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L’esperienza del Fronte popolare fu originale e ambigua allo stesso tempo30. Il suo carattere di novità non fu dato dalla vittoria elettorale della sinistra - che aveva già avuto la meglio nel 1924 e nel 1932. Esso risiedette anzitutto nell’unità di una sinistra che, dai radicali al Partito comunista, sostenne il primo governo della storia francese guidato da un socialista. L’unione delle forze di sinistra non fu la conseguenza immediata del 6 febbraio 1934. All’indomani dell’assalto al Parlamento comunisti e socialisti reagirono in ordine sparso ma, in larga parte dell’opinione pubblica, iniziò a diffondersi l’idea che le forze «fasciste» stessero minacciando il sistema parlamentare. L’impressione suscitata dalla crescente aggressività delle leghe, le aspirazioni autoritarie attribuite a Domergue e i crescenti riflessi della crisi del sistema internazionale di Versailles sulla politica interna suscitarono un riflesso di difesa repubblicana e accrebbero la determinazione delle forze antifasciste

30 Il Fronte popolare è stata una coalizione di partiti politici di sinistra che fu al governo tra il 1936 e il 1938. Si è formata dal Partito comunista francese, la Sezione Francese dell'Internazionale Operaia (SFIO) e il Partito Radicale, cui hanno aderito altri movimenti formati in gran parte da intellettuali come la Lega dei Diritti Umani, il Movimento contro la guerra e il fascismo e Comitato di vigilanza degli intellettuali antifascisti. Alle elezioni del 3 maggio 1936 ottenne 386 seggi su 608. Il capo del governo di Fronte popolare fu Léon Blum, leader del SFIO. Il suo governo è stato il primo ad avere donne ministro (3 in totale) mentre ancora non avevano il diritto di voto. Sotto questo governo furono firmati gli Accordi di Matignon, che riconoscevano il diritto di associazione e l'aumento degli stipendi del 12%. Poco dopo, una legge istituisce i primi 15 giorni di ferie pagate, mentre un'altra le 40 ore della durata della settimana lavorativa (prima erano 48 ore la settimana). Cfr. Serge Berstein et Pierre Milza, Histoire de la France au XXème siècle, Bruxelles, Complexe, 1997 ; Serge Berstein, Le 6 février 1934, Parigi, Gallimard, 1974 ; Serge Berstein, La france des années

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all’unità31. Il 14 luglio del 1935 allo stadio di Montrouge si tenne una grande manifestazione unitaria conclusa da un immenso corteo di mezzo milione di persone che sfilarono per le strade di Parigi. Particolare significativo che in questa sede si sia unita ai principali contraenti dell’alleanza – ossia il PCF, la SFIO e il Partito radicale – una vasta galassia di movimenti e organizzazioni: l’Unione socialista repubblicana, la Lega dei diritti dell’uomo, i cristiano progressisti della Jeune Répubblique, gli amici della rivista Esprit, il sindacato socialista CGT e quello comunista CGTU, che proprio in questa occasione annunciarono la fusione, avvenuta nel marzo del 1936 a Tolosa. A coronare questo movimento unitario fu, infine, il VII congresso dell’Internazionale, che suggellò la strategia dei fronti popolari in chiave antifascista. I francesi, chiamati alle urne il 26 aprile 1936, accorsero in massa ma, al primo turno, la sinistra fu davanti di soli 70.000 voti. Nel secondo turno del 3 maggio 1936 il Fronte popolare fu bloccato sul candidato di sinistra meglio posizionato al primo turno e si aggiudicò 376 deputati contro i 222 della destra. Il 1936 costituì probabilmente la data più importante della storia elettorale francese dopo il 1877. Le elezioni approfondirono il bipolarismo del sistema, rafforzando le ali estreme dei due schieramenti: da questo momento in avanti non sarà più ipotizzabile un governo di sinistra senza il sostegno attivo del

31 La Conferenza di pace di Parigi del 1919 fu una riunione internazionale, che vide i paesi usciti vincitori dalla prima guerra mondiale, impegnati nel delineare una nuova situazione geopolitica in Europa e stilare i trattati di pace con le Potenze Centrali uscite sconfitte dalla guerra. La conferenza si aprì il 18 gennaio 1919 e durò fino al 21 gennaio 1920, con alcuni intervalli. Da questi trattati la cartina d'Europa uscì completamente ridefinita in base al principio della autodeterminazione dei popoli, concepito dal presidente degli Stati Uniti d'America Woodrow Wilson, nel tentativo, in seguito rivelatosi fallace, di riorganizzare su base etnica gli equilibri del continente europeo. Nel tentativo di creare, sulle ceneri degli imperi multietnici di Austria-Ungheria e Turchia, stati "etnicamente omogenei", vennero creati ex novo stati quali la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Romania, destinati ad alimentare nuove tensioni ed instabilità, oltre ad esodi e conflitti di popoli e nazioni. Cfr.: Ennio Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, Bari, Laterza, 2000; H. Foley, W. Wilson. Woodrow Wilson's Case for the League of Nations, Princeton University Press, Princeton, 1923.

