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Il movimento migratorio (1951-1974)

Emigrati, associazionismo e politiche regional

3.1 Il movimento migratorio (1951-1974)

La Sardegna dagli anni Cinquanta visse profondi cambiamenti che influirono con forza anche sulla mobilità della popolazione, sia all’interno dell’isola sia su quella diretta al suo esterno.

A partire da questa epoca si rafforzò il movimento emigratorio sardo che venne a configurarsi come un movimento di massa.

La quantificazione del fenomeno ha portato a conclusioni differenti, ma è possibile affermare che tra il 1946 e il 1976 risultano espatriati 109.430 sardi, oltre la metà dei quali (66.146) fece rientro nello stesso periodo490.

Attraverso l’applicazione di diverse metodologie di calcolo e quantificando l’emigrazione sui saldi migratori anagrafici e sui saldi tra partenze e arrivi si giunse a

488

Cfr. Girolamo Sotgiu, La Sardegna negli anni della Repubblica, cit.; Manlio Brigaglia, “Cronache del secondo novecento”, cit., p. 417.

489

Ivi, p. 147.

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una cifra di circa 180.000 unità491, considerata comunque non attendibile poiché risultava essere al di sotto del dato reale.

Un grado di precisione maggiore provenne dall’integrazione dei dati dei movimenti verso l’estero con quelli verso l’Italia continentale, opportunamente corretti, giungendo in questo modo a una quantificazione di circa 460.000 unità per il movimento migratorio dalla Sardegna nel periodo 1951-1971492. Si notò che anche questa cifra dovesse essere considerata come indicativa di una tendenza e non come un dato reale poiché, per esempio, teneva conto solo di quanti avessero effettivamente operato un cambio di residenza anagrafico, e mancava il dato riguardante l’emigrazione “individuale” o “libera”.

Il dato quantitativo era certo importante per fornire la misura del fenomeno, ma questa nuova ondata migratoria risultò caratterizzata da una maggiore «complessità» rispetto ai flussi precedenti, in riferimento alla valutazione del comportamento dei sardi emigrati493.

Questa “nuova emigrazione”, così è stata definita, che si manifestò tra il 1953 e il 1971, ebbe il suo momento di massima espansione tra il 1955 e il 1962, per poi ridiscendere progressivamente fino alla metà degli anni Settanta.

Un dato importante era la sua contemporaneità con il piano di sviluppo per la Rinascita economica e sociale della Sardegna, che solo apparentemente poteva risultare paradossale.

Le scelte di sviluppo adottate influirono negativamente in vari contesti e secondo modalità e tempistiche differenti.

La prima fase della nuova emigrazione, tra il 1953e il 1959, non era caratterizzata

dall’esodo contadino, bensì da quello proveniente dal settore industrializzato delle miniere, in particolare da quello del Sulcis-Iglesiente494. La seconda fase, tra il 1960 e il

1965, invece, coinvolse il settore contadino investendo soprattutto le zone centro- occidentali. La terzafase, dal 1966 al 1969 circa, comprese il mondo pastorale delle

491

Nereide Rudas, L’emigrazione sarda, cit., p. 23. 492

Ivi, pp. 24-25.

493

Pietro Crespi, Analisi sociologica e sottosviluppo economico, cit., 189. 494

Per una ricostruzione del movimento migratorio dal bacino mineriri del Sulcis-Iglesiente si veda Maria Luisa Gentileschi, “Movimenti migratori nei comuni minerari del Sulcis-Iglesiente”, in Ead. (a cura di),

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zone montuose centrali, mentre dal 1975, circa, il movimento migratorio coinvolse lavoratori specializzati diretti prevalentemente verso i Paesi in via si sviluppo495.

Il movimento migratorio verso l’Italia e verso l’estero si saldò con quello interno dell’isola diretto dalle zone altimetricamente più elevate alle pianure, e verso i poli di addensamento demografico che risultavano essere quelli degli insediamenti industriali. Il conseguente spopolamento delle zone interne colpì gradualmente l’intero territorio.

