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nazzi alle idee di Lombardo Radice si veda G Giovanazzi, Di alcune iniziati-

ve didattiche delle Scuole Popolari della Venezia Tridentina, S.T.E.P., Pia-

cenza 1923. L’approfondimento dell’opera di ispettori e direttori didattici come Giuseppe Giovanazzi, Ilario Dossi, Riccardo Dalpiaz si rivelerebbe di estremo interesse, anche in considerazione della loro importante opera divul- gativa riguardo nuovi metodi pedagogici tra la classe magistrale regionale e nazionale, ma anche tra i genitori degli allievi.

71 La riforma della scuola media si basa sul Regio Decreto n. 1054 del 6

maggio 1923. Sull’argomento si veda: Galfrè, Una riforma alla prova e Charnitzky, Fascismo e scuola, pp. 114-130. Inoltre L. Ambrosoli, La scuola

secondaria, in G. Cives (ed.), La scuola italiana dall’Unità ai giorni nostri,

La Nuova Italia, Firenze 1990, pp. 105-151.

72 Secondo Gentile soltanto il liceo classico e le scuole elementari poteva-

no considerarsi scuole di cultura. Egli riteneva però che l’istruzione classica dovesse essere riservata a pochi eletti meritevoli e che due terzi dei frequen- tanti pre-riforma costituissero una inutile «zavorra» che doveva essere scari- cata su altri percorsi di studio. Cfr. Charnitzky, Fascismo e scuola, p. 103.

scuole medie superiori era direttamente controllata dagli uffici centrali del ministero. Il ministro aveva, infatti, l’onere di nomi- nare i presidi dei vari istituti, i quali, quindi, non avevano nes- sun obbligo gerarchico nei confronti dei provveditori agli studi, essendo i due ruoli parificati all’interno della scala gerarchica del riformato ministero. Al provveditore agli studi regionale spettava comunque l’importante onere di stendere i giudizi an-

nuali sui capi d’istituto e di trasmetterli al ministro.73

Molina, riflettendo a riguardo nello scrivere l’autobiografia, lamenta di aver riscontrato tra presidi e professori un ambiente a lui più freddo e indifferente, che non riconduce soltanto alla mancanza di potere del provveditore rispetto a questi ultimi, quanto piuttosto a un eccessivo «intelletualismo non sovvenuto

da alta intelligenza e dalla libertà di spirito»74 degli stessi presidi

e professori e a una loro presunta chiusura rispetto ad ogni novi- tà proveniente dal ministero. Aspetto, quest’ultimo, in parte comprensibile, considerato il drastico ridimensionamento del personale seguito alla riforma delle scuole superiori, le quali, diversamente rispetto al livello elementare dove l’opera riforma- trice si tradusse nell’introduzione di importanti novità pedago- giche e didattiche, non furono altrettanto interessate dal rinno- vamento metodologico e pedagogico, ma subirono sostanzial- mente una importante riorganizzazione. Di certo Molina non riuscì a trovare tra presidi e professori quell’entusiasmo nei con- fronti della riforma Gentile che invece gli fu dato di riscontrare, come accennato, tra gli uomini della scuola elementare e in par- ticolare tra coloro che, ancora in regime austriaco, si erano avvi- cinati alle teorie didattiche di Lombardo Radice cercando di darne diffusione attraverso la rivista «Il Didascalico».

Per i motivi esposti in precedenza Molina non si occupò mai con decisione delle scuole superiori della regione, limitandosi a dare applicazione alle direttive del ministero e agli aspetti che erano di sua stretta competenza. Ben diversa era l’importanza numerica, e quindi anche politica, della scuola elementare. Era

73 Per quanto riguarda la trattazione della riforma della scuola superiore e

in particolare sul ruolo dei presidi si rimanda al testo di Galfrè, Una riforma

alla prova, pp. 133-151.

in questo ambito che il governo fascista doveva investire tutte le sue energie per l’educazione delle nuove generazioni. In questo senso la scuola elementare venne strutturata in maniera gerar- chica e al provveditore vennero affidati tutti i poteri per poterla guidare e controllare con polso fermo.

