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Il ms Palatino 564 e la tradizione della Tavola Ritonda

3.1 La tradizione manoscritta e l‟edizione Polidori

Nel precedente capitolo sono state individuate le peculiarità narrative e stilistiche che hanno contribuito a rendere la Tavola Ritonda «the only real Arthurian romance of the Italian Middle Ages274». Il romanzo ha goduto di una circolazione vasta e di un successo duraturo, come testimonia la sua tradizione manoscritta, decisamente superiore a quelli di qualsiasi altro volgarizzamento arturiano italiano. Se degli altri testi ci è giunto infatti un solo codice ciascuno, a conservare una redazione della Tavola Ritonda sono dieci testimoni, sebbene in alcuni casi incompleti o frammentari. Ripropongo qui la lista dei codici approntata da Delcorno Branca e riproposta da Punzi, con le rispettive sigle attribuite a ogni manoscritto da quest‟ultima275

:

1. Firenze, Biblioteca Mediceo-Laurenziana, cod. 44, 27 (= L1); II metà del XIV sec.; fiorentino.

2. Firenze, Biblioteca Mediceo-Laurenziana, cod. 43, 10 (= L2); 1447; fiorentino.

3. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, cod. Magliabechiano II, II, 68 (= M); 1391; fiorentino.

4. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, cod. Palatino 556 (= P1); 1446; lombardo. 5. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, cod. Palatino 564 (= P2); XV sec.; umbro. 6. Firenze, Biblioteca Riccardiana, cod. 2283 (= R); XVI sec.; fiorentino.

7. Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, ms. I, VII, 13 (= S); 1478; senese.

8. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urbinate lat. 953 (= U); inizio XVII sec.; fiorentino.

9. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6789 (= V); 1422; veneto.

10. Un frammento: Biblioteca Universitaria di Padova, ms. 609 + Biblioteca Arcivescovile di Udine, ms. 86; II metà XIV sec.; mano settentrionale.

L1 è un codice cartaceo, datato alla seconda metà del XIV secolo, composto da 106 carte276. Il manoscritto è acefalo, manca una sezione, probabilmente di otto carte, corrispondente ai primi undici capitoli dell‟edizione Polidori; vi sono state aggiunte tre carte

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D. Delcorno Branca, The italian contribution cit., p. 69.

275 D. Delcorno Branca, I romanzi italiani cit., pp. 32-36; si veda anche Ead., The italian contribution cit., in

particolare le pp. 69-72; A. Punzi, Per una nuova edizione cit., in particolare pp. 727-728.

276 Per la descrizione vedi Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine, Firenze, Sansoni, 1957, pp. 28-

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bianche all‟inizio e tre alla fine. Alla c. 74r si trova uno stemma rozzamente delineato che potrebbe essere della famiglia Bracciolini. Di mano fiorentina, fu giudicato come il testo migliore da Polidori, che lo pose a base delle sua edizione.

L2 è un codice cartaceo, datato 1447, composto da 147 carte. È acefalo, poiché manca la prima carta e la seconda è lacerata, ed è di mano fiorentina. Alla fine del codice si trova la data e la firma del copista: Questo libro si è d‟Antonio di Taddeo Mancini el quale lo scrisse

di sua mano propria, e fu finito adì 10 di giugno 1447 a ore 15. Rimase sconosciuto a

Polidori277.

M è un codice cartaceo, composto da 245 cc., miscellaneo, nel quale la Tavola Ritonda si trova alle cc. 1-158r; a questa seguono scritti di vario argomento, prevalentemente religioso e devozionale tra cui la Vita di Cristo e di alcuni Santi, orazioni da recitare in occasioni diverse278, miracoli della Vergine, l‟Apollonio di Tiro e un frammento volgarizzato della

Queste, corrispondente all‟inizio delle avventure del Graal279. Di lingua fiorentina, è datato al

1391, come dichiarato nell‟explicit, che riporta la data ma non il nome del possessore o del copista, che è stato cancellato: Questo libro [rasura] quartiere santo giovanni battista

gonfalone del vaio, e ffue chompiuto a ddi VI di dicembre 1391 e ebbi la chopia del fede chalzaiuolo e de‟ figliuoli. Si possono distinguere nel codice cinque mani280

; il testo della

Tavola Ritonda inoltre è postillato da una mano del XVI sec., con frequenti riferimenti volti a

sottolineare i parallelismi con l‟Orlando Innamorato e l‟Orlando furioso. Il manoscritto era noto a Polidori che lo utilizzò come termine di confronto con L1.

