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NASpI, ASDI e contratto di ricollocazione

4. Le garanzie per il lavoratore

4.3 NASpI, ASDI e contratto di ricollocazione

Anche se non riguarda direttamente il tema del licenziamento è utile fare un cenno a quanto ha introdotto il Governo come “contropartita” alla maggiore flessibilità nei licenziamenti.

Tra le deleghe affidate al Governo da parte del Parlamento c’è stata quella di riorganizzare la normativa in materia di ammortizzatori sociali e più precisamente la disciplina degli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria.

Lo scopo perseguito dalla riforma era ed è nei fatti il superamento di ogni forma di sostegno al reddito che possa incentivare il lavoratore a mantenere lo stato di disoccupazione sempre nella logica quindi di maggiore efficienza degli ammortizzatori sociali.

Già nel D.Lgs. 23/2015 si ravvisava l’intenzione del legislatore di incentivare il lavoratore a cercare un posto di lavoro alternativo agli strumenti di sostegno. Infatti all’indennità che spetterebbe al lavoratore, se fosse illegittimamente licenziato, viene detratto un importo pari a quanto “avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 21 aprile 2000, n.181, e successive modificazioni”.

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Tuttavia il decreto legislativo in questione non è più il 23/2015, contenente le disposizioni relative al contratto a tutele crescenti, ma è il D.Lgs 22/2015

“disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n.183”.

La separazione tra i due decreti di fatto non esiste in quanto sono da considerarsi complementari per avvicinarsi sempre di più alla flexicurity.

Prima del Jobs Act operavano solamente le cosiddette politiche del lavoro passive per le quali dal 2010 al 2015 sono stati spesi oltre 20 miliardi l’anno.

Sono mancate le politiche attive ossia quelle volte a promuovere efficacemente la ricollocazione del lavoratore.120

La Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per L’Impiego (da ora NASpI) dovrà svolgere proprio la funzione descritta in precedenza tutelando quindi i lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perso il lavoro a causa del licenziamento. La NASpI sostituisce le precedenti indennità di disoccupazione ASpI e mini ASpI per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015 e ha la particolarità che spetterà anche ai lavoratori a tempo determinato delle Pubbliche Amministrazioni. Lo stesso decreto esclude invece i “dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche

amministrazioni”.

Possono accedervi solo coloro i quali possiedono determinati requisiti:

 stato di disoccupazione involontaria anche se conseguente a dimissioni per giusta causa ovvero se indotte da comportamenti altrui idonei a integrare la condizione di non proseguibilità del rapporto di lavoro. Gli altri casi di risoluzione consensuale che rientrano nello stato di disoccupazione involontaria riguardano la situazione nella quale intervenga la procedura conciliativa presso la DTL oppure nel caso di accettazione dell’offerta di conciliazione. Infine quando il lavoratore rifiuta il trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km rispetto alla sua residenza;

 requisito contributivo: tredici settimane di contribuzione nel quadriennio che precede l’inizio del periodo di disoccupazione anche se non versati;

 requisito lavorativo: trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi che precedono il periodo di disoccupazione a prescindere dall’orario lavorativo.

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Viene eliminato il requisito per l’accesso alla vecchia ASpI. Tale requisito che prevedeva al momento della cessazione del rapporto di lavoro fossero trascorsi almeno due anni dal primo versamento contributivo contro la disoccupazione.

Non hanno, invece, diritto alla Naspi i lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, gli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato, i lavoratori stranieri con permesso di lavoro stagionale ed i dipendenti a tempo indeterminato della pubblica amministrazione.

L’indennità di disoccupazione ha cadenza mensile e la durata è pari alla metà dei mesi lavorati negli ultimi 4 anni per un massimo di due anni.

L’importo non può superare il limite massimo individuato annualmente per legge. In ogni caso è pari al 75% della retribuzione mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni.

Il sostegno economico si riduce del 3% ogni mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione.

Forse più interessante è la novità, volta ad incentivare l’occupazione delle persone, che prevede la partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione professionale per potere accedere alla NASpI.

Se una volta scaduta l’indennità di disoccupazione la persona licenziata non ha trovato un nuovo impiego e si trova in uno stato di disagio economico può accedere all’ASDI (Assegno di disoccupazione).

Tale assegno non spetta a tutti ma solo “ai disoccupati appartenenti a nuclei familiari in cui sia presente almeno un minorenne o a coloro che hanno già compiuto 55 anni e non hanno ancora maturato i requisiti per il prepensionamento di vecchiaia o per quello anticipato”.121

E’ evidente in questo caso la volontà di tutelare i soggetti più deboli e a rischio sociale.

Altra importante previsione è il Contratto di ricollocazione. Questa novità rappresenta la chiave di modernizzazione più qualificante e innovativa della riforma alla luce anche dei risultati positivi raggiunti nei paesi che già la utilizzano.122

Non è del tutto una novità in quanto era già stato previsto nella riforma Fornero anche se era rimasta inapplicata.

121 http://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/poverta-ed-esclusione-sociale/focus-

on/ASDI/Pagine/default.aspx

122 Jobs Act e contratto di ricollocazione: prime interpretazioni e valutazioni di sistema, Michele

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L’assegno di ricollocazione torna ad essere centrale nelle politiche attive tant’è che inizialmente era stato inserito all’interno dello schema di decreto sul contratto a tutele crescenti e non nello schema di decreto attuale.

Nello specifico l’assegno di ricollocazione è uno strumento messo a disposizione della regione avendo competenza legislativa in materia di servizi per l’impiego.

La regione con una delibera della Giunta offre ai disoccupati la possibilità di stipulare tale contratto di ricollocazione. Nella pratica viene proposto un voucher per la copertura del costo di un buon servizio di outplacement cioè di assistenza intensiva nella ricerca del nuovo posto.