Le principali direttrici migratorie degli emigrati li videro dirigersi soprattutto verso i centri industriali dell’Italia settentrionale (Torino, Milano, Genova) e in minor misura verso il Lazio e le regioni dell’Italia centrale. Per quanto riguarda i Paesi esteri troviamo soprattutto le mete europee: Belgio, Francia, Germania, Olanda e Svizzera. Tra le principali destinazioni extraeuropee si segnalano gli Stati Uniti, l’Argentina e il Canada; in minor misura l’Australia. Progressivamente le mete americane perdettero d’importanza, sebbene nel periodo dell’immediato dopoguerra fossero considerate anche dai sardi le mete maggiormente ambite. I fattori contingenti, come la crisi argentina dei primi anni Cinquanta e le restrizioni degli ingressi per gli Stati Uniti, contribuirono a far prediligere i Paesi industriali dell’Europa occidentale, con i quali l’Italia, dal 1945 in poi, aveva avviato trattative per il reclutamento della manodopera.

Gli studi in merito alle caratteristiche socio-demografiche della popolazione migrante sarda dimostrarono come la fascia di età maggiormente rappresentata fosse quella giovanile, tra i 20 e i 40 anni e l’età media del migrante di 26 anni. Il livello di istruzione era maggiormente elevato rispetto alla popolazione sarda496, ma inferiore ai contesti di arrivo. Il livello di istruzione è un dato molto significativo poiché è un elemento che può condizionare il grado di partecipazione del migrante nella società di accoglienza497

495

Pietro Manunta, L’emigrazione sarda. Riflessioni sulla emigrazione tecnologica nella provincia di

Cagliari negli anni Ottanta, Cagliari, Società poligrafica sarda, 1998; cfr. Nereide Rudas, L’emigrazione sarda, cit.; Comitato scientifico d’indagine sull’emigrazione (a cura di), Indagine conoscitiva sulla emigrazione sarda, Cagliari, novembre, 1987, documento reperito presso l’Assessorato del lavoro,

formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale. 496

I laureati e diplomati emigrati corrispondevano al 7,21%, mentre la media corrispondente della popolazione sarda era del 4,29%, cfr. Nereide Rudas, L’emigrazione sarda, cit., p. 67.

497

Cfr. Francesco Alberoni - Guido Baglioni, L'integrazione dell'immigrato nella società industriale, Bologna, Il Mulino, 1965.

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Inoltre, una caratteristica del movimento migratorio sardo era costituito dalla forte componente femminile, che non si discostava di molto dal rapporto tra popolazione femminile e maschile residente in Sardegna (100 femmine ogni 110 maschi). Questo dato mostrava che la donna partecipava al fenomeno migratorio come soggetto autonomo, indipendentemente dall’appartenenza a un nucleo familiare.

Per quanto riguarda la condizione professionale, si è osservato che, mentre il 5% apparteneva al settore agricolo, il 15% a quello industriale e il 20% in altre attività, il 60% era invece in condizione non professionale. Il 79% era lavoratore dipendente mentre solo una minima parte poteva annoverarsi tra i lavoratori autonomi498. Il quadro socio-professionale della popolazione migrante sarda rispecchiava la mancanza di specializzazione che caratterizzava il “lavoratore” sardo che aveva sempre dovuto sempre adattarsi a svolgere più attività: una eccessiva specializzazione ne avrebbe compromesso la capacità di reperire risorse utili per la sua sopravvivenza.

Immigrazione sarda a Milano per classi di età:

Gruppi di età Immigrazione complessiva (1968) Immigrazione sarda (1969) Popolazione milanese (1961) Fino a 5 anni 12,22 10,31 7,28 Da 6 a 14 anni 11,22 6,67 9,72 Da 15 a 24 anni 24,16 39,20 14,58 Da 2 a 34 anni 26,79 31,13 16,46 Da 35 a 54 anni 18,10 9,05 30,83 Oltre 55 anni 7,60 3,64 21,13 totale 100,00 100,00 100,00

Fonte: Centro Comunitario Emigrati Sardi (CE.COM.ES.), Documento al Convegno regionale

dell’emigrazione, Alghero, 20 gennaio 1972 (Ciclostilato), cit. in Nereide Rudas, L’emigrazione sarda, cit.,

p. 56.

Le conseguenza della “nuova emigrazione” per un contesto di partenza come quello sardo, caratterizzato da una bassa densità demografica e da uno sottosviluppo economico, è stata valutata indubbiamente in modo negativo. Innanzitutto per avere acuito il problema dello spopolamento delle aree interne, per avere privato il mercato del lavoro isolano di una parte della popolazione nel pieno dell’età lavorativa e

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mediamente più istruita e preparata e, per avere inciso sulla «frattura dell’unità familiare» e sulla «dissoluzione della società rurale nel suo passaggio a forme organizzative industriali»499.