• Non ci sono risultati.

Il movimento circolare prevede che, al termine del ciclo di auto-conversione, ogni realtà inferiore possa comunicare con la superiore, nella misura in cui è la seconda a tendere verso la prima. Lo stesso rapporto descrive tanto la connessione tra Dio e le intelligenze quanto il contatto tra queste e l’anima.

Il modello fin qui introdotto stabilisce che, per ciascun ente ordinato a Dio secondo la conoscenza, ogni realtà superiore comunica direttamente con quella inferiore solamente se quest’ultima le è prossima (propinqua). In altri termini, qualsiasi ente è in contatto (coniunctus) soltanto con quello immediatamente superiore e non può saltare un anello della catena di mediazione. Così, l’anima sensitiva comunica con quella vegetativa senza che quest’ultima entri in contatto con la modalità del conoscere; l’anima razionale comunica con l’anima sensibile senza che quest’ultima comprenda la

92

modalità dell’intellezione; le intelligenze comunicano con l’anima razionale senza che essa enti in contatto con la modalità della visione di Dio.209 Inoltre, nessun ente ordinato a Dio secondo la conoscenza trascende i limiti della modalità conoscitiva che gli è propria ma, in virtù del contatto con una realtà superiore, ne partecipa secondo i limiti delle proprie capacità. Infatti, come l’anima sensitiva comunica con quella razionale senza assumere conoscere a sua volta al modo della razionalità, così l’anima razionale non assume la modalità dell’intellezione nel comunicare con le intelligenze, ma guarda al contenuto dell’intellezione angelica in maniera conforme alla propria natura.210

In questo modo Alberto nega la possibilità di un contatto diretto dell’anima con Dio, la quale necessita sempre di una mediazione dall’esterno.211 Ciò non esclude affatto la certezza di una conoscenza di Dio in via ma, al contrario, apre la strada alla sua elaborazione:

Ad aliud dicendum quod quantum ad dona participata potest anima esse aequalis angelo, quantum tamen ad modum participandi numquam secundum statum viae, quia anima accipit in speculo et aenigmate et sub continuo et tempore, angelus autem non.212

Un medesimo contenuto - il raggio della bontà divina - attraversa gli enti disposti proporzionalmente secondo il principio del conoscere: la struttura di queste mediazioni non determina una conoscenza unitaria, ma per analogiam.213

209 Ivi, c. 4, p. 133, 20-27. 210 Ivi, c.4, p. 122, 39 sqq.

211 Alberto riconferma in queste pagine l’allontanamento dal modello di interiorità agostiniano

di cui si è avuto modo di parlare nei precedenti capitoli (supra § 1.2 e § 2.2). L’anima nel ricongiungersi a Dio deve mediare con le realtà poste al di fuori di sé. A tal proposito si veda l’obiezione del terzo opponens nella quaestio LXXVII e la rispettiva risposta di Alberto: «Item Augustinus dicit quod inter mentes nostras et deum nihil est medium, et loquitur de medio dignitatis et non per modum quo habitus sunt medii, cum mens nostra multis habitibus perficiatur. […] (Resp.) Patet solutio ad illa tria, quia quantum ad hunc secundum modum considerandi aequalitatem anima non est immediata et deficit secundum hoc a similitudine primi, et ideo quoad modum percipiendi non est imago eius.», Alb., sup. div. nom., c. 4, § 24.

212 Alb., sup. div. nom., c. 4, p. 131, 57-61. 213 Supra p. 89.

93

In definitiva, attraverso l’analisi del bonum condotta nel capitolo IV del Super de

divinis nominibus Alberto ha stabilito in che modo è possibile risalire a Dio a partire

dallo studio della realtà creaturale. L’atto unitario con cui Dio ha creato l’universo può essere studiato nel rispetto del modello causale precedentemente elaborato. In questo modo, l’anima non risale in maniera univoca alla Causa Prima, ma tiene conto delle distinte modalità secondo cui le creature si dispongono rispetto alla causa. Queste sono riducibili a due schemi causali, ossia quello secundum suam intentionem e quello

secundum sui aliquam determinationem.214

Nella conclusione di questo lavoro mostrerò che entrambi gli schemi consentono ad Alberto di risalire alle perfezioni della realtà creata e di risolvere razionalmente il problema della predicazione sostanziale di Dio.

