Tra i punti che fanno della lettera a Savigny del 9 marzo 1807 un documento fondamentale ai fini della comprensione del processo decisionale che portò Jacob ad assegnare una più precisa direzione al proprio futuro con l’adesione, di fatto definitiva, al mondo della letteratura, vi è la lapidale enunciazione programmatica collocata nella parte finale:
Allein ich werde jetzt mit mehr Neigung zum Studium der Geschichte der Poesie und Literatur überhaupt hingezogen.65
Allo studio della “storia della poesia e della letteratura”, da affrontare – così come dichiarato al professore – con rinnovato impegno ed entusiasmo, Jacob Grimm si era in realtà rivolto da tempo, con lunghe ed intense ricerche personali, a giudicare dal tono di sicurezza e dal grado di approfondimento dei saggi da lui prodotti sull’argomento, che di tali ricerche rappresentano i primi frutti e che cominciano ad essere pubblicati in un periodo assai vicino alla data della citata epistola. Considerando anche quanto egli stesso afferma nell’“incipit” di Etwas über Meister- und Minnegesang, apparso sul Neuer Literarischer Anzeiger, numero 23 del giugno 1807, questa scelta doveva esser stata messa in atto ed aver assunto carattere permanente almeno dall’inizio del 1806, benché ufficializzata a Savigny solo un anno dopo:
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Reinhold Steig, Achim von Arnim und Jacob und Wilhelm Grimm, cit., p. 116.
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Es ist nicht viel länger als ein Jahr, dasz ich mich mit dem Studium der altdeutschen Poesie und deren Geschichte (welcher genauere Kenntnis und Einsicht den Aufwand vieler Jahre erfodert) abgegeben habe […]66
I saggi e le recensioni, accolti nel corso degli anni seguenti anche da altre riviste, quali l’Einsiedler di Achim von Arnim o il Deutsches Museum di Friedrich Schlegel, e riuniti nei volumi postumi delle Kleinere Schriften, compongono, con le “Vorreden” e le “Einleitungen” alle varie opere, l’insieme di pubblicazioni a cui attingere per capire come Jacob ripercorse e interpretò quella “storia della poesia” da lui così spesso evocata, e sceverare gli assunti che ne indirizzarono gli studi, ovvero i tratti principali della sua concezione poetica, non essendo questa mai stata oggetto, da parte sua, di apposite ed estese trattazioni “tout-court”. A tal fine, un’altra fonte è rappresentata dai carteggi intrattenuti con Wilhelm, ogni qualvolta i fratelli si trovavano per varie ragioni lontani l’uno dall’altro, con Savigny, Arnim e il gran numero di letterati e studiosi di diverse nazionalità con cui Jacob entrò in contatto e con cui non mancò di affrontare tematiche di primo piano nell’ambito dei suoi interessi, talora tramite dibattiti a distanza alimentati da forti prese di posizione.
Nella saggistica i passaggi che contribuiscono a comporre un quadro teorico generale non sono di regola molto frequenti e, ad eccezione di alcuni “Aufsätze” interamente dedicati all’analisi di forme letterarie specifiche, si trovano inseriti nei brani di critica ai testi presi di volta in volta in esame, siano essi saghe circoscritte a determinate località o celebri capisaldi della poesia tedesca, nei confronti fra le diverse versioni, nelle recensioni, negli studi comparatistici delle letterature straniere. Sono sempre le singole opere, infatti, l’oggetto concreto del lavoro di Jacob Grimm, ed i risultati della loro analisi vanno idealmente a costituire i capitoli di quella “Geschichte der Poesie und Literatur”, il cui progetto di realizzazione egli affermò nel 1807 di voler perseguire / stare già perseguendo.
Valgano, a titolo esplicativo, le parole con cui Arnim introduce, per lettera, ad un conoscente il libro di Jacob sulla poesia dei “maestri cantori” tedeschi, riportate da Reinhold Steig in Achim von Arnim und Jacob und Wilhelm Grimm. Nell’elogio profuso dall’amico scrittore, l’aspetto decisamente meritevole della pubblicazione riguarda proprio la sua più intima e – nell’intenzione dell’autore – più importante finalità, assolta
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Jacob Grimm, Etwas über Meister- und Minnegesang, in Jacob Grimm, Kleinere Schriften, Ferd. Dümmlers Verlagsbuchhandlung, Berlin 1869, Vol. IV, p. 7.
