1. Il commercio in età romana
Per poter comprendere il ruolo e l'importanza della navigazione fluviale nel commercio di età romana e tardo- antica è indispensabile illustrare un quadro generale delle principali dinamiche commerciali e dei flussi di merci durante il periodo in questione.
Una premessa importante per affrontare l'argomento è che nel mondo antico, già prima dell'età romana, il trasporto delle merci veniva effettuato principalmente attraverso lo spostamento via acqua, in ogni caso possibile. Ciò derivava dal fatto che il trasporto via terra era insicuro, lento, pesante e costoso115 rispetto all'alternativa offerta da mare,
fiumi, laghi e lagune. Solo la creazione dell'efficiente sistema viario di età imperiale aprì la strada al commercio terrestre delle merci, ma esso rimaneva comunque una alternativa poco praticata. Inoltre, la rapida decadenza del suddetto sistema viario dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e l'instabilità politica dei territori eliminarono di nuovo questa alternativa in età tardo-antica. In conclusione, ricostruire i traffici commerciali su acqua equivale a ricostruire la quasi totalità dei traffici commerciali di epoca romana e tardo-antica.
Questa tematica è stata affrontata principalmente attraverso lo studio dei resti di anfore e vasellame, sia a bordo dei
relitti navali che le trasportavano sia nei siti archeologici a terra, da dove queste partivano o arrivavano. É quindi evidente, che, nonostante nel periodo da noi esaminato, le anfore furono la principale forma di contenitori usata, purtroppo, non siamo in grado di ricostruire completamente i commerci, sebbene nei relitti navali sommersi sia possibile in certi casi rinvenire parte del carico anche non anforico. Ciò che riusciamo a ricostruire sono i traffici delle principali merci trasportate nelle anfore, mentre restano pressoché ignoti i traffici di merci come gli schiavi, i tessuti, le derrate alimentari trasportate in cesti (come la frutta), gli oggetti artistici e molti altri, i quali vengono rinvenuti eccezionalmente solo in peculiari condizioni.
Non si deve poi trascurare il fatto che, come sempre in archeologia, i reperti da noi rinvenuti non possono che essere considerati che elementi parziali da utilizzare a fini statistici. A ciò si deve poi aggiungere l'interpretazione recente di alcuni studiosi circa l'ipotesi di un riuso delle anfore da trasporto in alcuni periodi dell'età romana, la quale impone di rivedere le stime finora sostenute nelle ricostruzioni116.
Concluse queste questioni preliminari, senza nessun intento esaustivo, è possibile illustrare una periodizzazione della storia commerciale romana per quanto riguarda i traffici sulla media e lunga distanza, alla luce delle tipologie di anfore rinvenute117 .
Si deve comunque ricordare che accanto a questi grandi
116 Cfr. S. Abdelhamid, 2013 pgg. 91-106 117 Cfr. C.Panella, 2001
commerci maggiormente indagati dagli studiosi, prosperavano anche i piccoli traffici locali che alimentavano le varie zone.
Durante la fase repubblicana Roma, estendendo i propri domini dapprima sul territorio italico e poi sulle coste del Mediterraneo, si impose nei traffici commerciali, pur senza mutarne le principali linee direttrici e le merci. Il commercio a media e lunga distanza continuava ad essere basato su pochi prodotti considerati di pregio che venivano prodotti in specifiche zone. L'autoconsumo o il commercio locale erano ancora dominanti nell'economia delle popolazioni che risiedevano nei territori che si affacciavano sul Mediterraneo. Con la tarda-repubblica (II-I sec a.C), sul territorio italico si affermarono due principali poli di produzione e commercio, la costa tirrenica e quella adriatica (compresa la bassa zona del Brindisino), le quali esportavano vino e olio verso i nuovi territori conquistati.
Punto di svolta nella storia del commercio romano fu il sistema delle riforme istituzionali di Augusto. Quella che si sviluppò fu una economia mercantile, che aveva cominciato a formarsi, secondo alcuni studiosi, già dalla fine della seconda guerra punica, ma che si concretizzò solo con Augusto118.
