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1 Il sistema di accoglienza in Italia

1.3 Modifiche al sistema: approccio hotspot e hub regionali

L’Agenda europea sulle migrazioni, approvata a Bruxelles a maggio 2015, stabilisce le politiche comuni tra i vari membri dell’Unione europea sui flussi migratori per il periodo compreso tra il 2015 e il 2020. Essa si basa su quattro pilastri: ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, gestire le frontiere, sviluppare una politica comune europea di asilo forte, promuovere una nuova politica di migrazione legale. Non verranno esaminati in questa sede tutti i punti, tuttavia verrà presa in considerazione la previsione di inserimento degli hotspot, letteralmente “punti caldi”.

«Al fine di gestire i flussi ininterrotti di cittadini di Paesi terzi che raggiungono le coste italiane dall'inizio del 2014, e in linea con l'Agenda europea sulle migrazioni, l’Italia ha messo in atto il nuovo approccio "hotspot".» (Ministero dell’Interno, 2015)33.

L’approccio hotspot prevede il concentramento dei potenziali richiedenti asilo arrivati sulle coste italiane in una serie di porti di sbarco selezionati, in cui sono presenti strutture d’accoglienza, all’interno delle quali vengono effettuate procedure come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici delle persone sbarcate.

Le strutture individuate per portare avanti questo approccio sono le seguenti: Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta, Lampedusa in Sicilia e Taranto in Puglia.

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Al loro interno sono previste, in particolare, queste procedure, cui sono sottoposte le persone appena sbarcate: screening medico; intervista da parte dei funzionari degli uffici immigrazione, per la compilazione del cosiddetto “foglio-notizie”, contenente generalità, foto, informazioni di base della persona e l’indicazione sulla volontà o meno di richiedere protezione internazionale; l’eventuale informazione sulla procedura di ricollocazione34; l’eventuale ulteriore intervista per scopi investigativi o di intelligence. «Successivamente all’espletamento delle attività di screening sanitario, pre- identificazione, di quelle investigative/intelligence, e sulla base dei relativi esiti, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hub presenti sul territorio nazionale; le persone che rientrano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hub dedicati; le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.)» (Ministero dell’Interno, 2015).

Uno degli obiettivi primari dell’approccio hotspot è quindi quello di dividere celermente gli immigrati tra quelli che richiedono asilo, quelli che hanno diritto alla relocation e quelli presumibilmente irregolari35, e collocarli nei diversi luoghi adibiti.

Nel seguente schema (Fig. 1.3.1.) si possono vedere le attività previste nel centro hotspot.

34 La relocation è un meccanismo di ricollocazione, da uno Stato Membro ad un altro Stato Membro della

UE, di persone in evidente bisogno di protezione internazionale. È un programma concepito soprattutto per alleggerire gli Stati di arrivo dei migranti, cioè Italia, Grecia e Ungheria e l’Unione Europea si è impegnata a portare avanti questo programma dall’estate 2015. All’11 Luglio 2016 sono stati ricollocati solo 3056 richiedenti asilo; quindi, meno del 2% del totale delle quote di ricollocazione è stato realizzato. I 28 Paesi di destinazione inizialmente coinvolti nel progetto (poi diventati 31 nei mesi successivi) hanno messo a disposizione appena 9119 posti.

Fonte: Openmigration, UNHCR, Carta di Roma

35 In questo scritto non si affronterà specificatamente il tema della “clandestinità” degli immigrati, ma a

tal proposito riportiamo un importante appunto di P. Basso, 2010 «… la clandestinità, termine falso e falsificante come pochi altri, non è una scelta libera e volontaria dell’emigrante; è una condizione di fatto subìta dall’emigrante contro la propria volontà e contro il proprio interesse, l’effetto di una coazione

32 Fig. 1.3.1. Attività svolte nell’hotspot36

Operatori dei centri, avvocati e attivisti dei diritti umani hanno espresso forti perplessità legate a questo nuovo “metodo”, sia in riferimento alla sua natura giuridica, sia in riferimento ai criteri adottati nei diversi centri. Sul sito del progetto “Melting Pot Europa”37 si legge: gli hotspot attivi «appaiono come dei luoghi dove si attuano dei

metodi sommari e discrezionali di distinzione tra rifugiati e cosiddetti "migranti economici": queste modalità stanno aumentando i respingimenti differiti - effettuati cioè dopo l’arrivo in Italia - di migranti appena sbarcati».

