CAP 2 IL ‘PARADIGMA’ DELLA ‘DEMOCRAZIA ECOLOGICA’
2.1 Modernizzazione ecologica forte e democrazia
Molti giuristi, sociologi, filosofi, antropologi e politologi si sono interrogati sulle possibili evoluzioni del diritto e della democrazia429 contemporanei in una direzione maggiormente ecologica.
A tal fine le etiche ambientali hanno fornito un contributo teorico rilevante allo sviluppo di un filone di pensiero teorico-politico ‘green’, che a partire dalla fine degli anni Ottanta430 soprattutto nell’area anglosassone431 ha iniziato ad investigare in ordine a una possibile conciliazione tra democrazia e governo dell’ambiente.
Tale indagine si svolse prendendo le mosse da alcuni problemi preliminari alla definizione del concetto di ‘democrazia ecologica’.
Essi hanno riguardato anzitutto la necessità di individuare un’identità politico-teorica ‘green’ rispetto alle altre ‘tradizionali’ dottrine politiche, a partire da un generale ammonimento riguardo i rischi e i pericoli che una forma non democratica di governo avrebbe comportato in termini di svantaggi sia per la collettività, sia in merito allo scopo di tutela dell’ambiente naturale.
In secondo luogo gli stessi hanno avuto ad oggetto anche la necessità di chiarire quale tra le molteplici accezioni di ‘sostenibilità ambientale’ potesse essere maggiormente coerente con un orientamento ‘ecodemocratico’, per poi infine estendere la riflessione su quali possibili forme istituzionali potessero essere altresì concepite al fine di configurare una ‘democrazia ecologica’, e infine a quale livello territoriale.
Tra i primi e tra i molti ad interrogarsi su tali ordini di problemi in relazione al concetto più specifico di ‘democrazia ecologica’ sono stati e sono Robyn Eckersley e John Dryzek, teorici politici australiani che non essendosi limitati a rievocare le etiche ambientali al fine di creare un collegamento con il mondo della politica e del diritto hanno tentato di articolare anche dei veri e propri ‘modelli’ di ‘Stato’ e di ‘democrazia’, sulla base della
429
<<La democrazia com’è attualmente concepita sta diventatndo soggetta alla ‘sfida ecologica’ ed è aperta in questo modo a una critica immanente e a una trasformazione>>. Cfr. T.BALL, Democracy, in A.DOBSON and R.ECKERSLEY, Political Theory and the Ecological Challenge, Cambridge University Press 2006, p. 136
430
Cfr. J.DRYZEK, La razionalità ecologica, cit. 431
Molto nota è invece la diffusione nello stesso di una linea ‘continentale’ di giuristi ambientali che fa capo ad autori come Francois Ost, Klaus Bosselmann, Alexandre Kiss, Marie-Angéle Hermitte e Nicolas De Sadeeler che hanno condotto la loro indagine su una possibile trasformazione degli istituti giuridici, sia privatistici, sia pubblicistici. Sulla riflessione francofona riguardo il concetto di democrazia ecologica. Cfr. soprattutto B.LATOUR, Politiche della natura, cit. e D.BOURG, Verso una democrazia ecologica, cit.
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esigenza (giudicata da questi ultimi fondamentale), di ‘allargare’ l’ambito di comprensione delle teorie sulla democrazia alle future generazioni e ad entità non umane (il mondo animale e gli ecosistemi).
Quanto al primo problema, Eckersley in particolare iniziò a delimitare un possibile campo d’indagine avente ad oggetto un ‘pensiero politico verde’ (green political thought), in ordine alla possibilità di identificare quest’ultimo in termini di una vera e propria distinta dottrina etico-politica432.
A uno sguardo iniziale, evidenzia l’autrice, i principali tratti caratteristici del pensiero
green sembrano essere costituiti sia da una vocazione ‘ecumenica’ (soprattutto quando
esso è concepito in base a una concezione ‘debolmente antropocentrica’) sia dall’ attitudine ad incrociarsi con altre ‘correnti’.