L'area del mercato crebbe a spese dell'autoconsumo. Fattori chiave di questo processo furono l'aumento della produzione agricola, l'urbanizzazione, la romanizzazione, la monetizzazione di zone sempre più ampie del Mediterraneo, l'aumento demografico derivato dall'assenza di guerre e da
migliori condizioni di vita e gli interventi delle autorità imperiali in tema di annona civile e militare119. Il risultato fu
un gran fermento di forze produttive che coinvolsero soprattutto le province occidentali, fino a quel momento escluse dal commercio in uscita. Quello che si creò fu un flusso interregionale e interprovinciale di generi di prima necessità, di materie prime e di manufatti: derrate alimentari, metalli, oggetti pregiati ed ordinari dalle aree di produzione cominciarono a essere esportate in modo regolare e massiccio nei luoghi di consumo. I grandi mercati, tra cui spicca Roma, diventarono i poli attrattivi delle merci, influenzando le scelte di produzione delle altre località produttrici.
L'organizzazione centrifuga dei flussi commerciali di età tardo-repubblicana fu sostituita da un nuovo sistema in cui le derrate e i manufatti viaggiavano dalle province periferiche verso il centro dell'Impero, ossia l'Italia e Roma in particolare. Le produzioni italiche, contemporaneamente, cessarono di trovare sbocco nel commercio a lunga distanza per finire nei mercati locali o regionali. Le principali province coinvolte nel nuovo mercato romano furono: la Gallia per il vino; l'Hispania Citerior (Terraconensis, Gallaecia et Asturia) e l'Hispania Superior (Baetica e Lusitania) per l'olio, il vino, il grano, le salse di pesce e i metalli (con variazioni durante l'arco temporale imperiale); l'Egitto e l'Africa Proconsolare per il grano. I bisogni di Roma furono uno dei fattori determinanti della commercializzazione dell'età imperiale, ma lungo l'asse che univa la capitale alla province si
innestavano alcune ramificazioni che assicuravano una penetrazione generalizzata di alcuni prodotti sui mercati mediterranei e nell'Europa interna.
Sebbene ogni singola città e ogni singolo territorio ebbe una dinamica produttiva e commerciale peculiare, vi furono alcuni denominatori comuni: la sostanziale uniformità all'interno di ambiti cronologici definiti dei beni in circolazione; i valori quasi ovunque alti con cui le eccedenze agricole venivano spostate; l'ampia estensione geografica dei mercati.
Questa situazione di equilibrio e di integrazione dell'economia imperiale, voluta e creata dallo Stato romano con la sua organizzazione politica, fiscale e militare, si mantenne fino alla fine del II sec d.C. Infatti, nel III e IV sec d.C, si affermarono in modo predominante nei traffici mediterranei le merci africane, che imposero la propria egemonia a discapito di tutte le altre province occidentali, galliche, ispaniche e lusitane. L'asse Roma-Cartagine divenne il principale rifornimento di derrate alimentari di Roma, soprattutto in seguito alla fondazione di Cartagine. Tale situazione si protrasse fino agli inizi del VI sec. d.C, senza essere scalfita neanche dall'invasione dei Vandali del 439 d.C. Tuttavia, il crollo dell'Impero Romano d'Occidente finì per indebolire l'economia mercantile romana e, sul lungo periodo, i legami di interdipendenza economica tra le diverse aree dell'impero finirono per rompersi, a favore di un ritorno a un commercio interregionale.
commercio transmarino e la spinta generale all'autoconsumo con un commercio pressoché locale.
1.1 Modelli commerciali in età romana
Le scuole di pensiero sono suddivise tra chi ritiene che la navigazione commerciale imperiale romana avvenisse prevalentemente per rotte dirette120, ossia con collegamenti
diretti tra i vari porti del Mediterraneo, e chi invece pensa che la navigazione per cabotaggio e/o trumpling (vagabondaggio) di porto in porto lungo le coste fosse utilizzata quanto le rotte dirette121.
Una visione più articolata è quella formulata di recente dallo studioso Nieto122, sulla base dello studio del relitto Cala
Culip IV, almeno per alcune tipologie di merci, quali le
anfore e le ceramiche trasportate in età imperiale. La varietà di provenienza delle merci trasportate dalla nave di Culip, secondo il modello commerciale tradizionale, avrebbe indicato una rotta che avrebbe coperto buona parte del Mediterraneo. Tuttavia, trattandosi di una piccola imbarcazione, la presenza di merci di varia provenienza può essere spiegata, secondo lo studioso spagnolo, con un caricamento in un porto di redistribuzione. Nel Mediterraneo romano vi dovevano allora essere porti principali e porti secondari: i primi dovevano attrarre piccole imbarcazioni provenienti da porti limitrofi cariche di merci locali che venivano scaricate per essere reimbarcate verso destinazioni più lontane assieme ad altre merci. Nello stesso tempo,
120Cfr. M. McCormick, 2001
121 Cfr. R. Duncan-Jones, 1990 / P. Reynolds, 1995 122X. Nieto Prieto, 2009
secondo questo modello, il porto principale svolgeva il ruolo di distributore di merci provenienti, per mezzo di grandi navi, da altri porti principali localizzati a una certa distanza; da questo porto principale, quindi, una volta distribuito il carico, ripartivano piccole imbarcazioni alla volta di porti secondari limitrofi.
