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4 Modello ad elementi finiti del campo di velocità

4.2 Metodologia utilizzata

Il codice agli elementi finiti utilizzato è SHELLS, che, nell’approssimazione “thin shell” permette di risolvere l’equazione dello stress e della conservazione della

massa con determinate reologie, densità e condizioni al contorno ottenendo, come risultati, velocità di lungo termine, quindi anelastiche, stress e loro direzione. Questi risultati possono essere confrontati con misurazioni dirette dello stress in situ e, dopo aver considerato la correzione elastica, con le velocità GPS.

L’approssimazione “thin shell” viene spesso definita come metodo in 2.5 dimensioni.

In effetti Shells è tridimensionale perchè la litosfera viene modellata con variazioni

laterali della sua base, della topografia, del flusso di calore, della profondità della Moho, e tramite l’inserimento delle faglie. Di contro il metodo considera esclusivamente l’integrale della resistenza sino alla base della litosfera annullando la componente verticale nell’equazione del momento. I risultati in termini di velocità e deformazione sono dunque in 2D.

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• Deformazione anelastica; • Fase costante;

• Proprietà termiche costanti e conduzione verticale del calore; • Stress litostatico verticale;

• Litosfera continentale a due strati.

Si è invece determinata la reologia crostale media e le geoterme specificatamente per questo lavoro. Per la reologia nel duttile, lo shear stress viene stimato dalla seguente formula:

exp creep s s B Cz Ae T σ = ⎛ + ⎞ ⎝ ⎠ &

dove

e

s è lo strain rate, T è la temperatura, z la profondità, A=2.11x106 Pa x s1/3 per

crosta e A=1.28x104 Pa x s1/3 per mantello, B=8625 K per la crosta e B=18028 K per il

mantello and C=0 per la crosta e C=0.017 per il mantello. Il limite alla plasticità ,

ovvero il valore di shear stress oltre il quale lo strain non aumenta, è stato posto a

500 MPa. Alcune quantità sono state considerate uniformi per crosta e mantello assumendo delle medie regionali. Le densità, a 275 K, sono pari a 2850 Kg/m3 per la

crosta e 3350 Kg/m3 per il mantello; i coefficienti di espansione termica sono pari a 0

e 3.5x10-5 K-1; la produzione di calore radioattivo e pari a 8x10-7/0 K-1. Si è assunto come conosciuta la struttura crostale (Nicolich, 2001; Marone et al., 2003) e

litosferica (Pontevivo e Panza, 2002).

Geoterme

Il flusso di calore superficiale in Italia è stato ampiamente discusso in letteratura. Purtroppo i contributi di processi ancora attivi (infiltrazione di acque meteoriche, sedimentazione, erosione e attività vulcanica) influenzano le temperature

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dei primi chilometri (e.g., Della Vedova, 2001) e impediscono di utilizzare

direttamente i dati sul flusso di calore superficiale per calcolare la componente conduttiva stazionaria del flusso di calore e quindi le geoterme medie di nostro interesse. Si è utilizzata la temperatura alla Moho (Tmoho) ottenuta da diversi approcci in diverse aree. Convertendo tale dato in gradiente geotermico verticale, si è stimata la temperatura alla Moho anche per zone affini dal punto di vista geologico e geofisico. Conosciuta Tmoho , il flusso di calore superficiale si stima assumendo una conduzione stazionaria verticale. L’area mediterranea è stato “regionalizzata” e sono stati utilizzati i dati provenienti da lavori di diversi autori; per la zona alpina si è fatto riferimento a [Vorsteen et al., 2003]; per l’Appennino settentrionale, Tirreno

settentrionale e placca Adria si è fatto riferimento a [Pasquale et al., 1997]; per il

Tirreno meridionale e Appennino meridionale [Zito et al., 2003]; infine per l’area

ionica si è fatto riferimento a [Stein, 2003].

