a cura di EMMA MANDELLI, Pisa, Pacini per Regione Toscana, 2009, pp. 207.
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dedica un capitolo autonomo: scelta medi-tata e condivisibile per il significato storico e la rilevanza architettonica delle strutture che ne fanno parte. Le più antiche fortificazioni del Monte Regio, purtroppo oggi ricostrui-bili solo su base ipotetica, risalivano al XIII secolo, riferite alla fase della dominazione vescovile, e proteggevano gli edifici dioce-sani con un sistema di torri, del quale so-pravvive quella del Candeliere, fondata nel 1228. Nel secolo successivo, l’inserimento di Massa nel contesto politico della Repub-blica di Siena, determinò un drastico scon-volgimento dell’originario sistema fortifica-torio, che fu inglobato nel nuovo perimetro murato costruito dai senesi, dove, tuttavia, proprio la torre del Candeliere, con la sua mole poderosa e inquietante, resa ancor più impenetrabile dalla mancanza di aperture a livello del suolo, mantenne il ruolo di ele-mento centrale della piazzaforte: cruciale apparato difensivo cui era delegato l’alto compito di gestirne la direzione strategica. Non a caso per assicurare il migliore possi-bile svolgimento di questa funzione, i senesi collegarono la torre al camminamento di ronda delle cortine con un arditissimo arco, che dopo sette secoli continua a sfidare la legge di gravità e inviarono nel cantiere del Cassero massetano i loro migliori architetti, tra i quali Agnolo di Ventura ha recentemen-te ricevuto atrecentemen-tenzioni critiche importanti ed occupa una posizione di primo piano nella storia dell’architettura italiana - non solo mi-litare - del Medio Evo.
Opportunamente l’Autrice dedica analo-ga cura descrittiva anche agli altri manufatti costituenti la roccaforte, le alte cortine con il loro apparato superiore a sporgere, le torri rompi tratta, la Porta alle Silici, dove, tra gli archi che incorniciano il fornice verso Città Nuova, spicca il sigillo della presenza sene-se: l’emblema della balzana che, nello stesso tempo, decora la struttura e ammonisce la popolazione al rispetto per la nuova entità statale di cui fa parte.
Giova ricordare che in quegli anni, ca-ratterizzati dal sopravvento dell’ordine no-vesco nella conduzione della Repubblica di Siena, è molto alta l’attenzione dei gover-nanti verso i principali centri del territorio Colle Val d’Elsa, dove alcune sezioni
mu-rarie dividevano i terzieri della città al suo interno, ma non in maniera così netta come a Massa, dove alle mura di Città Vecchia e a quelle quasi parallele di Città Nuova viene affidata le superiore funzione strategica di delimitare il grande cassero trecentesco, che risulta come un apparato di demarcazione tra due centri diversi e pure potenzialmente contrapposti; dove, però, la multifunzionale Porta alle Silici, nello stesso tempo varco di accesso e di uscita, favorisce il collegamento e quindi una comunione di vita tra le due città.
Nei capitoli successivi l’Autrice esamina rispettivamente le cinte murarie di Borgo e Città Vecchia e quelle di Città Nuova, de-scrivendo con pari capillare meticolosità anche tutte le sovrastrutture ivi presenti, come le torri poste a cavaliere delle cortine e le porte urbiche: all’Arialla, San Bernardi-no, alla Spina, San Rocco, alle Silici (lato Ovest), alle Formiche in Città Vecchia e San Francesco, Eleonora, alle Silici (lato Est) in Città Nuova.
Entrambi i capitoli sono corredati da una ricca serie di luminose immagini riprese da abili fotografi e di accuratissime ricostruzio-ni grafiche, che alimentano una presentazio-ne quanto mai vivace ed efficace di tutti gli apparati considerati, da quelli monumentali come le porte e le torri, a quelli di minimo dettaglio come gli archetti dei beccatelli de-stinati a sostenere i camminamenti di ronda, o come le bozze in travertino perfettamente squadrate che incorniciano le aperture. Ma non minore attenzione viene dedicata alle rilevazioni planimetriche ed altimetriche, alla ricerca di antichi documenti topogra-fici ed iconogratopogra-fici, all’analisi dei materiali edilizi impiegati, per un esame davvero a tutto campo delle architetture illustrate, che favorisce la visione capillare, quasi pietra per pietra, di edifici civili, religiosi e mili-tari integrati nella conformazione urbanisti-ca della città. Non sono urbanisti-casuali, infatti, le osservazioni dell’Autrice sul rapporto tra le mura e le Fonti dell’Abbondanza, nonché la descrizione del complesso conventuale di S. Agostino curata successivamente da Gaia Levoratti.
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dei paramenti murari da Michele Carnieti ed a quella geologico-strutturale da Silvia Briccoli, Massimiliano Lucchesi e Serena di Grazia.
Una citazione particolare, infine, per il paziente impegno di Cinzia Jelencovich, che con passione da vero collezionista ha condotto una capillare indagine sulle mol-tissime targhe e iscrizioni lapidarie apposte negli edifici storici massetani, giungendo a classificarne bel 139. Un corpus formidabile nel suo complesso per valore documentale e antiquario, dal quale l’Autrice seleziona dodici importanti soggetti qui descritti ana-liticamente, compresa la “Lupa Capitolina Senese” del Palazzo del Podestà scolpita da Urbano da Cortona nel 1468, che sarebbe interessante studiare in rapporto all’analo-go, coevo soggetto realizzato per la rocca di Sarteano e attribuito a Antonio Federighi.
