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L a moda, ovvero l'industria del vestire

Nel documento Cronache Economiche. N.334, Ottobre 1970 (pagine 54-61)

Piera Condulmer

Se ci poniamo d'un t r a t t o la domanda: che cos'è la m o d a ? non so quanti e chi sareb-bero in grado di rispondere in modo conciso ed esauriente.

La moda non è il costume ma fa parte di esso, ne è forse, direi, il lato più effimero ed esteriore, ma vario e dinamico. Alcuni dicono che ha la sua radice in una imitazione emulativa; altri precisa che può essere una ritmica alter-nanza d'imitazione e d'innovazione, senza che in alcuna intervenga il principio di utilità. F o r m a d'arte decorativa applicata al corpo umano, influenzata, come ogni manifestazione estetica dall'ambiente sociale, dal carattere, dal sentire di un popolo, e perciò può divenire forma di espressione politica o quanto meno nazionale. Oggi come oggi la moda è divenuta grande industria che impegna i settori più svariati dell'attività u m a n a ; è divenuta fattore econo-mico di primaria importanza anche a volerla circoscrivere al significato più strettamente legato all'abbigliamento della persona.

Se non si è mai voluto identificare la moda col costume, e giustamente, in quanto estrema-mente rapida nel m u t a m e n t o e in quanto con-templava nel suo raggio d'azione una minoranza d'individui che potevano economicamente sot-tostare ai suoi dettami volubili, ora le condi-zioni economiche e sociali sono tali, che consu-matrice di moda può considerarsi la totalità degli appartenenti alla cosiddetta civiltà dei consumi; per cui mi pare che ora si possa avvicinare di più al concetto di costume in senso lato, perché di esso è l'interprete e la manifestazione più esteriore, più evidente e più generale.

Io qui non ho assolutamente l'intenzione di fare il censore della moda di oggi per indurre al costume, in quanto è talmente palmare la correlazione, che non è mestieri di porla in evidenza; per cui spesso giudizio estetico e giudizio morale possono coincidere, se misurati sul metro dell'antica onestà. H . Taine dice che la moda si forma nell'atmosfera morale di un'epoca.

Ora desidero solo accennare alla moda come f a t t o economico, al quale t a n t i elementi concorrono oltre quello di base: il piacere di

piacere. La moda è una voce di bilancio, ma come voce ha in sé la disponibilità ad essere educata alla cantabilità e all'urlo: in questa diversificazione entra il costume con t u t t e le sue implicazioni d'ordine spirituale, morale, sociale, sociologico, religioso, politico.

Il canto a cui ora la si educa non è certo il bel canto dell'a solo, il raffinato canto da camera, e non è neppure largo e potente canto corale, ma è un canto di massa, diremmo un vociare.

Pronunciata questa orribile parola, entriamo in pieno nel concetto odierno di moda come f a t t o economico collettivo, come organizza-zione, se possibile integrale, a carattere nazio-nale e internazionazio-nale dell'industria del vestire (più o meno) gl'ignudi.

L'idea che un tempo si diceva originale, esclusiva, di cui sartoria e clientela erano gelosi per un personalismo del vestire, ora è captata 0 comprata da operatori economici e immedia-t a m e n immedia-t e immessa nella caimmedia-tena di monimmedia-taggio, da cui uscirà un abito, una scarpa, una borsa, una collana, un cappello, una camicia, un cap-potto, una parrucca, che domani compariranno addosso a milioni d'individui contemporanea-mente. Collettivismo, collettivismo. Per cui pur con la estrosissima fantasia dei creatori e dei disegnatori odierni, dei produttori d'idee che non hanno limiti, né freni, né inibizioni di nessun genere per dar corpo a nuove immagi-nazioni anche se allucinanti, non c'è più indi-vidualità, e il vestito o il pantalone, o la catena del carcerato al collo, diventano una divisa, perché s'incarica l'organizzazione pubblicitaria a far sentire necessario, come ragione di pre-stigio, il portare la stessa roba reclamizzata, t u t t i (cioè quelli che amano sentirsi schiavi). Come individuante poteva ancora rimanere fino a poco tempo fa, l'audacia e la sfronta-tezza dell'indossante; ora non più, anch'esse sono divenute usuale consumo, t a n t o che anche 1 termini di correttezza, pudore, ecc. sono scomparsi dall'uso (a conferma della sentenza che nomina sunt existentia rerum).