94

Prima divisione (Schema causale)

Seconda divisione

Terza divisione Causalità

divina BONUM SECUNDUM SUAM INTENTIONEM (I) SECUNDUM RATIONEM ABSTRACTIONIS EMINENS SECUNDUM RATIONEM CONCRETIONIS EXEMPLARIS- FORMALIS BONUM SECUNDUM SUI ALIQUAM DETERMINATIONEM (II) MOTIVUM ANIMAE SECUNDUM INTELLECTUM SIMILITUDO DIVINAE BONITATIS AD LUMEN CORPORALIS SECUNDUM SUAM DISPOSITIONEM AD FORMAM E F F I C I E N S OMNIS MOTUS ET STATIONIS SECUNDUM COLLOCATIONE M IN RATIONE PULCHRI ET BONI SECONDUM SUAM DISPOSITIONEM AD UBI MOTIVUM ANIMAE QUANTUM AD AFFECTUM FINALIS

95

Conclusione

P

ER UNA TEOLOGIA RAZIONALE: I NOMI DIVINI

Sulla scorta dell’analisi fin qui condotta occorre rispondere al problema lasciato aperto all’inizio del secondo capitolo, ossia spiegare in che modo l’anima deduca razionalmente che in Dio esistono più qualità essenziali irriducibili a ciò che è semplice.215

Ciò permetterà di cogliere la relazione tra la realtà divina e i suoi attributi sostanziali e costituirà il fondamento della teologia razionale affermativa.

Alberto ha bisogno di un termine che esprima la semplicità divina e gli consenta di nominarla affermativamente secondo i diversi gradi della realtà creata (modus

compositivus).216

Tuttavia questo procedimento è impossibile in assenza di un primo termine della composizione. Adesso, nella misura di quanto disposto secondo l’ordine della conoscenza, l’anima attraverso il procedimento analitico (modus resolutivus) deve risalire alle perfezioni della realtà creata per cercare se tra queste esista un termine tale da designare Dio in senso proprio. Il primo passo dell’indagine consiste nell’esame della realtà creaturale. Tramite l’applicazione degli schemi causali precedentemente individuati Alberto risale alle perfezioni dell’Opera divina.

Nel precedente capitolo, una volta descritta l’azione divina secondo un adeguato modello causale, è stato stabilito che l’intera realtà creaturale è il prodotto di un unico atto. Questo dal nulla dà vita ad una materia inseparabile dalle sue prime disposizioni e fa sì che tutte le forme siano edotte gradualmente in essere.217

L’ordine della conoscenza rientra in quello dell’essere: secondo gradi diversi le sostanze dotate di conoscenza comunicano tra loro, nei limiti in cui le realtà inferiori possono guardare a quelle superiori. Poiché l’anima non è direttamente connessa a Dio, questa non può risalirvi senza la mediazione angelica. Quest’ultima non consiste nell’estensione della 215 Supra § 2.

216 Supra § 1.1. 217 Supra § 3.2.

96

propria capacità di visione alle realtà inferiori ma, al contrario, l’anima razionale entra in contatto con l’oggetto mediato dalle intelligenze superiori quando porta a perfezione il desiderium caratteristico della sua specie.218

Raggiunto l’apice della conoscenza l’anima pone se stessa in linea di continuità con l’atto dell’illuminazione divina. In ciò consiste la virtù degli autori divinamente ispirati che, attraverso le Scritture, hanno tramandato gli strumenti per risalire correttamente a Dio, ossia i nomi divini. Questi attributi sono lo strumento attraverso cui l’uomo può ambire a impadronirsi in forma discorsiva dello stesso oggetto contemplato dagli angeli, ovvero la stessa realtà divina nella misura del suo offrirsi.

L’indagine finora condotta attorno al termine bonum ha fornito gli strumenti per risalire a due tipi di conoscenza razionale di Dio: l’una conosce la realtà divina nella sua assoluta semplicità ed eminenza (secundum suam intentionem), l’altra guarda alla realtà divina per come essa determina le realtà superiori (secundum aliquam sui

determinationem). Questi due procedimenti consentono di risalire alle perfezioni della

realtà creaturale, ossia alla natura stessa intelligenze espressa dai nomi divini. Questi ultimo non sono tra loro equivalenti, ma ciascuno si riferisce a un diverso modo di intendere Dio secondo il procedere del suo atto creativo. A tal scopo, occorre guardare alla disposizione degli attributi che denotano le distinte modalità del procedere creaturale dalla Causa Prima (processiones speciales) che Alberto introduce una volta conclusa l’indagine sul nome bonum:219

