D2 ecc., per le US Levallois, N1, N2 per le US discoidi; all’US di riferimento ad es. Col della Stria: 4t. I – 1, 4t. I – 2, ecc. Ognuno di questi è conservato in bustine di plastica (Minigrip).
Una volta effettuata la prima analisi, fin qui descritta, ed immagazzinati tutti i possibili dati da elaborare nel database, si sono presi in particolare considerazione i reperti a cui, per le caratteristiche rilevanti, era stata assegnata la numerazione progressiva di studio già citata, pur mantenendo una prima distinzione di US sia nelle diciture che fisica.
Per una prima determinazione dei frammenti ossei o degli elementi anatomici si è utilizzata la buona collezione di confronto a fauna alpina e archeologica allestita e diretta da me e il Dott. Fabio Gurioli dell’equipe di ricerca del Dott. Marco Peresani e del L.A.T. (Laboratorio di Archeozoologia e Tafonomia) diretto dalla Dottoressa Ursula Thun-Hohenstein. Fondamentale risulta inoltre l’appoggio nella stessa struttura universitaria alla dotata collezione di confronto a fauna africana ed europea diretta e gestita dal Prof. Benedetto Sala, grazie al quale si sono risolti e determinati molti casi di difficile lettura.
Una minuziosa e attenta revisione di parte del materiale è resa possibile grazie alla cortese e disponibile attenzione del tutore esterno a questa tesi, il Dottor Antonio Tagliacozzo, Direttore, Archeozoologo presso il laboratorio di Paleontologia e Archeozoologia del Museo Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” a Roma.
Insieme al Dottor Tagliacozzo e grazie all’ausilio di una delle più complete collezioni di confronto paleontologico d’Italia, si sono determinate specie animali e relativi elementi e porzioni anatomiche non correttamente interpretate nella prima analisi o non determinabili per mancanza di elementi di confronto a disposizione.
Con l’ausilio della suddetta collezione la Dott.ssa Monica Gala diretta dal Dott. Tagliacozzo si è occupata della determinazione dei resti avifaunistici dei livelli di transizione uluzziani e tardo musteriani.
Il materiale dopo questa organizzazione risultava consono ad uno studio tafonomico approfondito.
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3.2.3-OSSERVAZIONE IN MICROSCOPIA
Microscopia - Tracce di lavorazione e di usura sono poi individuabili sulla superficie dei resti faunistici, identificati come manufatti in materia dura animale, attraverso l’analisi al microscopio a scansione elettronica (SEM). L’analisi consente di ricostruire una serie di tappe tecnologiche e di riconoscere le modalità di utilizzo degli oggetti ottenuti.
Il taglio e la fratturazione sono solitamente impiegati durante la fase che corrisponde all’attività di recupero e riduzione del supporto anatomico, mentre il raggiungimento della forma definitiva del manufatto si ottiene tramite l’utilizzo della raschiatura e dell’abrasione. L’abrasione nel Paleolitico è documentata tramite l’uso di un supporto rigido in materiale coerente (es. selce ritoccata, arenaria e pomice) o mobile (es. sabbia su un supporto).
Le tracce di lavorazione corrispondenti alle varie fasi della catena operativa non sono sempre tutte riconoscibili, in quanto ogni azione successiva tende a cancellare quelle precedenti sovrapponendosi ad esse. Inoltre, nel caso dell’utilizzo di uno strumento, tramite il formarsi delle tracce di usura, provoca nelle parti attive o manipolate la perdita delle tracce di lavorazione, modificando la superficie del reperto.
Le tipiche modificazioni dei manufatti realizzati per fine ornamentale sono i fori di sospensione e genericamente le perforazioni, le ornamentazioni, coppelle e solchi circolari (Cilli et al,. 2000).
L’analisi delle tracce di usura consente di ricostruire le probabili modalità di utilizzo, la direzione del movimento d’uso e il probabile materiale sul quale il manufatto era stato utilizzato.
La presenza di aree parzialmente combuste lungo le estremità di alcuni manufatti può essere accidentale, come il recupero di supporti già combusti, ma anche intenzionale. Infatti l’esposizione ad una fonte di calore (a temperature comprese tra i 100° ed i 300° C) produce un aumento della microdurezza dell’osso, dunque, il fine probabilmente era aumentare la resistenza della parte attiva dello strumento (Cilli et al., 2000).
Data la delicatezza e la consueta difficoltà di lettura del periodo antropico-temporale in esame, nello studio del materiale non si è tralasciata alcuna classe dimensionale, anche in considerazione dell’elevato tasso di frammentazione che caratterizza i reperti di questi giacimenti.
Come detto le prime osservazioni sono state effettuate mediante l’utilizzo di lenti a piccolo ingrandimento (10-20-40x), alla luce naturale e artificiale nel caso in cui non fosse sufficiente la prima. In questa osservazione si sono estrapolate le prime informazioni sullo stato di
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conservazione della superficie ossea dei reperti discriminando la presenza di alterazioni visibili anche senza l’aiuto del microscopio.