Alcune interviste svolte nel corso della ricerca restituita in questo scritto riportano le esperienze di alcuni attivisti di “Borderline Sicilia”38, un’associazione Onlus che si occupa di monitoraggio, denuncia e accompagnamento legale, riguardo ai centri d’accoglienza siciliani. Una loro collaboratrice spiega che l’approccio hotspot è stato siglato politicamente ma non è regolamentato, si rifà al regolamento dei CPSA, in cui le persone dovrebbero stare massimo 72 h, ma, afferma, queste tempistiche vengono sempre disattese, le persone rimangono nel centro per settimane, spesso in situazioni di

36 Fonte: Ministero dell’Interno

37«”Melting Pot Europa, per la promozione dei diritti di cittadinanza” è un progetto di comunicazione

indipendente nato nel 1996 e frutto dell’impegno collettivo di associazioni, esperti, avvocati, docenti, attivisti, giornalisti, fotografi, videomakers, che mettono a disposizione il loro lavoro per la realizzazione di questo spazio di informazione e approfondimento libero, autonomo e gratuito.»

http://www.meltingpot.org

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sovraffollamento e promiscuità (donne e bambini non vengono separati dagli uomini, le persone potenzialmente vulnerabili non vengono separate dagli altri, i testimoni di giustizia non vengono separati dagli altri).

In sostanza, molte persone che lavorano nel settore hanno espresso perplessità in riferimento a questo nuovo approccio. Non è previsto un approfondimento di questo argomento in questa sede, ma è comunque importante essere a conoscenza della situazione sopra riportata.

«Il sistema di prima accoglienza, composto dai Centri governativi (CARA/CDA e CPSA), è in via di trasformazione per farli diventare Hub regionali, strutture concepite come punti di snodo fondamentali per facilitare la gestione di un gran numero di arrivi» (Ministero dell’Interno, 2015)39. Alcuni centri di primissima e prima accoglienza quindi sono in fase di modifica, per farli diventare luoghi in cui le persone, già identificate e foto-segnalate, compilano la domanda di protezione internazionale, il c.d. modello C3. La Roadmap italiana prevede pertanto l’allestimento di un hub ogni regione. La permanenza prevista è di 7-30 giorni, «per assicurare un rapido turn-over, dopo il quale il richiedente, la cui richiesta è già stata presentata, sarà trasferito nel sistema di seconda accoglienza» (Ministero dell’Interno, 2015)40.

Attualmente questo sistema di regional hub è ancora in fase di realizzazione.

Questa previsione del sistema d’accoglienza in Italia dovrebbe comparire pertanto come la seguente figura (Fig. 2.3.2.) illustra.

39 Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi; Ministero

dell’Interno, Roma, ottobre 2015

34 Fig. 2.3.2. Il nuovo sistema d’accoglienza in Italia41

La previsione quindi è che alcuni centri che erano definiti come CPSA, seguano ora il cosiddetto approccio hotspot (Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta, Lampedusa, Taranto), e che alcuni centri che erano definiti CARA/CDA e CPSA, vengano trasformati nei cosiddetti hub regionali (Bologna), con i conseguenti compiti che abbiamo analizzato precedentemente.

Oltre al fatto che c’è un evidente ritardo nelle tempistiche che il Ministero dell’Interno aveva previsto (un hub per regione entro fine 2016), si evidenzia ancora, in questa sede, che il modello hotspot crea diversi dubbi per molti motivi, e l’istituzione di hub regionali pone come minimo la perplessità delle tempistiche in relazione ai trasferimenti. In ogni caso, non è ancora possibile fare una valutazione accurata di questo sistema poiché non ci sono ancora riscontri sui cambiamenti e le modifiche che in teoria hanno portato o dovrebbero portare questi nuovi approcci.

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Dopo questo capitolo in cui si è cercato di far comprendere al lettore il funzionamento del sistema d’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo in Italia, nei seguenti capitoli si analizzerà la ricerca etnografica, oggetto principale di questo scritto.

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2 La condizione e l’esperienza degli operatori nei

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