nei confronti della storia della poesia nazionale, in qualità di approfondimento e diffusione della stessa. Del lavoro di Jacob sui “Minnelieder / Meistergesänge” sono valorizzati “in primis” l’ampiezza dell’approccio e la meticolosità dell’esame delle fonti, tanto da auspicare che siano affidati a chi dimostra di procedere secondo queste modalità, anche gli altri capitoli che compongono la “Geschichte der Poesie”:
Die herrliche Schrift meines lieben Freundes Jacob Grimm über altdeutschen Meistergesang […] so enthält sie doch ungemein viel Belehrendes über die Geschichte unserer Poesie, was nur durch ein sehr allgemeines, fleißiges Quellenstudium erlangt werden kann, daß man dabei das größte Verlangen fühlt, die gesammte Geschichte unsrer Poesie von ihm bearbeitet zu sehen.67
Viscerale è il rapporto di Jacob con i testi: le “Urkunden” dell’antica poesia tedesca, come anche quelle straniere ad essa collegabili, vengono recuperate – come si apprende, in particolare, dal carteggio giovanile con Wilhelm – da biblioteche ubicate fino in angoli remoti della Germania o dell’Europa, pazientemente trascritte dai manoscritti, analizzate nel contenuto e nelle forme linguistiche, selezionate, commentate e, infine, presentate al pubblico, spesso dopo il superamento di faticose trattative editoriali, nella gratificante consapevolezza di averle sottratte al degrado del tempo e all’incuria degli uomini. Condivisero questa genesi, tra gli altri, le Deutsche Sagen, la raccolta di canti islandesi Edda, il poema Reineke Fuchs.
Questo approccio scientifico, caratterizzato da un “fleißiges Quellenstudium”, dalla profondità e accuratezza dell’indagine e mirato sistematicamente a riportare alla luce e al centro dell’attenzione l’oggetto della ricerca, senza alterarlo in alcun modo né utilizzarlo per secondi fini, fa di Jacob Grimm il padre per eccellenza della germanistica intesa come nuova “Wissenschaft”, contraddistinguendo la sua attività sia rispetto a quella di altri studiosi di antica poesia tedesca, che nell’ambito del movimento romantico a cui, per afflato e condivisione di idee, egli è riconducibile.
Egli stesso, nel biasimare i metodi procedurali sbrigativi di un filologo coevo, il “rivale” Friedrich Heinrich von Hagen, utilizza l’espressione “ans Licht zu bringen” a significare il reperimento e la presentazione al pubblico di antiche testimonianze poetiche, istituendo così, di fatto, la figura di una sorta di archeologo della letteratura, in cui identificare sé e i colleghi.
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Il passaggio, contenuto in una lettera datata 27 ottobre 1810 e indirizzata ad Arnim, si inserisce nella richiesta di commenti riguardo le vociferazioni di una collaborazione di Hagen con Johann Gustav Büsching, germanista oltre che vero archeologo, ai fini di una “Geschichte der altdeutschen Poesie” di pubblicazione imminente, avvertita da Jacob come un progetto che, al contrario del proprio, è suscettibile di produrre risultati poco affidabili e rendere, pertanto, un cattivo servizio alla causa comune:
In einer Zeitung stand, Hagen und Büsching wollten zusammen die Geschichte der altdeutschen Poesie diesen Winter herausgeben. Hast Du etwas davon gehört? Hagen hat eine gewisse Noth, alles geschwind ans Licht zu bringen, als könnte es ihm genommen werden, oder als werde damit etwas nun abgethan, welche die Luft eines ruhigen Studiums ganz aufheben muß.68
Nel perseguire l’obbiettivo dello studio dell’antica poesia, la concezione poetica e l’opera di Jacob Grimm, insieme con quella del fratello, si iscrive nel romanticismo tedesco, di cui, tra l’altro, la raccolta dei Kinder- und Hausmärchen può esser considerata uno degli apici.
In particolare negli scritti pubblicati a partire dall’inizio del 1807, anno in cui esce il primo articolo di Jacob sul Neuer Literarischer Anzeiger, e fino agli anni delle prime edizioni dei libri a firma sua (1811 Über den altdeutschen Meistergesang) e dei “Gebrüder Grimm” (1812-15 Kinder- und Hausmärchen, 1816-18 Deutsche Sagen), nonché negli epistolari risalenti a quel periodo, è possibile cogliere concetti di base in comune con la corrente romantica, sia del primo periodo, la “Frühromantik” di Novalis e dei fratelli Schlegel, che, soprattutto, del secondo, identificabile con il circolo di Heidelberg, con i rappresentanti del quale i Grimm entrarono in maggior contatto e collaborazione, e a cui essi si possono, in via semplificativa, per ragioni non solo cronologiche ricondurre. Al tempo stesso, in Jacob gli stimoli romantici si fondono con l’influsso del pensiero di alcune grandi figure di fine Settecento, quali, fra tutte, Johann Gottfried Herder, con l’insegnamento dello storico del diritto Savigny ed infine, coincidendo gli anni della formazione e maturazione culturale del giovane con una fase di turbolenze politiche attraversate dalla Germania, queste circostanze agiscono sulla ricezione dei vari impulsi e li caricano di nuove finalità e valenze.
