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LA MORTE DI DIO COME NEGAZIONE DELLA TRASCENDENZA PLATONICO-CRISTIANA

Favoleggiare di un mondo “altro” da questo non ha il minimo senso, ammesso che non sia preponderante in noi l’istinto di denigrare, immeschinire, disprezzare la vita ⦋…⦌.

(Friederich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli)

1. “Dio è morto” come la parola fondamentale di Nietzsche

Arrivati a questo punto ci domandiamo se quanto pensato da Nietzsche con il celeberrimo aforisma dedicato all’uomo folle, consenta di guadagnare una posizione migliore per far luce sulla tesi che la confutazione storica non soggiace alla debolezza strutturale delle confutazioni speculative. Del lungo aforisma richiamiamo i luoghi più salienti:

L’uomo folle. Avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, come al mercato e si mise a gridare incessantemente: “cerco Dio ! Cerco Dio!” ? – E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “Si è forse perduto?” disse uno. “ Si è smarrito come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” gridavano e ridevano in una gran confusione. L’uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio?” gridò “ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potremmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l’intero orizzonte? […] Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! Come ci consoleremo no, gli assassini di tutti gli assassini?” Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia

92 intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si

dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”67

Quale continuità possiamo rilevare rispetto agli aforismi della Gaia

scienza e di Aurora? Qual è il senso dell’annuncio della morte di Dio? In che

senso “Dio è morto”? Il testo tedesco suona così: «Gott st tot! Gott bleibt tot!

Und wir haben ihn getötet! ». Frasi forti, frasi alla struttura delle quali bisogna

prestare la massima attenzione possibile. L’uomo folle, infatti, dice che Dio è morto, nel senso che Dio è stato ucciso (getötet). Dio cioè non muore da sé, bensì muore, perde la vita, perché gli uomini lo uccidono. La differenza è essenziale, tanto che se essa non fosse tenuta ferma, s’incorrerebbe nel fraintendimento completo della posizione speculativa di Nietzsche. A ben guardare, la Gaia scienza - proprio in ragione di aforismi come questo - costituisce una grande preparazione del messaggio di Zarathustra quale maestro della volontà di potenza e dell’eterno ritorno dell’uguale. E che sia così è dimostrato, fra l’altro, dalla vicinanza cronologica dei due scritti, tanto che è possibile affermare che, in un certo senso, se la Gaia scienza può essere letta come grande preparazione allo Zarathustra nella fase della maturità, Il

crepuscolo degli idoli e L’Anticristo ne costituiscono l’approfondimento.

Dio muore perché viene ucciso, dunque. Ma quali sono i momenti davvero decisivi per la nostra lettura? È lo stesso uomo folle a dircelo allorché spiega il senso dell’uccisione di Dio con un vertiginoso giro di domande retoriche: « Ma come abbiamo fatto? Come potremmo vuotare il mare

bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l’intero orizzonte?» (Aber wie haben diess gemacht? Wie vermochten wir das Meer auszutrinken? Wer gab uns den Schwamm, um den ganzen Horizont wegzuwischen?). Egli risponde mentre domanda, risponde domandando, vale a

dire domanda avendo già in vista la risposta. Qui irrompe la portentosa interpretazione heideggeriana dalla quale ci lasciamo ispirare: allorché l’uomo folle domanda: «Come potremmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima

goccia? », egli ha in vista proprio la questione sul fondamento della quale

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Martin Heidegger ha sostenuto la tesi – ormai classica – secondo la quale il pensiero di Nietzsche (il pensiero contenuto nella Gaia scienza), è il pensiero che pone la questione della verità dell’essente come tale e nella sua totalità, ovvero è il pensiero che porta a compimento la traiettoria metafisica della storia occidentale.

