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NICCOLÒ DETTO IL TRIBO LO

Nel documento LE VITE (pagine 92-119)

NICCOLÒ DETTO IL TRIBOLO

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un vivaio che è in cima a una ragnaia, in una nicchia, un fiume di pietra bigia grande quanto il vivo, che getta acqua in un pilo grandissimo della medesima pietra: il qual fiume, che è fatto di pezzi, è commesso con tanta arte e diligenza, che pare tutto d'un pezzo. Mettendo poi mano il Tribolo, per ordine di Sua Eccellenza, a voler finire le scale della libreria di San Lorenzo, cioè quelle che sono nel ricetto dinanzi alla porta, messi che n'ebbe quattro scaglioni, non ritrovando n è il modo n è le misure di Michelagnolo, con ordine del duca anc1ò ·a Roma, non solo per intendere il p::trere di Michelagnolo intorno alle dette scale, m2" per far opera di condurre lui a FiTenze. Ma non gli riuscì nè l'uno nè l'altro; per-ciocchè non volendo Michelagnolo partire di Roma, con bel modo si licenziò; e quanto alle scale, n~ostrò non ricordarsi più nè eli misure n è d'altro.

Il Tribolo dunque essendo tornato a Firenze, e non potendo seguitare l'opera delle dette scale/ si diede a far il pavimento della eletta libreria di mattoni bianchi e rossi, siccome alcuni pavimenti che aveva veduti in Roma; ma vi aggiunse un ripieno di terra· rossa nel'la terra bianca mescolata col bolo per fare d~versi intagli in que' mattoni: e così in questo pavime~1to fece riba,t -tere tutto il palco e soffittato di sopra; che fu cosa molto lodata. Cominciò poi, e non finì, per mettere nel maschio della fortezza della porta a Faenza, per Don Giovanni di· Luna allora castellano, un'arme di pietra bigia, ed un' aquila di tondo rilievo grande con due capi; quale fece eli cera, perchè fusse gettata eli bronzo: ma non se ne fece altro, e dell'arme rimase solamente finito lo scudo. E perchè era costume della città di Fio -renza fare quasi ogni anno per la festa di San Giovanni Battista in: sulla piazza principale, la sera eli notte, una

' La scala della Biblioteca Mediceo-Laurenziana fu poi messa su dal Vasari, com'è da lui narrato nella Vita eli Michelangelo.

NICCOLÒ DETTO IL TRIBOLO 93 o·irandola, cioè una machina piena di trombe di fuoco

~ di razzi ed altri fuochi lavorati; la quale girandola aveva ora forma di tempio, ora di nave, ora di scogli, e talora d'una città o d'uno inferno, come pii.1 piaceva all'inventore; fu dato cura un anno di farne una al Tri-bolo, il quale la fece, come di sotto si dirà, bellissima.

E perchè delle varie maniere di tutti questi così fatti fuochi, e particolarmente de'lavorati, tratta Vannoccio Sanese1 ed altri, non mi distenderò in questo. Dirò bene alcune cose delle. qualità delle girandole. Il tutto adun-que si fa di legname con spazi larghi che spuntino in fuori da piè, acciocchè i raggi, quando hanno avuto fuoco, non accendano gli altri, ma si alzino mediante le distanze a poco a poco del pari, e seconclando l'un l'altro, empiano il cielo del fuoco che è nelle grillande da sommo e da piè; si vanno, dico, spartendo larghi, acciò non abrucino a un tratto, e faccino bella vista.

Il medesimo fanno gli scoppi, i quali stando legati a quelle parti ferme della girandola fanno bellissime ga,z-zarre. Le trombe similmente si vanno accomodando ne-gli ornamenti, e si fanno uscire le più volte per bocca di maschere o d'altre cose simili. Ma l'importanza sta nell'accomodarla in modo, che i lumi, che ardono in