Completo tractatu de nomine quod est bonum, quod nominat condicionem causae, secundum quam est productiva universaliter omnium processionum, in parte ista incipit determinare de nominibus, quae nominant causam secundum speciales processiones ipsius. Et dividitur haec pars in partes duas […] quia quaedam nominant substantiam, […]

quaedam vero nominant id quod assequitur substantiam.220

218 Supra § 3.3.

219 Vedi Appendice I, tavola 3.

97

Il teologo domenicano dispone gli attributi di Dio nell’ordine seguente. I primi due nomi, ossia ens e vita, sono riferiti rispettivamente a Dio in ragione del procedere dal nulla di tutte le cose in generale e, in particolare, dei corpi animati.221

Questi primi due attributi, dunque, esprimono la semplicità eminente della realtà divina astratta dall’anima. Quest’ultima in un primo momento conosce l’essere e la vita secundum

rationem concretionis e, successivamente, apprende che Dio è al di là delle stesse

perfezioni della realtà creata. Di conseguenza il teologo definisce Dio existens e vita

secundum rationem abstractionis.

Un secondo raggruppamento di attributi, invece, esprime quanto l’anima conosce della realtà divina secundum sui aliquam determinationem. Questi nomi designano ciò che può essere aggiunto alla considerazione dell’ente secondo le diverse perfezioni create (id quod assequitur naturam). Questi nomina assequentia sono divisi, a loro volta, secondo due categorie di perfezione che l’anima coglie nelle realtà superiori:

- ciò che esprime la perfezione delle potenze dell’anima;

- ciò che esprime la perfezione del governo divino di tutte le cose.222

221 Il capitolo 5 è dedicato all’analisi del nome ens, ossia l’espressione dell’esistente: «prima causa

formalis et communis eorum quae dicunt naturam Alb., sup. div. nom., c. 6, p. 327, 3-6.» Il termine vita, come determinazione particolare del precedente, è l’oggetto del capitolo 6.

222 La prima distinzione in seno ai nomina assequentia riguarda gli attributi che saranno trattati

rispettivamente nei capitoli 7-10 e 11-13. La ragione della loro divisione può essere ricavata tanto dal modo in cui essi vengono presentati nel capitolo 7, quanto dalla medesima divisio textus riproposta nel capitolo 10. Tuttavia, occorre tener presente che la prospettiva del capitolo 7 è tagliata sulla considerazione dell’anima. Così, il primo raggruppamento di nomi segue la considerazione dell’articolazione interna dell’anima (id quod assequitur animam secundum

partes), mentre il secondo coinvolge l’anima nella sua interezza (ea quae assequuntur totam essentiam animae). Vedi Alb., sup. div. nom., c. 7, § 1. Tuttavia, gli attributi di quest’ultimo gruppo

- pax, sanctum sanctorum, perfectum e unum - non si ricavano soltanto dalla considerazione dell’anima, seguono la constatazione della perfezione di ogni cosa secondo l’ordine divino. Per un approfondimento su quest’ultima sezione e sul ruolo degli schemi dionisiani nella definizione della sovranità divina elaborata da Alberto, vedi S. Perfetti, Adveniat regnum tuum.

Dionysian schemes of divine kingship and foundation of the ‘political’ in Albert the Great’s commentary on Matthew 6:10, «Divus Thomas» 122 (2019), pp. 79-112.

98

Gli attributi del primo gruppo sono tratti dalla perfezione di ciò che è ordinato secondo la vis cognoscendi:

In prima ergo parte determinat de nominibus, quae secundum rationem nominum dicunt id quod assequitur animam secundum partes […] Prima iterum dividitur in duas; primo determinat de nominibus quae significant perfectiones potentiarum intra, secundo de his quae significant assequens potentias extra per modum mensurae […] Et quia natura intellectiva dividitur tantum in duas potentias, scilicet in intellectum et voluntatem sive affectum, ideo prima pars dividitur in duas; primo determinat de nominibus quae significant perfectiones intellectivae partis, secundo de perfectionibus affectivae.223

Alcuni attributi indicano le perfezioni interne (ad intra) all’anima, ossia quelle che ordinano quest’ultima alla conoscenza di Dio (ad intellectum) e quelle che la ordinano al desiderio della realtà divina, ossia la volontà (ad voluntatem). Altri, invece, non si ricavano da alcuna perfezione, ma sono una potenza ricevuta dall’esterno (ad extra). Questa potentia ad extra è ciò in virtù di cui tutte le intelligenze superiori si rivolgono al medesimo principio e coincide con il contenuto positivo che l’anima a cui l’anima può risalire circa la natura di Dio nel momento in cui fa convergere la ragione verso il contenuto dell’intellezione celeste. Per risalirvi, dunque, è necessario esplicitare dapprima in che cosa consista la perfezione della conoscenza ad intra.