P1, di cui si parlerà ampiamente in seguito e di cui si dà qui solo una brevissima descrizione, è un codice membranaceo, composto da 172 carte. Datato al 1446, è di area lombarda (Cremona-Mantova). Il manoscritto è illustrato da 289 disegni a penna, e porta il titolo errato di «Storia di Lancillotto del Lago». Alla c. 172r compaiono la data e il nome del copista: [Qu]esto libro fato per Zuliano di Anzoli fo livro in MCCCCXLVI a di XX de luyo; il copista era di Cremona. Polidori conosceva il codice e ne pubblicò un saggio in appendice alla sua edizione; tuttavia non ne parlò, poiché probabilmente non lo considerava testimone della Tavola Ritonda.

277 Il codice fu infatti segnalato da P. Breillat, La Quête du Saint-Graal en Italie, in «Mélanges d‟Archéologie et

d‟Histoire de l‟École française de Rome», LIV, 1937, pp. 262-300, p. 285, nota 1.

278 Sono presenti preghiere per le più disparate occasioni, tra cui ad esempio una da recitarsi all‟elevazione

dell‟Ostia, e una al momento di estrarre l‟arma da una ferita.

279 Non è possibile capire dal breve frammento se si tratti di una traduzione fatta direttamente dal francese o se

sia una copia da una traduzione preesistente; in ogni caso il frammento è stato individuato come volgarizzamento del Tristan en prose da Delcorno Branca, secondo la quale il frammento dovrebbe appunto provenire dalla redazione della Queste inserita nel Tristan en prose, confermando la diffusione in Italia della redazione ciclica del Tristan. L‟opinione di F. Bogdanow è invece che il frammento sia un volgarizzamento della Vulgate Queste anziché del Tristan V.II. Cfr. D. Delcorno Branca, I romanzi italiani cit., p. 32 e pp. 42-44; F. Bogdanow, The

Italian Fragment of the «Queste del Saint Graal» preserved in the Biblioteca Nazionale Centrale, Florence, and its French source, in «Medium Aevum», LXIX, 2000, pp. 92-95. Il codice è descritto da G. Mazzantini, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d‟Italia, Forlì 1897-1908, VIII, pp. 178-179; Mostra di codici romanzi cit., pp. 120-121;

280 Così divise: I, cc. 1-34v; II, cc. 34v-106v; III, cc.106v-130v; IV, cc. 131r-138r; V, cc. 141r-158v; cfr. A.

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P2 è un codice cartaceo, datato al sec. XV, composto da 76 carte, acefalo e mutilo, umbro; di questo codice si parlerà ampiamento in seguito. Polidori ne pubblicò un saggio in appendice ma al pari di P1 e presumibilmente per le stesse ragioni non ne fece menzione.

R è un codice cartaceo, composto da 162 carte, datato al sec. XVI, di mano fiorentina. Il manoscritto è acefalo, e le carte 1r-1v, 15v, 16r, 157r-162r sono interamente bianche; mancano le cc. 4-5, 7, 9-13. Le prime cc. presentano inoltre numerosi spazi bianchi, conservando il testo in modo estremamente frammentario. Solo alla c. 16v comincia il testo ininterrotto del romanzo, corrispondente al cap. XII dell‟edizone Polidori. Il primo editore del romanzo riteneva che R fosse apografo di L1, ipotesi che trova conferma sebbene non si tratti di una copia pedissequa, come dimostrato dalla riscrittura cui il copista sottopone il sonetto scritto da Isotta per Tristano quando il cavaliere viene bandito dalla Cornovaglia, e il sonetto di risposta del protagonista, entrambi rimaneggiati dal copista per far fronte all‟edivente irregolarità dei versi281. Presumibilmente le prime carte, in particolare gli spazi lasciati bianchi, presentano alcune lacune dovute al manoscritto dal quale si traeva la copia, del quale Polidori ipotizzava per questo un cattivo stato di conservazione già all‟epoca in cui R fu copiato; si ricorda infatti che L1 è acefalo e, attualmente, la porzione di testo conservata inizia proprio in corrispondenza del capitolo XII dell‟edizione Polidori. Altre lacune sono invece dovute ad accidenti meccanici riguardanti R stesso, come la mutilazione delle cc. 9-13, scritte e strappate, delle quali resta qualche traccia. Alcune mutilazioni del codice non hanno invece avuto ripercussioni sul testo: le cc. 4, 5 e 7 ad esempio erano scritte e sono state strappate, ma il testo prosegue senza interruzioni. Alla fine del manoscritto, alla c. 162, si leggono quattro versi di mano diversa, che rappresentano probabilmente un‟espressione di gratitudine e adulazione di un lettore per il proprietario del libro che glielo ha prestato, forse un personaggio altolocato282: Letto i‟ ò pur questo volume degnio: / gratia infinita a chi me l‟ha

prestato; / per ben ch‟i‟ so che da tutti egli è amato, / e io d‟amarlo sempre me ne ingegno.