1 *Vannoccio Biringucci nella sua Piroteclmia, stampata la prima volta nel 1540, in Venezia pel Ruffinello, in-4 fig. Vannoccio di Paolo Biringucci nacque ai 22 di ottobre del 1480, in Siena. Fautore della potenza di Pandolfo Petrucci, seguitò, morto lui, la fortuna di Bol'ghese e di Fabio suoi figliuoli. Menò per lunghi anni vita raminga fuori della patria; viaggiò per diverse parti d'Italia; fu nel Tirolo e nella Carniola, dove osservò le diverse pratiche tenute nel cavare e lavorare il ferro, e gli altri metalli. Fu tra i fuorusciti che tentarono infelicemente di ritornare in patria nel 1526. Dopo la rovina di quella impresa, stette in Fi-renze, e nel tempo dell'assedio di questa città gittò alcune artiglierie, una delle quali grossissima chiamata il Liofante, come racconta il Varchi nelle Storie. Ri-tornato in patria, vi ebbe il carico di maestro della Camera; e quando il Peruzzi, nel 1535, finito il suo servigio di architetto del Comune, andò a Roma, gli suc-cesse Vannoccio in quell'ufficio. Nel 1532 risiedè nel supremo magistrato della sua patria.

ì Pare che dopo questo tempo andato a Roma entrasse a' servigj di Paolo Ili come maestro delle artiglierie della Camera Apostolica, e vi morisse l'anno 1539.

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certi vasi, durino tutta la notte, e faccino la piazza lu-minosa: onde tutta l'opera è guidata da un semplice stoppino, che bagnato in polvere piena di solfo ed acqua-vita, a poco a poco camina ~i luoghi,. dove egli ha di mano in mano a dar fuoco, tanto che abbia fatto tutto.

E perchè si figurano, come ho detto, varie cose, ma che ab bino che fare alcuna cosa col fuoco, e si e no sottoposte agli incendi; ed era stata fatta molto innanzi la città di Soddoma e Lotto con le figliuole che di quella usci-vano; ed altra volta Gerione con Virgilio e Dante ad-dosso, siccome da esso Dante si dice nell'Inferno; e molto prima Orfeo che traeva seco da esso inferno Euridice;

ed altre molte invenzioni; ordinò Sua Eccellenza che non certi fantocciai, che avevano già molt'anni fatto nelle girandole mille gofferie, ma un . maestro eccellente fa,-cesse alcuna cosa che avesse del buono. Perchè datane cura al Tribolo, egli con quella virtù ed ingegno che

<wea l'altre cose fatto, ne fec~ una in forma eli tempio a otto facce bellissimo, alta tutta con gli ornamenti venti braccia; il qual tempio egb finse che fusse quello della Pace, facendo in cima. il simulacro della Pace che mettea fuoco in un gran monte cl' arme che aveva a' piedi;

le quali armi, statua della Pace, e tutte altre figure, che facevano essere quella machina bellissima, erano di cartoni, terra, e panni incollati, acconci con arte gran-clissima; erano, dico, eli cotali materie, acciò l'opera tutta fusse leggieri, dovendo essere da un canapo doppio che traversava la piazza in alto sostenuta per molto spazio alta da terra. Ben è vero, che essendo stati acconci dentro i fuochi troppo spessi e le g~1ide degli stoppini troppo vicine l'una all'altra, che datole fuoco, fu tanta la veemenza dell.' incendio, e grande e subita vampa, che ella si accese tutta a un tratto, ed abbruciò in un ba-leno, dove a v eva a durare ad ardere un'ora al meno;

e, che fn peggio, attaccatosi fuoco al legname ed a quello

NICCOLÒ DETTO IL TRIBOLO 95 che dovea conservarsi, si abbruciarono i canapi ed ogni altra cosa a un tratto, con danno non piccolo e poco piacere de' popoli. Ma qu~n_to apartiene all' op~ra: ella fu la più bella che ::>ultra g1randola, la quale msmo a

quel tempo fusse stata fatta già mai. .

Volendo poi il duca fare, per commodo cl e' suoi cit-tadini e mercanti, la loggia di Mercato Nuovo, e non volendo più di quello che potesse, aggravare il 'rribolo;

il quale, come capo maestro de' capitani di Parte e com-messarj de' fiumi e sopra le fogne della città, cavalcava per lo doi11inio per ridurre molti fiumi, che scorrevano con danno, ai loro letti, ritm·are ponti, ed altre cose simili, diede il carico di quest''opera al Tasso, per con-siglio del già detto messer Pierfrancesco maiordomo, per farlo di falegname architettare: il che in vero fu contra la volontà del Tribolo, ancor che egli no l mostrasse e facesse molto l'amico con esso lui. E che ciò sia vero, conobbe il Tribolo nel modello del Tasso molti errori;

de' quali, come si crede, nol volle altrimenti avvertire:

come fu quello de' capitelli delle colonne, che sono a canto ai pilastri; i quali non essendo tanto lontana la colonna che bastasse, quando tirato su ogni cosa si eb-beno a mettere a' luoghi loro, nòn vi entrava la corona di sopra della cim:a di essi capitelli; onde bisognò ta-gliarne tanto, che si guastò quell'ordine: senza molti altri errori, de' quali non accade ragionare." Per lo detto