Numerosi sono gli studiosi123 che ritengono ragionevole e
convincente, specialmente per il periodo imperiale, questa ricostruzione. Il suo utilizzo deve essere comunque condizionato da un'attenta valutazione della tipologia del carico e delle condizioni di stivaggio, considerando che il trasbordo di merci particolarmente ingombranti e pesanti appare piuttosto improbabile e presuppone quindi l'uso di rotte dirette.
2. Il trasporto commerciale fluviale
L'importanza della navigazione fluviale per scopi commerciali può essere analizzata sia per quanto riguarda i traffici sulla medio-breve distanza, dai luoghi di produzione al mercato regionale principale, che per quelli sulla lunga distanza in fase di ridistribuzione e penetrazione delle merci nell'entroterra. I corsi d'acqua erano quindi usati a fini commerciali in entrambe le direzioni e per tipi di commercio diversi. Ovviamente ogni fiume o canale vide un traffico commerciale diverso in base alle condizioni economiche e insediative del territorio di riferimento.
In buona sostanza vi furono corsi d'acqua che vennero utilizzati solo il trasporto locale delle merci o delle materie
prime, dai centri di produzione o estrazione fino ad un mercato o ad un porto in grado di permetterne la vendita o la distribuzione e vi furono fiumi che furono delle vere e proprie arterie di collegamento, i quali permisero la gestione di commerci di considerevole portata e che furono collegati ai circuiti marittimi della lunga distanza.
Questi ultimi furono i fiumi presso cui sorsero i centri abitati con i mercati più ricchi del periodo romano e che furono serviti dai porti più importanti, spesso collocati sulla riva marittima all'altezza della foce del fiume stesso. Tramite questi fiumi si realizzava la penetrazione nelle aree interne dei prodotti commerciati da lunga distanza via mare .
Esempi di questo tipo di corsi d'acqua ci sono forniti, sul territorio italico, sulla costa tirrenica dall'Arno (come vedremo nell'apposito approfondimento) e dal Tevere; mentre sulla costa adriatica dal Po con il relativo bacino idrico, dalla laguna veneta e dai fiumi dell'area friulana.
2.1 Il Tevere
Come anticipato, il Tevere fu navigabile a monte di Roma fino all'altezza dell'odierna Orte, ove sono i resti del cd. Porto di Seripola, in base alla sua denominazione medievale. Questo tratto fluviale fu molto attivo dal I sec. a.C. fino al tardo Medioevo per l’invio a Roma dei prodotti agricoli dell’Umbria124. Di particolare importanza fu l’antico porto
fluviale di Otricoli (Ocriculum), noto soprattutto come “porto dell’olio” in quanto permetteva di rifornire Roma dell’olio umbro, reputato di qualità superiore rispetto a quelli
provenienti da oltremare125. Questo traffico si protrasse
senza sosta per tutta l'età romana.
Il Tevere venne utilizzato, durante l'età repubblicana, anche per far convergere nel mercato centrale di Roma i prodotti agricoli provenienti delle varie ville rusticae dell'aristocrazia romana, prima che esse fossero riconvertite a luoghi di
otium126.
Dall'Alta e Media valle del Tevere giungevano a Roma inoltre i materiali da costruzione, provenienti dalle numerose cave, e il legno, ricavato dalle foreste presenti nel bacino del Tevere. Le zattere che trasportavano queste merci si dovevano fermare probabilmente presso i primi approdi disseminati lungo la riva sinistra del fiume, sull'ansa Ripetta127. Questo commercio di materie prime inizialmente
fu in grado di soddisfare i bisogni di una città di medie dimensioni come Roma in età repubblicana. Tuttavia, con la tarda repubblica e il periodo imperiale, le necessità di materiali edili e legno per costruire e ampliare la città crebbe in modo smisurato e determinò l'importazione di nuove materie prime attraverso il Mediterraneo128.
