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I mutamenti delle condizioni sociali e liturgiche nella Spagna franchista

SECONDA PARTE Architettura religiosa

5 INTER SANCTAM SEDEM ET HISPANIAM SOLLEMNES CONVENTIONES

2.1.2 I mutamenti delle condizioni sociali e liturgiche nella Spagna franchista

L’edificazione di una chiesa non è solo il far fronte ad una necessità concreta dettata da fattori contingenti, ma costituisce il punto di partenza per l’apertura di un dibattito che vede presenti i maggiori professionisti di tutto il paese. La partecipazione di Moya attraverso articoli e interviste ci restituisce sul piano teorico quell’idea di fondo che sta alla base del suo operare pratico, facendoci meglio comprendere allora quel passaggio o, come direbbe Capitel, quell’abbandono del classicismo.

Il suo prestigio come teorico, come pensatore identificato nella fede cristiana e come costruttore di chiese, trovò spazio, in diverse occasioni, all’interno di importanti concorsi di architettura religiosa come il Premio Nacional de Arquitectura 1954 con il tema “Una capilla en el Camino de Santiago”; il concorso internazionale per la “Basilica della Vergine delle Lacrime” a Siracusa del 1955; e il concorso di idee per la “Iglesia Parroquial de San Esteban Protomártir”, a Cuenca, 1960. In queste tre occasioni ebbe modo di esprimere le proprie opinioni e considerazioni sul suo modo di intendere il tema dello spazio sacro e quali fossero le tendenze nella Spagna dell’epoca, a tre soli anni dall’emanazione del Sacrosanctum Concilio.

Nel secondo numero della rivista “Fede e Arte” del 19606 (uno dei due unici articoli pubblicati in Italia), Moya delinea la situazione spagnola nell’articolo L’architettura spagnola contemporanea in Spagna. Del tutto interessante è la lettura che ne esce. Moya classifica le “forme moderne delle chiese” in tipo sociale, tipo familiare e tipo mistico. Al primo tipo corrispondono quelle tracciate per soddisfare la neccessità urgente di riunire una gran folla di fedeli in 6 Luis Moya Blanco, L’architettura religiosa contemporanea in Spagna, in “Fede e Arte”, anno VII, n.2, aprile-giugno 1960, pp. 196-236.

Pagina affianco:

Schema riassuntivo dei mutamenti politici ed ecclesiastici in relazione ai progetti oggetto di studio

Francisco Javier Sáenz de Oíza, José Luis Romaní, Jorge Oteiza, Premio Nacional de Arquitectura, Una

capilla en el Camino de Santiago, 1954, primo premio

Michel Andrault, Pierre Parat, Concorso internazionale per Basilica della Vergine delle Lacrime, Siracusa, 1955, primo premio

José Luis Esteve, José Luis Rokiski, José Enrique Sobrini, Concorso di idee per la Iglesia Parroquial de San

un tempio costruito rapidamente, con scarsi mezzi economici e, a volte su un terreno troppo piccolo. Sono spesso costituiti da grandi navate di un evidente carattere industriale e costruite in cemento armato. Chiese che sfavoriscono il raccoglimento individuale. Un esempio è costituito dalla parrocchia di San José a Bilbao.

Il tipo familiare è quello in cui i fedeli circondano l’altare formando un assemblea, ecclesia. Tempio adatto per la preedicazione, la messa dialogata. È come se i defeli si sentissero in famiglia. Costituiscono precedenti di questo genere le basiliche cristiane di Roma, le chiese latine e le chiese dei Gesuiti.

Moya definisce il terzo tipo mistico perchè corrisponde a quelle chiese che favoriscono il raccoglimento mediante la convergenza di tutte le linee verso l’altare, dove si trova la luce, in contrasto con la navata immersa nella penombra come la chiesa dei Domenicani ad Alcobendas, Madrid, opera di Miguel Fisac.

Questa suddivisione in tre tendenze corrisponde, nei limiti che può avere la classificazione di un panorama così complesso, alla lettura che Carlo Tosco, diversi anni più tardi, 2010, propone della sitazione italiana. Tosco, nel volume Architettura Chiesa e società in Italia (1948-1978)7, parla di tre tendenze: chiesa secolarizzata, casa-chiesa, e chiesa monumento. La descrizione di ciascuna non differisce dalle definizione date da Moya.