' *Della loggia di Mercato Nuovo furono gettati i fondamenti a' 26 d'agosto del 1547. Nel 1551 essa era terminata in ogi1i sua parte, come si ritrae da una lettera data da Firenze a' 12 dicembre di quell'anno, colla quale un tal Francesco di Curt·ado (forse avo del cav. Francesco Cm·radi pittore) accompagna un dise -gno di questa stessa loggia da ·lui delineato. Essa lettera fu pubblicata nella De scrizione di al.cuni disegni di architettw·a 01'1Wtiva cl-i classici autori, dei · quali si gm·antisce l' 01·iginalità dal suo possessore ed espositore p1·of Giu·

seppe del Rosso; Pisa 1818, in-S. Nel Dim·io del Pontormo, pubblicato dal Gaye (III, 166 e seg.), è notato che il Tasso morì nel 1555.

t Di Giovan batista del Tasso e di altri artefici di questa famiglia è discorso nel Commentario alla Vita di Benedetto da Majano nel tomo III, pag. 347.

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messer Pierfrancesco fece il detto Tasso la porta della chiesa di Santo Romolo, ed una finestra inginocchiata' in sulla piazza del Duca, d'un ordine a suo modo, met-tendo i capitegli per base, e facendo tante altre cose senza misura o ordine, che si potea dire che l'ordine tedesco avesse cominciato a riavere la vita in Toscana per mano eli quest'uomo: per non dir nulla delle cose che fece in l)alazzo, di scale e eli stanze, Ie quali ha avuto il duca a far guastare; perchè non avevano nè ordine, nè misura, nè proporzione alcuna, anzi tutte storpiate, fuor di squadra, e senza grazia o commodo niuno .. Le quali tutte cose non passn,ro'no senza carico del Tribolo, il quale intendendo, come faceva, assai, non parea che dovesse comportare che il suo principe get-tasse via i danari, ed a lui facesse quella vergogna in su gli occhi: e, che è peggio, non clovea comportare cotali cose al Tasso, che gli era amico. E ben conob-bono gli uomini eli giudizio la prosonzione e pazzia del-l' uno in volere fare quell'arte che non sapeva, ed il simular dell'altro, che affermava quello piacergli che certo sapeva che stava male: é eli ciò facciano fede l'opere che Giorgio Vas ari ha avuto a guastare in pa-lazzo, con danno del duca e molta vergogna loro. Ma egli avvenne al Tribolo quello che al Tasso; perciocchè, sì come il Tasso lasciò lo inta.gliare di legmtni.e, nel quale esercizio non aveva pari, e non fu mai buono architet-tare, per aver lasciato un'arte, nella quale molto valeva e datosi a un'altra, della quale non sapea straccio, e gli apportò poco onore: così il Tribolo lasciando la scultura, nella quale si può dire con verità che fusse molto eccel-lente, e facea stupire ognuno, e· datosi a volere

cliriz-' Non sussiste più nè la detta porta, nè la chiesa di San Romolo, nè la fine·

-stra ch'era ad essa vicina. Della prima nondimeno se ne può vedere il disegno nella tav. xxi,. del tomo primo dell'opera di Ferdinando Ruggeri intitolata Co,·so .d' cwchitetttwa ecc.

NICCOLÒ DE'rTO IL TRIBOLO 97 zar e :fiumi; l'una non seguitò con suo onore, e l'altra gli apportò anzi danno e biasimo, che onore ed utile;

perciocchè non gli riuscì rassettare i fiumi, e si fece molti nimici, e particolarmente in quel di Prato/ per conto di Bisenzio, ed in V aldinievole in n1.olti luog hi.2 Avendo poi compero il duca Cosimo il palazzo de' Pitti, del quale si è in altro luogo ragionato, e desiderando Sua Eccellenza d'adornarlo di giardini, boschi, e fontane e vivai, ed altre. cose simili; fece il Tribolo tutto lo spartimento del monte in quel modo che egli sta, ac-comodando tutte le cose con bel giudizio ai luoghi loro;

se ben poi alcune cose sono state mutate in molte parti del giardino: del qual palazzo de' Pitti, che è il più bello d'Europa, si parlerà altra volta con migliore occasione.

