SANDRA DEBENEDETTI STOW
LA MISTICA EBRAICA COME CHIAVE PER L’APERTURA
DEL LIVELLO ANAGOGICO DEL TESTO DANTESCO
La mia lettura della Commedia dantesca parte dal presupposto che il poeta intenda il suo testo come testo profetico e come tale, quindi, esso viene impostato secondo le regole del testo sacro. A riprova di ciò si può notare come, proprio come avviene tra gli interpreti delle sacre scritture, Dante sottolinei il valore polisemico della propria opera e, agli inizi del secondo trattato del Convivio e nella Lettera a Cangrande – dove vengono spiegate le modalità di lettura della Commedia a quello che è considerato dai più il dedicatario del Paradiso – egli presenti un sistema ermeneutico in quattro gradi, che comprendono, come è noto, il senso letterale, quello morale, quello allegorico ed infine quello ana-‐‑ gogico. Possiamo ricordare anche che il sistema quadripartito è bene attestato nell’ermeneutica biblica in uso presso la scolastica, seppur meno diffuso di quello tripartito. Uno per tutti, cito l’esempio di Honorius Augustodunensis, che nel proprio Commentario al Cantico dei Cantici così li definisce:
Sacra scriptura quattuor modis intelligitur, scilicet historice, al-‐‑ legorice, tropologice, anagogice [...] Historia, cum res sicut gesta est narratur. Allegorice, cum de Christo et Ecclesia res exponi-‐‑ tur. Tropologia ad animam et spiritum refertur. Anagoge cum de superna vita intelligitur.
(PL 172, col. 359B)
Per agevolare la mia tesi, volta a provare la validità dell’uso delle teorie della mistica ebraica come chiave per l’apertura del livello anagogico del testo dantesco, vorrei iniziare con una serie di conside-‐‑ razioni.
L’impianto del testo dantesco è, a mio avviso, basato su una perce-‐‑ zione del ruolo del ”segno” analoga a quella che riscontreremo nella mistica ebraica dove la parola, scritta o pronunciata, ricopre un ruolo essenziale grazie al suo potere di creare nuove realtà. Per mezzo di
parole-‐‑chiave, destinate a farsi “segnale” dell’esistenza di un messag-‐‑ gio nascosto nelle pieghe più riposte del testo, il poeta invita i pochi in grado di afferrarlo, ad aprire il senso anagogico e raccogliere questo messaggio. La critica dantesca si è fino ad oggi largamente astenuta da un esame approfondito del senso anagogico, l’unico in grado di chiarire molti di quelli che sono stati definiti “loci” difficili del testo. Questi, che non hanno finora trovato una loro soluzione soddisfacente – e su alcuni di essi ci soffermeremo tra breve – possono trovare una loro logica spiegazione alla luce delle teorie della qabbalah ebraica che, diffusasi dalla Spagna attorno alla seconda metà del XIII secolo, usa per l’interpretazione del testo sacro lo stesso sistema ermeneutico quadripartito usato da Dante, definito dall’acronimo PaRDeS. Lo sfor-‐‑ zo dantesco – e quello delle sue fonti scolastiche – è analogo a quello degli interpreti della Bibbia e dei mistici ebrei, che cercavano di sfrut-‐‑ tare la piattaforma filosofica neoplatonica e neo-‐‑aristotelica per asser-‐‑ virla alle necessità della fede.
L’atteggiamento dantesco nei riguardi della realtà terrena è quello che a mio avviso rende la mistica ebraica uno strumento ermeneutico da preferire a quello costituito dalla mistica cristiana. Per il poeta, come per il credente ebreo, il vero scopo dell’interpretazione dei testi sacri è quello di chiarire le regole necessarie ad un ordinato vivere civile e di investigare i rapporti e le connessioni fra l’uomo terreno ed il mondo metafisico. Per l’interprete e soprattutto per il mistico cristiano, una giusta ermeneutica del testo sacro sarà invece quella che permetterà la retta osservanza delle regole al fine di guada-‐‑ gnare al fedele il mondo a venire. Per il misticismo cristiano, inoltre, l’aspirazione al Regno dei Cieli necessita del distacco assoluto da ogni cura terrena e si esprime nell’ideale monastico del contemptus mundi.