Quanto al primo aspetto, il medesimo pensiero green si è già in qualche modo manifestato, sottolinea l’autrice, a partire dalla formulazione dei quattro pilastri della ‘piattaforma politica’ del partito tedesco dei Grunen (ecologia, responsabilità sociale, democrazia di base e non violenza), che rappresentano a parere di Eckersley un nucleo di principi e valori comuni con altre filosofie (socialismo, femminismo, anarchismo e nel caso della wilderness anche del fascismo), tale che risulterebbe arduo in realtà estrapolare un <<corpo delimitato e coerente di idee politiche distinguibile dalle altre[…]>>.
Il fatto però che il pensiero politico verde non possa ostentare un chiaro e distinto ‘lignaggio filosofico’, una ‘voce univoca’, o una stabile identità, ciò soltanto -sottolinea ancora la teorica australiana- non esclude il fatto che esso possa costituire tuttavia una distinta filosofia politica >>.433
A difesa di tale argomentazione Eckersley osserva che ogni tradizione di pensiero possiede ciascuna la propria storia, le proprie ‘deviazioni’, ‘incoerenze’ e ‘sovrapposizioni teoriche’. Ad esempio, sebbene sia esistita e ancora esista un’’ala destra’ e un’‘ala sinistra’ del liberalismo, ciò scongiura che la prima possa essere riconducibile alla dottrina socialista; motivo per il quale credere che le eventuali ‘specificità interne’ a ciascuna ‘dottrina politica’ non fanno in realtà venir meno il loro carattere distintivo.
Reciproche somiglianze tra il pensiero politico verde e le altre dottrine politiche del pari non escludono l’autonoma peculiarità del primo. <<Se i valori fondamentali del
liberalismo, -scrive Eckersley-libertà e rispetto per l’individuo/persona sono emersi in
432
Cfr. R.ECKERSLEY, Politics in D.JAMIESON, A Companion to environmental philosophy, cit.; ID. Environmentalism and political theory, cit.; A.DOBSON, Green political Thought, 2nd edn, Routledge, London 1995
433 Cfr. R.E
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base alla preoccupazione riguardante il problema della tirannia, così anche i valori della filosofia politica verde, della sostenibilità ecologica e del rispetto per la natura sono affiorati in risposta alla crisi ecologica>>.434
Nel tenere poi conto della distinzione tra ‘ambientalismo’ ed ‘ecologismo’435 dovrebbe invece rigettarsi, a parere della teorica australiana, la tesi436 in base alla quale solo l’’ecocentrismo’ potrebbe aspirare al rango di una distinta dottrina politica in virtù della sua ‘visione d’insieme’ avente ad oggetto la relazione tra l’essere umano e la natura, e con essa la rimodulazione complessiva degli stili di vita a livello sia sociale, sia politico; in questo modo sarebbero infatti indebitamente escluse altre prospettive (per esempio di carattere etico, estetico, religioso) che generalmente sono riconducibili nell’ alveo delle elaborazioni pertinenti a un antropocentrismo ‘debole’. La tesi del ‘valore intrinseco’ con i suoi due assunti fondamentali di non interferenza e del diritto di vivere e di fiorire, andrebbe invece accolta come segno distintivo del ‘pensiero politico verde’ solo nella misura in cui possa evitare di screditare l’umanesimo e la sua ricchezza, quanto al patrimonio di idee, valori e conquiste, e si limiti invece a criticare alcune assunzioni (fortemente) antropocentriche che ne fanno comunque parte.437
La peculiarità di un’identità teorico-politica ‘verde’ va pertanto secondo Eckersley cercata
tra le variegate concezioni, in modo tale da comporre un mosaico tendenzialmente
coerente ed unitario; coerenza e unità che potrebbero essere offerte soltanto a partire da un punto di ‘intersezione’ che accomuni o potrebbe potenzialmente accomunare un insieme più ampio di istanze, mediante il reciproco sostegno teorico e pratico-politco per una ‘sostenibilità forte’.438
In base a quanto sostenuto da Eckersley e da Dryzek una forma di governo compatibile con i ‘confini planetari’, dovrebbe inoltre da un lato prevenire forme di governo neo- autoritarie che potrebbero sospendere le libertà fondamentali attraverso uno ‘stato di eccezione’ permanente (caratterizzato da gestioni tecnocratiche globali dei processi
434
Ivi, p. 324 435
Cfr.,M.BOOKCHIN, L’ecologia della libertà, cit., p. 50 e A.DOBSON, Green political Thought, cit., 436
Ivi, p. 1 437
Cfr. R.ECKERSLEY, Environmentalism and political theory, cit., p. 56.