S è un codice cartaceo, composto da 188 carte, datato 1478, di mano senese283. Si tratta di un codice riassemblato nel quale, già in epoca antica, sono stati riuniti due esemplari in origine autonomi. La Tavola Ritonda si trova alle cc. 1-153, indicata come L‟Istorie della

Tavola Ritonda di Misser Tristano e di Misser Lancillotto e d‟Altri; segue l‟Ameto, indicato

come il Libro delle Ninfe Fiorentine di Ms. Giovanni Boccaccio. La prima carta del codice, mancante, è stata sostituita con una scritta da mano diversa e datata al XVI sec. Alla fine del codice si trovano la data e il nome del copista: Scritto per me Daniello di Gheri Bolgharini al

presente castellano di Montecchiello, questo di XX di maggio MCCCCLXXVIII iterum laudamus Deum cum chorde. Amen; la data del 1478 indica dunque quella di copia della

281 Sulla questione cfr. D. Delcorno Branca, I romanzi italiani cit., pp. 167-169; per una descrizione del codice

cfr. le pp. 34-35.

282 Polidori suggeriva addirittura Lorenzo il Magnifico o altri soggetti della famiglia de‟ Medici, ma senza alcun

elemento a supporto.

283 La descrizione del codice si trova in A. E. Quaglio, Un nuovo codice della Comedia delle ninfe fiorentine, in

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seconda parte del codice284. Da questo testimone Polidori trasse i primi undici capitoli della sua edizione, per integrare la parte mancante in L1.

U è un codice cartaceo, datato all‟inizio del XVII sec., forse al 1621, composto da 308 carte, che titola il testo Gesti de‟ Cavalieri della Tavola Ritonda285. Di mano fiorentina, è una copia pedissequa di M, del quale viene riportato anche l‟explicit. Il manoscritto rimase sconosciuto a Polidori.

V è un codice miscellaneo datato 1422, di mano veneta, ascrivibile all‟area di Verona, che Delcorno Branca ha identificato come quello utilizzato da Giovanni Cassini per la stampa ottocentesca della Morte di Tristano e della reina Isotta, descritta per Ventura de Cerutis (Parigi, Stamperia Dama Lacombe, 1854), nella quale l‟editore non aveva segnalato da quale manoscritto avesse tratto il testo286. V conserva un frammento dell‟ultima parte del romanzo che occupa le cc. 57v-59v, preceduto dall‟Historia destructionis Troiae di Guido delle Colonne, e narra il ritorno di Tristano in Cornovaglia e la morte degli amanti. È possibile, viste alcune importanti varianti del frammento che lo distinguono da tutti gli altri testimoni, che si tratti di un estratto del romanzo rimaneggiato forse dallo stesso Ventura da Cerutis, all‟epoca castellano di Montebello, che compare come copista287

; come si è visto già in precedenza, si tratta di una sezione della storia che poteva facilmente avere fortuna indipendente288. Per quanto riguarda i due frammenti conservati a Padova e Udine, si tratta di due carte provenienti dallo stesso codice, un «manoscritto di mano settentrionale della metà del XIV secolo e presentano un testo in littera bastarda disposto su due colonne289».

Dalla rassegna dei testimoni della Tavola Ritonda emergono tre dati in particolare: il primo è la tipologia dei codici. Sebbene questa sia abbastanza varia, infatti, si tratta in ogni caso per lo più di manoscritti non di pregio, tendenti piuttosto al prodotto di consumo, poco accurati, quasi tutti cartacei, in gran parte scritti in comuni mercantesche. Spicca l‟eccezione del Palatino 556, codice pergamenaceo di grande valore, corredato da disegni a penna, del quale non a caso è stata prodotta in anni recenti un‟edizione in facsimile290. Gli altri elementi importanti che emergono dalla rassegna riguardano la grande fortuna e diffusione, sia in termini temporali sia in termini geografici, del testo. In termini di collocazione temporale va evidenziato infatti che tre esemplari (L1 , M e il frammento di Padova/Udine) sono del XIV secolo; cinque (P1, P2, L2, V, S) sono del XV; uno, R, del XVI e uno, U, addirittura del XVII.

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Per quanto riguarda il copista Daniello di Gheri Bolgarini, Polidori rileva che esiste nell‟Archivio di Stato di Siena una lettera alla Signoria scritta il 1 novembre 1468 quando egli era castellano di Rocca di Cetona, e solo in seguito è divenuto castellano di Monticchiello. Cfr. anche A. E. Quaglio, Un nuovo codice cit., p. 11, nota 4.