Quel che interessa a Dante più di ogni altra cosa è invece l’equi-‐‑ librato progresso di un qui e ora che possa rivelarsi degno riflesso dell’ordine che regna nel mondo metafisico. Proprio per questo egli intende il termine ”amore” in termini mistico-‐‑filosofici ed identifican-‐‑ dosi come ”poeta d’amore” egli si riferisce a quel compito, affidatogli dalla Divina Provvidenza, affinché ponga rimedio, con il suo canto, al fallimento dei “due soli” l’autorità politica e quella spirituale, ed indichi la via per una rigenerazione morale della società.
Se al livello letterale del testo la narrativa si occupa della descri-‐‑ zione del viaggio provvidenziale del poeta nei tre Regni del mondo ultraterreno, al livello più profondo del testo ciò che il mistico descrive è un viaggio all’interno della propria coscienza, esperienza resa possibile dall’unione del proprio intelletto individuale, rappre-‐‑
sentato dal poeta latino Virgilio, con l’Intelletto Agente, rappresentato invece da Beatrice. Riuscendo ad attuare questa unione con l’Intelletto Agente, scintilla divina presente in potenza nell’anima umana, il mistico è posto in grado di ottenere la visione dei segreti metafisici. Questo percorso di auto-‐‑conoscenza intellettuale richiede non solo l’impegno delle facoltà intellettuali del mistico, ma anche il coinvol-‐‑ gimento profondo della volontà individuale, grazie alle quali l’uomo terreno potrà accedere al segreto della conoscenza del mondo metafi-‐‑ sico ed avanzare verso la Grazia, che consiste sia nel raggiungimento dell’armonia tra le esigenze del corpo e quelle dell’anima, tra le esi-‐‑ genze della fede e quelle della conoscenza sapienziale, sia nel miglio-‐‑ ramento politico e materiale dell’intera società.
Al fine di verificare queste mie proposte teoretiche e provare l’im-‐‑ portanza dell’uso delle teorie della mistica ebraica come chiave erme-‐‑ neutica per l’apertura del testo dantesco, mi limiterò qui a dare alcuni esempi della mia lettura, iniziando, naturalmente, dall’esame della strategia del testo riguardo al ruolo giocato al livello anagogico dalle due figure-‐‑guida, Virgilio e Beatrice.
E poiché la Commedia riassume in sé tutte le esperienze precedenti del poeta-‐‑profeta, questo esame non potrà che iniziare da brevissime considerazioni concernenti Vita Nuova e Convivio, essenziali a ritrovare il bandolo di quel filo rosso che lega a sé tutta la produzione dante-‐‑ sca1.
Nella Vita Nuova, Beatrice viene presentata sia come oggetto dell’a-‐‑ more terreno del poeta che come creatura celeste, quell’angelo che, in virtù del proprio nome, ha in sé il potenziale di ”beare” colui da cui è amata. Questo doppio ruolo della figura femminile, celeste e terrestre, lo ritroviamo nello Zohar, uno dei testi più influenti della qabbalah ebraica, dove l’impeto mistico viene descritto in termini di desiderio di unione con l’espressione femminile della divinità, la Šekina, la Pre-‐‑ senza divina. Essa è considerata come l’aspetto immanente della divinità, a contatto con il mondo inferiore e, proprio per questa sua speciale posizione, essa costituisce il tramite di contatto con il mondo superiore. La possibilità di realizzare questa unione è riposta nella capacità del mistico di abbandonarsi alla forza dell’immaginazione. Similmente, nella Vita Nuova, che secondo la mia lettura costituisce un resoconto dell’esperienza mistica tentata dal giovane poeta, la concen-‐‑ trazione nelle profondità dell’io produce l’apparire della ”forma”, proiezione dell’interiorità del mistico, che ha in sé la potenzialità di mediare tra la conoscenza umana e quella celeste. Come accade nel
1 Per una lettura in chiave cabalistica di queste due opere vd. SANDRA DEBE-‐‑ NEDETTI STOW, Dante e la mistica ebraica, Firenze, Giuntina 2004, pp. 149-‐‑231.
caso della Šekina, anche qui la stabilità dell’adesione dipende dalla preparazione e dall’equilibrio morale del mistico. Dante, la cui anima non è per il momento adeguatamente rafforzata, non è in grado di sostenere un prolungato contatto con la ”forma” prodotta dalla pro-‐‑ pria immaginazione. Soltanto dopo che avrà rafforzato il proprio intelletto, con l’aiuto delle Artes e sotto il patronato della Donna Gen-‐‑ tile, la Filosofia – stadio descritto dal poeta nel Convivio – egli sarà in grado di sopportare il peso di questa unione e potrà quindi per suo mezzo esporsi alla rivelazione dei segreti del mondo metafisico.
