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Un muro digitale: il consumismo delle immagini nella società urbana globalizzata

Sulle pareti in fibra di vetro del Sony Center si infrange l’iniziativa politica messa in atto dai quattro personaggi di Peltzer. Questo complesso architettonico che si erge su Potsdamer Platz, trattandosi di un moderno centro commerciale videosorvegliato, è uno spazio che simboleggia a pieno la relazione simbiotica che sembra esistere tra due fenomeni apparentemente autonomi: il medium dell’immagine digitale e il consumismo. Nel prologo di Teil der Lösung, Peltzer tratteggia i contorni di una folla intenta ad inseguire e catturare compulsivamente immagini digitali, con lo stesso spirito che guida la caccia ai prodotti nei negozi: «brandneu» è l’etichetta che marca questo stato psicologico, le esperienze metropolitane di cui vanno in cerca i visitatori di Potsdamer Platz equivalgono a prodotti nuovi di zecca, filtrati attraverso fotografie e filmati che, nella società digitalizzata, costituiscono la dimensione ultima della realtà, confermando una configurazione dello spazio, come quella disegnata da Peltzer, smembrata e frammentata in una dimensione virtuale, priva di misure comprensibili.

Si tratta di una forma evoluta dell’antico «principio del feticismo della merce», attingendo alle parole di Debord,

[… ] che si compie in grado assoluto nello spettacolo, dove il mondo sensibile è stato sostituito da una selezione di immagini che esiste al di sopra di esso, e che nello stesso tempo si è fatta riconoscere come il sensibile per eccellenza.119

È la folla l’ago della bilancia che, nel racconto di Peltzer, alla fine decide le sorti del conflitto tra il mondo dei sorveglianti e quello dei dissidenti. È la massa di sorvegliati, piuttosto che essere vittima del controllo sociale, ad essere essa stessa il principale strumento di controllo dello spazio urbano, attuando sulla scala locale della metropoli le forme del sistema globale, popolando gli spazi privatizzati della città, alimentando l’economia del consumo orientato alla merce, al turismo,

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all’intrattenimento, piani adiacenti che in qualche modo si sovrappongono sullo stesso spazio, quello del consumo delle immagini.

È per questo che, nella finzione letteraria di Peltzer, i visitatori del Sony Center, chiamati a partecipare all’azione di protesta o, quanto meno, a prendere coscienza di un problema comune, si pongono invece come semplici spettatori, connotando il concetto di pubblico soltanto nel significato di pubblico televisivo. Su questa confusione riflette Augé, in relazione alla mancanza di uno spazio pubblico

planetario che funzioni da nuovo teatro di azione concreta entro il sistema globale:

Il nuovo spazio planetario esiste, ma non esiste uno spazio pubblico planetario. […] Non esiste uno spazio pubblico planetario proprio quando noi, ogni giorno di più, ci rendiamo conto che la nostra esistenza dipende da decisioni e da fatti che sfuggono al nostro controllo diretto e che non hanno senso se non su scala globale. I media, che per il momento rappresentano un succedaneo di tale spazio pubblico planetario inesistente, sono costantemente esposti alla tentazione di confondere spazio pubblico e spazio

del pubblico, nel senso teatrale del termine. Il pubblico, che talora si vuole

sedurre e lusingare piuttosto che informare, è spesso indotto a consumare passivamente le notizie del mondo, come un qualunque spettacolo cinematografico o televisivo.120

Il fattore che neutralizza l’azione informativa degli attivisti in Sony Center di Peltzer è proprio un consumo passivo delle informazioni, come fossero un qualsiasi spettacolo televisivo, da parte delle persone a cui è rivolta la dimostrazione. Secondo Augé, in un’epoca in cui «non ci sono più eventi al di fuori di quelli mediatizzati»121, simili comportamenti sono il risultato dell’effetto perverso dei

media:

L’effetto perverso dei media consiste anche nel cancellare impercettibilmente la frontiera tra realtà e finzione. Nei telespettatori nasce pian piano la sensazione che apparire sullo schermo sia la prova ultima di