Il tratto fluviale del Tevere certamente più importante per i traffici commerciali fu comunque quello che collegava la città di Roma al mare, o più precisamente al porto di Ostia
125 Cfr. L. Cenciaioli, 2009 126 Cfr. L. Cenciaioli, 2009 127 Cfr. F. Diosono, 2009
128 La distinzione tra il legname proveniente dalle foreste umbre attraverso la valle del fiume Tevere e quello proveniente da altre province via mare rimase comunque sancita da una differente terminologia usata nelle fonti per indicare i due tipi. In particolare si usava lignum per indicare il primo tipo di legname e materia per il secondo. Cfr. F. Diosono, 2009.
realizzato da Claudio prima e a quello di Portus, voluto da Traiano e collegato tramite un canale artificiale al Tevere. Come già anticipato, durante l'età imperiale Roma divenne il centro dei principali traffici commerciali del Mediterraneo: nella capitale confluivano ingenti flussi commerciali provenienti dalle varie province dell'impero che sopperivano ai bisogni, soprattutto alimentari, della popolazione che risiedeva nella capitale129. Purtroppo Roma non
affacciandosi direttamente sul mare necessitava di una via di comunicazione tra la costa e la città e questa fu ovviamente il Tevere, che divenne l'arteria principale per portare le merci in città con il più basso rapporto tra costo e tempo.
Il traffico navale in ingresso ed uscita dalla città attraverso il fiume fu talmente intenso e costituito da un numero di navi talmente elevato che il retore Publio Elio Aristide, nel II sec d.C, scrisse: "Partenze ed arrivi di navi si susseguono senza
sosta; c'è da meravigliarsi che non nel porto ma nel mare ci sia abbastanza posto per tutte le navi mercantili”130 .
La sempre più crescente necessità di derrate alimentari, derivante anche dall'Annona civile, spinse a carichi commerciali sempre più ingenti e all'uso di navi onerarie di sempre più grandi dimensioni, dall'elevato pescaggio, fino a raggiungere il picco nella piena fase imperiale.
Sfortunatamente il Tevere era un fiume delle dimensioni non così elevate da garantire la portata d'acqua necessaria per
129Cfr. C.Panella, 2001
130 Cfr. Arist., 11-13; da Elio Aristide - In Gloria di Roma, introduzione, traduzione e commento a cura di Luigia Achilleia Stella, Edizioni Roma, Roma, Anno XVIII (1940)
permettere alle onerarie medio-grandi di risalire il corso fino alla città, neanche in inverno e primavera che erano le stagioni in cui raggiungeva i livelli massimi131. Inoltre la foce
era caratterizzata da grossi problemi di insabbiamento, tanto che lo stesso porto di Ostia era sottoposto a continui lavori di manutenzione; il problema era così grave che fu necessario costruire il porto artificiale di Traiano, spostato rispetto allo sbocco in mare132.
La soluzione adottata per risolvere il problema fu quella dell'uso delle caudicarie descritte in precedenza133: le merci
provenienti da tutto il Mediterraneo, una volta scaricate nel porto, venivano caricate su numerose imbarcazioni fluviali in grado di risalire la corrente del fiume con le modalità di propulsone già descritte, fino a giungere al porto fluviale cittadino di Portus Tiberinus e gli altri approdi in città.
Fu proprio per la necessità di garantire la regolarità e la velocità dei traffici commerciali mediante Tevere che nel II sec a.C si cominciò a canalizzare il fiume, migliorando gli argini e costruendo i camminamenti lungo le sponde, dapprima sulla sponda sinistra e poi anche sulla destra, per facilitare l'uso dell'alaggio.
Attestazioni di quest'opera ci provengono principalmente delle fonti epigrafiche. In particolare, vicino la bocca del fiume, a circa 600 m dal decumano di Ostia, si incontrano cinque ceppi, allineati nei pressi della Porta Romana. Su quattro di essi troviamo la medesima iscrizione che recita “C(aius) Caninius C(ai) f(ilius) / pr(aetor) urb(anus) / de
131Cfr. A.A. Martin, 2013 132 Cfr. A.A. Martin, 2013 133 Cfr. cap.1 § 2.2
sen(atu) sent(entia) / poplic(e) ioudic(avit)”. Sul quinto
invece “[p]rivatum / ad Tiberim / usque / ad aquam”. Questi ceppi indicano che,nel momento in cui furono posti, l'area della riva del fiume era proprietà pubblica del popolo di Roma e doveva essere lasciata libera, per ordine del pretore urbano, in quanto serviva per il trasporto delle merci. Il pretore Canino è stato identificato con C. Caninio Rébilo, pretore di Sicilia nel 171 a.C e che divenne pretore urbano di Roma nella decade del 140 a.C. Più precisamente, il momento esatto della creazione del cammino per l'alaggio viene collocato durante la carica del censore Publio Escipion Emiliano, iniziata nel 142 a.C. Egli realizzò, durante il suo mandato, un'ingente attività edilizia al Portus Tiberinus, compresa la sistemazione delle rive extraurbane del Tevere134.