Lo sviluppo spirituale descritto nelle due opere costituisce l’ossa-‐‑ tura sulla quale poggia, al livello anagogico, il messaggio portato dai canti di apertura della Commedia, notissimi a tutti, ma che passeremo ora ad un attento riesame, al fine di identificare quei ”segni” di cui parlavo e che si fanno spia dell’esistenza di questo messaggio.
Come è noto, l’inizio del poema trova il poeta disperso all’interno della «selva oscura», che rappresenta la hyle, il mondo della bassa ma-‐‑ teria in cui affonda l’individuo il cui intelletto è paralizzato dal sonno della coscienza. Ripresosi da questo stato, il poeta trova la via e si in-‐‑ cammina verso il colle illuminato da dietro dai raggi del sole, una luce che la mitologia classica identifica con Apollo, la filosofia platonica con il Nous, l’intelletto individuale, e il cristianesimo con la Somma Sapienza, cioè quel Logos o Verbum che viene identificato con Gesù.
La via dantesca devia qui da quella degli amici di gioventù, i poeti del Dolce Stile. Per loro, raggiungere la cima di quel colle sfruttando appieno le facoltà dell’intelletto individuale rappresentava l’ideale supremo e l’acme di ogni sforzo mistico. Per Dante la visione del colle rappresenta invece soltanto l’acquisizione di una rafforzata coscienza interiore. Per lui alla Somma Sapienza non si può giungere soltanto a mezzo dell’intelletto individuale. Per questo il poeta descrive il falli-‐‑ mento della tentata ascesa che si conclude con il pericolo di un nuovo slittamento in direzione della selva, il luogo «dove ’l sol tace» (Inf. I, 60) e il Verbum non ha la forza di ravvivare l’anima tramite la parola.
È a questo punto che Virgilio appare. Esaminiamo nei dettagli il modo in cui il poeta descrive la scena (Inf. I, 61-‐‑63):
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco
Il «mi si fu offerto» chiarisce subito che il personaggio compare spontaneamente, come una visione che si offre inaspettata alla vista di chi non prevedeva alcuna possibilità di soluzione del proprio proble-‐‑
ma. Questa figura è, al primo impatto, caratterizzata da due termini, «silenzio» e «fioco». Sul piano letterale i termini servono al poeta per presentare Virgilio come personaggio che appartiene ad un milieu cul-‐‑ turale passato da tempo, mentre al livello anagogico questi stessi termini, con l’aggiunta del lemma «occhi», si fanno indizio, al lettore preparato a raccoglierlo, di un discorso che riguarda la visione misti-‐‑ ca. Il viaggio mistico verso il mondo metafisico è possibile solo a chi è capace di aprire l’occhio interiore. L’intelletto individuale, che si im-‐‑ pegna in questo tentativo a distanza di tempo, cioè «dopo (il) lungo silenzio» che separa la Commedia dai primi tentativi di ricerca mistica, fatti all’altezza della Vita Nuova, è definito come una luce capace di illuminare debolmente. Virgilio, l’intelletto individuale che guiderà il poeta nel viaggio attraverso Inferno e Purgatorio, potrà essere d’aiuto per illuminare la comprensione razionale relativa a quelle sfere del mondo metafisico che il poeta situerà nella realtà materiale. Ma questa luce non sarà in grado di illuminare quelle verità connesse alla realtà del mondo più elevato, quello immateriale. Come nella qabbalah ebrai-‐‑ ca, l’apertura del flusso profetico e lo svelamento dell’ordinamento del mondo superno richiedono che al movimento dal basso verso l’alto corrisponda un parallelo movimento dall’alto verso il basso. Proprio per questo, all’inizio del suo viaggio il poeta deve svelare il ruolo giocato dalla divina Provvidenza e, nel secondo canto, Dante apprenderà perché il poeta latino si è affrettato a venire in suo aiuto. Virgilio, come sappiamo, non si è mosso di sua spontanea volontà, ma la sua azione è il risultato di una serie di mosse originatesi nell’alto dei cieli. Le parole rivelatrici di Virgilio a questo proposito sottolinea-‐‑ no due elementi essenziali per l’avvio del meccanismo mistico, il ”movimento” e ”l’udito” (Inf. II, 49-‐‑51):
Da questa tema acciò che tu ti solve, dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi nel primo punto che di te mi dolve.