La grandezza di questo atto [quello dell’assassinio di Dio] risiede nel fatto che esso rappresenta l’inizio di una storia più elevata. La formula per il nichilismo “Dio è morto” asserisce quindi, secondo l’interpretazione che si trova nella proposizione “Lo abbiamo ucciso” - esplicitamente qualcosa di positivo. Ciò che risuona come la constatazione di una fine, nomina, sempre pensato a partire dal pensiero della metafisica nietzscheana, l’inizio di una storia più elevata. La formula pensa il nichilismo in senso positivo.68

Qual è nella prospettiva heideggeriana questa storia superiore? Essa è la storia aperta dall’oltreuomo nella misura in cui supera la storia dell’incompiutezza della soggettivizzazione della totalità dell’essente. Il super- uomo oltrepassa l’uomo perché realizza il pro-getto dell’essente come tale e in totale sul fondamento di ciò che come volontà di potenza non può non illuminare il tutto dell’essente.

Osserviamo prima di tutto come questo giudizio sull’opera nietzscheana risalga agli anni 1946-48, cioè agli anni nei quali il filosofo di Meßkirch aveva realizzato la parte più rilevante del confronto con Nietzsche. Si tratta pertanto per noi di uno scritto che ci consente di valutare l’interpretazione heideggeriana da una pozione privilegiata. A tal riguardo osserviamo, inoltre, come il notevole studio Nietzsches Wort “Gott ist tot (La parola di Nietzsche “Dio è morto”) risalga al 1943.

Il fatto di meditare sulla metafisica di Nietzsche non significa che ora noi prendiamo in considerazione – oltre alla sua etica, alla sua gnoseologia e alla sua estetica – anche se prima di tutto la sua metafisica, ma significa soltanto che tentiamo di prendere sul serio Nietzsche come pensatore. Pensare significa però, anche per Nietzsche: rappresentare l’essente come essente. Ogni pensare metafisico è onto- logia, oppure non è» (Daß wir uns auf nietzsches Metaphysik besinnen,

heißt nicht, daß wir jetzt neben seiner Ethik und seiner Erkenntnistheorie und seiner Āsthetik auch und vor allem die Metaphysik berücksichtigen,

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sondern heißt nur: daß wir versuchen, Nietzsche als Denker ernst zu nehmen. Denken aber heißt auch für Nietzsche: das Seiende als das Seiende vorstellen. Jedes metaphysische Denken ist Onto-logie ode res ist überhaupt nichts).69

Qui e dopo una lunga e tormentata riflessione sull’opera di Nietzsche, Heidegger è lapidario nel valutarla come un’opera di metafisica nel senso più genuino del termine: «ogni pensare metafisico [anche quello di Nietzsche] è ontologia, oppure non è» (Jedes mataphysiches Denken ist Ontologie, oder es

ist überhaupt nichts). Ecco il senso della lettura heideggeriana del pensiero di

Nietzsche: questi ha pensato metafisicamente, ovvero onto-logicamente. Ha cioè pensato la posizione dell’essere dell’essente, ponendosi pienamente nella traiettoria - fondata da Platone – del sapere metafisico dell’Occidente. Per Nietzsche pensare significherebbe «rappresentare l’essente come essente» (das

Seiende als Seiende vorstellen). Nietzsche – parafrasiamo – stellt das Seiende als Seiende vor - , e ciò facendo, rientra a pieno titolo in quella direzione meta-

fisica che iniziata con l’ontologia platonica dell’idea, subisce una torsione epocale con il pensiero di Cartesio.

Nietzsche – continuiamo a parafrasare - stellt das Seiende als Seiende

vor, d. i. er stellt die Wahrheit des Seienden als das Sein des Seienden vor. Daß Nietzsche auf dieser Weise das Seiende vor-stellt, heißt, daß da Nietzsche das Seiende in seiner Wahr-heit als wille zur Macht und ewige Wiederkehr des Gleichen vor-stellt. Nietzsche rappresenta l’essente come essente (ens qua ens, Seiendheit des Seienden), cioè rappresenta la verità dell’essente come l’essere

dell’essente. Che Nietzsche rappresenti in tal guisa l’essente, significa che qui l’essente è rappresentato nella sua verità come volontà di potenza ed eterno ritorno dell’uguale. Il senso più profondo della parola ‘Dio è morto’ sta per Heidegger in un che di positivo. Che Dio sia morto, significa per lui che l’uomo (l’uomo folle) vuota il mare bevendolo fino all’ultima goccia; che l’uomo usa la spugna per strofinare via l’intero l’orizzonte. La formulazione teologica negativa rinvia cioè ad un fondamento positivo, ad una formulazione positiva della sentenza: Dio è morto significa che gli uomini l’hanno ucciso, che gli uomini

69

M. Heidegger, La parola di Nietzsche “Dio è morto”, in id., Holzwege. Sentieri erranti nella selva, trad. it. e cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2012, p. 487. Per il brano in lingua tedesca si veda p. 486.