Può darsi che t u t t o ciò sia libertà, e libertà sia anche la indifferenziazione, nel rifiuto del limite come del certo, del definito: l'indumento

dell'unisex lo conferma creando quell'essere indefinibile di uomo-donna o donna-uomo, cre-dendo con ciò liberare entrambi dalla tirannia del vedersi apparire sempre come tali, forse presentendo una evoluzione o involuzione della specie umana verso organizzazioni viventi in-differenziate o ibride, ermafroditiche o parteno-genetiche.

Preso atto di t u t t o ciò, guardiamo in faccia a questa moda, come è concepita e organizzata oggi, dimenticandoci del passato, ed osservando cosa si è sostituito al vecchio, paziende, libero artigianato, che non imponeva nulla ma propo-neva tutto. Oggi abbiamo il grande laboratorio per le confezioni in serie e la boutique. E n t r a m b i sono soluzioni che rientrano nella dinamica dello sviluppo tecnico-industriale, nella evolu-zione socioeconomica della massa. E chi ha antivisto questo processo ha fatto da pioniere promozionale in questo campo.

Ed ecco che il discorso cade sull'Italia che perduto lo scettro del bel vestire tra il X V I I e il X V I I I secolo per cederlo alla Francia (che col Colbert lo ha assunto come strumento politico ed economico), già nel 1918 essa sente il bisogno, mentre ancora fumano le sue rovine di guerra, di rilanciarsi nell'agone dell'economia estetica. E nello stesso 1918 abbiamo il 1 Congresso nazionale delle industrie dell'abbigliamento per il rilancio di una moda italiana. La stampa francese si affrettò a giudicarlo una — vana utopia — ma talvolta anche le utopie possono essere profezie. S'indissero dei Comitati per la moda nelle varie città e la prima ad aderire fu Torino. Nel marzo del 1919 in Campidoglio ecco tenersi il Congresso dei diversi Comitati, da cui esce l'idea di costituire una Federazione dell'abbigliamento e un E n t e nazionale moda. Subito allora compare sulla scena Torino, la cui tradizione di buon gusto nel vestire, la sua capacità organizzativa e il suo ormai acqui-sito spirito industriale si sono assommati, per darle la possibilità di divenire centro focale di rilancio della moda italiana in una dimensione inconsueta. Stimolare le esigenze affinandole, rendere necessarie e consumistiche una infinità di voci limitate settorialmente o solo marginali, propagandando il marchio italiano come garan-zia di bellezza e buon gusto, sensibilizzando t u t t i all'estetica del vestiario come esigenza di elevazione sociale. Le case di confezione per abiti in serie, anche se limitati nella qualità e nelle taglie, non erano fatti nuovi per Torino, se già in una guida del 1870 del Bianchi, sono menzionate 50 case di abiti confezionati per uomo e 29 per donna.

Volendo stabilire dei paralleli, che non vorrei fossero male interpretati, potrei dire

che mentre Torino rendeva popolare l'idea nazionale realizzando qui il risorgimento ita-liano, realizzava un altro processo di democratiz-zazione, pur non rinunciando alle sue aristo-cratiche prerogative, ma coltivando la sensibi-lità estetica anche nel popolo, tanto da creare la gentile immagine della totina, della sartina da nulla, che riesce a dar grazia anche ad uno straccetto cucito da lei (1).

Perciò quando si stabili che sede dell'Elite moda doveva essere Torino, essa cercò di tra-sfondere questo suo gusto nel gusto italiano più generale, e presentarlo all'estero come tale. Si è preoccupata di allestire subito una Mostra della moda per determinare stimoli competi-tivi tra gli espositori di tutte le regioni, com-preso il Meridione, che viene cosi a poco a poco immesso nella circolazione generale d'Italia, in questo settore.