Altro importante scritto che documenta il pensiero di Moya sull’architettura di quel periodo è l’intervista inedita conservata presso l’archivio personale di Javier García-Gutiérrez Mosteiro. Si tratta di poche domande dattiloscritte in cui non vi sono riferimenti temporali ma databile tra il 1956 ed il 1960 poichè nel testo cita la chiesa romana di San Luca inaugurata nel 1956 e già citata nell’articolo di Fede e Arte.

Moya denota le carenze dell’architettura religiosa dell’epoca: [...] la Arquitectura de hoy no tiene origen religioso, a diferencia de la Arquitectura de otras épocas, que se originaba casi siempre en la construcción, creando para ellos formas, técnicas y organizaciones del trabajo 7 Andrea Longhi, Carlo Tosco, Architettura, Chiesa e società in Italia (1948-1978), Studium, Roma 2010.

que luego se aplicaban, bien o mal, a la construcción de edificios profanos. Así, las columnas de un ágora griega imitan las de los templos, y aún éstas imitan a alguna columna original que era por si misma objecto sacro, como derivación de un menhir primitivo. Y las arqueriás en miniatura que decoran un árcon doméstico de la Edad Media copian las grandes de una Catedral, así como las cúpulas que coronan palacios principescos, parlamentos y otros muchos edificios publicos de tiempos más recientes, son eco de la obra de Miguel Angel.

Ahora es lo contrario, y tenemos como repertorio de formas y de técnicas las inventadas para naves de talleres, Exposiciones, cines, etc., las cuales no tiene, como es natural, caracter sacro, al contrario de las antigua que ya lo tenían por su propia naturaleza. Eran estas antiguas, expresión de una sociedad religiosa (aunque se tratase a veces de una religión falsa), y las de ahora son fruto de una sociedad materialista fundada en el dinero y en la máquina. [...]

En el estilo dominante de nuestros días, la major realización que conozco es obra de Vincenzo Passarelli, la Iglesia de San Lucas en Roma. La obra de Le Corbusier, en Ronchamp, fuera de la corriente general de la arquitectura actual, extraordinaria aunque discutible en algunos puntos litúrgicos, está en cierto modo emparentada con la no terminada Iglesia de la Sagrada Familia en Barcelona, obra de Antonio Gaudí (fallecido en 1925), quien quiso hacer arquitectura Sacra con una base puramente religiosas, poniendo al servicio de este concepto todo su saber técnico, que era muy grande.

Lo construido, aunque discutible en algunas partes, unido a los proyectos que se han conservado, constituye una de las referencias que no debiéramos olvidar cuando proyectamos una Iglesia en la actualidad.8

8 «L’architettura di oggi non ha origini religiose, a differenza dell’architettua di altre epoche, che si originava quasi sempre dalla costruzione di edifici sacri, creando per loro forme, tecniche e organizzazioni del lavoro che in seguito si applicavano, bene o male, alla costruzione di edifici profani. Così, le colonne di un agorà greca imitano le colonne dei templi, e anche queste imitano una qualche colonna originale che era per se stessa un oggetto sacro, in quanto derivazione di un menhir primitivo. E gli archi in miniatura che decorano un arcone domestico del Medio Evo copiano i grandi archi di una Cattedrale, così come le cupole che coronano palazzi principesci, parlamenti e molti altri edifici pubblici di epoche più recenti, sono eco dell’opera di Michelangelo. Ora è il contrario, e abbiamo come repertorio di forme e di tecniche quelle inventate per officine, esposizioni, cinema, ecc., le quali non hanno, come è naturale, carattere sacro, a differenza di quelle antiche che lo avevano per loro propria naturalezza. Erano queste antiche, espressione di una società religiosa (anche a volte si trattava di una falsa religione), e quelle di adesso sono frutto di una società materialista fondata sul denaro

Moya si trova ad operare in un periodo storico che vede significativi cambiamenti nella liturgia cristiana: tra il 1962 e il 1965 ha luogo il Concilio Vaticano II.