Solo nei casi di difficile interpretazione le osservazioni sono proseguite in microscopia con l’utilizzo di uno stereo microscopio a scansione (Optech mod. LFZ ingrandimenti da 0,7 a 40x).
Analisi delle superfici ossee sono state effettuate utilizzando uno steromicroscopio Leica S6D Verde Ough con ingrandimenti da 0.75x a 70x, presso il Laboratorio di Archeozoologia e Tafonomia Università di Ferrara (L.A.T.).
Al fine di identificare e verificare la natura delle alterazioni sulle superfici ossee, distinguere le tracce umane da quelle animali di calpestio e abrasione, e moderne modifiche meccaniche prodotte da strumenti di scavo, i campioni ossei sono stati analizzati nella maggior parte dei casi direttamente senza l'utilizzo di repliche in resina.
Per la specificità del caso e discriminare correttamente le tracce antropiche riguardanti i resti avifaunistici della Grotta di Fumane l’analisi è stata condotta in collaborazione con le Dott.sse Ivana Fiore e Monica Gala del laboratorio di Paleontologia e Archeozoologia del Museo Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” (Roma). Per le relative acquisizioni fotografiche in steromicroscopia si è utilizzato il microscopio Leica del L.A.T. sopracitato e microscopio Nikon 1000 (15-35x) del laboratorio di Roma.
Per alcuni specifici casi, tracce tecnologiche e funzionali sono state analizzate dalla Dott.ssa Emanuela Cristiani PhD dell’Università di Cambridge, con stereoscopico Nikon SMZ-10 (ingrandimenti compresi tra 0,75 e 70x) e un microscopio metallografico Nikon Eclipse ME 600 (ingrandimento da 10x a 200x). L'osservazione a basso ingrandimento ha permesso di interpretare le modifiche tafonomiche, tecnologiche e le principali alterazioni macroscopiche causate della cinematica nell’uso degli strumenti. L'approccio ad alta potenza ha permesso di osservare le caratteristiche microscopiche legate alla natura del materiale lavorato, nonché le caratteristiche microscopiche delle modificazioni.
Per l'interpretazione delle tracce tafonomiche ci si riferisce alla letteratura scientifica disponibile. L'interpretazione della modifica tecnologica e funzionale è basata su due criteri definiti nella letteratura scientifica e su confronto sperimentale.
In passato per stessi livelli oggetto di questo studio relativamente ai reperti di fondamentale interesse per lo studio con tracce antropiche di macellazione o di lavorazione, sono state realizzate delle fotografie al microscopio a scansione elettronica (S.E.M.) sia presso il Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento, che al Laboratorio di Microscopia Elettronica del Dipartimento di Biologia ed Evoluzione dell’Università di Ferrara.
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Questo sistema permette la discriminazione nei casi di dubbia interpretazione delle tracce di origine antropica da quelle di origine animale oppure dalle tracce lasciate sulle superfici per abrasioni da calpestio o tracce recenti meccaniche lasciate dagli strumenti di scavo.
L’utilizzo di questo microscopio permette una maggiore profondità di campo, immagini più nitide e particolareggiate per l’eliminazione dei fenomeni di traslucidità presenti in altra maniera, un’elevata capacità di risoluzione e possibilità di avere buoni ingrandimenti di immagine.
3.2.4-LE MODIFICAZIONI DELLE SUPERFICI DEI RESTI FAUNISTICI
3.2.5-LE MATERIE DURE ANIMALI
Con questo termine si intendono tutte quelle parti anatomiche mineralizzate che fanno parte del corpo dei viventi e che si differenziano dai tessuti molli. In campo preistorico le materie dure animali corrispondono alle ossa dei vertebrati: ossa, denti (in cui fa parte anche l’avorio) e i palchi dei cervidi. Possiamo inoltre aggiungere il guscio delle uova di uccelli, le conchiglie e gli altri gusci degli invertebrati, incluso la madreperla. Le corna non si conservano; i cavicchi ossei dei bovidi ne sono una testimonianza indiretta (Poplin, 2004).
La tipologia e la morfologia delle tracce dovute trauni meccanici che si riscontrano sulle superfici delle materie dure dipende essenzialmente da fattori intrinseci della materia:
proprietà chimico-fisiche, meccaniche e morfometriche della superficie.
L’accessibilità/disponibilità e la facilità di disporre di animali e materie prime (selce, calcari, altre materie dure) per il trattamento delle carcasse condizionano fortemente la percentuale e la fattura di tracce rinvenute. Infine, alcuni resti in materia dura animale vengono utilizzati da “freschi” o “fossili” come strumenti (ritoccatori) e/o supporti che vengono preferiti ad altri e modificati e/o utilizzati come strumenti e/o utili “all’economia” del gruppo umano o ad esprimere un significato simbolico (3.2_2).