Jacob Grimm è innanzitutto un romantico, in quanto si contrappone all’illuminismo e aderisce a principi, come tutti i romantici, che ad esso sono diametralmente opposti. Tra
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questi, i più rilevanti nel suo caso sono un atteggiamento negativo nei confronti del progresso, il ruolo spirituale attribuito alla natura e, a questo collegata, la centralità della poesia, da intendersi sia come forma letteraria tra le altre, che in senso molto più ampio.
L’atteggiamento tipicamente illuminista nei confronti della storia dell’uomo, vista ottimisticamente come una continua e inarrestabile serie di conquiste e accumulo di conoscenze e miglioramenti, viene da Jacob rigettato per una visione organicistica che si richiama ad un ciclo vitale comune a tutte le cose, in cui ad un periodo di armonia vicino alla perfezione, fa necessariamente seguito un altro di degrado e declino.
La fase primigenia, non più ripetibile o recuperabile, è caratterizzata nei popoli da qualità come spontaneità, semplicità, inconsapevolezza, grazie alle quali essi possono godere di un rapporto privilegiato con la natura e, proprio in quanto ad essa – che è emanazione divina – più vicini e assimilabili, beneficiare ancora dell’eco della voce di Dio, che si riverbera in loro e si esprime occasionalmente attraverso la poesia. Col tempo, l’acquisizione di maggior consapevolezza di sé, la perdita dell’innocenza, l’erudizione e l’artificiosità che inevitabilmente ne deriva, portano “fisiologicamente” a superare questo stadio felice, punto più alto del ciclo vitale, e a proseguire lungo la parte discendente della parabola, che prevede un progressivo allontanamento dalla natura. In questa fase, la perdita maggiore è rappresentata dal silenzio di Dio e dal fatto che i popoli non riescono più ad avvertire ed esternare il senso della loro storia e del loro destino collettivo, bensì solo sentimenti e riflessioni personali.
Nella storia della poesia grimmiana questo passaggio coincide con la sostituzione della “Naturpoesie”, espressione corale in cui si narrano avvenimenti storici significativi in modo lineare e senza indicare il nome di alcun autore, necessariamente anonimo in quanto l’opera è considerata spontanea emanazione della collettività, con la “Kunstpoesie”, frutto dell’ingegno e della fantasia del singolo individuo, il quale tramite essa diffonde e rende universale la propria esperienza, sacrificando in genere la semplicità a vantaggio dell’erudizione o di regole che richiedono un’eccessiva attenzione alla forma. Il confronto tra queste due tipologie e i motivi a monte della scelta di rivolgere i propri sforzi al recupero e alla valorizzazione dei documenti della prima (la “Naturpoesie”) sono non solo uno dei temi centrali delle teorie poetiche di Jacob, ma il vero e proprio “Ausgangspunkt” della ricerca programmatica, a cui egli si richiama fin subito nei saggi e nelle prefazioni.
In Über das Nibelungen Liet, apparso nel marzo 1807 sui numeri 15 e 16 del Neuer Literarischer Anzeiger, la critica all’edizione del canto nibelungico di Johann Bodmer è più aspra in quanto l’aggiunta arbitraria della Klage, che pur facendo parte dello stesso ciclo epico non è propriamente parte del poema, è da Jacob biasimata sia per il risultato finale, vale a dire l’alterazione del testo originario, che per una altrettanto imperdonabile sottovalutazione delle qualità intrinseche della poesia “naturale”. L’intento del filologo svizzero, infatti, sarebbe interpretato come un superfluo quanto risibile tentativo di conferire maggiore unità all’opera, quando invece essa, come tutta l’epica – prodotto per eccellenza della “Naturpoesie” – nasce già con caratteristiche di unità tali, che nessuna inventiva o tecnica erudita del singolo artista può superare né emulare.