Se fino a quel momento tutti gli architetti si erano misurati con i principi dettati dall’ancora vigente Concilio di Trento (1545- 1563), dal 1965 in poi si riscontra un certo grado di libertà nella composizione degli spazi destinati al rito.

E’ noto che la Riforma cattolica successiva al Concilio di Trento ed il modello normativo proposto dal cardinal Borromeo rappresentano nell’immaginario collettivo un esempio di controllo sulla «correttezza» delle arti sacre.

Le Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae vennero date alle stampe nel 1577 quindi tredici anni dopo la Professio fidei tridentinae (1564) e ne costituiscono certamente l’assunto più completo ed esauriente in materia liturgica. Il documento si rivolgeva direttamente al clero ed indirettamente veniva posto a conoscenza di coloro, architetti ed artisti, che avevano il compito di dar forma fisica al rituale cattolico.

Il problema della partecipazione liturgica, ha nelle Instructiones una sua matura espressione nel senso di separazione, che punta a mettere ordine all’interno dell’assemblea e a fissarne le differenze gerarchiche: di qui l’esigenza di realizzare delle barriere fisiche come cancelli e balaustre e di elevare il presbiterio rispetto al piano della navata. E’ questa la rappresentazione di un chiesa come un grande palcoscenico dove la partecipazione dei fedeli era limitata all’assistenza e alla visione di un rito considerato soprattutto

e la macchina. [...]

Nello stile dominante dei nostri giorni, la migliore realizzazione che conosco è l’opera di Vincenzo Passarelli, la chiesa di San Luca a Roma. L’opera di Le Corbusier, a Ronchamp, fuori dalla corrente generale dell’architettura attuale, straordinaria anche se discutibile in alcuni punti liturgici, è in qualche modo imparentata con la non teminata chiesa della Sagrada Familia a Barcellona, opera di Antonio Gaudí (deceduto nel 1925), il quale volle fare architettura sacra con una base puramente religiosa, ponendo al servizio di questo concetto tutto il suo sapere tecnico, che era molto vasto. Il costruito, anche se discutibile in alcune parti, insieme ai progetti che si sono conservati, costituisce uno dei riferimenti che non dobbiamo dimenticare quando progettiamo una chiesa nell’attualità».

spettacolo.

Se i primi modelli borrominiani sono piuttosto severi ed austeri, ben presto nel corso del XVII secolo con il barocco l’architettura sacra diventa l’occasione di sperimentazioni architettoniche, ed il linguaggio classicista del Rinascimento viene reintrepretato con fantasia e vigore, applicando all’architettura forme geometriche, come ellissi e concavità-convessità, diverse da quelle ad angolo retto o basate su circonferenze perfette del Rinascimento.

Dal punto di vista funzionale le chiese barocche mantengono la distinzione fra navata riservata ai fedeli e presbiterio con l’altare maggiore. Il coro spesso si sposta dietro l’altare. Vengono eliminati tramezzi ed altri elementi che ostruiscono la vista, forzando la concentrazione dei fedeli verso il centro dell’altare. La navata centrale diviene predominante, mentre quelle laterali spesso vengono utilizzate per altari secondari. Il pulpito spesso è in mezzo alla navata e sovente è presente una cantoria a balcone, disposta o ai lati dell’altare contrapposta all’organo o sotto l’organo stesso.

Dopo il Concilio Vaticano II l’architettura sacra conosce un periodo di riorganizzazione per trovare una diversa identità. Le chiese post-conciliari generalmente mantengono una forte centralità e unidirezionalità (come nel barocco), a cui si aggiunge una semplificazione degli elementi d’arredo.

I nuovi dettami per l’edificazione della chiesa devono, infatti, rispecchiare l’orientamento liturgico rinnovato. Ciò che si richiede ai fedeli come atteggiamento interiore – ne è un esempio la participatio actuosa – viene tradotto in una nuova strutturazione dell’edificio sacro. L’altare viene rivolto verso il pubblico, seguendo la tradizione paleocristiana, e vengono del tutto eliminate le balaustre di separazione. Il pulpito viene sostituito da un amboneo eliminato del tutto.