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PCF. Il 4 giugno 1936 il leader socialista Blum32 annunciò la composizione di un governo, sostenuto dall’esterno dai comunisti. Primo socialista e primo ebreo ad accedere alla presidenza del Consiglio, Blum intese esercitare la propria azione di governo nel solco di una linea legalitaria e riformista, ma si trovò immediatamente confrontato ad una situazione difficile e imprevista. La primavera del 1936 fu caratterizzata da un movimento sociale di dimensioni e intensità sino ad allora sconosciuti. Galvanizzata dalla campagna elettorale e dalla vittoria del Fronte, la classe operaia – che era mossa da una grande speranza di cambiamento più che da aspirazioni rivoluzionarie – lanciò un vasto movimento di scioperi e occupazioni di fabbriche, che coinvolse due milioni di lavoratori. Benchè spontanea e assolutamente pacifica, questa ondata di proteste – vissuta da Blum come un vero e proprio «schiaffo» – ebbe come effetto quello di scuotere gli animi delle classi medie e, soprattutto, di spaventare gli industriali che per la prima volta videro contestato il proprio «diritto divino» e si trovarono confrontati a un interlocutore sociale, il sindacato, sostenuto dal potere politico. Si trattava di un problema particolarmente serio che il governo del Fronte si portò dietro lungo tutta la sua esperienza, caratterizzata da una crescente aggressività della stampa di destra, in molti casi finanziata direttamente da Roma o Berlino. Fu in questo contesto che si affermò con singolare forza la figura di Blum, politico ostile a qualsiasi forma di demagogia e fermamente convinto che il successo delle sinistre non rappresentasse la «conquista del potere», premessa della rivoluzione, ma che esso doveva tradursi in un convinto ed efficace esercizio del potere da parte dell’esecutivo. Lungi dall’indebolire le istituzioni, il governo socialista conferì loro un impulso sino ad allora sconosciuto. Con l’intento di affermare il

32 Léon Blum (Parigi, 9 aprile 1872 – Jouy-en-Josas, 30 marzo 1950) è stato un politico francese. Socialista, fu uno dei dirigenti della Sezione Francese dell'Internazionale Operaia (SFIO) e presidente del Consiglio dal 4 giugno 1936 al 22 giugno 1937 e dal 13 marzo al 10 aprile 1938, nonché Capo del Governo provvisorio della Repubblica francese dal 16 dicembre 1946 al 22 gennaio 1947. Ha segnato la storia della politica francese per aver rifiutato l'adesione dei socialisti alla Terza Internazionale comunista nel 1920 e per essere stato il presidente del Consiglio del Fronte popolare nel 1936.

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proprio ruolo all’interno dell’esecutivo e di favorirne la coesione Blum – a differenza dei suoi predecessori – iniziò a lavorare direttamente con ogni ministro. La presidenza del Consiglio si affermò così come fulcro dell’azione di governo, come centro di coordinamento e, soprattutto, di decisione. Nei primi mesi di governo la produttività del lavoro parlamentare, complice un atteggiamento conciliante del Senato, organo tradizionalmente propenso a frenare gli impulsi riformisti dell’esecutivo, conobbe una accelerazione esaltante. Nel corso del mese di giugno il progressivo riflusso del movimento di scioperi, favorito anche dall’atteggiamento conciliante del PCF, conferì autorità al governo che sembrò ricevere un impulso decisivo dalle grandi aspirazioni al rinnovamento presenti in ampi strati dell’opinione pubblica. Ma il «periodo felice» del governo Blum era destinato a chiudersi con l’arrivo dell’autunno, sulla scorta del deterioramento del contesto economico e, soprattutto, dell’aggravarsi della scena internazionale. La ripresa dell’inflazione nel corso dell’ultimo trimestre del 1936, l’accelerazione della fuga di capitali all’estero e le difficoltà crescenti di bilancio spinsero Blum ad annunciare, in un discorso radiofonico pronunciato il 13 febbraio del 1937, una pausa dell’azione riformatrice. Il timore di una guerra imminente, associata alla ripresa di scontri di piazza, rese ancora più fragile la maggioranza, abbandonata anche da molti dei propri sostenitori, convinti che il governo avesse tradito lo spirito riformatore delle origini. Il colpo di grazia fu determinato dalla defezione della pattuglia radicale al Senato che negò all’esecutivo i pieni poteri in materia economica e finanziaria obbligandolo, il 22 giugno 1937, alle dimissioni. Nell’immediato la crisi trovò una rapida soluzione: il radicale Camille Chautemps – succedette il 22 giugno stesso a Blum, che dimostrò il proprio sostegno al governo accettando la vicepresidenza del Consiglio. Sul fronte dell’impiego, però, la disoccupazione non accennava a diminuire e, l’immobilismo del governo Chautemps – determinato a non interrompere la pausa annunciata da Blum - e la sua strategia unicamente difensiva fu idealmente simboleggiata dall’edificazione della linea Maginot, promossa dallo Stato maggiore dell’esercito. A gennaio, le critiche sempre più ferme del PCF verso la politica economica e sociale del governo indussero

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Chautemps a dimettersi. Incaricato dal capo dello Stato di formare un nuovo esecutivo, Blum, consapevole della drammaticità della situazione, tentò dapprima di dar vita a un governo di unità nazionale per poi risolversi – verificata l’indisponibilità di gran parte della destra – a dar vita al suo secondo Fronte popolare. Il tentativo di rilanciare l’economia ispirandosi alle teorie keynesiane e all’esperienza del New Deal roosveltiano, da completarsi attraverso l’istituzione di un’imposta sul capitale, si scontrò con l’ostilità del Senato che, rigido tutore dell’ortodossia liberale, rifiutò al governo i pieni poteri in materia finanziaria. L’8 aprile 1938 le dimissioni di Blum dopo appena quattro settimane a Matignon sancirono la fine dell’esperienza del Fronte popolare e aprirono definitivamente la strada a uno spostamento al centro degli equilibri politici.

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