Nel capitolo 7 il teologo domenicano fonda una distinzione tra la facoltà intellettiva e l’inferiore facoltà razionale:

[…] ponuntur duae partes intellectivae potentiae, scilicet mens, quae est superior pars, quae etiam dicitur intellectus qui est proncipiorum, secundum quod mens dicitur a metiendo eo quod principia sunt mensura quodammodo principiatorum secundum quod notificant ipsa, et ratio, quae est inferior et collativa, deducens principia in principiata.224

223 Alb., sup. div. nom., c. 7, p. 337, 10-26. 224 Ivi, c. 7, p. 337, 29-36.

99

Nell’ordine gerarchico del reale, le potenze superiori sono definite mentes in virtù del loro essere causa di conoscenza per quelle inferiori che, secondo il funzionamento del modello di causalità già affrontato, risalgono ai principi a partire dalle realtà causate (principiata). La capacità di risalire a ciò che nella causa è unito a partire dalla sua rarefazione negli effetti, prende il nome di vis collativa ed è il compito precipuo dell’anima razionale. In tal modo, anch’essa è in grado di comprendere l’oggetto che le intelligenze angeliche intuiscono immediatamente mediante la vis intellectiva. La ratio, infatti, ha la capacità di formulare dimostrazioni in cui dissolve il composto nel semplice e il dopo nel prima, e così può risalire ai princìpi senza rimanere esclusa dalla conoscenza di Dio.225

Nella quaestio CCXXIX Alberto dimostra che l’anima può risalire a una conoscenza affermativa della realtà divina. In prima battuta, il funzionamento stesso della vis collativa sembrerebbe escludere questa possibilità dal momento che, per risalire alle realtà superiori, la ratio muove attraverso i rapporti proporzionali tre queste e quelle inferiori, ma di Dio non si dà alcuna proporzione. Allo stesso modo si può dubitare del fatto che Dio sia oggetto della vis intellectiva, poiché nessun intelletto creato può comprendere ciò che è infinito e, ugualmente, non si dà conoscenza parziale della semplicità divina priva di parti. Per risolvere il problema, Alberto muove dal fatto che due oggetti si sottraggono alla conoscenza razionale: la materia in virtù della propria imperfezione e Dio a causa della propria eminenza. Da questa premessa, però, non segue che all’anima sia negata qualsiasi conoscenza della realtà divina:

225 Alberto solleva la quaestio CCXXIII allo scopo di chiarire che l’anima non è esclusa dalla divina

cognitio in grazia della propria capacità deduttiva. Nella riconduzione del molteplice alla

100 Et haec quidem dicuntur non comprehendi perfecto intellectu, quia cognoscimus de ipsis tantum ‘quia est’ et non ‘quid est’; sed quicquid sit de aliis, de deo certum est quod non cognoscimus de ipso ‘quid est’, sed tantum ‘quia est’, et hoc etiam confuse, quia intellectus noster non tangit terminum eius. 226

Senza che ci sia bisogno di conoscerne il quid

est, ammessa anche l’incapacità dell’intelletto

di coglierne i termini e stabilito, addirittura, che non se ne può avere altro che una conoscenza confusa, in nessun modo è possibile negare la certezza del quia est che costituisce di per sé un contenuto conoscitivo.

FIGURA 4: Apice e limite della

conoscenza circolare dell’anima.

Così, Alberto continua, questa stessa certezza rimanda a un quid est della realtà divina:

Et si dicatur quod ‘quid est’ non invenitur nisi in his quae habent diffinitionem quae omnia sunt composita, deus autem simplex est et ita non habet ‘quid est’ et ita ignorantes ‘quid est’ ipsius nihil ipsius ignoramus, dicendum quod non solum de diffinitis scimus ‘quid est’, quae habent quidditatem, quae explicatur per diffinitionem, sed etiam de quolibet diffinientium quorum unumquodque est quiditas ipsa, quae tamen tota clauditur et accipitur per intellectum nostrum. Similiter et deus est quiditas et essentia quaedam, quamvis non habeat quiditatem per modum compositorum; tamen quiditas eius non clauditur nec accipitur in intellectu nostro, et ideo dicitur, quod nescimus de ipso ‘quid est’.227

226 Alb., sup. div. nom., c. 7, p. 356, 32-45. 227 Ivi, p. 356, 45-59.

101

L’anima riconosce che l’intelletto non può racchiudere il quid est divino, ma non può neanche negare che questo quid est esista, perché non può che riconoscervi ciò in grazia di cui (quo) tutte le cose sono una certa quiddità definita.