Il voucher è suddiviso in una parte fissa e una, assai maggiore, pagabile soltanto a ricollocazione avvenuta.

L’agenzia quindi, nel caso in cui il lavoratore resti disoccupato, non ha diritto al contributo finale che rappresenta una sorta di premio per il risultato conseguito. Il lavoratore può scegliere liberamente l’agenzia alla quale rivolgersi purché sia accreditata presso la Regione. Si attiva così un regime di positiva concorrenza tra le imprese accreditate.

Per evitare che le agenzie di outplacement siano spinte ad accogliere soltanto i lavoratori più facilmente ricollocabili l’importo del voucher è inversamente proporzionale alla probabilità di trovare un nuovo impiego.

A differenza della NASpI e dell’ASDI, il contratto di ricollocazione si applica a tutti i disoccupati indipendentemente dal fatto che siano stati assunti con contratto a tutele crescenti o meno. Per questo motivo, secondo alcuni analisti, non ci sarebbero le risorse necessarie per garantire un contratto di ricollocazione a tutti i disoccupati. D’altro canto però porterebbe a un notevole risparmio considerando i costi elevati della vecchia Cassa integrazione e dei corsi di formazione non collegati ad alcun piano di ricollocamento.

I finanziamenti necessari saranno stanziati dal Fondo per le politiche attive che in parte vedrà la partecipazione dei datori di lavoro. Infatti qualora il rapporto di lavoro a tempo indeterminato venga interrotto il datore di lavoro dovrà versare un contributo a tale fondo.

Per una gestione più efficiente delle politiche attive il Governo ha costituito l’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro).

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L’Anpal è una struttura su base regionale e coadiuvata dall’INPS, dall’INAIL, dalle Agenzie per il Lavoro, da tutti i soggetti attualmente accreditati alle attività di intermediazione, dagli enti di formazione, da Italia Lavoro e dall’ISFOL.

Tuttavia quest’ultima disciplina prevista dal Jobs Act, dopo la bocciatura del referendum costituzionale, rischia di rimanere inattuata. Infatti la vittoria del "No" al referendum lascia la riforma del collocamento pubblico come materia concorrente fra Stato e Regioni e non di esclusiva competenza statale (come sarebbe stato se avesse vinto il Sì). Quindi l’Anpal, che in un anno e tre mesi dalla costituzione non ha ancora erogato un solo assegno di ricollocazione, viene di fatto privata della sua funzione.

Il nuovo assegno per aiutare i disoccupati a ricollocarsi verrà declinato a piacere da ogni giunta regionale. Lo Stato continuerà ad avere un potere di intervento limitato sulle realtà locali restando quindi l'attuale "federalismo" al sostegno della disoccupazione.

Alcune regioni, seppure nella ristrettezza economica, avevano già attuato valide politiche attive. Ad esempio la Regione Veneto attraverso i tirocini finalizzati all’inserimento lavorativo dal 1° gennaio 2013 al terzo trimestre del 2015 su circa 70 mila tirocini il 69% ha avuto come seguito una nuova esperienza lavorativa.123

L’Italia è uno dei paesi che investe meno nelle politiche attive del lavoro. La Francia, ad esempio, spende 11.234,00 euro medi a persona per la sua ricollocazione contro i 4.351,80 dell’Italia.124 Inoltre l’Italia investe solamente l’1,7% del Pil contro il 2% della

media UE. Ai centri per l’impiego che si occupano della ricollocazione del lavoratore viene destinato l’1,9% della spesa totale contro il 10,8% della Francia e il 18,8% della Germania.

Nella tabella 3 viene dimostrato, sulla base dei dati Eurostat, come sono state destinate le risorse pubbliche nel 2014 per le politiche attive sul lavoro in Italia e in Francia. Tralasciando l’enorme divario dei dati in valore assoluto dovuti anche alle diverse ristrettezze di bilancio dei paesi ciò che è particolarmente significativo è la distribuzione dei fondi nelle varie misure. In Italia le misure della formazione e degli incentivi all’impiego costituiscono quasi il 100% delle risorse mentre in Francia quasi la metà viene utilizzata per la formazione e il resto viene diviso tra il supporto all’impiego e la creazione di lavoro.

123 Dal tirocinio al lavoro, triennio 2013-2015: gli esiti occupazionali, Veneto Lavoro 124 Rapporto Eurostat Labour market policy – expenditure and participants

77 Formazione Incentivi all’impiego Centri per l’impiego Creazione lavoro Incentivi start up Totale Italia 2.153.095 2.013.283 N.D 72.919 206.352 4.445.649 48,43% 45,28% N.D 1,64% 4,65% 100% Francia 7.680.004 864.355 2.017.426 4.287.044 794.611 15.643.440 49,09% 5,50% 12,89% 27,45% 5,07% 100% Fonte: http://ec.europa.eu/eurostat/web/labour-market/labour-market-policy/main-tables

Non c’è una teoria specifica che indichi dove sia meglio destinare i fondi disponibili. Si può tuttavia supporre che seguendo l’esperienza dei paesi che già utilizzano efficientemente queste politiche, che è la logica della riforma stessa, sia necessario investire di più nei centri per l’impiego.

Infine secondo uno studio della Direzione Generale per l’Occupazione della Commissione europea si evince che la percentuale di disoccupati attivi è maggiore nei Paesi in cui le istituzioni sono più efficienti. Ciò non significa che la gestione delle politiche attive debba essere accentrata ad un unico ente/organo considerando anche il fatto che tale compito, in paesi come la Germania, spetta ai municipi.

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