In tale frangente, il ruolo che potrebbe assumere il diritto, si esplicita a nostro avviso in tale affermazione di Natalino Irti <<La negazione del diritto naturale, se da un lato ci lascia soli ed inermi (è la deserta solitudine dell’uomo, non più garantito e protetto in un ordine cosmico), dall’altro restituisce ogni potere alla nostra volontà ed esalta la responsabilità delle nostre scelte>>. Cfr. N.IRTI, L’uso giuridico della natura, Laterza, Roma-Bari 2013, p. 27
438
Come osserva Eckersley: << molti teorici hanno difeso tale interpretazione come quella maggiormente desiderabile dal punto di vista politico in quanto evita inutili scissioni eco-filosofiche ed è probabilmente in grado di conquistare il più ampio numero di sostenitori>>. Cfr., R. ECKERSLEY, Politics in D. JAMIESON, A Companion to environmental philosophy, cit., p. 326
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geofisici e biologici),439 dall’ altro superare proposte che si ispirano a modelli autarchici, poiché ritenuti non adeguati a costituire un’efficace soluzione entro un mondo fatto di Stati.440
In riferimento alle posizioni ‘autoritarie’, Eckersley e Dryzek a differenza di chi ne ha rilevato la mera ‘impraticabilità’ nel mondo contemporaneo (in quanto dominato economicamente dal capitalismo globale, e politicamente dalle democrazie liberali),441 si sono invece soffermati ad approfondire i veri e propri svantaggi insiti nelle stesse proproste. Di queste ultime sono inoltre espressione azioni ritenute dai loro sostenitori in realtà erroneamente efficaci ad affrontare la crisi ecologica.
Il modello di uno Stato autoritario ‘verde’ non potrebbe infatti avvalersi, a parere dei due teorici australiani, delle opportunità che il consenso facente capo a una cittadinanza informata e consapevole (grazie alla possibilità di diffusione di un maggior flusso di informazioni e di conoscenze che un regime totalitario non potrebbe mai accordare pienamente), offrirebbe a sostegno delle politiche ambientali, favorendo al contempo anche una cooperazione che non sia frutto di una mera ‘coercizione’ proveniente ‘dall’alto’, ma possa essere liberamente ‘accettata’ e ‘legittimata’ dalla maggioranza della collettività attraverso un processo proveniente ‘dal basso’.442
Eckersley ha evidenziato in tale direzione in che termini l’argomento a favore della democrazia abbia fatto presa grazie a considerazioni esattamente opposte a quelle dei c.d. ‘eco-autoritari’: << la nascita dei movimenti verdi è servita ad estendere e ad approfondire
il tema della democrazia sia ad Est, sia ad Ovest. Il caso di una democrazia ecologica è stato quindi portato avanti non come se fosse una mera appendice [del pensiero verde], ma come uno dei requisiti necessari e desiderabili per la realizzazione degli obiettivi che fanno capo al primo>>.443
Rispetto a una organizzazione politica autoritaria e centralizzata, ciò che potrebbe favorire il cambiamento radicale richiesto al fine di indirizzare la società su un sentiero ecologicamente sostenibile è secondo i teorici australiani un alto grado di ‘diversificazione’. In altri termini, in analogia con un punto di vista ‘debolmente
439
Cfr., J.LOVELOCK, The revenge of Gaia, Allen Lane, London 2006 440
Cfr. J.DRYZEK, La razionalità ecologica, cit., p. 244 e ss. 441
Cfr. N.CARTER, The politics of the Environment. Ideas, Activism, Policy, 2nd edn, Cambridge University Press, p. 43, tab. 3.1
442
Cfr. R.ECKERSLEY, Politics in D.JAMIESON, A Companion to environmental philosophy, cit, p.322, J.DRYZEK, Deliberative Democracy and Beyond: Liberals, Critics, Contestations, Oxford University Press, Oxford 2000, Cfr. T.BALL, Democracy, in A.DOBSON and R.ECKERSLEY, Political Theory and the Ecological Challenge, Cambridge University Press 2006
443 Cfr. R.E
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antropocentrico’, così come la biodiversità consente di ‘sostenere’ e far fiorire gli ecosistemi che supportano la vita, dal punto di vista degli esseri umani solo una ‘diversificazione politica’444 (da garantire mediante la possibilità di far circolare informazioni, conoscenze e ‘prospettive’) potrebbe consentire a una società di svilupparsi e di fiorire. Al contrario la soluzione autoritaria, poiché contrassegnata da un carattere principalmente elitario, non potrebbe essere mai in grado di facilitare un efficace governo della ‘complessità metabolica’ dei sistemi socio-ecologici.