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bevono il mare fino all’ultima goccia: bevono cioè il mare dell’essere in quanto lo pongono sotto lo sguardo metafisico (lo sguardo nel quale l’essente è illuminato dalla luce della verità di ciò che esso è in quanto tale e in totale). Che l’uomo folle beva il mare fino all’ultima goccia significa che egli ha in vista ciò da cui nessun essente può sporgere, poiché illuminato dalla luce che lo mantiene nella raccolta in cui cade qualsiasi essente.

Come accordare tutto ciò con le questioni fondamentali tematizzate nel confronto con Schopenhauer? Che cosa ne è del merito che Nietzsche riconosce a Schopenhauer relativamente all’ateismo scientifico? Quali i nessi tra il contenuto del messaggio dell’uomo folle e quello della scientificità della posizione ateologica schopenhaueriana? La parola dell’uomo folle è forse la parola di chi fa tesoro della scientificità guadagnata dall’ateologia del genio di Danzica? Com’è in altri termini possibile che negli stessi anni in cui Nietzsche pensa i contenuti di Aurora e della Gaia scienza, da una parte riconosca il merito del carattere scientifico dell’ateismo di Schopenhauer, e dall’altro ponga come vera e definitiva la confutazione storica dell’esistenza di Dio?

Come già detto, alla lettura severiniana del Nietzsche del periodo di

Aurora possiamo in questa Seconda parte solo accennare. L’accenno consente

però di rilevare come il filosofo italiano, allorquando tematizza la posizione di Nietzsche relativamente all’esistenza del dio cristiano, punta diritto sull’aforisma di Aurora sin qui preso in considerazione. In ciò compiendo un’operazione che sembra non essere tenuta in conto dal filosofo di Meßkirch. Ė forse nel modo in cui il primo mette in questione la tesi della definitività della confutazione storica sostenuta da Nietzsche, a consentirci di iniziare a tratteggiare la profonda differenza tra l’ontologia severiniana e quella heideggeriana? È forse sul fondamento della loro diversa presa di posizione rispetto a quella tesi che è possibile guadagnare un privilegiato punto di vista sulla diversità delle loro filosofie? Sono insomma le questioni della teologia e dell’ateologia quelle che, se approfondite, dischiudono il senso più intimo dell’ontologia severiniana quale affermazione dell’eternità dell’essente?

Si potrebbe supporre che la parola “Dio è morto” esprima un’opinione dell’ateo Nietzsche, e sia perciò solo una posizione personale e pertanto unilaterale e quindi anche facilmente confutabile:

96 basterebbe rinviare al fatto che oggi ovunque ci sono molti uomini che

frequentano le chiese e affrontano le pene della vita con una fede in Dio cristianamente determinata. Resta però la questione se quella parola di Nietzsche non esprima piuttosto la parola che viene già sempre inespressamente detta all’interno della storia metafisicamente determinata dell’Occidente. Prima di qualsiasi presa di posizione avventata, dobbiamo tentare di pensare la parola “Dio è morto” così come essa è intesa. Faremo quindi bene ad astenerci da ogni sventato fraintendimento che subito si impone quando udiamo quella terribile parola.70