Come precisato, la creazione di questo sistema viario permise l'utilizzo degli animali da soma per il tiro delle caudicarie, sostituendo gli uomini e aumentando la capacità di carico delle merci sulle imbarcazioni fluviali. Anche il passaggio dai cavalli ai buoi come motrice trainante, avvenuto in piena età imperiale, viene comunemente interpretato nel senso di una continua crescita del commercio in entrata a Roma, ossia i carichi trasportati dalle navi divennero sempre più pesanti e l'uso dei buoi, sebbene più lenti dei cavalli, garantiva una maggiore forza135.
Le fonti iconografiche segnalano che in alcuni casi le onerarie erano impossibilitate, a causa delle condizioni del
134 Cfr. A.A. Martin, 2013 135 Cfr. A.A. Martin, 2013
mare e del porto e delle dimensioni delle imbarcazioni stesse, dall'attraccare nel porto. L'alternativa ideata per rimediare a tali situazioni consisteva nel procedere al trasbordo delle merci dalle imbarcazioni marittime a quelle fluviali direttamente in mare, al largo della foce136. Oppure,
le fonti scritte, ci informano che le onerarie si recavano nel vicino porto di Puteoli, ove le caudicarie e altre imbarcazioni a remi di dimensioni ridotte convergevano, per poi raggiungere la foce del Tevere tramite una navigazione di piccolo cabotaggio lunga la costa tirrenica laziale.
In ogni caso la quasi totalità delle merci importate a Roma in età imperiale passava da Tevere su piccole imbarcazioni fluviali.
2.2 L'area alto-adriatica
Sulla costa adriatica italiana, il ricco bacino idrico padano del Po rappresentò una via fluviale di grande importanza per la navigazione commerciale, divenendo la strada di passaggio per raggiungere i territori interni del nord della penisola e la Gallia. Lo sbocco sul mar Adriatico, garantito dal delta lagunare del Po, permetteva la penetrazione in tutta l'area padana delle merci in arrivo via mare. In questo quadro fu l'area lombarda a gestire il traffico commerciale tra i paesi d'oltralpe e l'oriente. Ciò spiega perchè le principali città della pianura padana, come Brescia e Milano, si dotarono di un porto fluviale. Lo scalo portuale milanese sul Labro, fuori dal centro abitato, era inoltre affiancato da un gran numero di banchine di attracco lungo i canali della
città137 a testimonianza della ricchezza dei traffici
commerciali che circolavano sulle acque fluviali della pianura padana.
Non deve quindi sorprendere che i Romani impegnarono molto energie e fondi pur di colonizzare le zone interne della Padusa e del Delta del Padus (nome latino del Po, detto anche Eridanus). Essi furono spinti a portare avanti una monumentale opera di canalizzazione, bonifica e costruzione di strade e città, al fine di controllare questa regione che si trovava al centro di una rete commerciale notevole fin dal VI sec a.C grazie ai porti di Adria e Spina, e che poteva, inoltre, offrire numerose risorse dalla pesca, dalla caccia e soprattutto dalla produzione di sale e di laterizi138.
In questo senso di primaria importanza fu la rifondazione del piccolo insediamento di Ravenna secondo i canoni urbanistici romani (I sec a.C), la quale fu installata in un'area circondata e attraversata da tre corsi d’acqua: il Padenna, il Flumisellum e la Lamisa. Il primo di essi era probabilmente uno dei rami meridionali del Delta, mentre gli altri due erano dei collegamenti della Padusa con la laguna ravennate139.
Ravenna, Adria e Spina avevano ciascuna un porto che svolgeva, almeno inizialmente, sia funzioni marittime che fluviali, in quanto posizionati lungo la costa ma in prossimità dei principali rami del Po. Le merci che giungevano via