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Per la descrizione cfr. C. Stornajolo, Codices Urbinate latini, II, Roma, 1912, p. 648. Un estratto di questo codice venne pubblicato da G. Bertoni in appendice nell‟edizione dei Cantari di Tristano cit.

286 Cfr. D. Delcorno Branca, I cantari di Tristano, in «Lettere italiane», XXIII, 1971, pp. 289-305, p. 294, nota

14.

287 Cfr. cc. 10v e 57r. 288

Cfr. D. Delcorno Branca, I romanzi italiani pp. 36-37.

289 R. Benedetti, Il Graal in un frammento udinese della Tavola ritonda, in La Grant Queste, pp. 44-45; la

trascrizione del frammento di Padova si legge in G. Mazzoni, Spigolature da manoscritti, in «Atti e Memorie della Reale Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova», n.s. IX, 1893, pp. 49-90.

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In aggiunta alla datazione dei codici vanno poi considerati altri elementi che confermano la circolazione e la lettura degli stessi in periodi successivi al loro allestimento, come le glosse di commento a M, che sono di mano cinquecentesca291. Allo stesso modo è indicativo che il testo della Tavola Ritonda, avendo attirato l‟interesse linguistico degli accademici della Crusca, sia tra gli excerpta raccolti da Leonardo Salviati per la prima edizione del Vocabolario, tratti da M e conservati nel ms. Riccardiano 2197292. Anche il ms. Palatino 564 è passato per le mani degli accademici della Crusca, come rivela una nota di possesso di Piero di Simone del Nero, che afferma di aver ricevuto in dono il codice dal suo collega Pier Cambi, e che ricorda un altro manoscritto della Tavola Ritonda appartenuto a Vincenzo Borghini, testimoniando ulteriormente l‟interesse per il testo del romanzo e la circolazione e lo scambio dei codici tra i filologi e gli eruditi alla fine del Cinquecento. Inoltre, a fronte della provenienza prevalentemente fiorentina dei testimoni, troviamo anche un codice senese, uno umbro, uno veneto e uno padano, spia del fatto che l‟opera doveva essersi diffusa ben oltre i confini della Toscana. Se confrontata con la tradizione a manoscritto unico che concerne tutti gli altri volgarizzamenti italiani del Tristan en prose, nonché con la loro collocazione temporale compresa tra i secoli XIV-XV, unica eccezione il Tristano Riccardiano che è databile alla fine del XIII, la ricchezza della tradizione della Tavola Ritonda è ancora più notabile, e spicca senz‟altro nel panorama della letteratura arturiana italiana.

Forse proprio il numero di codici del romanzo, unitamente alla lunghezza del testo e a una tradizione non sempre facilmente decifrabile nei rapporti tra i testimoni, hanno scoraggiato in passato gli studiosi dall‟approntare una nuova edizione critica della Tavola

Ritonda. Il lavoro di Polidori rimane ancora oggi l‟unico disponibile, cui si è aggiunto in anni

recentissimi il testo del Palatino 556 nell‟edizione cui si è già accennato. Tuttavia l‟edizione di Polidori presenta alcuni problemi che sono stati già ampiamente sottolineati dagli studiosi che si sono occupati della tradizione del testo, in particolare da Delcorno Branca e Punzi293. Innanzitutto Polidori non conosceva e dunque non ebbe la possibilità di consultare tutti i codici che sono noti oggi, poiché L2, U e V furono segnalati solo in anni successivi. Lo studioso scelse come codice di base L1, malgrado fosse acefalo e mancasse di una porzione di testo corrispondente ai primi undici capitoli, giustificando la sua scelta come segue:

difetto […] a malgrado del quale non ci stogliemmo dal proposito di preferirlo a tutti gli altri suoi compagni, sì per essere scritto nell‟ascendere anziché nel discendere del secolo XIV, di ragionevole e assai chiara lettere, e con grafia che accusa piuttosto le non buone abitudini che

291 Su questo cfr. A. Punzi, Per la fortuna cit.

292 Gli excerpta della Tavola Ritonda sono alle cc. 10r-14r e 113v del codice esemplato da Bastiano de Rossi.

Cfr. A. Punzi, Per una nuova edizione cit., p. 728 e la relativa nota 19, a p. 737. Per la descrizione del Riccardiano 2197 si veda G. Folena, La Istoria di Eneas vulgarizata per Angilu di Capua, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1956, pp. 241-242 e Id. Filologia testuale e storia linguistica, in Studi e

problemi di critica testuale. Convegno di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i Testi

di lingua (7-9 aprile 1960), Bologna, Commissione per i Testi di lingua, 1961, pp. 17-34, p. 20.