E.P. e analoghe fortificazioni vengono costruite
anche a Grosseto, Paganico e Giuncarico - per rimanere in Maremma - tutte contrasse-gnate col simbolo della balzana.
Ovviamente, pure il capitolo dedicato al Cassero gode di uno straordinario corredo di illustrazioni fotografiche e iconografiche, arricchito dalle consuete, accuratissime ri-levazioni architettoniche e planimetriche. Ma non finisce qui, perché la completezza scientifica de Le mura di Massa Marittima viene assicurata da altri apprezzabili contri-buti di studio, tra i quali va subito citata la meticolosa ricerca di Giovanna Santinucci e Roberto Farinelli sulle fonti documenta-rie, archeologiche ed epigrafiche relative alle fortificazioni massetane, che consolida la tessitura storiografica del volume; senza dimenticare i preziosi contributi specifica-mente dedicati alla descrizione di Porta alla Spina da Alessandro Merlo; all’interpreta-zione della vicenda edilizia della Torre del Candeliere da M. Teresa Bartoli; all’analisi
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Novecento in cui fu compresa la cattedra-le è stata a lungo riferita al XIII secolo (da Petrocchi a Gaetano Badii, da Mario Salmi a Pietro Toesca), finché a partire dagli anni Sessanta si assistette al progressivo abban-dono di questa interpretazione. Il canonico Enrico Lombardi prima e poi Laura Gron-chi, in due articoli editi nella rivista “Critica d’arte” nel 1968 e 1969, anticiparono alla metà del XII secolo la costruzione del duo-mo. Enzo Carli, dopo avere seguito l’ipotesi duecentesca, riportò l’attenzione sulle fasi tra XI e XII secolo, finché nella sintesi data nel 1981 da Italo Moretti e Renato Stopa-ni fu nuovamente proposta la collocazione alla metà del XII secolo. Raffaella Calamini evidenzia come in questo passaggio sia ve-nuta meno un’idea di “ritardo” dell’edificio nel contesto regionale romanico, conse-guente alla cronologia duecentesca in prima istanza assegnatale. Tale acquisizione, con l’unica eccezione del contributo di Dethard von Winterfeld, è stata accolta nelle più re-centi sintesi (Santi, Belcari, Tigler).
Il riferimento ad annum (1287) che com-pare nell’iscrizione leggibile all’interno dell’edificio, in prossimità della settima campata e in corrispondenza della cappel-la dei Galliuti, ha per converso permesso di collocare cronologicamente con meno problemi la fase successiva, gotica. L’autrice evidenzia come semmai si sia trattato di pro-blematiche inerenti la figura del maestro re-sponsabile, un tempo nominato nella stessa epigrafe, poi sottoposta a volontaria scalpel-latura con perdita del riferimento onomasti-co. Come è noto, la critica si è infatti divisa nel riconoscervi o meno Giovanni Pisano.
Della cattedrale attualmente visibile e indagabile vengono descritte le diverse par-ti, fornendo dettagli inerenti dimensioni, rapporti proporzionali, materiali e moda-lità costruttive, apparato decorativo. Per i materiali posti in opera l’autrice distingue, essenzialmente in base agli aspetti cromatici Come ricorda Guido Tigler nella
prefa-zione, la pubblicazione della monografia dedicata alla cattedrale di Massa Marittima colma un vistoso vuoto bibliografico. Il vo-lume, che ha origine dalla tesi di dottorato discussa dall’autrice presso l’Università di Firenze, restituisce a ben vedere l’attenzione dovuta a un edificio medievale di primaria importanza per la storia dell’arte e dell’ar-chitettura, non solo di quest’area territoriale. Scorrendo l’indice se ne apprezza la struttura, snella e analitica al tempo stesso, risultando evidente come i diversi aspetti prescelti siano trattati e illustrati nel lungo
periodo, dalle prime fasi ai successivi
inter-venti, dalla storia degli studi alle vicende di rifacimenti e restauri, alla luce della storia della città e del suo territorio.
Un profilo storico fornisce le informa-zioni necessarie per inquadrare il contesto territoriale, ripercorrendo le vicende della diocesi di Populonia, dalle prime citazioni tardo antiche ai trasferimenti di età medieva-le in Cornino e a Massa, così come dei suoi presuli, Asello, il primo ad essere ricordato nel 502, e Cerbone, il patrono, le cui vicen-de agiografiche sono narrate nell’architrave del portale centrale del duomo e nell’arca realizzata da Goro di Gregorio nel 1324. La sintesi dell’autrice si concentra poi sulla città divenuta sede vescovile, con Tegrimo,
massano episcopo, citato per la prima volta in
una lettera di papa Alessandro II, del 1062, per proseguire nelle fasi posteriori fino alla conquista senese del 1335.
Come l’autrice ricorda nel secondo capitolo, la differenza di opinioni e data-zioni in merito alla prima consacrazione dell’edificio si deve in parte all’assenza di documenti, anche epigrafici, che attestino o forniscano un riferimento per l’avvio del-la costruzione. Inizialmente datata al XII secolo (Targioni Tozzetti, Fontani), poi al Duecento (Repetti per primo, seguito da Arus e Ademollo), con le sintesi del primo