In direzione opposta a quelle autoritarie si sono poste poi, come evidenziato in precedenza, alcune concezioni ‘localiste’, rappresentate principalmente dal modello politico-organizzativo del ‘bioregionalismo’.
Quest’ultimo, sostenendo l’importanza di istituzioni su ‘scala ridotta’ ( considerata a dimensione più ‘umana’ e maggiormente rispettosa per l’equiliberio degli ecosistemi), fondate su una democrazia diretta e su una responsabilità ecologica a livello meramente ‘locale’,445 era stato proposto come modello alternativo sia agli Stati democratico- costituzionali dominati dal ‘capitalismo occidentale’,446 sia allo Stato socialista, in quanto entrambi erano caratterizzati da strutture e funzioni facenti capo a un presupposto comune: il rapporto strumentale e dominativo verso la natura, determinato in entrambi i casi dall’ideologia della crescita economica e dall’ottimismo tecnologico.447
Secondo Eckersley e Dryzek poiché queste ultime concezioni sono riconducibili a rivendicazioni politiche che manifestano la necessità di ‘riabitare’ (reinhabitation) i
luoghi, e di conseguenza di decentralizzare gli apparati di governo seguendo delimitazioni
non amministrative, ma ‘ecologiche’, se da un lato potrebbero risultare senz’altro utili allo scopo di generare una consapevolezza e un’’affezione’ rispetto alla propria ‘dimora’ e ai legami con le comunità di appartenenza,448 dall’altro sono state ritenute al contrario
444
Cfr. T.BALL, Democracy, in A.DOBSON and R.ECKERSLEY, Political Theory and the Ecological Challenge, cit., pp. 134 e ss.
445 Di cui sono espressione anche i popolari slogan ambientalisti “piccolo è bello” e “Pensare globalmente e agire localmente”. Cfr. Lega per l’ambiente, Pensare globalmente agire localmente, in G.ORUNESU,L.PASSI,E.TIEZZI (a cura di), Antologia Verde. Letture scientifiche, filosofiche e letterarie per una coscienza ecologica, Giunti Marzocco, Firenze 1987; E.F.SCHUMACHER, Piccolo è bello, uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa, Arnoldo Mondadori Editore, IV edizione, 1992
446
In cui, come sottolinea Eckersley, il ‘sé’ è considerato, in base alla dottrina liberale, unicamente in rapporto all’individuo ‘atomo’ ed esclusivamente in rapporto ai suoi scopi. Cfr. R.ECKERSLEY, Environmentalism and political theory, cit., p. 176
447
Come evidenzia Eckersley: <<Al pari di Locke, Marx vide nell’attività economica, l’atto del produrre attraverso l’appropriazione della natura essenziale alla libertà umana. E come Locke Marx ha considerato il mondo non umano come un mero substrato dell’attività umana che acquisisce valore solo se e quando viene trasformata dal lavoro umano o dalla sua estenzione, la tecnologia>>. Ivi, p. 25
448
Cfr. R. ECKERSLEY, Communitarism, in A. DOBSON and R. ECKERSLEY, Political Theory and the Ecological Challenge, cit., p. 100 e ss. Come evidenzia Dryzek :<<Il bioregionalismo non attiene soltanto a una ridefinizione di confini politici: esso costituisce anche un problema riguardante l’ abitare un determinato luogo. Tali unità politiche, così ridefinite, dovrebbero promuovere, e, a sua volta essere promosse da una consapevolezza da parte dei loro abitanti
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inidonee al fine di poter gestire in modo efficace e democratico le complesse interazioni tra ‘mondo della politica’ e ‘crisi ecologica globale’.