Per superare i limiti dei profili reologici e le approssimazioni suddette legate ai parametri si è seguito anche un secondo approccio e vincolato la profondità della transizione fragile duttile alla profondità massima degli eventi sismici crostali e alla profondità massima delle faglie sismogenetiche del DISS. Questo vincolo ha ridotto l’incertezza sulle quantità derivate (strain,stress, ecc.).

Condizioni al contorno

Abbiamo considerato tutte o quasi le possibili condizioni al contorno potenzialmente attive nell’area di studio disponibili in letteratura provenienti da modelli, da dati geologici, geodetici o geofisici. Le condizioni al contorno sono riportate sinteticamente in tab. 4.1.1. Abbiamo testato tutte le combinazioni possibili per ogni step. Ciascuna combinazione di condizione al contorno è stata combinata

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Attrito efficace delle faglie

Abbiamo studiato come il misfit tra i dati e i risultati teorici dipenda dall’attrito medio di lungo termine sulle faglie, con attrito variabile da 0.05 a 0.7. I risultati sono stabili nell’intervallo 0.25-0.40 e questi due valori di attrito producono di fatto il minor misfit con i dati e quindi influenzano il calcolo dello slip-rate. Per

“attrito” intendiamo attrito “efficace uniforme medio di lungo termine”. Efficace perchè contiene tutti i termini che influenzano il movimento sulla faglia (Coulomb, fluidi, etc.); uniforme perchè valore unico in tutto il modello; di lungo termine perchè non differenzia la fase di faglia full locked o quasi locked (intersismico, presismico), dalla fase di scorrimento sismico, o parzialmente locked (cosismico, postsismico).

Scelta dei migliori modelli

In generale, il miglior modello è quello che minimizza simultaneamente le differenze fra i diversi dataset utilizzati. Purtroppo, nessun modello riesce a soddisfare questa condizione, perché spesso la ricerca del miglior modello considerando un solo dataset comporta un peggioramento per qualche altro dataset. È ovvio quindi che la scelta dei migliori modelli abbiano con se una parte di arbitrarietà. Abbiamo quindi applicato il metodo spiegato in Barba et al. [2008],

consistente nella standardizzazione per ciascun residuo e nella definizione dell’Is dalla somma dei residui standardizzati. L’unico modo per ridurrre al massimo la possibilità di una decisione arbitraria è, infatti, quella di combinare tutti i residui in un unico indice sintetico (Is), ottenuto pesando ciascun residuo rispetto a tutti gli altri sulla base di incertezze conosciute. Il primo passo proposto nel lavoro da Barba et al.

[2008] è quindi quello della standardizzazione: (i imin) s i dev i e e I e − =

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dove gli ei sono i differenti residui dello i-esimo modello, eimin sono i minimi

residui raggiunti all’interno di tutti I modelli ed eidev sono le deviazioni standard di

tutti i misfit che siano al di sotto di un certo valore di cut-off. Questa procedura ci permette di definire valori di cut-off definiti come i valori sotto i quali i modelli possono considerarsi accettabili. I valori di cutoff utilizzati sono stati σtemp=1.8 mm/a, σperm=2 mm/a, σloc=2 mm/a, ΔθR=33° e %bad=20%, la formula risultante per ciascun

modello è stata:

(

)

( )

(

( )

)

(( )) ( ( ) )

(

( )

)

, 1.64 mm/a , 1.09 mm/a 23 % 9.63% , 1.60 mm/a

0.013mm/a 0.071mm/a 1.511 3.742% 0.023mm/a

temp perm perm

u v u v bad u v

S

I = σ − + σ − + Δ − °ϑ + − + σ −

°

Per quei 50 modelli che hanno mostrato Is più basso, sono state considerate le

medie. La scelta dei migliori 50 modelli è fatta per ridurne l’impatto sia della condizioni al contorno che dei parametri fisici utilizzati nei modelli.

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