Ciò dipende dal fatto che l’anima all’apice della propria conoscenza circolare, ossia quando raggiunge la conoscenza delle perfezioni creaturali entra riconosce una potenza ricevuta dall’esterno (potentia ad extra). Questa potentia ad extra è ciò in virtù di cui tutte le intelligenze superiori si rivolgono al medesimo principio e coincide con il contenuto positivo a cui l’anima può risalire circa la natura di Dio nel momento in cui fa convergere la ragione verso il contenuto dell’intellezione celeste.

Alberto si spinge ancor oltre nella definizione di questo quo che, in virtù della propria connotazione positiva, può essere espresso mediante un attributo. La quasi totalità di nomi divini del testo dionisiano può essere ricavata dalla realtà creaturale e attribuita a Dio soltanto secondo un certo grado di imperfezione. Questi possono essere conosciuti solo a partire dall’indagine della realtà creata e, dunque, per essere attribuiti a quella divina devono perdere la ratio sotto cui vengono conosciuti (per modum rerum

a quibus accipimus scientiam). Soltanto astraendoli dalle loro stesse ragioni l’anima può

riferirli a Dio secundum rationem abstractionis, ossia in ragione della Sua eminenza (per

modum eminentem).228

Al contrario, l’attributo di cui il teologo domenicano si serve per designare il quo divino gode della peculiarità di non mischiarsi affatto alla realtà creata. Viene introdotto così nel capitolo 10:

In parte ista intendit determinare de his quae extrinsecus adiacent potentiae sicut extra mensurantia […] Adiacent autem potentiae extra et obiecta, secundum quorum respectum

228 Nella quaestio CCXXXII Alberto nega la possibilità di riferire i nomi divini a Dio secondo le

stesse ragioni che si predicano degli enti: «Dicendum quod […] omnia ista nomina non dicuntur de deo secundum modum qui subest nostro intellectui, secundum quem significant nomina, quia iste est modus rerum a quibus accipimus scientiam, sed per modum eminentem.» Alb.,

sup. div. nom., c. 7, p. 361, 7-20. L’eminenza divina contiene tanto le ragioni ideali delle cose

contingenti che sono in Lui exemplariter, sia le ragioni secundum esse. Questi ultimi, come emerge dalla quaestio CCXXV, sono i princìpi della realtà creata mediante cui il mondo creaturale è strutturato in un solo modo e non altrimenti. Vedi Alb., sup. div. nom., c. 7, § 16.

102

dicitur omnipotentia, et mensura durationis quam importat aeternitas respectu divinae potentiae.229

L’attributo in questione si ricava dall’aeternitas divina che costituisce tanto l’oggetto privilegiato della visione angelica, tanto l’ultimo contenuto a cui la mente umana può pervenire nella sua conoscenza discorsiva di Dio.

Nella quaestio CCLI il teologo domenicano spiega in che cosa differisca l’attributo

aeternum rispetto a tutti gli altri.230

La ragione di questa differenza risiede nelle due distinte nozioni che stanno a fondamento del concetto di eternità, ossia quella di

omnipotentia e di mensura durationis, delle quali l’una è introdotta a supporto dell’altra.

Se l’eternità divina fosse definita soltanto come ‘misura della durata’, Alberto potrebbe riferire questo concetto a Dio esclusivamente a titolo eminente. Tuttavia, poiché tutti gli attributi sostanziali nel loro riferimento a Dio secundum rationem abstractionis sono privi di estensione (distensio), se tale fosse anche l’aeternitas divina, essa non sarebbe affatto mensura. La misura, infatti, deve essere sempre riferita ad una quantità e deve godere di una certa estensione. Il problema si risolve tramite l’introduzione della nozione di omnipotentia:

Solum autem potentia habet distentionem, in qua est accipere quantitatem virtutis sive ad tenendum se in esse semper sive obiecta quae sunt extra. Et ideo recte ponitur hic

aeternitas cum omnipotentia quasi mensura cum mensurato.231

Dio può essere detto mensura perché, in virtù della sua potentia, esercita la capacità di mantenere in esse la realtà creata che è ad extra, senza mischiarsi con essa.232

229 Alb., sup. div. nom., c. 9, p. 396, 7-13. 230 Ivi, c. 9, § 1.

231 Ivi, c. 9, p. 396, 52-57.

232 La potestas divina è il fondamento della peculiare virtus continendi, distinta precedentemente

da quella che si dispiega nei rapporti tra i corpi superiori e inferiori. Vedi Alb., sup. div. nom., p. 213, 37-44.

103

La nozione di aeternitas è l’unica ragione divina che può essere raggiunta dalla

Documenti correlati