Con l’occasione Jacob si adopera anche per chiarire l’essenza del genere epico relativamente al suo oggetto, costituito dalla narrazione di un evento di portata straordinaria, nella sua oggettività e naturale progressione:
[…] es waltete bei ihm [Bodmer] ein doppelt unglücklicher Gedanke, wenn er einen Theil des Nibel. Liets abschnitt, und dann “die Klage” damit verband. Er glaubte dadurch die poetische Einheit herzustellen, da doch durch das ganze Nibel. Liet eine Einheit geht, die eine grosze Begebenheit grosz, rein und natürlich in ihrem Fortgange darstellt, wie es einer erbildeten Kunst nicht möglich sein dürfte.69
Nel saggio i pregi del Nibelungen Liet che l’autore sembra voler evidenziare fin dall’inizio sono la sua indiscussa superiorità rispetto alle opere della moderna “Kunstpoesie”, presso cui esso non avrebbe pari, e il carattere capitale del suo ruolo nella storia della poesia tedesca, anche ai fini di dimostrare un’esistenza di quest’ultima indipendente da influssi stranieri (essa sarebbe, infatti, fiorita in un periodo anteriore all’introduzione della letteratura cavalleresca francese e alla serie di imitazioni locali che ne conseguirono). La disamina delle due più recenti edizioni del poema, a cura di Bodmer e Müller, che occupa la parte più consistente del saggio, è quindi preceduta – e resa concettualmente subordinata – dal riferimento alla collocazione dell’opera nel contesto di una “Geschichte der altdeutschen Poesie”, al cui ideale primo capitolo il testo nibelungico andrebbe a portare il suo importante contributo.
Visto alla luce della situazione storica contingente e, quindi, in chiave di rivendicazioni nazionali d’indipendenza contro la “Besetzung” napoleonica in atto al
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Jacob Grimm, Über das Nibelungen Liet, in Jacob Grimm, Kleinere Schriften, cit., Vol. IV, p. 2.
tempo in cui Über das Nibelungen Liet fu scritto, tale apporto si riveste di vibrante attualità politica (in quest’occasione vale forse la pena di segnalare come la figura di Sigfrido – insieme, del resto, all’attività stessa di Jacob Grimm nel campo della riscoperta degli antichi miti germanici – sarà utilizzata dalla propaganda nazionalsocialista, negli anni Trenta del secolo successivo):
Noch soll erläutert werden, wie das Nibelungen Liet mit andern Gedichten in Beziehung stehend, zu einem groszen Cyklus teutscher original-Romane gehört […] Dieses alles gehört füglicher in den Zusammenhang einer Geschichte der altdeutschen Poesie, wo auch der Satz begründet wird, dasz in Deutschland, ehe noch die französischen Rittergedichte bekannt und nachgeahmt wurden, die Poesie selbstständig, und frei von fremden Bestimmungen, in eigenthümlicher Schönheit geblüht.70
E’ utile rilevare, infine, a riprova del valore che Jacob attribuiva all’attività di recupero degli antichi testi di poesia nazionale e a qualsiasi iniziativa volta a mantenerne vivo l’interesse, come egli lodi a più riprese gli sforzi dei due studiosi, a prescindere dalle manchevolezze delle loro pubblicazioni. Bodmer viene indicato come il primo che dopo lungo tempo ha ridato dignità, riportandoli nell’alveo della “poesia” intesa in senso più alto, ai prodotti di letteratura popolare, e richiamato l’attenzione, in particolare, sul poema epico tedesco per eccellenza:
Bodmer, überhaupt nach langer Zeit der erste, welcher die altdeutschen Gedichte als Poesie betrachtete, gehört es zu, das Nibelungen Liet von neuem bekannt gemacht zu haben.71
Più oltre, il disconoscimento dell’opportunità – caldeggiata e messa in pratica da Bodmer nella sua edizione – di operare una cernita nei confronti del testo nibelungico anziché renderlo noto nella sua interezza, fermamente respinta da Jacob in quanto contrastante con un approccio oggettivo volto ad escludere ogni intervento arbitrario, viene contestualmente accompagnato dal riconoscimento al filologo di aver rimesso in luce, nella “Vorrede”, l’antico splendore dell’opera72. Parole elogiative in tal senso sono rivolte anche a Johannes Müller, il quale, duramente accusato di gravi negligenze e inesattezze nella compilazione del proprio volume, avrebbe a suo merito il puro fatto di aver intrapreso una raccolta di antiche poesie tedesche:
70 Ivi, p. 1. 71 Ivi. 72
Cfr. Jacob Grimm, Über das Nibelungen Liet, in Jacob Grimm, Kleinere Schriften, cit., Vol. IV, p. 2.
