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Narrazioni surreal

Nel documento Music Video (pagine 154-159)

6. Musica elettronica e video

6.2 Narrazioni surreal

La linea narrativa e pseudocinematografica si è diffusa anche nei video di musica elettronica, con una spinta innovativa in più ri- spetto ad altri generi musicali. Come diceva Rybczynski, nella gran parte dei casi, i registi che padroneggiano bene il linguaggio dei video musicali a un certo punto vogliono dimostrare di essere in grado di fare film. Con una differenza rispetto agli anni Ottanta: in questo momento l’estetica di molto nuovo cinema è già di per sé contaminata dal mondo dei video musicali, e quindi molti registi che arrivano da questo ambito e che hanno provato a fare film, con al- terne fortune, come Michel Gondry, David Fincher, Mark Romanek, Jonathan Glazer, Spike Jonze, e tanti altri, hanno trovato nel cine- ma non più un terreno fertile, ma già abbondantemente “fertilizza- to” dal germe del video musicale.

La musica elettronica, spesso suggestiva di per sé ed evo- cativa di situazioni o immagini, rende i registi più coraggiosi nel tentare percorsi narrativi brevi che non sono più il “piccolo film” tipico degli anni Ottanta, ma qualcosa che ha a che fare con quella frammentazione o sospensione del racconto, tipica di molta lette- ratura moderna.

Hey Boy Hey Girl (1999), diretto dal duo Dom&Nic per i Chemical Brothers, si caratterizza per la linearità del racconto, con tinte surreali se non grottesche, e per un montaggio che dichiarata- mente non segue, se non in rarissimi casi, la linea ritmica del brano. Una bambina, durante una gita scolastica, è stranamente attratta da un libro in cui si mostrano dei disegni di ossa: insieme alla classe va a visitare un museo di paleontologia da cui rimane affascinata. Un suo compagno crede di spaventarla indossando un teschio di plastica: in realtà la bambina gli prende la maschera, se la mette e comincia a inseguire il bambino per le scale del museo, inciam- pando e fratturandosi un polso. La bambina è in bagno, si guarda allo specchio, si tocca il viso, per un attimo un teschio sostituisce il suo volto, e subito dopo la vediamo adulta, nel bagno di una aset- tica discoteca, in cui tutti bevono acqua. La ragazza incontra vari personaggi, ma inevitabilmente li vede come degli scheletri, fino al punto che tutti i ragazzi che ballano, compreso il dj, diventano degli scheletri in movimento. La ragazza esce dal locale, prende un taxi, e il conducente, come da copione, è uno scheletro.

Il video, nella sua semplicità quasi “chirurgica”, in realtà può avere molteplici sottotesti. Qual è il mistero che si nasconde dietro

alla strana capacità visionaria della ragazza? Soprattutto, perché ostenta un’aria di superiorità divertita nei confronti del “mondo della carne” che la circonda? Ovviamente il video non dà risposte chiare, ma solo suggestioni: il senso di morte, che viene evocato dalle figure archetipiche del teschio e dello scheletro danzante, vie- ne scatenato dalla protagonista con un gioco che sembra innocuo e infantile; questa figura femminile, algida e magra, si aggira in un mondo che sembra non capire la fragilità che lo sorregge.

Un altro video dagli intenti narrativi e che sfrutta in maniera molto intelligente la modalità di gestire visivamente una storia solo attraverso la soggettiva è Smack My Bitch up, realizzato nel 1997 da Jonas Akerlund per il gruppo Prodigy. La soggettiva ci mostra le avventure notturne di un personaggio drogato, alcolizzato e rissoso che semina paura e distruzione: man mano che il video procede, la visione del personaggio diventa sempre più distorta. Infine il mi- sterioso protagonista entra in un locale di spogliarelliste, ne adesca una, la porta a casa sua (dove all’inizio del video si era notato un “vezzoso” letto con lenzuola rosa-shocking), compie un pirotecnico amplesso e sviene sul letto, sfinito. Ma per un attimo, uno specchio ci svela finalmente l’identità del personaggio: è una donna, magra, bionda, con il rossetto sfatto sul viso. Al di là dell’intento volon- tariamente provocatorio, il video è linguisticamente interessante, innanzitutto per l’utilizzo di una tecnica, come la soggettiva, a fini

23. Dom&Nic, Hey Boy Hey Girl, 1999 (Chemical Brothers)

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MUSICA ELETTRONICA E VIDEO

espressivi. È la soggettiva, in effetti, a strutturare e reggere l’esile trama, tutta volta al rovesciamento percettivo finale, ma è soprat- tutto il trattamento dell’immagine e gli sfasamenti delle forme che si avviluppano sempre di più a costituire una visione allucinata del mondo, a rendere questa rutilante soggettiva un lisergico omaggio a tanta videoarte.

