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non rendono

onore alla potenza

organizzativa di

ASO e al mito

persistente della

Dakar. Vai a sapere

il perché di un tale

comportamento…

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Organisation.

Tutto perfetto? No. Ci sono alcuni aspetti che sono indegni dello spessore dell’evento. Fran-camente non se ne capisce il motivo e non ne vedo uno solo accettabile. Ci sono argomen-ti per i quali ASO si chiude a riccio (o come un armadillo) facendo finta di niente o prendendo tutti per deficienti. Per esempio, l’esplosione della macchina di Philippe Boutron. Per esem-pio, il camion della Liparoti andato in fumo. Per esempio, la trattazione post gara della materia CoViD-19. Per esempio, il “trattamento geogra-fico” riservato agli assistenti (e ai giornalisti).

Vere o figurate, sono tutte bombe, missili al cuo-re della corazzata. Domande che ci poniamo nel rapporto organizzatore-partecipante-cliente che non hanno risposta. Vediamole.

Bomba. Esplosione. È una bomba oppure no?

Che notizie si hanno di Philipe Boutron? I fatti. Il 30 la macchina di assistenza del Team Sodicars salta in aria davanti a un hotel. Comunicato uf-ficiale. Incidente, driver ferito, hotel Donatello, implementazione di misure di sicurezza. Un in-ciso. Quando succede qualcosa di grave consi-dero un dovere aspettare a diffondere una noti-zia che possa colpire i familiari a casa. Quindi mi metto educatamente in coda alle comunicazio-ni ufficiali degli orgacomunicazio-nizzatori, supponendo che questi si adoperino per dare un ordine corretto alle operazioni, compresa quella… di infor-marmi. Due giorni dopo ecco l’aggiornamento.

Modesto. In 6 sulla macchina, nessuna causa esclusa, compreso l’atto criminale,

investiga-zione avviata da parte delle autorità, dispositivo di sicurezza rinforzato. Basta. E non se ne saprà più nulla. È sufficiente tuttavia chiedere al Team e la risposta arriva sicura: è una bomba! Posso saperlo con sicurezza perché ho un buon con-tatto con il Team. Ma aspetto. Notizia e preoccu-pazione crescono al bivacco, trovando terreno fertile nella mancanza di informazioni. Le chiac-chiere gonfiano.

Dalla moschea silenzio assoluto, altoparlanti spenti. A distanza di un mese nulla di nuovo.

Tutto tace. Si sa che il Ministero degli Affari Este-ri francese si è attivato immediatamente, che aveva chiesto trasparenza e inviato i suoi inve-stigatori. Si chiedeva, e lo chiedeva agli organiz-zatori, se non era il caso di rinunciare all’evento.

In ogni caso di rinforzare la sorveglianza e la protezione, cosa che ASO ha fatto decidendo di andare avanti. Il risultato è stato quello di corre-re in una specie di corridoio di sorveglianza mi-litare e probabilmente, dico io, è la ragione vera dell’annullamento della Tappa Marathon. Noti-zie zero. Non si capisce se gli investigatori fran-cesi riescono a fare il loro lavoro, se i sauditi col-laborano oppure fanno ostruzionismo. Di fatto non si sa ancora ufficialmente se si è trattato di una bomba o di un petardo. Intanto Philippe Boutron, lo sfortunato pilota ferito, combatte una quotidianità di operazioni successive per ridurre le ferite delle proprie gambe dilaniate dall’esplosione. La buona notizia, che vi diamo noi, è che il calvario non è finito, ma le gambe sono salve e, si spera presto e bene, il

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te del US Orleans potrà tornare a camminare. A latere, il camion di assistenza di Camelia Lipa-roti brucia a Capodanno, il giorno del prologo.

Anche in questo caso dopo un’esplosione. Il serbatoio è ritrovato diecine di metri più in là.

Mai sentito dire che un diesel esploda. Walter Fortichiari, l’assistente, ha sentito la botta, ha guardato nello specchietto e visto le fiamme.

Ha recuperato in fretta zainetto e passaporto ed è saltato giù. È stato interrogato più volte, il relitto è stato preso in carico dalle autorità sau-dite. Anche per questo strano caso non c’è una versione ufficiale esauriente. Altro “incidente”?

Bomba CoViD-19. Faccenda delicata. Direi cri-tica. Certo, bisognerebbe parlarne dati alla mano. Ma dati non ce ne sono. Lo scorso anno ASO impose un piano “bolla”, schema molto te-orico e poco pratico, soprattutto per un evento itinerante e di fatto sufficientemente “aperto”

da mettere alla prova qualsiasi tipo di blindatu-ra. Poco male, l’intenzione era buona e l’appli-cazione rigorosa, e si può dire che il piano dette buoni risultati. Quest’anno ASO ha applicato un dispositivo concettualmente diverso, diremmo più “internazionale”, ovvero semplicemente al-lineato alle diverse direttive dei Paesi coinvolti, direttamente e non. Giusto, così come è giusto ricordare quelli che hanno dovuto rinunciare al viaggio a pochi giorni dalla partenza, o quelli che sono rimasti in sospeso fino all’immediata vigilia, vedi De Villiers o il nostro Petrucci. Bene sapere, anche, che tutti hanno fatto un moleco-lare alla partenza dal Paese d’origine, in taluni

casi carissimo, uno all’arrivo, e un altro alla ri-partenza. Io e Mr. Franco, tornati via Dubai, ne abbiamo fatti altri due. Ogni tanto radio-bivac-co riferiva di qualche “desaparecido”, per lo più personale dei Team, e alla partenza dall’Arabia Saudita era sensazione abbastanza diffusa che il tampone non fosse né molecolare né antige-nico, bensì un rapidissimo, fulmineo LDS, Le-vati-Dalle-Scatole. In ogni caso, nessun dato o report.