Introduzione allo scheletro: Lo scheletro è costituito da un tessuto connettivo mineralizzato e da legamenti, tendini e borse. Il tessuto mineralizzato per gran parte è rappresentato da osso, ma include anche la dentina, la cartilagine, e lo smalto. Gli osteoblasti sono cellule che producono l’osso, gli odontoblasti producono la dentina, i condroblasti producono la
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cartilagine e gli adamantoblasti producono lo smalto, spesso con caratteristiche variabili. Questi tipi specializzati di cellule derivano da scleroblasti meno differenziati che si formano a livello del mesenchima; fanno eccezione gli adamantoblasti, per i quali si può in genere riconoscere un’origine ectodermica diretta.
Figura: 3.2_2: Criteri di scelta/selezione/influenza per il rinvenimento in siti paleontologici preistorici delle materie dure animali soggette a modifiche meccanico/fisiche/antropiche (da Averbouh 2000, MODIFICATO).
Una fase preliminare nella formazione dei tessuti scheletrici riguarda la sintesi di collagene da parte di fibroblasti. Il protocollagene è una proteina che, una volta secreta nella sostanza fondamentale del connettivo, polimerizza e si organizza in fibrille di collagene identificabili al microscopio elettronico. L’aggregazione di più fibrille forma le fibre collagene, visibili al microscopio ottico, fasci di queste fibre (collagene), si intrecciano a dare una trama compatta che caratterizza il materiale extracellulare di un tessuto connettivo come quello presente nel derma, nei tendini e nei legamenti. È in questo tipo di matrice organica che i sali minerali vengono depositati per formare la cartilagine calcificata e il tessuto osseo.
L’osso: il tessuto osseo (Fig. 3.2_3), è costituito da cellule e da materiale extracellulare, o matrice, contenente fibre collagene fra le quali sono depositati cristalli di idrossiapatite.
Proprietà chimico/fisiche Proprietà meccaniche Proprietà di superficie Disponibilità/Accessibilità animali Facilità di lavorazione Proprietà simboliche
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Questi cristalli, composti da calcio, fosfato e ioni idrossilici [3Ca3(PO4)2·Ca(OH)2], vengono
depositati per azione degli osteoblasti. Una sostanza cementante, composta da acqua e mucopolisaccaridi, fissa i cristalli alla matrice collagenica. In gran parte dell’osso, gli osteoblasti restano intrappolati nella matrice trasformandosi in osteociti immersi in cavità (lacune) insieme a liquido interstiziale. Le lacune comunicano tra loro tramite una rete di canalicoli entro cui si estendono i processi citoplasmatici degli osteociti. Il liquido interstiziale che riempie le lacune e canalicoli contiene ioni calcio e ioni fosfato; questi ioni vengono continuamente depositati nella matrice collagenica o vengono da essa prelevati, in funzione della loro concentrazione nel sangue, sotto controllo ormonale.
Figura 3.2_3: Schema di osso metatarsale in sezione longitudinale (da KENT 1997).
L’osso compatto: l’osso compatto consiste di lamelle, con lacune e matrice collagenica mineralizzata disposta concentricamente attorno ai canali di Havers, come si vede nel corpo delle ossa lunghe. I canali haversiani contengono un’arteriola, una venula, un vaso linfatico, fibre nervose e portano gli osteoblasti responsabili dell’accrescimento dell’osso sul contorno del canale. Il canale e le lamelle che le circondano costituiscono un osteone o sistema haversiano. I vasi ematici sono responsabili della configurazione del sistema haversiano, il quale si dispone attorno anche alle loro ramificazioni. I vasi dei canali sono in continuità con quelli di eventuali cavità interne all’osso contenenti il midollo osseo. Nel corpo delle ossa lunghe i sistemi haversiani si dispongono secondo l’asse longitudinale, facendo assumere in tal modo all’osso un buon livello di resistenza. Gli spazi fra gli osteoni sono occupati da lamelle incomplete, o sistemi interstiziali, residui di precedenti generazioni di sistemi haversiani demoliti durante i processi di rimodellamento scheletrico. In aggiunta, sulla
Il periostio è una membrana connettivale
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superficie delle singole ossa, si depositano lamelle circonferenziali, senza canali, che costituiscono l’osso periostale (Fig. 3.2_3). Queste lamelle appiattite sono formate dagli osteoblasti disposti sulla superficie interna del periostio, membrana fibrosa compatta che avvolge le ossa, ad accezione delle superficie articolari. I sistemi haversiani sono caratteristici specialmente degli Amnioti; gran parte degli Anfibi, alcuni Rettili e alcuni piccoli Insettivori e Roditori ne sono privi.
L’osso spugnoso: l’osso spugnoso e l’osso compatto sono simili negli elementi essenziali, ma hanno un differente aspetto macroscopico. L’osso spugnoso consiste di trabecole ossee e