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CAPITOLO 2: L’ITALIANO L2 DEI CINESI

2.3 Morfologia

2.3.1 Morfologia verbale

Per quanto riguarda la morfologia verbale, il verbo cinese è costituito da un’unica forma, pertanto non stupisce che gli studenti di origine cinese che apprendono l’italiano siano sconvolti dai continui mutamenti delle marche morfologiche dell’italiano. D’Annunzio (2009:52) nota che, di fronte a questa situazione, dopo aver accettato la varietà delle forme verbali, i bambini cinesi tendono ad immagazzinare mnemonicamente tali forme, ma non necessariamente alla memorizzazione corrisponde la comprensione del loro uso. In relazione a ciò, è bene ricordare che gli studenti cinesi sono abituati a ricorrere alla memorizzazione, secondo la cultura scolastica ed educativa tipica del mondo sinofono, che prevede un apprendimento basato, prima di tutto, sulla ripetizione, l’emulazione e la memorizzazione, e che quindi passa attraverso la memorizzazione di interi testi, poesie e canzoni. Riguardo alla difficoltà di acquisire il sistema verbale italiano, Grandi sostiene che

“L’evidente idiosincrasia che contraddistingue l’apprendente sinofono e che rallenta il processo di apprendimento dell’italiano L2 deve essere in larga parte ascritta alla mancanza nella sua L1 di un sistema verbale anche lontanamente paragonabile a quello dell’italiano e la conseguente assenza dell’impatto cognitivo necessario a una soddisfacente assimilazione dell’input cui l’apprendente è sottoposto.” (Grandi 2014:116)

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Considerando che, come sostiene Andorno (2010:90), il percorso acquisizionale di una L2 consiste nel ricostruire il modo in cui determinate funzioni concettuali vengono realizzate in specifiche forme linguistiche, l’apprendente sinofono deve comprendere che cos’è un verbo nella lingua italiana e come funziona l’intero sistema verbale, ovvero la sua realizzazione morfosintattica.

Per quanto riguarda l’acquisizione del sistema verbale, gli studiosi sono concordi nel ritenere valido lo schema proposto da Giacalone Ramat (2003) anche per gli apprendenti sinofoni:

presente/infinito > (aux)+participio passato > imperfetto > futuro > condizionale > congiuntivo

Al primo stadio si nota una sovraestensione delle forme basiche, ovvero quelle forme che designano significato lessicale ma sono prive di morfologia funzionale, e che di solito corrispondono alla 3a persona singolare dell’indicativo presente della I coniugazione, che statisticamente è la più corposa e frequente. Normalmente questa forma viene scelta sulla base di un processo di segmentazione delle forme verbali recepite (lavora-to, lavora-vo, lavora-re ecc.), ma nell’informatore CH del corpus di Pavia, si trova con una certa frequenza anche una forma analoga alla 2a persona singolare dell’indicativo presente, che probabilmente deriva dall’assimilazione della forma più comunemente e frequentemente usata dall’interlocutore per rivolgersi a CH. Talvolta in CH si riscontra anche la presenza dell’infinito, inizialmente usato in alternanza al presente: in questa fase CH dimostra di non aver ancora sviluppato la nozione di verbo finito. Si nota un passo in avanti quando l’infinito inizia a comparire nelle frasi dipendenti, in particolare le prime occorrenze regolari si trovano con i verbi modali, come suggerisce Beretta (1990). Tuttavia, l’uso dell’infinito non soppianta del tutto la costruzione formata dall’accostamento di due verbi al modo finito (es. volio

compra un eh radio), che corrisponde alla giustapposizione di verbi lessicali senza

marche morfologiche, e che ricorda la “serial verb construction” tipica del cinese. Tale costruzione si riscontra in CH anche quando in italiano si sceglierebbe una completiva in dipendenza da verbi di enunciazione o di percezione (ad es. ha detto dopo due giorni

parte Pechino). Al secondo stadio viene acquisito il participio passato, caratterizzato dal

morfema –to, che in un primo momento compare con una minima variabilità, tanto che Calleri ritiene che le prime forme siano più che altro formule inanalizzate (ad esempio “finito!”); spesso il participio è sovraesteso sul passato composto e dunque privo di ausiliare. Inizialmente, tuttavia, come sottolinea Calleri (1992) l’opposizione tra forma base e participio passato non ha valore temporale, bensì aspettuale: il morfema –to conferisce valore perfettivo al verbo, e in questo fenomeno non è da escludere l’influenza della L1, dal momento che il cinese ricorre alla particella –le per codificare il valore di perfettività, che può applicarsi tanto al passato quanto al presente e al futuro. È stato notato che, anche per i sinofoni, le prime forme di participio passato coinvolgono verbi telici (chiuso, detto, fatto, colorato, visto…), a conferma delle riflessioni sul rapporto tra tipo di verbo e rapidità di acquisizione dell’aspetto (principio