Una prima osservazione critica è stata avanzata in merito al fatto che le comunità locali risultano da un lato adeguate allorquando affrontano problemi specifici, ma dall’ altro difettano di una ‘visione’ autenticamente ‘globale’ che necessiterebbe comunque di una ‘volontà esperta’449 in grado di fronteggiare situazioni-limite (sempre globali) come il cambiamento climatico o la riduzione della fascia di ozono, al di là della circoscritta ‘zona d’interesse’450, sia che si tratti di Stato-nazione, che di una ‘bioregione’451.
Una seconda considerazione sulle tesi ‘localiste’ ha riguardato aspetti strettamente politologici.
In particolare sono state avanzate alcune perplessità concernenti la compatibilità tra decentralizzazione (nell’accezione ecologico-politica) e democrazia. Da un lato infatti la decentralizzazione potrebbe facilitare una minore distanza tra governanti e governati, ma dall’altro produce in realtà una serie di svantaggi.
Ad esempio la probabilità che i governanti possano assumere atteggiamenti riluttanti nell’adottare misure ‘non gradite’ alla popolazione locale, dislocando l’inquinamento prodotto, verso aree circostanti, oppure in caso di insufficiente ‘adattamento spontaneo e reciproco’ tra le comunità e in mancanza di un coordinamento centrale sulle politiche ambientali, potrebbe con un alto grado di probabilità sorgere quasi certamente il pericolo che l’equilibrio ecologico della società possa essere pregiudicato anche se si assume come punto di partenza il più circoscritto livello del territorio locale452.
Secondo Dryzek ed Eckersley questi inconvenienti potrebbero essere evitati soltanto se le intuizioni della proposta ‘anarchica’ (in particolare quelle relative a una rivalutazione del luogo e della comunità di appartenenza come parte fondamentale dell’attitudine ‘green’) si assumano come espressione di un ideale ‘non costitutivo’, ma regolativo delle politiche ambientali;453 ovvero attraverso una nuova forma organizzativa del sistema politico e giuridico che possa rispecchiare in modo più coerente (in relazione cioè anche alla realtà
concernente le cornici biologiche che le sostengono. Cfr., J.DRYZEK, Deliberative Democracy and Beyond: Liberals, Critics, Contestations, cit., p. 158
449
Cfr. R.ECKERSLEY, Environmentalism and political theory, cit., p. 173 450
Come evidenzia Dryzek:<<non tutti i problemi ecologici e i segnali di retroazione sono inquadrabili a livello locale. Alcuni di questi sono globali, richiedono quindi una risposta istituzionale globale>>. Cfr. J.DRYZEK, Deliberative Democracy and Beyond: Liberals, Critics, Contestations, cit., p. 157
451
Cfr. N.CARTER, The politics of the Environment. Ideas, Activism, Policy, cit., p. 59 452
Ivi 453 Cfr. J.B
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economico-politica ‘globale’) ed efficace l’ontologica interconnessione tra le parti secondo quanto prescritto dalla scienza ecologica.
Quest’ ultima, contrariamente a quanto asserito dai bioregionalisti, conduce infatti a perseguire gli obiettivi ‘ambientali’ non solo all’interno delle ‘comunità di appartenenza’, ma anche oltre le stesse, su un terreno ‘transnazionale’, in quanto tali obiettivi potrebbero essere meglio realizzati mediante decisioni prese sulla base di un’organizzazione politico- territoriale multilivello.454
In ordine al problema riguardante il carattere ‘normativo’ del concetto di ‘sostenibilità’, che costituisce a sua volta l’ulteriore nodo cruciale in base al quale le riflessioni sulla ‘democrazia ecologica’ si incentrano, quest’ultimo si riferisce alla distinzione che alcuni teorici politici ‘green’ come Eckersley e Dryzek compiono tra un approccio ‘debole’ della c.d. ‘modernizzazione ecologica’ e un orientamento ‘forte’.455
Tale differenza costituisce infatti il fulcro sostanziale degli elementi identificativi di un ‘paradigma’ teorico-politico, quello di una ‘democrazia ecologica’ che propone di distaccarsi da approcci giudicati o troppo ‘ideologici’ o al contrario appiattiti sullo status
quo.
