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CAPITOLO II: I CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITA’

2. MODELLI E COLPA DI ORGANIZZAZIONE

E’ stato messo in rilievo che il modello concorre a costituire uno degli elementi incidenti sulla colpa dell’ente, nel senso che la rimproverabilità e, di conseguenza, l’imputazione dell’illecito, sono collegati alla inidoneità o

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all’inefficacia del modello stesso, secondo una concezione normativa della colpa.53

Quelli che sono considerati difetti organizzativi, spesso derivano da politiche spregiudicate, che fanno delle società il reale centro propulsore della criminalità d’impresa.

E’ attraverso la riorganizzazione virtuosa che l’ente approda alla legalità ed è per questo che, con riferimento alla responsabilità da reato prevista dal d.lgs. 231/2001, si parla di “colpa di organizzazione”: il modello previsto dall’art. 6 d.lgs. 231/2001 assurge a paradigma stesso della colpevolezza ovvero, più semplicemente, il meccanismo che consente all’ente di escludere la sua colpevolezza.

La formula della colpa di organizzazione è stata ritenuta particolarmente felice perché consente di cogliere il profilo essenziale della colpevolezza della persona giuridica, evitando attriti con il precetto costituzionale dell’art. 27 1° c.. Se l’ente non si attiene ai doveri di diligente attenzione organizzativa nei confronti dei soggetti esposti ai costi dell’attività d’impresa vi è un indubbio momento di colpa, probabilmente da concepire rispetto ad una pluralità non sempre chiaramente determinata di soggetti, sicché l’aspetto del rimprovero tipico della colpa della persona fisica non viene ad essere perduto.

Lo schema dell’agente modello elaborato per la persona fisica può trovare collegamenti, sia pure con difficoltà, anche rispetto agli enti.

In altri termini, nell’accertamento di idoneità del modello il giudice ritiene sussistente la “colpa” quando l’ente non si è dato un’organizzazione adeguata,

53 C. E. PALIERO, La società punita: del come, del perché e del per cosa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1516 ss.

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omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzare la sua struttura, secondo le linee dettate dall’art. 6 d.lgs. 231/2001.

Nel giudizio sul modello la regola cautelare corrisponde ai protocolli di gestione del rischio e il reato costituisce il risultato offensivo, sicché il problema è verificare se il giudice debba accertare la sussistenza della corrispondenza causale tra i due elementi; inoltre, una volta ritenuta la necessità della corrispondenza causale, si pone l’ulteriore problema della valutazione del c.d. comportamento alternativo lecito.

Cosa accade nell’ipotesi in cui l’osservanza della regola cautelare, al posto del comportamento inosservante, non avrebbe comunque consentito di eliminare o ridurre il pericolo derivante da quella certa attività?

Se l’evento posto in essere a causa dell’inosservanza della regola cautelare risulta non evitabile, vi è ancora spazio per l’affermazione della colpa dell’ente? Il problema riguarda l’ambito di applicazione delle regole normalmente utilizzate nell’accertamento della colpa nel giudizio di valutazione del modello: l’alternativa che si pone è se il giudice deve limitarsi a verificare la violazione della regola cautelare (modello), che l’ente si è autoimposto, oppure se debba spingersi ad accertare la corrispondenza causale tra cautela violata e produzione del risultato offensivo.

La seconda opzione conduce a concludere che, una volta accertato che la produzione dell’evento è stata determinata da fattori di rischio ulteriori rispetto a quelli considerati dalla regola cautelare, la responsabilità dovrà essere esclusa perché l’evento non risulta prodotto dalla violazione della regola cautelare. Qualora invece non si possa escludere con certezza che la violazione della regola cautelare abbia prodotto il risultato offensivo, la responsabilità colposa potrà essere affermata.

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Il giudice dovrà collocarsi idealmente nel momento in cui il reato è stato commesso per accertarne, in base ad un giudizio di prognosi postuma, la prevedibilità e l’evitabilità qualora fosse stato adottato il modello virtuoso.

Appurato come sia necessario accertare la corrispondenza causale tra cautela violata e produzione del risultato offensivo occorre adesso confrontarsi con l’eventualità della mancata adozione del modello da parte dell’ente, poiché tale ipotesi non è assimilabile a quella dell’ente che adotti un modello non idoneo. Non organizzandosi l’ente compie una scelta e decide di correre un rischio, per cui ciò che è davvero rimproverabile all’ente è la ‘’consapevole noncuranza progettuale nei confronti del rischio-reato: quest’ultimo viene assunto o tollerato, senza che la rappresentazione delle conseguenze giunga a livelli apprezzabili di concretezza. Anzi, la cognizione-rappresentanza dei possibili reati da impedire è qualcosa di sfocato, di meramente potenziale, al più una visione di stampo puramente sistemico-funzionale, nel senso della riconducibilità di alcune tipologie di illecito alle funzioni più esposte del rischio’’54.

Sono queste le basi per la ‘’colpevolezza da organizzazione’’, un diverso tipo di responsabilità basato sull’inadempimento di un generale dovere organizzativo che ha aumentato il rischio-reato, rivelando un atteggiamento che ‘’evoca una condizione di tolleranza, di disinteresse nei confronti del rischio-reato che, come si è più volte considerato, è uno dei tanti rischi con cui l’ente deve confrontarsi.’’55

54 PALIERO-PIERGALLINI La colpa da organizzazione, in Resp. Amm. Soc. enti, 2006, pag. 180. 55 PALIERO-PIERGALLINI La colpa da organizzazione, cit pag 181

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Come è stato acutamente osservato56, la colpevolezza da organizzazione è ‘’una strada interessante dal punto di vista politico-criminale’’ ma rischia di risultare in contrasto con l’art 27 Costituzione, apparendo necessario un intervento del legislatore che riconosca il carattere obbligatorio dei modelli di organizzazione. ‘’Lo impone il principio di non contraddizione dell’ordinamento, che non può dapprima lasciare libero l’ente di organizzarsi o no per il rischio- reato e, poi, pretendere di rimproverarlo, per colpevolezza da organizzazione, semplicemente per non averlo fatto e, quindi, sulla base della trasgressione di un mero onere organizzativo’’57.

Occorre da ultimo constatare come la problematica della ‘’colpevolezza da organizzazione’’ risulta parzialmente disinnescata dalla diffusione dei modelli di organizzazione nella realtà. Con il diffondersi della ‘’cultura della prevenzione’’ sarà sempre più marginale l’ipotesi dell’ente del tutto privo di un modello di organizzazione.

3. L’ELUSIONE FRAUDOLENTA DEL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E