Molina provvide, comunque, anche alla riorganizzazione del- le scuole superiori, trasmettendo tutte le circolari del ministero ai due licei ginnasio della provincia (Trento e Rovereto), affin- ché adottassero le novità previste dalla riforma. Ben diverso fu

il caso degli istituti tecnici, poco apprezzati da Gentile,75 che

nella Venezia Tridentina vennero nuovamente riconfigurati ri- spetto alle Realschule austroungariche già trasformate in seguito all’annessione. I due istituti trentini, “Regina Elena” di Rovere- to e “Leonardo da Vinci” di Trento, procedettero rapidamente all’ennesima riorganizzazione dei loro percorsi di studi. Il prov- veditore predispose anche la creazione ex novo del liceo scienti- fico “Galileo Galilei” di Trento, nuovo istituto creato da Gentile per dare risposta ad un’educazione più scientifica. Sempre in linea con le istruzioni ministeriali fu creato a Rovereto il nuovo liceo femminile, che Molina definisce a distanza di due decenni come un «aborto» istituzionale e fu chiuso già l’anno seguente,

considerate le poche iscrizioni.76 Ben più radicale fu la riorga-

nizzazione degli istituti magistrali, che subirono una pesante riduzione e una revisione dei programmi improntati più sugli

aspetti teorici e meno su quelli pratici.77 In provincia fu costretto

75 Il ministro Gentile con Regio Decreto 6 maggio 1923, n. 1054, che ridi-

segnava le scuole superiori, definisce così le scuole tecniche: «L’istruzione tecnica ha per fine di preparare all’esercizio di alcune professioni», dimo- strando per tali istituti poca sensibilità e considerandoli come un grado di istruzione tecnico-professionale più che tecnico-scientifica. Cfr. Charnitzky,

Fascismo e scuola, p. 115.

76 FMST, Archivio Luigi Molina, Memorie, p. 135. Si veda anche Anto-

nelli, Fare gli italiani tra “redenzione” e fascismo. Le scuole di Roveverto, p. 281.

77 Nella memoria Molina si dilunga nel commentare i cambiamenti intro-

dotti da Gentile negli istituti magistrali dimostrandosi piuttosto critico, soprat- tutto per l’approccio eccessivamente teorico e la scarsa preparazione profes- sionale che la scuola garantiva ai futuri insegnanti elementari. FMST, Archi- vio Luigi Molina, Memorie, pp. 127-132. La scarsa preparazione professiona- le dei maestri sottolineata da Molina si può notare anche dai vari concorsi magistrali che il provveditore aveva gestito durante il suo incarico, dai quali

a chiudere i battenti l’istituto magistrale di Rovereto, mentre rimase attivo quello di Trento.

Inoltre Molina, molto sensibile alle esigenze dell’istruzione pre-elementare, si preoccupò di far sorgere a Trento uno dei set- te istituti nazionali per la preparazione delle maestre della scuo- la materna, intitolandolo a Cesare Battisti. Infine provvide alla creazione delle discusse scuole complementari, percorso post- elementare di tre anni privo di sbocchi creato da Gentile per evi- tare il sovraffollamento degli istituti tecnici, e che Molina con- sidera, all’interno della memoria, fallimentari alla stregua dei licei femminili.

Il risultato più tangibile della riforma delle scuole superiori in Trentino, così come nel resto d’Italia, fu il drastico ridimen- sionamento della sua popolazione scolastica. I dati disponibili per la realtà trentina dimostrano che l’obbiettivo fu ampiamente

raggiunto: se nell’anno scolastico 1922-23 erano 3.03078 gli stu-

denti iscritti agli istituti superiori, nel 1925 la popolazione sco- lastica superiore si ridusse a 1738 unità, con un calo effettivo

del 41%.79