ASO non ha fornito i risultati e il bilancio dell’o-perazione. Nessun numero per quanto provvi-sorio o indicativo. Che sarebbe giusto per sa-pere e per il futuro. C’è una vasta letteratura del prima e durante, nessun articolo, comunicato e dossier dopo. Quindi è lecito porsi delle doman-de e ricavare doman-delle risposte dalle indicazioni su cui si inciampa. L’elemento dirompente arriva, così, casualmente. Inizialmente senza signifi-cato, poi, man mano... Tutti quelli che sento al rientro dall’Arabia Saudita hanno o hanno avuto il CoViD. Più persone sento e più il caso si allarga a macchia d’olio. Quasi tutti danno delle informazioni che consentono di estende-re lo “scestende-reening”. Dai Piloti ai Team, ai colleghi e agli avversari, dagli assistenti agli operatori, ai logistici. Tutti insieme creano una raccolta di te-stimonianze, e a questo punto, sempre in man-canza di dati ufficiali, un “sentito dire” impor-tante. Risultato? Pienone! Equipaggi, squadre, interi aerei contagiati. Chi non sa è perché non ha fatto il tampone (perché non richiesto per il rientro) o perché appena a casa è andato a farsi

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l’ennesima vaccinazione.

La domanda è: non dire, non far sapere, igno-rare, minimizza il problema? Oppure il CoViD non è più un problema serio? Non si direbbe, i numeri ufficiali non dicono ancora che lo si può considerare un raffreddore. Però sappiamo con precisione quante televisioni, quante ore di tra-smissione, quanti telespettatori ha avuto la Da-kar. Bomba 3. La tratta degli schiavi. Il percorso è segreto. Per tutti, ed è logico che sia così, è nel-la natura del Rally-Raid. Del tutto normale per i Concorrenti, quindi, ma non necessariamente per gli Assistenti. E, se permettete, ancor meno per i giornalisti al seguito. Si parte la mattina, meglio di notte, si segue obbligatoriamente il roadbook con il Tripy, si arriva al punto di desti-nazione. Qualsiasi divagazione è vietata. I gior-nalisti hanno un’opzione di riguardo in più, uno, raramente due “watching point”, waypoint sve-lati la mattina stessa, strada facendo, che può essere anche una partenza di Speciale già…

partita! Assistenti e giornalisti sul percorso di as-sistenza vedono solo grandi strade, distributori di carburante, grandi bivacchi. Uno “standard”

avvilente. Contrariamente a quello che facem-mo in sud America, impossibile raccontare il Pa-ese. Assolutamente niente delle meraviglie che ASO mette in vetrina e racconta attraverso il suo imponente dispositivo mediatico. È come anda-re in crociera… in sottomarino. Per quanto mi riguarda, e Mr. Franco è perfettamente d’accor-do, è poco dignitoso e tanto vale starsene a casa o seguire la Dakar dalle… Maldive. Costa meno e si sta anche meglio. A domanda specifica,

rispondono che il problema è nei “bari”. Gran parte dei “giornalisti” accreditati, infatti, sareb-be più meccanico, tecnico o potenziale sicario di un team. Quindi per non correre il rischio di

“assistenza selvaggia” tutti in punizione. Nessu-no ha accesso alla bellezza della Gara e del Pae-se che si sta visitando, nessuno può “scoprirlo”

come promettono gli strilli della Dakar.

Morale, ecco un problema di ASO che viene ri-solto facendo pagare ad assistenti e giornalisti un prezzo molto elevato. Ovvero, assistenti e giornalisti sono considerati a priori in malafede.

Il problema è risolto, forse, ma certamente con inesistente rispetto per l’onestà e la dignità delle persone, o semplicemente senza alcun rispetto per l’essere umano. Schiavi a pagamento. Nota.

Ultimo trasferimento. 240 chilometri per l’arrivo dell’ultima Speciale, prima moto prevista alle 09:19, altri 300 per raggiungere Jeddah e il po-dio d’arrivo. Al chilometro 234 Quentin Lavalée, vent’anni, capo meccanico del Team PH Sport per la Peugeot 205 iscritta alla Dakar Classic, si schianta con la propria auto di assistenza con-tro un camion e perde la vita.

A onor del vero. Questo genere di problemi, o di scarsa comunicazione di fatti rilevanti, è cosa vecchia. Cosa deve fare ASO? Intanto risponde-re. Poi comunicare anche quando il soggetto non è facile. Oppure dar retta al suo Sport Co-ordinator della Dakar, Edo Mossi, che in Italia ha cambiato le carte al tavolo dei rapporti tra ASO e i “clienti”. Da noi le cose vanno molto meglio, e la crescita di partecipazione può essere vista anche in questo senso.

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