Anche Angel, un video realizzato da Walter Stern nel 1998 per i Massive Attack, sfrutta un’idea narrativa semplice per giungere a un interessante colpo di scena finale. Come si era già accennato prima nel caso di Rybczynski, l’immagine della folla che corre è molto ricorrente nell’ambito videomusicale, e permette di usare i musicisti senza farli necessariamente recitare. Un uomo di colore esce dalla sua macchina in un parcheggio sotterraneo e si avvia verso l’uscita. Spunta un uomo che si avvia nella stessa direzione dietro di lui, poi un altro, e un altro ancora: l’uomo comincia ad avere la sensazione di essere seguito. Nel frattempo una piccola folla si forma dietro al protagonista che, preso dal panico, comincia a scappare, mentre alle sue spalle le persone continuano a cre- scere e a correre nella sua direzione. Ad un certo punto, di fronte a un muro che blocca ogni via di accesso, il protagonista si gira per fronteggiare gli inseguitori. Dopo un lungo scambio di sguardi, inaspettatamente, l’uomo comincia a muoversi verso la folla, che arretra: poi inizia a correre e tutti gli inseguitori si girano per scap-

24. Jonas Ackerlund, Smack My Bitch Up, 1997 (The Prodigy)

pare. Un’immagine dall’alto ci svela che la folla è diventata smisu- ratamente grande, composta da centinaia di persone.

Il video, che sfrutta in maniera molto abile il rallentatore, un effetto poco usato in un ambito che vive di velocità, è un piccolo saggio di suspense che si scioglie nel colpo di scena finale. Walter Stern costruisce una situazione pseudonarrativa che diventa ine- vitabilmente metafora: qui il tema che diventa visione è la paura, la solitudine (la paura della folla è tipica di chi è solo), ma anche la capacità di riscatto del singolo nei confronti della moltitudine che aggredisce, dell’uomo solo che può fronteggiare il gruppo, carat- terizzato nel video in maniera inquietante essendo tutti vestiti di nero, come se fossero in divisa.

Itsu (2003), realizzato per il duo dei Plaid dal gruppo di registi Pleix, è un’opera esemplare per la gestione della narrazione, pur ponendosi questioni di tecnologia. Il video è completamente realiz- zato con una tecnica molto semplice, ma frutto di una scelta stili- stica precisa: quella di rimanere in un ambito a metà fra la ripresa dal vero e il cartoon. I personaggi sono reali, ma trattati come se fossero fotografie in movimento: i loro movimenti spesso sono semplici loop o brevi morphing, mentre gli sfondi sono tessiture grafiche essenziali, che li descrivono in modo stilizzato; la finzio- ne dell’accostamento dei vari elementi è dichiarata fin dall’inizio, e conferisce a tutta l’opera una patina di plastica, di eccessiva pulizia. L’intento di fondo è quello di deridere l’estetica di un certo tipo di pubblicità interna aziendale, i cosiddetti “istituzionali”, e infatti l’in- tera vicenda del video è ambientata in una struttura industriale che si occupa di carne di maiale, la Pork Corp.

25. Walter Stern, Angel, 1998 (Massive Attack)

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MUSICA ELETTRONICA E VIDEO

Il video inizia mostrandoci la classica sala riunioni, nella quale due donne e tre uomini stanno assistendo alla relazione di un colle- ga: il videoproiettore sciorina schermate in cui i dati di vendita sono eccezionalmente buoni; si susseguono grafici in cui si vedono le linee salire sempre di più, e la crescita dell’azienda arrivare a livelli mai visti. Chi sta mostrando i grafici comincia ad avere delle visioni: i dati di crescita diventano metafore sessuali, i colleghi cominciano ad ammiccare fra loro, improvvisamente indossano maschere di maiali sul viso, mimando ridicoli atti sado-maso; sui tavoli appaio- no hot-dog, salami e prosciutti. Dai grafici sempre più distorti, che diventano parte integrante del video, si intuisce che l’azienda sta usando prodotti chimici per aumentare forzatamente la capacità di accoppiamento dei maiali, fino a quando uno dei colleghi, forse anch’egli in preda al delirio, ha un’idea geniale. Prende degli stru- menti da macellaio, uccide i colleghi, ne tritura la carne, e lancia la nuova moda: i maiali diventano animali domestici, mentre è chiaro da ciò che raccontano le immagini che è l’essere umano a diventare “carne da macello”. Una serie di prime pagine di giornale testimonia il successo dell’idea.

Il contesto narrativo, che di per sé potrebbe produrre imma- gini truculente, in realtà è condotto all’insegna del sarcasmo visivo, grazie alle scelte stilistiche, cui abbiamo già accennato. Mentre in un primo momento i grafici e l’azione stanno su due livelli visivi diversi, man mano che la storia procede i due ambiti si confon- dono sempre più, e conducono la narrazione in maniera ironica e

suggestiva. E nonostante velocissimamente si intuiscano immagini violente, nel momento in cui il collega uccide gli altri e li tritura, la sensazione è che tutto sia molto “normale”, frutto di un’ennesima scelta di mercato, dominato da schede, cifre, schermate dallo stile allegro e dalla grafica semplice e accattivante.

6.3 Animazioni digitali tra figurativo e astratto

Nel documento Music Video (pagine 154-159)

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