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di associazione selettiva). Nell’analisi dei dati raccolti da Calleri su due bambini sinofoni, il passato composto viene realizzato con errori relativamente frequenti sia sul participio passato (ha prendi, ha disegno, ha disegnare, parteto per partito) sia sull’ausiliare, con una totale sovrestensione di essere su avere. Segue l’imperfetto, che, nell’analisi di Calleri, pare avere valore modale più che temporale, dal momento che ricorre in contesti dove è sostituibile con il condizionale, secondo un uso tipico dell’italiano neostandard. Nei due soggetti studiati da Calleri, inoltre, l’imperfetto compare specialmente come forma del verbo essere. Va detto, ad ogni modo, che la sovraestensione di forme del presente sugli altri tempi verbali si verifica anche quando sono state acquisite altre forme. Il quarto stadio acquisizionale del sistema verbale italiano proposto da Giacalone Ramat, che comprende futuro, condizionale e congiuntivo, è il più lungo e sfumato e non sempre raggiunto. Per i sinofoni, però, risulta particolarmente difficile raggiungere questo stadio e anche dopo la comparsa delle forme di imperfetto del terzo stadio, persistono notevolmente forme degli stadi antecedenti, compresenti tra loro. Un’ultima considerazione riguarda l’imperativo. Nei dati raccolti da Calleri, le forme dell’imperativo riscontrate nei due apprendenti sembrano forme inanalizzate recuperate direttamente dall’input (ess. Guarda! Aspetta!) e appartenenti alla sfera pragmatica e lessicale più che morfologica, dal momento che la variabilità è minima, e le forme devianti dalla lingua target sono pressoché assenti. Banfi (2003:198), analizzando l’italiano scritto di un soggetto cinese, ha notato la presenza capillare di forme sovraestese: all’indicativo presente la 3a sing. è sovraestesa alla 1a sing. e alla 3a pl., l’indicativo presente è generalmente sovraesteso all’infinito e all’imperfetto; inoltre, Banfi ha riscontrato una ipergeneralizzazione delle marche temporali, come nel caso di sono stato pensavo, dove una forma riconducibile al passato prossimo è stata accostata ad una voce verbale con marca morfologica di imperfetto. Quanto agli ausiliari, Andorno (2003) riporta i casi di forme inanalizzate agglutinate al verbo e riscontrate in quattro soggetti cinesi del corpus di Pavia, identificate come segnali di una prima fase verso l’apprendimento di forme libere.

A queste riflessioni aggiungiamo che, come ha notato Andorno (2010:101), spesso i sinofoni ricorrono ad elementi lessicali per esprimere valori funzionali che in italiano vengono codificati attraverso la morfologia. In particolare, è stato riscontrato l’uso di avverbi con valore temporale, modale, aspettuale, in sostituzione della morfologia verbale: ancora per esprimere iteratività o il proseguimento di un evento, già per esprimere la conclusione dell’evento, forse per segnalare incertezza, adesso, prima, poi per la collocazione temporale. Non sempre, però, il valore assegnato a questi elementi coincide con quello che essi hanno nella varietà target, come nell’esempio proposto da Andorno (2010:102)

(4) \CH\ […] mio paese sempre:+ eh s+ è s/ è sempre: s// s/ supers/ superstizio- (CH.13)

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Anche le informazioni temporali spesso vengono veicolate insieme a informazioni spaziali attraverso il lessico:

(5) Io Cina fa tecnica di labolatolio […] qua fa cameriere.

Queste strategie lessicali sono messe in atto dai sinofoni anche per influenza della loro L1. Spesso, infatti, il cinese ricorre a elementi lessicali come nomi e avverbi (come

prima, domani…) per esprimere la temporalità, e anche la modalità viene resa di

frequente attraverso l’impiego di verbi come huì (“essere probabile”).

Per quanto riguarda l’acquisizione dell’accordo di persona, consideriamo gli studi di Banfi e Giacalone Ramat (2003) su CH, il soggetto del Progetto di Pavia. Nel suo caso, l’acquisizione dell’accordo di persona è stato lungo e anche alla fine dell’osservazione (dopo circa un anno e mezzo) non è stato riscontrato controllo pieno del fenomeno. Inizialmente, l’accordo è totalmente assente, anche perché la persona, in italiano, può essere espressa tramite i pronomi. A tal proposito è stata notata la presenza precoce di io e lui, ma spesso ricorrono anche tu, lei, loro e noi; tuttavia, dalle ultime registrazioni emerge una riduzione notevole dell’uso dei pronomi, in corrispondenza all’aumento dell’accordo. E’ interessante far presente anche che alla terza registrazione sono state riscontrate forme alla terza persona plurale che hanno l’accento nella penultima sillaba (es. balàno, mangiàno), probabilmente per analogia con la maggior parte delle parole italiane (che sono piane). Ad ogni modo, l’accordo di persona e numero non risulta sistematico neppure nelle ultime registrazioni. Dopo un anno e mezzo dall’inizio delle registrazioni, CH non aggiunge altre forme verbali, però usa quelle che conosce in maniera più simile ai nativi, anche se non sono sempre corrette dal punto di vista funzionale.

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