L’intelletto individuale comincia dunque a ”muoversi” quando ”intende”, cioè quando l’animo umano si apre alla comprensione.
Il motore dell’azione, superiore a Virgilio, si rivela essere Beatrice, la donna «beata e bella» che, chiamandolo, lo incita ad accorrere. Il ruolo dell’Intelletto Agente, rappresentato da Beatrice, si rivela quello di risvegliare l’intelletto individuale. Per questo ora Beatrice incita Virgilio all’azione («Or movi», v. 67) e si presenta a lui con le parole «I’ son Beatrice che ti faccio andare» (v. 70), che sottolineano il fatto che è lei che imprime il movimento. Ruolo di imprescindibile
importanza per l’avvio del procedimento mistico. Se non che, imme-‐‑ diatamente dopo apprendiamo che Beatrice non costituisce che un anello, quello più prossimo alla realtà terrena, nella catena dell’inter-‐‑ vento celeste. Anche lei ha udito della situazione precaria del poeta («Non odi tu la pietà del suo pianto», v. 106), e si è mossa in suo aiuto («venni qua giù del mio beato scanno», v. 112). Dalle sue parole ap-‐‑ prendiamo che la fonte prima e più autorevole della preoccupazione per la sorte di Dante è Maria, madre premurosa che compiange le dif-‐‑ ficoltà di ogni creatura. Questa «Donna gentil», che siede nell’alto dei cieli, si è rivolta quindi ad una beata che nella gerarchia celeste le è sottoposta per rango. Si tratta, come è noto, di Santa Lucia, che non solo è patrona della vista degli occhi, ma il cui giorno festivo cade il 13 di Dicembre, la notte più lunga dell’anno, e il cui nome proviene dal latino lux, lucis, la luce, appunto.
Obbediente al richiamo, anche Lucia si è mossa («si mosse», v. 101) ed è lei che è venuta a richiedere l’intervento di Beatrice.
Il perché Dante scelga di rappresentare l’intervento della divina Provvidenza per mezzo di questa ”trinità” al femminile potrà esser compreso con l’aiuto della mistica ebraica. Notiamo subito che Beatri-‐‑ ce ricopre qui allo stesso tempo un doppio ruolo: ella appare infatti sia come oggetto d’amore da parte del poeta, definito come «quei che t’amò tanto», v. 104, sia come essenza celeste «loda di Dio vera», v.103. Questo appellativo allude al suo ruolo come Intelletto Agente, scintilla divina posta nei cuori umani e anello di congiunzione tra il mondo fisico e il mondo metafisico. Il suo ruolo è analogo a quello ricoperto dalla Šekina nella qabbalah ebraica, come appare ad esempio nell’opera Masechet ‘Asilut, in cui il versetto «S’ammanta di luce come d’una veste; distende i cieli come un padiglione» (Salmi, 104, 2) viene interpretato come riferimento alla Gloria di Dio, cioè alla Šekina, della cui luce il Signore si riveste e che costituisce un elemento attivo nella creazione2.
Il doppio ruolo di Beatrice come elemento terreno e allo stesso tem-‐‑ po metafisico si riflette nel simile ruolo giocato dalla Šekina nello Zohar, dove essa è al tempo stesso la ”sposa superiore”, indicata come «madre» e quella inferiore, indicata come «femmina»3. Grazie all’ap-‐‑ porto di questi elementi possiamo comprendere come Dante abbia inteso le tre componenti femminili della sua Trinità: Maria ricopre il
2 GIULIO BUSI, ELENA LOËWENTHAL, Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal XIII al XVIII secolo, Torino, Einaudi 1955, pp. 520-‐‑521.
3 Per la questione del rapporto tra la compagna terrestre dell'ʹuomo e la sua compagna celeste nello Zohar: FISCHEL LACHOWER, ISAIAH TISHBY, DAVID GOLDSTEIN, The Wisdom of the Zohar. An Anthology of Texts, Oxford, Oxford University Press 1989.
ruolo di ”madre superiore”, Lucia, simbolo della luce e della visione interiore, rappresenta la possibilità di aprirsi al processo mistico, e Beatrice, come oggetto d’amore e Intelletto Agente, costituisce la ”sposa terrena”, cioè la mediazione che permette lo stabilirsi del con-‐‑ tatto tra l’uomo e Dio.