Pure in questa occasione la chiusa Torino acquista sensibilità nazionale, e non vuole che la moda che parte da Torino sia una moda re-gionale, bensì deve avere carattere nazionale. L ' E n t e moda deve essere come un grande ufficio di rappresentanza per t u t t e le aziende interes-sate, e assumersi un compito di estetica indu-striale. Per educare questo senso estetico sul piano tecnico deve coordinare i valori e gli sforzi connessi, istituendo scuole professionali di perfezionamento nel fìgurinaggio, accademie superiori di disegno applicato, un Museo arti-stico del costume come fonte di possibili ispi-razioni al modellista; provocare intese, scambi d'idee, incontri dei gruppi tessili manifatturieri con le case di confezione, e dei produttori di t u t t o ciò che abbia affinità con l'abbigliamento. Le lontane origini dell'attività tessile in Torino le consentivano molta competenza in materia, anche passando dalla produzione arti-gianale a quella industriale. Già nel '400 i documenti ci provano l'esistenza di corpora-zioni di fornitori per sarti e pellicciai; a metà del '400 s'introduce l'arte serica, e il Comune s'interessa del primo impianto di u n filatoio, che si moltiplicheranno a Venaria, a Racconigi, a Cirié, a Chieri, passando poi alla torcitura, indi alla filatura. Con Vittorio Amedeo I I giungiamo alla produzione e alla esportazione dei tessuti. L'industria della seta, nel ciclo completo della sua produzione, diventa la mag-giore sorgente di ricchezza pel Piemonte, con il maggiore assorbimento di manodopera. L' '800 piemontese presenta ancora 600.000 chilo-grammi di seta lavorata.

(1) Ne fa testo il brano di una lettera che ho trovata, di una non meglio identificata Marie Luise del 1789: « Oh vous la haut à Turili, vous jouissez de la protection dea Graces! le chic, voila tout ... ».

T o r i n o E s p o s i z i o n i - S a l o n e S a m i a .

I documenti circa la lavorazione dei pel-lami e delle pellicce di pregio risalgono al X I I I secolo, e i pellicciai erano r a d u n a t i nella via a loro intestata (ora via Quattro Marzo). L'industria laniera era diffusa in t u t t o il Piemonte più che concentrata a Torino, mentre il centro cotoniero era Chieri fin dal X I V se-colo.

La trasformazione industriale perciò a fine ottocento si a t t u ò qui come un processo evolu-tivo senza scosse, cosi come alla fine della prima guerra mondiale vi assunsero un posto

impor-t a n impor-t e le fibre arimpor-tificiali con la Snia-Viscosa a Torino-Stura e Venaria, e la Chàtillon nel-l'omonima località. Verso il 1930 il Consorzio Viscosa diede un grandissimo impulso alla Snia. Anche nel periodo di forzata autarchia, Torino offre la lana di fiocco Leumann, un nuovo tessuto, anche se di ripiego.

Ora si calcola che l'industria che opera nel settore dell'abbigliamento in Piemonte e Valle d'Aosta presenti 440 aziende. Ma è una valutazione approssimativa, perché le piccole aziende sfuggono al controllo statistico.

Sulla base di quanto esposto non meraviglia che nel 1985 l'Ente nazionale moda prendesse stanza qui; ma furono le mutate condizioni socioeconomiche a maturare da noi nuovi orientamenti di sviluppo, nuove dimensioni, nuove organizzazioni per rispondere ad un mercato medio sempre più vasto ed esigente, il cui ritmo di mutazione diveniva sempre più frequente. Due fattori hanno influito, secondo me, alla escalation del consumo moda: il boom giovanile e l'imporsi delle esigenze maschili. Ed allora ecco l'inderogabile esigenza dell'al-largamento del mercato dell'abito fatto, della moda pronta, anche per rendere abbordabile alla più ampia clientela possibile l'accostarsi alla moda, allineando l'Italia con molti paesi stra-nieri.

Altro fattore importante dell'esplosione di questo fenomeno, è il tempo, di cui la società di oggi è famelica consumatrice, anche se non possiamo definire una volta per t u t t e se siamo noi a divorare il tempo, o se è il tempo a divo-rare noi. Comunque sia, diventa sempre più diffìcile a sempre più larghi strati sociali di trovare il tempo per t u t t e le numerose opera-zioni occorrenti per giungere ad indossare un abito nuovo, se si deve cominciare dalla scelta del figurino, della stoffa, poi la prenotazione della sarta o del sarto, e le misure di prova con relative attese. Gran parte della società moderna rifiuta o non è in grado di sottrarre t a n t o tempo alla sua ansiosa attività quoti-diana, a fini economici improduttivi.

E allora furono gli operatori economici ad assumere l'iniziativa su vasta scala per un'azione promozionale tra l'Associazione dei tessili e quella dell'industria dell'abbigliamento per un colloquiale incontro periodico tra gl'interessati al settore moda, come già si faceva a Zurigo e a Dusseldorf. Se vogliamo indicare dei nomi intorno ai quali l'idea ha preso corpo, possiamo nominare Ernesto Ceresa che aveva studiato il problema dall'interno come Presidente del-l'Associazione degli industriali dell'abbiglia-mento, ed anzi, proprio lui prospettò il f u t u r o di quello che sarebbe dovuto divenire il grande salone-mercato di Torino, riservato a industriali e commercianti, a livello di boutique come a quello seriale del prét à porter, o ready to wear, o dell'abito pronto. Vediamo che anche le diverse espressioni linguistiche accompagnano un fenomeno comune; il che indica la m a t u -razione dei tempi alla sua manifestazione.