120 Augé 2009, cit., pp. 35-37. 121 Ivi, p. 39.

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un’esistenza riuscita. Vivere intensamente è a conti fatti esistere nello sguardo degli altri, diventare un’immagine, passare dall’altra parte dello schermo.122

Il prologo di Teil der Lösung si chiude con la scena di due ragazzini, simbolo dell’inconsapevolezza: scovata una telecamera di sorveglianza, pensano a prendersene gioco per puro divertimento, e allo stesso tempo, istintivamente, il gioco è quello di ripetere le movenze dei protagonisti del mondo televisivo. La realtà si confonde con la finzione in tutto e per tutto, se una videocamera di sorveglianza viene scambiata per un mezzo attraverso cui apparire in TV. I cartelli «Ich will mein Bild» e «Schöner filmen», esposti dai dimostranti, da una legittima rivendicazione della privacy sembrano ribaltarsi nella descrizione di un’ossessione collettiva: quella di passare, anche per un attimo, dalla parte degli spettatori a quella dei protagonisti dello spettacolo, a conferma di una tendenza diffusa a cogliere un maggior grado di legittimazione esistenziale nella virtualità mediatica piuttosto che nella realtà sensibile.

I clienti non sono l’unica categoria di persone che popolano un luogo come il Sony Center. L’architettura avveniristica dell’edificio attira ingenti flussi di turisti, che necessariamente istituiscono con la città un rapporto diverso – verosimilmente più superficiale – rispetto ai cittadini. Il consumismo delle immagini accomuna le diverse categorie di individui che popolano la metropoli contemporanea, ma la ricerca spasmodica di esperienze urbane da catturare in video, di cui scrive Peltzer, sembra associata dall’autore, in particolare, ad un tentativo di evasione dalla routine turistica, che si compie, quindi, anch’essa come meccanismo passivo di consumo.

Debord ritiene che nella società dello spettacolo si produca una banalizzazione del mondo, e lo spettacolo banale di luoghi ridotti all’equivalenza (come appaiono, oggi, le città globali l’una rispetto all’altra) è lo scenario che si presta al turista, che, come reazione, si rapporta ai luoghi visitati con lo stesso atteggiamento proprio del consumista:

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Sottoprodotto della circolazione delle merci, la circolazione umana considerata come un consumo, il turismo, si riduce fondamentalmente alla facoltà di andare a vedere ciò che è divenuto banale. L’organizzazione economica materiale della frequentazione di posti diversi è già di per se stessa la garanzia della loro equivalenza.123

L’interdipendenza tra turismo e consumismo124

guida i criteri di progettazione e riedificazione delle nuove aree delle metropoli globali, funzionalizzate allo scopo di esercitare il massimo potenziale attrattivo sul massimo numero di potenziali visitatori. In The Voids of Berlin (1997), Huyssen mette in evidenza che i criteri dell’urbanistica contemporanea sono vincolati all’incremento del flusso turistico:

Central to this new kind of urban politics are aesthetic spaces for cultural consumption, megastores and blockbuster museal events, festivals, and spectacles of all kinds, all intended to lure the new species of city tourist, the urban vacationer or metropolitan marathoner who have replaced the older model of the leisurely flaneur. The flaneur, even though something of an outsider in his city, was always figured as a dweller rather than as a traveler on the move. But today it is the tourist rather than the flaneur to whom the new city culture wants to appeal, just as it fears the tourist's unwanted double, the displaced migrant.125

Il consumismo culturale, inteso come partecipazione a spettacoli, eventi, festival, integra il consumismo meramente turistico, reso più confortevole dal proliferare, in ogni grande città, di catene e megastore e di altri punti di riferimento o poli d’attrazione per il turista, che, osserva Huyssen, eclissa la figura del flâneur mentre diviene il destinatario principale delle operazioni commerciali condotte sulle nuove metropoli.

