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Né Roma né Ginevra: l’«arcieretico» Giorgio Siculo

Nel documento Giovanni Calvino e l'Italia (pagine 102-105)

CONTRO CaLVINO

2. Né Roma né Ginevra: l’«arcieretico» Giorgio Siculo

Cominceremo dunque con il narrare la storia del Siculo. giorgio Rioli detto il Siculo fu noto a cattolici e riformati come l’«arcieretico» e come capo della pericolosa setta giorgiana. Benedettino siciliano, il Siculo (ca 1517-51) si formò nell’inquieto mondo delle abbazie cassinensi, allora vivaci centri di discussione delle nuove questioni religiose. Nel monastero isolano di san Nicolò l’arena assisté alla redazione de Il beneficio di Cristo da parte del suo confratello Benedetto da Mantova: il testo impresse una svolta deter- minante al suo pensiero religioso. Il messaggio evangelico del libro fu però molto radicalizzato dal Siculo, anche attraverso l’innesto del profetismo. L’ex benedettino iniziò a preannunziare eventi straordinari, presentandosi come nuovo Cristo che, a suo dire, gli era apparso per comunicargli la «vera dottrina apostolica». I capisaldi di questa erano la salvezza dell’intera uma- nità, la nullità dei sacramenti e delle istituzioni ecclesiastiche a fronte della fede giustificante e di uno spiritualismo estremo, una nuova concezione della Trinità e forse della generazione spontanea dell’anima, la futura palingenesi e conciliazione universale dopo la vittoria apocalittica contro «Babilonia». Le sue idee gli procurarono un manipolo di sodali e seguaci assai fedeli, tra i quali i suoi confratelli Luciano Degli Ottoni, Ercole Cattaneo e Stefano da Brescia, e trovarono largo consenso nell’ambiente ferrarese e bolognese, in particolare tra gli studenti del Collegio di Spagna.

In una prima fase della sua missione religiosa, Siculo si limitò a diffondere testi manoscritti, un trattato sulla giustificazione e lo scomparso Libro grande, contenente il corpus completo delle sue dottrine. all’apertura del Concilio di Trento egli ritenne giunto però il momento di rompere gli indugi e di comu- nicare all’assise le sue rivelazioni divine, per contribuire a quel rinnovamento profondo della chiesa romana che egli riteneva necessario, e all’arresto, altret- tanto indispensabile, del movimento riformato in Italia. La tragedia dello Spiera

lo fece fermare a Riva di Trento, dove riscosse molto successo tra i cittadini con la sua predicazione e con l’Epistola alli cittadini di Riva di Trento contra

il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de’ protestanti, che, edita a Bologna nel 1550, lo immise nel campo della propaganda. Si trattava di uno scritto apparentemente filocattolico e avverso alla «protesteria», ma in realtà assai eversivo di ogni confessione. Siculo vi rigettava infatti la dottrina cal- viniana della predestinazione divina in quanto falsa ed erronea, per sostenere però l’idea pelagiano-erasmiana dell’infinita misericordia di Dio e dell’ele- zione universale alla salvezza grazie al sacrificio di Cristo, restauratore della libertà della ragione umana. Interveniva inoltre sul problema della simulazio- ne religiosa, per indirizzare, attraverso il caso Spiera, quella consistente fetta della popolazione italiana aderente in segreto alla Riforma. a tal fine usò gli strumenti tipici della controversia protestante, metafore e citazioni bibliche: le sue argomentazioni contro le «idee seminate dallo spirito maligno» erano costantemente convalidate dalla sacra Scrittura, che egli leggeva attraverso il metodo di continui rinvii interni e alla luce della sua ispirazione divina.

L’interpretazione data dal Siculo si fondava sulla sua visione etica e spi- ritualistica della religione. Il cristianesimo consisteva per lui nell’osservanza rigorosa delle virtù evangeliche e della Scrittura, realizzata grazie alla ra- gione e con la guida esclusiva della fede illuminata dallo Spirito santo. La possibilità di attuare il messaggio evangelico o no, ossia di operare il bene o il male, erano state date da Cristo che, con il suo sacrificio, aveva mondato l’umanità intera dalla colpa originaria e aveva restituito piena integrità al- l’arbitrio. Il Messia aveva altresì consentito la discesa dello Spirito «di san- tificatione et deità» nell’uomo, con cui si poteva compiere quel processo di divinizzazione che la caduta di adamo aveva interrotto. Interrotto ma non compromesso del tutto: secondo l’ex benedettino, infatti, neppure il peccato originale aveva privato l’uomo della libertà del volere. Siculo non vincolava pertanto alla conoscenza di Cristo l’opportunità di agire secondo giustizia e retta ragione: tutti gli uomini erano completamente liberi di scegliere il proprio destino ed erano eletti da Dio alla salvezza, dai pagani agli ebrei ai barbari. La sola condizione posta dal Padre per la salvazione era l’obbedien- za alla sua volontà, il «caminare per la via delle virtuti et honestati». Era la «via» delle opere sante a guadagnare all’uomo la giustificazione divina, a differenza di quanto sostenevano i protestanti con la loro dottrina della grazia gratuita: «Perché voi contro ogni verità del santo Evangelio diceti che prima bisogna tenerci giustificati per gratia et di poi operare per amore, cum sit che prima ci conviene pentirci, et obedire al santo Evangelio?». La dannazione era dunque conseguenza della volontaria opzione per il male: «vivendo nelle nostre carnali concupiscentie e trasgredendo i divini comandamenti, per il che seremo iustamente condannati nel stagno del fuoco infernale». La perdi- zione comportava anche la mortalità dell’anima, laddove ai pii era concesso di godere, grazie a Cristo, dell’immortalità.