Dopo queste cose fu mandato il Tribolo da Sua

Ec-·ce1lenza nell'isola dell'Elba, non solo perchè vedesse la città e porto che vi aveva fatta fare, ma ancora perchè desse ordine di condurre un pezzo di granito tondo di

·dodici braccia per diametro, del quale si aveva a fare una tazza per ·lo prato grande de' Pitti, la quale rice-vesse l'acqua della fonte principale. Andato dunque colà il Tribolo, e fatta fare una scafa a posta per condurre questa tazza, ed ordinato agli scarpellini il modo di

con-·durla, se ne tornò a Fiorenza; dove non fu sì tosto ar-rivato, che trovò ogni cosa piena di rimori e maladi-. zioni contra di sè, avendo di que' giorni le piene ed inondazioni fatto grandissimi danni· intorno a gue' :fiumi che egli aveva rassettati, ancorchè forse non per suo

' *A Prato fino dall'agosto del 1542 aveva eseguito un adornamento all' im-magine del Crocifisso, che è nella Cattedrale. Di ratti vi fu costruito un altare con disegno di lui. (Vedi a pag. 92-3 della Desc>·izione clellct Cattedrale eli Prato;

Prato, 1846, in-8 fig.).

' *Di questi lavori idraulici intrapresi in sul fiume della Pescia, e delle gravi difficultà incontratevi, il Tribolo dà informazione al duca Cosimo con una let-tera scrittagli da Pescia a' 27 d'ottobre 1547, pubblicata dal Gaye nel tomo II a

pag. 309 del Ccwteggio ecc.

YA3.\l'\f1 Opere. - Vol. VI. 7

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difetto in tutto fusse ciò avenuto.1 Comunche fusse, o la malignità d'alcuni ministri e forse l'invidia, o che pure fusse così il vero, fu di tutti que' danni data la colpa al Tribolo; il quale 1~on essendo di molto animo, ed anzi scarso di partiti che non; dubitando che la malignità di qualcuno non gli facesse perdere la grazia del. duca, si stava di malissima voglia, quando gli sopraggiunse, es-sendo di debole complessione, uria grandissima febre a dì 20 d' agosto l' anno 1550; nel qual tempo essendo Giorgio in Firenze per far condurre a Roma i marmi delle sepolture che papa Giulio terzo fece fare in San Piero a Montorio, come quelli che veramente amava la virtù del Tribolo, lo visitò e confortò, pregandolo che non pensasse se non alla sanità, e che guarito si ritraesse a finire l'opere di Castello, lasciando andare i fiumi, che piuttosto poteva.no affogargli la fama, che fargli utile o onore nessuno. La qual cosa come promise di voler fare, a.rebbe, mi credo io, fatta per ogni modo, se non fusse stato impedito dalla morte, che gli chiuse gli occhi a dì 7 di settembre del medesimo anno.2 E così l'opere di Castello, state da lui cominciate e messe innanzi, ri-masero imperfette; perciocchè se bene si è lavorato dopo lui ora una cosa ed ora un'altra, non però vi si è mai atteso con qùella diligenza e prestezza che si faceva, vi -vendo il Triholo, e quando il signor duca era caldissimo in quell'opera. E di vero, chi non tira innanzi le grandi opere, mentre coloro che fa,nno farle spendono volen-tieri e rton hanno maggior cura, è cagione che si devia e si lascia imperfetta l'opera che arebbe potuto la sol-lecitudine e studio condurre a perfezione: e così per

ne-1 Il difetto del Tribolo fu eli credere di sapere una scienza, la quale non aveva per anche i principj e i fondamenti che le diede cent'anni dopo Benedetto Ca-stelli nel suo trattato delle Acque cm·renti. (BOTTARI).

2 *Secondo le Niemorie fìo?·entine riferite dal Gay e (II, 380), il Tribolo mori a' 20 di agosto.