Als Myller den guten Entschlusz faszte, eine Sammlung altdeutscher Gedichte zu veranstalten […]73
L’innegabile validità dell’intento, a prescindere dai risultati mediocri, viene da Jacob ribadita anche in una nota a piè pagina del saggio:
Sein Verdienst, eine solche Sammlung bewirkt zu haben, wird niemand verkennen. Allein er scheint nicht die gehörigen Kenntnisse gehabt zu haben. Schon bei flüchtigem Lesen stöszt man häufig auf offenbare Fehler […]74
La rilevanza assegnata al modello dualistico “Naturpoesie / Kunstpoesie” nella visione grimmiana emerge in modo inequivocabile da Gedanken wie sich die Sagen zur Poesie und Geschichte verhalten del 1808, contributo di Jacob alla rivista Zeitung für Einsiedler di Arnim. Qui l’accurata descrizione delle due tipologie di poesia, collocata nella parte iniziale del saggio, è funzionale alla successiva introduzione delle qualità della saga, presentata come forma letteraria da ricondurre, insieme all’epica, nell’ambito della “Naturpoesie” e, come tale, corrispondente a quei canoni di spontaneità, onestà e veridicità che contraddistinguono i prodotti di questa categoria.
La trattazione, volta a chiarire l’essenza delle saghe – nonché della “poesia naturale” in genere – nel loro intimo e apparentemente misterioso rapporto con la storia, è in parte strutturata secondo una serie di contrapposizioni, che rispecchiano e approfondiscono la dicotomia di partenza “Natur” / “Kunst”. Secondo questo paradigma, il procedimento spontaneo e automatico di affermazione della “Naturpoesie” è raffrontato con l’artificiosità dei metodi creativi della “Kunstpoesie”, il carattere tipicamente epico della prima con quello drammatico della seconda, l’indipendenza da regole formali dell’una con la subordinazione al mondo dell’erudizione e della cultura dell’altra. Va ad accrescere il peso che tale schema teorico riveste, l’attribuzione ad esso, da parte di Jacob, di un indiscutibile valore di universalità. Nel paragrafo che ne precede l’introduzione, infatti, viene specificato come la differenziazione tra queste due forme di poesia sia un modello applicabile a tutti i popoli e in tutti i paesi:
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Jacob Grimm, Über das Nibelungen Liet, in Jacob Grimm, Kleinere Schriften, cit., Vol. IV, p. 2.
74
[…] unter allen Völker- und Länderschaften ist ein Unterschied zwischen Natur und Kunstpoesie (epischer und dramatischer, Poesie der Ungebildeten und Gebildeten) […]75
Nel confronto fra le due categorie, di per sé non necessariamente in antagonismo in quanto radicate in periodi storici diversi, Jacob non dichiara apertamente la superiorità di alcuna delle due, benché la maggior ammirazione nutrita per la “Naturpoesie” sia avvertibile dai toni entusiastici con cui egli ne descrive le caratteristiche. Proprio in base alla loro enfatica enumerazione è deducibile, “e contrario”, l’avversione a modelli letterari troppo elaborati e frutto di eccessiva razionalità ed erudizione, e l’accantonamento di ogni complessità e finalità didattica tipicamente illuminista in nome della spontaneità e della semplicità. Caricati di valenza positiva, i termini associati alla “Naturpoesie” in modo ricorrente sono, oltre a “treu”, “wahr” e “rein”, per lo più aggettivi che, già per il fatto di cominciare con il prefisso “un”, prefigurano una contrapposizione e, nella fattispecie, l’affrancamento originario da qualità sopravvenute a detrimento di una supposta perfezione poetica: “unbewußt”, “unschuldig”, “ungebildet”, “unwillkürlich”.
Un fascino particolare sembra esercitare su Jacob il processo con cui questa forma di poesia primigenia, indipendentemente da forze esterne e dalla volontà di singoli autori, si appropria di “Begebenheiten”, ossia fatti di portata eccezionale realmente accaduti, per fissarli nella memoria collettiva popolare grazie alla forza del loro potere di risonanza e ad una narrazione accessibile a chiunque nella sua immediatezza. La “Naturpoesie” si presenta, pertanto, come un’entità pressoché dotata di vita propria, assimilabile ad un fenomeno naturale, e come tale agisce secondo modalità spontanee, che, se da una parte non sono per l’uomo pienamente esplicabili, dall’altra conducono senza bisogno di sforzi intellettuali a risultati di ineguagliabile compiutezza:
[der Unterschied] hat die Bedeutung, dasz in der epischen [Poesie] die Thaten und Geschichten gleichsam einen Laut von sich geben, welcher forthallen musz und das ganze Volk durchzieht, unwillkürlich und ohne Anstrengung, so treu, so rein, so unschuldig werden sie behalten, allein um ihrer selbst Willen, ein