Con questo siamo nell'ormai lontano 1954, tre anni dopo che la politica liberalizzatrice a d o t t a t a aveva immesso l'Italia nel mercato mondiale; nel 1963 l'indice di produzione indu-striale generale sale a 236, contro l'89 del

1953, con un aumento del 165,2%, facendo salire il prodotto netto delle attività manifat-turiere da due a sei miliardi di lire.

Questo fatto è accompagnato da un incre-mento dei dipendenti del ramo abbigliaincre-mento del 44,3%.

A questo ha contribuito: il rilancio della moda maschile dal 1957, (ma dobbiamo ricor-dare che storicamente il sarto da uomo ha preceduto la sarta da donna, e la prima patente la si ebbe nel 1675 con Luigi XIV); la diminu-zione dei prezzi dei tessuti (non dei migliori), grazie alla scoperta di nuove fibre artificiali soprattutto chimiche; le trasformazioni delle tecniche di lavorazione e soprattutto la raziona-lizzazione della produzione, spesso portata a ciclo integrato dalla tessitura alla confezione, con l'eliminazione, in quest'ultima fase, dei tempi morti di lavorazione, durante le 37 ope-razioni successive che richiede la confezione di un abito.

Un altro fatto a carattere nazionale ha reso il decennio '53-'63 il decennio cruciale del rilan-cio della moda media italiana: l'azione promo-zionale del governo per favorire l'esportazione, con lo stanziamento di contributi per far par-tecipare espositori esteri alle nostre mostre, e contributi per mandare nostri espositori nei confronti esteri.

Si è stabilita perciò quella circolazione alta-mente competitiva a carattere internazionale, in cui elemento di stacco e individuante doveva essere rappresentato nella produzione italiana dal buon gusto.

Buon busto anche in quella produzione in serie sempre più massiccia, per il sempre cre-scente numero dei compratori dell'abito fatto.

Il buon gusto è un dono, un istinto, non una tecnica, ma è suscettibile anch'esso di educa-zione, e perché potessero beneficiare di questo dono il più gran numero d'individui, s'invitò l'alta moda a porsi a disposizione, democratica-mente, delle esigenze comuni, vendendo modelli non esclusivi all'industria, perché potessero essere ripetuti in serie, e dare cosi alla confe-zione un tono, quello che ora è divenuto per antonomasia il vestire all'italiana.

Espressione non nuova questa del vestire

all'italiana, ma con implicazioni diverse da

quelle che poteva avere nell'800, quando essa assunse significato risorgimentale; anche questo t u t t a v i a può mantenere la sua validità, anche al di là del periodo storico, per un perenne impegno di rappresentatività nazionale, quella che ti dà un senso di piacere quando in una vetrina di Londra o di Madrid o altrove, vedi un cartellino con la scritta: modello italiano, linea italiana, confezionato in Italia e cosi via.

Il cartellino ti ricorda che l'Italia è sempre la terra di Petronio arbiter elegantiarum, di Isabella d'Este creatrice di stoffe, di Caterina de' Medici creatrice di modelli.

Tutti gli elementi allora di natura econo-mica, sociale e di costume a diffusione mon-diale, rappresentano forse quell'ultima

escala-tion del popolo al largo consumo voluttuario,

rappresentato dall'uso di abiti di un taglio ele-gante, riservato prima ai privilegiati, dando alla maggioranza della popolazione dei paesi a un cer-to livello di sviluppo, un cercer-to grado di eleganza.

Ed è a Torino che si sono bruciate le tappe di questa evoluzione, forse per una percezione più sensibile dei fenomeni storici, nei quali la moda come aspetto del costume rientra.

Si sono bruciate le tappe con la fondazione appunto del Salone mercato dell'abbigliamento, più noto sotto la sigla di SAMIA, che anno per anno ha registrato l'allargamento del fenomeno socio-economico della recettività-moda, del con-sumo-moda, da parte della crescente domanda, stabilendo altresì quella benefica circolazione internazionale d'idee e non solo d'idee.