Dopo aver tentato di individuare le caratteristiche peculiari della dottrina ‘verde’ sulla base di un’analisi storica, filosofica e fenomenologica delle vicende politiche, giuridiche e sociali attinenti la ‘questione ambientale’, compresa quelle dei soggetti politici come partiti e movimenti che aspirano a una società ecologicamente sostenibile, John Dryzek e Robyn Eckersley hanno cercato di individuare un percorso che rendesse compatibili le teorie sulla democrazia, soprattutto deliberativa e partecipativa, con i contenuti etici dell’ecologia profonda. Da un lato sottolineando il ruolo propositivo che potrebbero assumere i movimenti ecologisti nella dialettica democratica, dall’ altro tentando di
oltrepassare gli aspetti più radicali dell’approccio ‘ecocentrico’ senza rigettarne i
contenuti ‘normativi’.
Si traccerà e approfondirà qui di seguito tale importante distinzione tra c.d. ‘modernizzazione ecologica forte’ e ‘modernizzazione ecologica debole’ al fine di
454
Cfr., J.DRYZEK, La razionalità ecologica, cit. Come evidenzia lo stesso autore:<<Per quanto riguarda il campo di applicazione desiderabile e la forma delle istituzioni suggerite dall’ ideale della democrazia ecologica, la parola d'ordine è 'scala adeguata'. In altre parole, la dimensione e la portata delle istituzioni dovrebbero corrispondere alla dimensione e alla portata dei problemi>>, ID., Deliberative Democracy and Beyond: Liberals, Critics, Contestations, cit., p. 156; R.
ECKERSLEY, Environmentalism and Political Theory, cit., pp. 177-178
455
Per un inquadramento generale del tema cfr. P.CHRISTOFF, Ecological modernisation, ecological modernities, Ecological modernisation, ecological modernities, Environmental Politics, 5:3, pp. 476-500
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delineare i presupposti metodologici e contenutistici della proposta afferente il ‘paradigma’ politico-normativo qualificato come ‘democrazia ecologica’.
I bersagli principali della critica dei due autori sono stati come evidenziato in precedenza sia l’‘ecoautoritarismo’, sia il ritorno a una società pre-industriale, fondata esclusivamente su un ‘comunitarismo’ al di fuori dello Stato. Su un altro versante, altrettanto importante, la stessa critica si è incentrata sulla c.d. ‘ecologia di mercato’ (free market
environmentalism) che è alla base delle politiche sullo sviluppo sostenibile e della green economy; entrambi gli approcci infatti rispecchiano, a parere dei due teorici ‘green’, una
forma ‘debole’ di modernizzazione ecologica456.
Si parla in tal senso di modernizzazione ecologica ‘debole’, poiché a differenza della genericità terminologica facente capo allo ‘sviluppo sostenibile’, quest’ultima si rivolge chiaramente e direttamente al mondo dell’economia e delle imprese, avvalendosi di un lessico che descrive la tutela dell’ambiente soprattutto come un’opportunità di profitto, avallando in questo modo le sinergie che potrebbero crearsi tra lo sviluppo capitalistico e
comportamenti eco-compatibili.457
L’attributo ‘debole’ è conferito da Eckersley e Dryzek in virtù di un denunciato carattere ‘corporativo’ che si pone al centro di strategie problem-solving i cui protagonisti, siano essi ‘proponenti’ o ‘mediatori’, sono unicamente ‘gruppi di interesse’ come sindacati, industrie, associazioni di consumatori, gruppi ambientalisti moderati ed élite di governo, entro un’unica agenda ‘di sistema’ in cui gli stessi si fanno volontariamente cooptare.458 La modernizzazione ecologica debole costituisce una strategia tecnocratica, apparentemente neutrale, che tende a ‘naturalizzare’ più che a mettere in discussione