NICCOLÒ DETTO IL,. TRIBOLO 99 o·ligenza degli operatori rimane il mondo senza

quell'or-~amento, ed eglino senza quella memoria ed onore;

perciocchè rade volte adiviene, come a quest'opera di Castello, che mancando il primo maestro, quegli che in suo luogo succede voglia finirla secondo il disegno e mo-dello del primo, con quella modestia che Giorgio Vasari di commessione del duca ha fatto, secondo l'ordine del Tribolo, finire il vivaio maggiore di Castello e l'altre cose, secondo che di mano in mano vorrà che si faccia Sua Eccellenza.

Visse il Tribolo anni sessantacinque : 1 fu sotterrato dalla Compagnia .dello Scalzo nella lor sepoltura, e lasciò dopo sè Raffaello suo figliuolo, che non ha atteso al -l' arte, e due figliuole femine, p.na delle quali è moglie di Davitte,2 che l'aiutò a n'lurare tutte le. cose di Ca-stello, ed il quale, come persona di giudizio ed atto a ciò, oggi attende ai con.dotti dell'acqua di Fiorenza, di Pisa, e di tutti gli altri luoghi del dominio, secondo che piace a Sua Eccellenza.

1 t Ma se il Tl'ibolo nacque nel1500, come dice il Vasari, e come parrebbe dai libri de' Battezzati nell'Archivio di Santa Maria del Fiore, egli sarebbe morto di cioquant' anni e non di sessantacinque. Egli, essendo corpore languens et in lecto .iacens, fece testamento nel 28 d'agosto 1550, rogato da ser Benedetto di Francesco di ser Albizzo; nel· quale lasciò usufruttuaria Elisabetta sua moglie, figliuola di maestro Angelo del Calzolajo. Alle sue figliuole nubili Angeletta e Ginevra costituì la dote; a David di Raffaello Fortini, marito della sua figliuola maggiore Dianora, diede la facoltà di abitare fino all'aprile dell'anno seguente nella casa del testatore in via Pinti, e chiamò erede uni versa le Raffaello suo figliuolo. Morì il 5 eli settembre del 1550. La sua famiglia si estinse ne' primi anni del secolo XV!l in madonna Porzia, figliuola del detto Raffaello, maritata in Alberto Giugni.

' Da vici Fortini, i cui discendenti si stabilirono in Firenze, e vi ottennero la cittadinanza.

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--ALBERETTO

DE'

TRIBOLI

DIANORA

l

marito Da,vid di Raffaello Fortini

architetto t 1594

-NICCOLÒ

l

NICCOLÒ

RAFFAELLO

l

legnaj uolo moglie

Angeletta

di Giovanni di Francesco del Conte ortolano

NICCOLÒ

l

scultore detto il TRIBOLO

n. 1500 t 1550 moglie

Eli•abetta. di maestro Angelo del Calzolajo

RAFFAELLO

n. 1529 t 1574 moglie Marzia di Simone Salomoni

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ALCIBlADB

detto Vie>·i

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GINEVRA

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marito Alberto di Niccolò Giugni

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COMMENTARIO

ALLA

VITA DI NICCOLÒ DETTO IL TRIBOLO .

Di Lorenzo e di Stagio Stagi sczdtoTi da Piet?·asanta

Pietrasa,nta, già terra ragguardevole ed oggi città della V ersilia cen-trale, può a ra.gione glori~Lrsi eli essere stata ne' secoli xv e xvr la patria {li parecchi valenti artefici, sopra i quali hanno oggiclì maggior nome e tengono nella storia bellissimo luogo ed onorato alcuni scultori ed archi-tetti usciti dalle famiglie de' Riccomanni c degli Stagi, nelle quali l' esm· -cizio dello scalpello durò per continuata successione eli padre in figliuolo e eli figliuolo in nipote lo spazio eli quasi clugent' anni. De' Riccomanni, rimasti per grave ingiuria della fortuna lungamente dimenticati, hanno i moderni eruditi rinfrescata la memoria e fatto noti i molti benemeriti loro verso l'arte. Noi diremo brevemente de' principali.

Visse ne' primi anni del 400 Riccomanno di Guido. A lui ed a

Visse ne' primi anni del 400 Riccomanno di Guido. A lui ed a

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