Nel momento in cui, svelato l’intervento provvidenziale, si è chia-‐‑ rita l’esistenza del movimento dall’alto verso il basso, l’intelletto individuale dovrà mostrare la propria volontà e il proprio impegno. Per questo l’ultimo atto del canto, nella scena che segna l’effettivo ini-‐‑ zio del viaggio ultraterreno, vede Dante incitare Virgilio e compiere il primo passo fisico, quello che sanziona il suo impegno individuale al movimento (Inf. II, 139-‐‑142):
« […]
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue tu duca, tu segnore e tu maestro». Così li dissi; e poi che mosso fue,
intrai per lo cammino alto e silvestro.
Giunto alla sommità del Purgatorio, il poeta si ritrova all’ingresso di un’altra foresta, l’opposto, questa, della «selva» infernale, dove è situato il Paradiso terrestre. Qui, al culmine di una processione simbolica, avviene il primo incontro con la guida celeste, Beatrice (Purg. XXX). Le prime parole che Beatrice rivolge a Dante sono parole di aspro rimprovero. Il poeta viene accusato di aver deviato dalla retta via e dovrà ora riscattarsi dal proprio peccato. La natura esatta di questo peccato non è specificata nel testo ed è questo uno dei nodi più ostici con cui si è confrontata la critica. Ma se seguiamo i segnali che il poeta oculatamente semina nel gruppo di canti che trattano dell’in-‐‑ gresso del pellegrino nel Paradiso terrestre (canti XXVII-‐‑XXX) e li apriamo con l’aiuto della chiave cabalistica, potremo forse dare un senso al messaggio che Dante cela dietro alla descrizione di questo primo impatto problematico con Beatrice.
Entrando nel Paradiso terrestre, Virgilio, la guida che ha condotto il pellegrino attraverso i due regni della realtà materiale, si separa dal poeta. Le ultime parole che gli rivolge sottolineano di nuovo il ruo-‐‑ lo dell’intelletto individuale e ne stabiliscono i limiti (Purg. XXVII, 127-‐‑132):
e disse: «Il temporal foco e l’etterno veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte dov’io per me più oltre non discerno.
Tratto t’ho qui con ingegno e con arte; lo tuo piacere omai prendi per duce; fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.
I termini ”ingegno” e ”arte”, cioè intelletto e conoscenza, indivi-‐‑ duano gli strumenti attraverso i quali l’uomo può avanzare con i propri mezzi nella via verso la verità. Ma ora che Dante e Virgilio si appressano ad una dimensione nella quale l’intelletto individuale non è più in grado di giudicare con le proprie forze («più oltre non discer-‐‑ no»), il poeta necessita di un altro strumento che gli illumini la via. Questo strumento è definito come «piacere». Ma che cosa è il ”piace-‐‑ re” e perché esso è ritenuto in grado di illuminare la via? Nei testi medievali arabi ed ebraici il termine ”piacere” è inteso come l’intenso desiderio all’unione spirituale e fisica con l’oggetto amato. Ora, nella sua introduzione alla traduzione ebraica dell’opera dell’andaluso Ibn Hazam (994-‐‑1064), Il collare della colomba. Sull’amore e gli amanti, Ella Almagor fa notare il grande interesse da parte della società colta di Bagdad per la problematica dell’eros, così come essa è espressa nel Simposio di Platone. Almagor ricorda anche l’opera di Avicenna, La lettera sul desiderio, e spiega che i termini hesheq in ebraico e ’esheq in arabo indicano nella letteratura ebraica e araba medievale la forza di un amore che, inteso in senso platonico, è insieme attrazione fisica e spirituale4.
Questa stessa percezione la ritroviamo nella qabbalah dove, secondo Daniel Abrahams, non si trova uno sdoppiamento e una polarità con-‐‑ traria tra materia e forma, tra corpo e anima. Egli cita in proposito dall’opera dell’anonimo autore del XIII secolo, la Lettera sulla santità, dove si sostiene che «l’unione è una cosa santa» e che «un’unione ap-‐‑ propriata è chiamata conoscenza»5.
Alla luce di queste affermazioni, mi sembra di poter affermare che è a questo tipo di ”piacere” e di conoscenza che Virgilio affida ora il poeta. Solo attraverso l’unione con Beatrice, che è, ripeto, rappresen-‐‑ tazione sia dell’oggetto d’amore terreno che dell’Intelletto Agente, Dante potrà aprirsi alla conoscenza del mondo superiore. La chiave cabalistica ci permette di comprendere come le parole-‐‑chiave ”inge-‐‑