A questo scopo, l’aspetto di Potsdamer Platz, del cui contesto edilizio è partecipe il Sony Center condividendone i presupposti e i criteri architettonici, è anch’esso

123 Debord 1967, cit., §168 p. 152. 124

Cfr. par. Un avvicinamento interdisciplinare allo spazio della città globale, nota 34, e par.

Potsdamer Platz, la Neue Mitte: il cuore ricostruito della città.

125 A. Huyssen, The Voids of Berlin, p. 58, in Chicago Journals: Critical Inquiry, vol. 24 (1), Chicago:

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influenzato dai fattori commerciali, e la ricostruzione della piazza – spiega Kossel – è stata concepita per riprodurre il modello degli anni ’20, in quanto prototipo di spazio espressivo di benessere e progresso:

Al fine di costruire un’immagine aziendale positiva in seno alla città, si sono privilegiati accostamenti storici con ciò che si ritiene essere il passato felice, sebbene talvolta lo zelo, come in questo caso, porti a rimuovere qualsiasi elemento che possa anche solo vagamente prefigurare un effetto disturbatore rispetto all’immagine precostituita che s’intende veicolare. Sono stati dunque privilegiati certi riferimenti storici agli anni venti: da un lato promettono collegamenti con una città architettonicamente intatta, dall’altro possono essere messi in relazione con più forza a media, consumi, stili di vita e progresso.126

Si verifica in questo modo, nel turismo, non solo un consumismo della geografia ma anche della storia. Che, in ogni caso, è una modulazione del consumismo delle immagini, compiendosi come esibizione di uno spettacolo e, nell’era detta

Digitalmoderne, come consumo delle riproduzioni digitali delle immagini.

La folla che popola il Sony Center nel romanzo di Peltzer funziona da specchio di questi fenomeni, essa è un personaggio, inteso nella concezione che ha l’autore di questa funzione letteraria127: il portatore di un sintomo sociale. Essa incarna l’estensione massificata e la diffusione radicata dei meccanismi e delle modalità sociologici prodotti dal sistema globale. Piuttosto che rappresentare la democrazia, al contrario è il segno più lampante dell’antidemocrazia della società globale: come rimarcano il pagliaccio e l’uomo in bombetta di Peltzer con un’ironia ‘del contrario’, sotto la telecamera siamo tutti uguali, ma il senso del discorso è che siamo tutti resi uguali, uniformati. In questo panorama fatto di equivalenza (Debord), si compie l’illusione globale della cancellazione delle frontiere (Augé), che significa scavalcamento delle distanze ma anche aggiramento delle differenze e delle discriminazioni locali che sussistono sul territorio urbano. «L’ideologia della

126 Kossel 2006, cit., p. 212.

127 Cfr. par. Ulrich Peltzer e Berlino: il romanzo della metropoli proteso verso il presente, nota 70.

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globalizzazione consumista», scrive Augé, ha «un volto inquietante e profondamente non democratico»128, ed è lontana la costituzione di una umanità- società effettivamente unificata.

Bauman osserva che oggi, nel panorama globalizzato, il potere «veleggia lontano dalle strade e dal mercato»129, deterritorializzato e quindi sottratto agli spazi pubblici della città. In una società «eteronoma, eterodiretta»130, in cui le forze che determinano la vita degli individui sono oscure e non localizzabili, risulta difficile pensare di far presa sul presente e intervenire sulle sorti collettive. Lo spazio pubblico «non è molto più che uno schermo gigante», a cui destinare le preoccupazioni private, ma i problemi dei singoli individui non formano una causa comune131. L’unica dimensione residua è una «lotta solitaria», sostenuta «per sopravvivere nella propria irreparabile solitudine»132. Non dev’essere, dunque, un mero omaggio a Joseph Conrad la citazione che Peltzer pone in esergo al principio di Teil der Lösung:

Wir leben, wie wir träumen – allein.133

128 Ivi, p. 93. 129 Bauman 2002, cit., p. 139. 130 Ivi, p. 72. 131 Ivi, p. 139. 132 Ivi, p. 65. 133 U. Peltzer, TL, p. 5.

Parte III.

Elaborazione critica