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Mustafa Sabbagh: Burka moderni Un dialogo inventato con Matisse

TITOLO V Organi dell’Associazione

Figura 35: opera: 'Interno con modella', disegni a

3.1.3.3 Mustafa Sabbagh: Burka moderni Un dialogo inventato con Matisse

21.02.2014 / 04.05.2014

Assistente del celebre fotografo Richard Avedon, Mustafa Sabbagh82 (Amman, 1961) ha

esordito nella fotografia di moda. Fino al 4maggio l'artista giordano, laureato in architettura a Venezia, ha esposto alla MLB un video e un ventina di foto recenti, tra cui una grande installazione di quindici piccole stampe ovali di cm 13x11 ciascuna. Qui ritrae figure troppo grasse o troppo magre, ma anche misteriosi uomini incappucciati che nascondono l'identità dietro cappelli e maschere, tra bustini e abiti fetish. «Viviamo in un’epoca -spiega l’artista- in cui la società ci impone in continuazione delle maschere: ci si maschera per essere accettati, per la paura di scoprirsi». Il colore dilagante di quei ritratti negati che Sabbagh definisce Burqa moderni è il nero. I prezzi variano dai 750euro (piccole foto ovali), a 3500euro (opere cm 50x40), fino a 7mila euro (per il dittico).

In queste sue opere recenti reinterpreta Matisse con intelligenza visiva e finezza critica. Chi ha visitato la mostra a palazzo dei Diamanti ricorda che, nella penultima sala, era collocata una serie di opere di grafica. La prima, accanto alla porta, è un carboncino su carta del 1949 dal titolo “Donna senza volto”83. È questo il vero punto di snodo tra le due esposizioni. In

una sorta di staffetta sulla distanza i due autori sono accomunati nel gioco sulla figura. Tra i due emerge ben chiara la volontà di una diversa realtà complessa. Gli scatti di Sabbagh indagano nuovi territori tra cultura e natura negli spazi del corpo. Sono zone confinarie di estrema labilità che sistemi come quelli della moda e dell'arte mettono continuamente alla prova. Le sue figure sono ora meravigliose ora mostruose. Nude o coperte, tengono sempre splendidamente lo spazio. La installazione, 'Un dialogo inventato con Matisse', costellata di piccole foto ovali, preziose come cammei, è una affabulazione sulla bellezza dei corpi nel nostro tempo. La serie dei burqa moderni è costituita da otto stampe lambda opache su carta

82 Mustafa Sabbagh nasce ad Amman (Giordania) e studia architettura all’Università di Venezia. Formatosi a Londra come assistente di Richard Avedon, nel 2007 collabora con il prestigioso Central Saint Martins College of Art and Design. Pubblica diversi lavori in numerose testate tra le quali Arena, The Face, Vogue italia, l’Uomo Vogue, Mondo Uomo, rodeo, Gasby, Front, Kult, Zoom on Fashion Trends, Sport & Street, D di Repubblica. Partecipa a diversi progetti editoriali, tra cui: 2014 White, Milano; 2012 Memorie Liquide (libro monografico , Fondazione Ferrara Arte); 2010 About Skin (libro monografico, Damiani Editore); 2007 Lee jeans book, Berlino; 2006 Human Game e Welcome To My House, Firenze; 2004 Bread & Butter, Berlino. Nel 2013 realizza lo special project Mustafa Sabbagh, Sights of Zurbarán, Palazzo dei Diamanti, Ferrara.

che spiazzano lo spettatore e lo incitano ad entrare nella frammentazione/esaltazione dell'identità della persona o della sua possibile anomia. È pero l'uso del colore nero che, spietatamente, diventa ad un tempo barocco e inquietante, fastoso e sprezzante, mortifero e vitale, per creare un legame visivo con lo spettatore anche quando tutto sembra annullarsi. Un dialogo che è anche lo specchio delle diverse epoche in cui vivono i due artisti: mentre Matisse, come reazione a un periodo carico di tensioni e guerre, cerca di distillare la bellezza dal reale, creando sinuose figure femminili, esaltandone colori e sensualità, Mustafa, dopo anni di lavoro nel patinato mondo della moda, mette maschere nere come la pece, plumbee come pneumatici, a uomini e donne.

Così Il bustino o il reggiseno, che dovrebbero enfatizzare la femminilità del corpo, in Sabbagh celano il volto, diventando “burka della contemporaneità”. Il dittico Lusso con

Burka, che costituisce il cuore della mostra, ispirato a un’opera di Matisse del 1907. Qui

l'artista, con la procedura delle due foto accostate, mette in moto una narrazione particolarmente coinvolgente per il riguardante.

L'artista dichiara:

Quando uso la maschere -afferma l’artista- non è altro che come protezione, quasi un espediente per riempire il retaggio cristiano della vergogna: e la maschera è come una dichiarazione, un ennesimo atto anti-moda, dall’immediato effetto gender-bender e liberatorio. Bello, intelligente, ricco, accettato: nella società di oggi si impone la maschera ad ogni individuo, non gli si dà la libertà di essere se stesso fino in fondo. È una maschera falsificante, subdola, vigliacca. Il ruolo che conferisco alle mie maschere, invece, e l'uso che ne faccio, è assolutamente principale: è un atto di rifiuto per le maschere imposte, invisibili e mistificanti. Scelgo di immortalare delle opere d'arte per farci sentire più liberi. Scelgo di ritrarre maschere, per farci sentire ancora più individui.

Ed è proprio la natura morta, oltre alla figura, che è stata oggetto di indagine per questo affascinante “dialogo inventato” tra Sabbagh e Matisse. «Ci sono sempre fiori per coloro che vogliono vederli», scrisse Matisse: ed è questa stessa frase che intitola un bellissimo video che mostra dei fiori di plastica, che nella loro composizione, evocano la forma di un cuore umano; l'evocazione del cuore è talmente forte che pulsano all’unisono con i bip di un dispositivo che rileva la frequenza cardiaca.

Figura 39: opera di H. Matisse, Donna senza volto, 1949, carboncino su carta.

Figura 42: Allestimento della mostra (c)

Figura 43: Allestimento della mostra (d)

Figura 45: Allestimento della mostra (f)

Figura 46: Allestimento della mostra (g)

Figura 48: opera: Burka

moderni - Stampe lambda opache su carta fotografica, cm 50x40 ciascuna, 2014.

Figura 49: Il finger food