Il principale e più originale argomento del Siculo contro quella che de- finiva la dottrina «pericolosa et disperata» della predestinazione risiedeva

dunque nel valore assegnato all’«humana raggione» nell’ambito del piano divino di salvazione universale. Ragione che i protestanti invece negavano, rendendo a suo dire gli uomini simili a bestie, «facendoli camminare peggio che cavalli et brutti animali», perché impossibilitati a compiere scelte morali e religiose. altri argomenti contro quella dottrina Siculo li trasse dagli scritti dei suoi confratelli benedettini (Luciano Degli Ottoni, Benedetto da Mantova, gian Battista Folengo), incentrati sull’idea dell’estensione all’intera umanità del «beneficio di Cristo» e della predestinazione alla salvezza. Tutti furono ribaditi nello scritto edito subito dopo l’Epistola, l’Espositione… nel nono et

undecimo capo della Epistola di San Paolo alli Romani, in cui egli confutava l’interpretazione dei passi biblici, «fortezza dei predestinatari».

Nell’Epistola, il fallo dello Spiera veniva individuato nell’incoerenza del suo agire, poiché, reso certo della sua elezione dalla dottrina predesti- nazionista, egli si era comportato in modo disonesto nella sua professione di avvocato:

Tu, Francesco, per la falsa dottrina la quale havevi imparato de non potere più perire, tenendoti essere delli eletti, i quali non puono mai perire (secon- do la dottrina de’ protestanti) falsificavi il tuo ufficio, non ti curavi più del divin timore […] Tu, Francesco, con la tua fallace dottrina ti persuadevi ha- vere legato Dio per le mani […] ma lui giustamente per la tua incredulità et iniquità ti ha dato col piede destro un calzo, col quale ti ha gettato vivo vivo nel profondo dell’inferno.

Per il Siculo, comunque, la sua colpa rifletteva la profonda decadenza della società cristiana, in cui «regni, stati, città e castella» erano pieni di «ingiustizia, assassinamenti, robbamenti e gravamenti di poveri, pieni di sanguinolenza, odii e tradimenti» ecc. e «senza pace, senza carità, senza fede, senza legge e fuora di ogni cristiana verità». Sia i singoli cristiani sia i principi e gli ecclesiastici dovevano provvedere a modificare questa situazione seguendo le rivelazioni divine del Siculo, che sarebbero state confermate da Cristo in persona con un suo avvento. Nell’attesa del trionfo della «verità», l’ex benedettino sosteneva la legittimità della partecipazione «a’ culti non veri». La simulazione religiosa, praticata da molte persone «preti e frati, uomini e donne» convertite alla Riforma e residenti in terra cattolica, era ritenuta del tutto lecita per non scandalizzare i deboli, secondo l’insegnamento di san Paolo nell’episodio della circoncisio- ne di Timoteo. anzi, il Siculo era molto netto nei confronti dei riformati che esortavano all’esilio o al martirio, giudicandoli «mendaci maestri»:

Non negano Cristo come mendacemente ha detto Francesco Spiera e soi men- daci maestri, quelli i quali propter infirmos fratres, et etiam per non essere a loro lecito altrimenti provvedere e difinire, consentino con altri infermi fra- telli a quelli culti che a loro non paressero leciti né veri. Né manco negano Cristo coloro e’ quali accettano e confessano pubblicamente le cose et ordini che tiene la romana Chiesa, sin tanto che altramente se gli provvederà e se determinarà legittimamente dalli suoi ordinari.

Il Siculo fece, in conclusione, del dramma dello Spiera il grimaldello per scardinare la dottrina chiave della teologia di Calvino e uno dei suoi princi- pali obiettivi polemici, il nicodemismo. Significativamente, il suo scritto fu inizialmente accolto come uno strumento assai efficace contro i riformati da parte di ecclesiastici romani, tanto che i domenicani ne favorirono la pub- blicazione. L’atteggiamento cambiò quando si compresero le conseguenze delle sue tesi. Il libero esercizio dell’arbitrio in consonanza con lo Spirito e i precetti evangelici eliminava colpe e pene per l’uomo, e quindi eliminava il purgatorio, ma soprattutto la necessità storica delle chiese, di tutte le chiese, inaugurando una nuova etica individuale e una visione del tutto alternativa della religione e della società. L’integrità della ragione consentiva altresì al- l’uomo di progredire verso la perfezione divina, e metteva implicitamente in discussione l’idea tradizionale della figura di Cristo nella Trinità. L’Epi-

stola e l’Espositione segnarono così, alla fine, la sorte del Siculo. Sottoposto a processo inquisitoriale a Ferrara, egli fu impiccato, nonostante l’abiura, come eretico impenitente nel maggio 1551.

L’esecuzione capitale dell’«arcieretico» non mise fine alla sua leggen- da, che durò sino agli anni Settanta. La setta giorgiana attese la risurrezione preannunziata dal Siculo stesso il terzo giorno dopo la sua passione e morte, come Cristo; poi, dopo la mancata realizzazione delle sue profezie, Stefano da Brescia assunse il ruolo di nuova incarnazione di Cristo e la missione pro- fetica di redentore dell’umanità, alla quale cercò di associare il re di Francia e i turchi contro «Babilonia la grande».

3. I paladini della libertà religiosa: Castellione e Curione

Nel documento Giovanni Calvino e l'Italia (pagine 102-105)