Ci domandiamo se queste parole heideggeriane non cadano in contraddizione con il significato che abbiamo iniziato a delucidare nella tematizzazione della tesi della confutazione storica come definitiva. Eppure nel 1881 Nietzsche considera definitiva la confutazione storica contro la confutazione scientifica di Schopenhauer. Come fare a risolvere la problematicità di tale intreccio? Come è possibile tenere insieme le diverse posizioni in gioco? Bisogna forse sperare di guadagnare una posizione diversa a partire dalla quale neutralizzare la carica di contraddittorietà che sembra investire l’intreccio speculativo or ora accennato? Di più: ci domandiamo ancora una volta come sia possibile che, tra l’altro, la lettura heideggeriana della parola dell’uomo folle, sia la lettura di un aforisma che ne La gaia scienza segue da vicino l’aforisma nel quale si pone al centro dell’elenco dei meriti di Schopenhauer, quella della fermezza e rigore (scientificità) «nelle questioni

della Chiesa e del dio cristiano» e si ponga al centro dell’elenco dei suoi

demeriti «l’indimostrabile teoria di una volontà unica» come teoria capace di dare soluzione all’enigma del mondo.

Il modo in cui Heidegger ironizza sul gran numero di uomini che «oggi ovunque frequentano le chiese», ha proprio lo scopo di ridurre la portata della tesi della confutazione storica. Il che è esattamente ciò che Emanuele Severino non fa e non può fare.

Questo intreccio è ulteriormente problematico ove si consideri un’altra delle figure speculative che hanno accompagnato Nietzsche nella fase della maturità, ovvero quella che trova la sua massima espressione nel capitolo del

Crepuscolo degli idoli dedicato alla differenza tra “mondo vero” e mondo

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apparente; una differenza sulla quale Martin Heidegger non ha mancato di richiamare l’attenzione sin da uno dei suoi primi lavori su Nietzsche, La volontà

di potenza come arte.

È dunque l’uomo folle lo stesso che riconosce il mondo vero come ‘mondo vero’? E il mondo vero diventa ‘mondo vero’ in ragione della capacità dell’uomo folle di bere il mare fino all’ultima goccia? È la capacità dell’uomo di bere il mare fino all’ultima goccia la storia della trasformazione del “mondo vero” in favola? Dobbiamo domandarci se con tutto questo siamo di fronte alla confutazione storica o di fronte alla confutazione scientifica; se cioè il “mondo vero” diventi favola perché semplicemente lo si enuncia o perché lo si dimostra scientificamente. Ci domandiamo in altri termini se sia in generale possibile tener ferma, da una parte la confutazione data dalla storia – il venir meno della fede in Dio e in un mondo vero (ultraterreno, sovra-storico, trascendente) -, e dall’altra l’affermazione della morte di Dio come effetto della capacità dell’uomo di ucciderlo sul fondamento della capacità di coprire l’orizzonte, cioè sul fondamento – questa la tesi heideggeriana – della interpretazione dell’essente, alla luce della posizione della questione dell’essere dell’essente. C’è da domandarsi come sia possibile coprire l’orizzonte dell’essente senza aver posto – secondo la prospettiva schopenhaueriana - scientificamente la questione di che cosa sia stato e di che cosa sia quell’altro mondo; quell’altro mondo che il maestro della volontà di potenza e dell’eterno ritorno, della morte di Dio e del superuomo ha trasformato in favola. Nella tradizione teologica occidentale quel mondo è stato concepito come mondo trascendente, rispetto al quale il mondo terreno – ossia quello apparente di Nietzsche – è ente creato.

Nella prospettiva heideggeriana non solo il pensiero di Nietzsche è eminentemente metafisico, ma lo è nel senso che in esso giunge a compimento il nichilismo autentico della storia occidentale.

Pensato partendo dall’essenza del nichilismo, il superamento di Nietzsche è solamente il compimento del nichilismo. Per noi, più chiaramente che in ogni altra posizione di fondo della metafisica, vi si manifesta la piena essenza del nichilismo. Il suo carattere proprio è il rimanere fuori gioco dell’essere stesso. In quanto però nella metafisica