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la troppa ignoranza del copiatore; e infine, per avervi scorto, dopo fattone il confronto con gli altri, una maggiore antichità e schiettezza ed una soavità incomparabile di locuzione294.

Come codice di controllo per emendare gli errori di L1 Polidori si affidò a M, del quale egli stesso notava come probabilmente derivasse «da fonte migliore di quella da cui venne il Laurenziano295». Non lo scelse tuttavia come testimone di base per ragioni prevalentemente linguistiche («la dizione stessa vi si trova non di rado alterata, e spesso mutata in peggio per la sostituzione di forme più comunali e correnti, alle più peregrine ed antiche296») e legate alla scarsa cura con fu copiato il codice («non è ciò indizio di molto buon ordine nel condurre tal copia; come non sono di accorgimento né di troppa diligenza la seguita omissione di un lungo brano297»; e ancora: «anche il carattere, poco sott‟ogni rispetto plausibile, accusa la fretta del copiatore298»). Il terzo manoscritto che l‟editore ritenne di usare, per controllare ed emendare L1, fu S, con il quale ebbe a integrare i primi undici capitoli mancanti in L1. Eppure fu lo stesso Polidori ad esprimere dei dubbi sull‟affidabilità del testimone senese: «stimavamo altresì dover farsi di quello un uso assai circospetto, sì per la sopraddetta divergenza della parlatura locale, e sì per avervi ravvisato non poche e molto capricciose mutazioni, riguardanti i concetti non solo, ma e l‟ordine stesso del racconto299

». Per quel che concerne gli altri manoscritti da lui conosciuti, Polidori non li usò per l‟edizione perché ritenuti testimoni di minore importanza: R perché apografo di L1; P2 perché troppo lacunoso e per le «differenze di concetti e di stile300», ma ne pubblicò un saggio in appendice all‟edizione; anche di P1 pubblicò un saggio in appendice, senza tuttavia parlare del codice, probabilmente perché non lo riteneva, per la sua fisionomia alterata rispetto agli altri manoscritti, un testimone della

Tavola Ritonda.

Oltre al minor numero di testimoni all‟epoca conosciuti, un altro problema che presenta l‟edizione Polidori è quello della scelta del codice di base e di quelli di controllo, e l‟esclusione dei rimanenti. Polidori scelse L1

, come si è visto, prevalentemente per ragioni linguistiche e legate alla datazione, cioè alla sua antichità. Tuttavia sull‟affidabilità di questo testimone sono stati espressi molti dubbi dagli studiosi successivi, a partire da Breillat che nell‟analizzare la sezione relativa alla queste del Palatino 556, osservò brevemente come L1

fosse un testimone corrotto, almeno per quel che concerneva la sezione della liturgia del Graal: «Le texte de Polidori a ici une faute grossière, „una tavola vermiglia‟, ce qui donnera lieu à des constructions tout à fait imprévues quand il s‟agira de disposer cette „tavola‟ sur la table du Graal. On voit par les exemples qui précèdent combien le ms. de base de l‟éd.

294 F. L. Polidori, La Tavola Ritonda cit., p. LI. 295 Ivi, p. LIII. 296 Ibid. 297 Ibid. 298 Ivi, p. LIV. 299 Ivi, p. LV-LVI. 300 Ivi, p. LIX.

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Polidori est corrompu dans la scène de la Liturgie du Graal301». Anche A. Punzi ha avanzato dei dubbi rispetto a L1 come manoscritto di base, sottolineando che «il codice manca dei primi undici capitoli […] e risulta sfigurato da una serie di errori e di incomprensioni del copista non facilmente sanabili senza il supporto degli altri testimoni302». Anche il ms. S, sul quale del resto lo stesso Polidori esprimeva delle perplessità, appare non sempre attendibile, anche in quella sezione iniziale di testo che l‟editore usò per integrare la lacuna di L1

, come rilevato sia da Punzi che, oltre a segnalare a scopo esemplificativo alcuni punti in cui il testo di S appare erroneo, ha individuato proprio nei primi capitoli anche «alcuni luoghi in cui il codice Senese incorre in un evidente saut du même au même303»; sia da Delcorno Branca, che ha sottolineato come «anche ad un esame sommario, M e L1 sembrano dare maggior affidamento di S304». Un testimone invece del tutto trascurato da Polidori per le sue numerose lacune come P2 conserva in alcuni casi delle lezioni genuine evidentemente corrotte negli altri codici, e può

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