Però un'altra considerazione di carattere interno è opportuno e giusto fare, circa l'azione svolta, anche se indirettamente dal Samia; e a questo sono spinta per analogia, ricordando quanto si era f a t t o nel campo della tecnica me-tallurgica giusto un secolo fa qui a Torino, ad opera di Michele Ansaldi. Questi per ovviare al periodo di crisi industriale e poi bancaria di Torino dopo dieci anni di lotta doganale con la Francia, chiamò a raccolta t u t t i gli industriali italiani del ramo, e fondò l'Emporio mecca-nurgico italiano, con succursale a Milano, crean-do il primo Sindacato di vendita in comune ed Esposizione permanente. Rilancia cosi l'in-dustria meccanica in Italia e s o p r a t t u t t o in Piemonte, t a n t o è vero che t r a il 1906 e il 1907 abbiamo in Piemonte 1109 officine mecca-niche, mentre a Torino l'Ansaldi stesso imposta il nuovo stabilimento meccanico di via Cuneo, primo nucleo di quella che sarà la sezione Grandi motori.

Cosi l ' E n t e italiano moda fondato nel lon-tano 1935 con finalità autarchiche e nazionali-stiche, sfrondato dei suoi aspetti esclusivisti, dopo essere stato t r a s p o r t a t o a Torino come giusto riconoscimento del tradizionale valore torinese in campo tessile e confezionistico, si prefisse il compito di coordinare con una moda italiana filtrata al gusto piemontese, gli sforzi delle diverse aziende a differente livello, ma ciascuna con proprie caratteristiche, eliminando la reciproca dannosa concorrenza sui mercati esteri, nel proporre la sempre fuggevole ele-ganza del nuovo.

Attraverso le presidenze Thaon di Revel, Vianino, Giriodi di Panissera, Giordano, Cico-gna, Morelli, Nasi, ha assolto il suo compito estetico-industriale organizzativo, cosi come quello della specializzazione delle maestranze, componendo la forza industriale che le valo-rizza stabilmente; sensibilizza ambasciate, Ca-mere di commercio, stampa, turismo.

Ecco che perduta la gretta visione naziona-listica imposta dal regime del tempo, questo E n t e moda sente il bisogno di colloquiare con la grande famiglia umana al di là di ogni fron-tiera, per dare e per ricevere e subito trasfor-mare improntandola di sé, ogni acquisizione.

E di qui, da esperti, da produttori, da distributori, nasce il Samia sotto la dinamica regia, ora come allora, di Vladimiro Rossini. Le porte si spalancano, dapprima due volte all'anno, poi quattro, con differenti caratteriz-zazioni. Operatori economici interessati alle varie branche dell'abbigliamento, nazionali ed esteri, ogni volta si esaminano a vicenda i rispettivi progressi nel numero delle taglie, nei materiali usati, nella varietà dei modelli de-sunti dall'alta moda, la quale cosi non cessa dall'esercitare una funzione sociale ed econo-mica a più ampio raggio, oltre quella di soddi-sfare antiche esigenze di una ristretta cerchia di amatori dell'alto artigianato.

Sforzo organizzativo e sforzo produttivo a t t u a l'Ente moda, sforzo organizzativo e sforzo distributivo a t t u a il Samia dal 1935, e lo ha a t t u a t o con le sue trentuno tornate.

E sono state tornate t u t t e faticose nella loro preparazione, anche perché l'espositore italiano non si vuol troppo disturbare nel dare un'adeguata pubblicità alla sua partecipazione al Salone, come invece fanno espositori esteri, i quali mesi prima dell'inizio fanno sapere alla loro clientela certa ed eventuale, locale ed internazionale, e negli ambienti di penetrazione, la loro partecipazione al Samia di Torino, pre-disponendosi agli incontri ad ai colloqui.

Con questo sistema avveduto e fattivo, al-cune case estere si sono acquistati posti occu-pati prima da italiani, sia nel campo internazio-nale come nel campo interno, si da far regi-strare un cospicuo aumento delle importazioni.

Fenomeno che fino a ieri non rappresentava elemento di disturbo verso il rilancio della confezione italiana in a t t o fin dal '68, e che nel 1969 aveva portato il consuntivo delle esporta-zioni a 150 miliardi, raggiungendo i 570 miliardi se si comprendono gli articoli affini al vestiario, contro i 48 miliardi delle importazioni. Ma, come il Machiavelli insegna a proposito delle signorie che è più facile conquistarle che mantenerle,

Nel documento Cronache Economiche. N.334, Ottobre 1970 (pagine 54-61)

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