98 accade tale rimanere fuori gioco, questo carattere autentico non viene

ammesso in quanto carattere autentico del nichilismo.71

Nel pensare cioè l’ens qua ens come Wille zur Macht (essentia) e come

ewige Wiederkehr des Gleichen (existentia), il pensare di Nietzsche si colloca in

modo eminente nella traiettoria dell’onto-teologia occidentale. In questo senso il pensare di Nietzsche punta all’Essere pur non essendone adeguatamente consapevole. Il non esserne adeguatamente consapevole, il fatto cioè di non aver saputo di aver avuto di mira l’Essere, porta Nietzsche a dare un volto ontico, ossia a configurare, determinare onticamente l’Essere. Il fatto poi che questa determinazione sia però la stessa ritrazione (Ent-zug) dell’Essere - il quale proprio in quanto è questa sottrazione rimane fuori dai giochi del pensiero di Nietzsche -, spiega il nichilismo autentico di Nietzsche. Nella misura in cui Nietzsche risponde all’Ent-zug dell’Essere, egli risponde e corrisponde al non- essere alcuno degli essenti da parte dell’Essere.

Nulla deve sporgere dalle figure della volontà di potenza e da quella dell’eterno ritorno dell’uguale. L’uomo folle è capace di bere il mare fino all’ultima goccia proprio perché dà fondo all’essente, copre l’essente in quanto tale (ontologicamente). È in questo gesto che Dio (il mondo vero) muore e il mondo vero diventa favola. Alcune delle letture più rilevanti dell’opera nietzscheana sembrano porsi in una direzione differente da quella di Martin Heidegger. Allo scopo della delucidazione di almeno alcuni loro tratti fondamentali, di queste letture esamineremo le posizioni di Karl Jaspers e Wilhelm Weischedel dopo aver iniziato ad approfondire il modo in cui Heidegger determina la sentenza della “ morte di Dio” nello scritto del 1943 già richiamato. Se è vero che «la parola di Nietzsche nomina il destino di due

millenni di storia occidentale», è per noi di grande rilevanza capire in che senso

Heidegger intenda il contenuto della formulazione teologica negativa contenuta nel messaggio dell’uomo folle, e sulla base di questa comprensione iniziare a determinare il senso della distanza che corre tra la lettura heideggeriana di quell’annuncio e la lettura che ne danno pensatori come Jaspers e Weischedel. In un certo qual modo è lo stesso Heidegger a dettare la posizione stessa del

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confronto richiamando uno degli aforismi più densi della Gaia scienza del 1886, vale a dire Quel che significa la nostra serenità:

Il più grande avvenimento recente – che Dio è morto – che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile – comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa […]. In realtà noi filosofi e “spiriti liberi”, alla notizia che “il vecchio Dio è morto”, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d’attesa […].72

Quattro anni dopo il grande annuncio, Nietzsche avverte il bisogno – il testo è inequivocabile – di darne conferma, ed è una conferma che approfondisce la confutazione storica che già in Aurora era stata considerata con il carattere della definitività. Che Dio sia morto significa che «la fede nel Dio

cristiano è divenuta inaccettabile» (daß der Glaube an den christlichen Gott unglaubwürdig geworden ist). Non solo. Nel 1881-82 Dio muore e muore in

ragione della definitività della confutazione storica, ma nel 1886 tale definitività «comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa» (beginnt bereits seine

ersten Schatten über Europa zu werfen). Nella quinta parte della Gaia scienza,

ormai nella quinta parte, cioè nel 1886, la serenità è fondata sul fatto che la morte del Dio cristiano comincia a gettare le sue prime ombre sul continente europeo. Mi qui- sottolineiamo – Nietzsche parla del dio cristiano. Ma è proprio in ragione della certezza dell’identità dell’ente sommo della tradizione giudaico- cristiana (della tradizione la cui costellazione comprende le forme di teologia fondate sulla Scrittura) che pensatori della levatura di Wilhelm Weischedel hanno interpretato il testo nietzscheano. Anche Heidegger riconosce che «aus

diesem Satz wird klar, daß Nietzsches Wort von Tod Gottes den christlichen Gott meint»73, ma aggiunge «ma è non meno certo – e va anzi pensato in prima

istanza – che nel pensiero di Nietzsche i nomi Dio e Dio cristiano vengono usati per designare il mondo soprasensibile in generale» (Aber es ist nicht weniger gewiss und im vorauß zu bedenken, daß die Namen Gott und christlichen Gott