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LA BALLERINA DEL PAESE DELLE NEVI Ogino Anna

2. Il tuo nome?

Io odio i tunnel. Ed è perché, nonostante l’uomo che amo è da qualche parte fuori da un tunnel, per quanto mi riguarda da quando è iniziato il viaggio, nel mio vagare qua e là sono entrata e uscita da molti tunnel; ma alla fine, ahimè, torno sempre al punto di partenza.

Ma a leggere La ballerina mi è tornato in mente. C’è stato anche un tunnel che quell’uomo ha attraversato nell’inseguirmi.

“All’uscita della galleria la strada scendeva a zigzag come una saetta, bordata su un lato da una palizzata dipinta di bianco.”286

Naturalmente “la strada” è quell’uomo, e la “bianca palizzata” che la accompagna sono io! La “pittura bianca” non è altro che il make-up della ballerina!!!

Il make-up è una cosa da artisti. Come consuetudine, senza mai dimenticare di stendere con accuratezza un primo e un secondo strato, al mattino si frizionano i liquidi di bellezza e si prepara già l’impacco per la sera. Come consuetudine, il beauty-care deve essere perfetto! Grazie a questo anche a quel tempo, pur avendo quattordici anni, ero una ragazza che “sembrava averne diciassette.”

Ma poi chissà qual era la verità…

Anche se la mia vera età era quattordici, ero in realtà già adulta, o ero ancora una bambina? Ah, che stupida, non è vero? Se devo dirlo in una sola parola, per farla breve, insomma, per semplificare, in pratica… ero vergine, ecco. Beh, sì… non ha solo un significato concreto questo termine. Esiste anche una verginità dello spirito, no? Eh, come? È più che sufficiente quella del corpo? Oh mio dio, ma che offensivo! Ma mi hai offeso! Allora, proprio a proposito di questo, ecco qua: un commento all’edizione tascabile de La ballerina287. Guarda

un po’ qua:

“l’interiorità di una vergine non può mai realmente divenire un oggetto di espressione. Un uomo che violi una vergine non potrà mai arrivare a sapere nulla di lei. Al contempo, un uomo che non la violi non saprà mai di lei a sufficienza.”288

Pesca con l’esca la prugna prelibata,

non più vergine è la vergine, ma ancora immacolata.289

C’è anche il problema che se se si viola una non vergine, di lei non si sa a sufficienza, o no? Anche se, se io fossi un uomo ci rinuncerei a capire qualcosa

287Si tratta di un commento effettivamente scritto da Mishima Yukio, che fu pubblicato per la

prima volta come kaisetsu all’edizione Shinchōbunko del 1951 di Izu no odoriko; cfr. Mishima Yukio, “Izu no odoriko, Onsen Yado, Jojōka, Kinjū ni tsuite”, in Mishima Yukio zenshū, Shinchōsha, 1975-78, vol. 25, pp. 369-374.

288Mishima Yukio, “Izu no odoriko, Onsen Yado, Jojōka, Kinjū ni tsuite”, op. cit., p. 370. 289“Sumomo mo momo mo momo no uchi/hishojo mo shojo mo onna no uchi” (スモモもモモ

もモモのうち。非処女も処女も女のうち。Lett. “sia la prugna sia la pesca fra le cosce/sia non

vergine sia vergine in una donna”). Gioco di parole che opera sui due livelli di significante e significato: tramite progressiva sottrazione del primo carattere è creato un parallelismo che gioca sul suono nella prima frase (in cui è sfruttata l’omofonia tra cosce e pesca, “momo”, che giustifica il campo semantico dei frutti) e sul senso nella seconda (con riduzione da tre e un carattere, quello di donna, che incarna il fulcro della presunta immanente duplicità che si è esplicitata nella citazione che precede; di tale duplicità si è tentata la resa in traduzione, considerando fondamentale qui salvaguardare l’aspetto semantico).

delle donne. È che anche questo commentatore, tale Mishima, è un uomo di lettere.

“Ma esisterà poi questa cosa chiamata verginità?”290

Sembra che in qualche modo dica “per favore, non esistere così semplicemente”, no?

Una vergine dal corpo ricco di forza di immaginazione, e per contro una donna non più vergine che, ormai esperta, si comporta per questo come se lo fosse…

Forse i letterati pensano che le donne di oggi non abbiano più né i sogni né l’ingenuità.

“Si dice che questa ardua conoscenza dell’inconoscibile sia il lirismo di Kawabata; in verità è la pura inquietudine della sua mente che spinge verso l’inconoscibile la difficile conoscenza.”291

È difficile capire le donne. Le vergini, poi, si capiscono ancora meno, ed è per questo che le si teme quasi fossero quei serpenti immaginari292…

Ehi, sbaglio o esiste un “puroqualchecosa” che piace tanto al professor Otsuji Katsuhiko293? Tipo la “scala pura.” La scala ha una forma, ma dopo esserci

290Mishima Yukio, “Izu no odoriko, Onsen Yado, Jojōka, Kinjū ni tsuite”, op. cit., p. 370. 291Ibid.

292Tsuchinoko (ツチノコ、槌の子).

293Otsuji Katsuhiko (尾辻克彦 ) è il nom de plume di Akasegawa Katsuhiko (赤瀬川克彦, 1937 - ),

meglio conosciuto come artista concettuale con lo pseudonimo di Akasegawa Genpei (赤瀬川 源平); famoso negli anni Sessanta come neo-dadaista è stato parte attiva di vari gruppi di artisti (Neodada organizers ネオ・ダダ・オルガイザーズ, Hi-Red Center ハイレッド・センター). Nel 1980 propone il concetto di Hyper Art (chōgeijutsu 超芸術), nel quale giocano un ruolo centrale ordinari oggetti di arredo urbano che divengono depositari di arte concettuale: questi

saliti non c’è una porta. Ci sono varie altre cose simili, come la “poesia pura.” Anche le vergini di cui si parla qui sembrano cose simili. Ovvero “donne pure.” Non esiste una cosa del genere; e se è così, si aprono due possibili strade:

1. esiste, e si arriva giusto in tempo;

2. si fa finta che non esista ciò che esiste e che esista ciò che non esiste.

Per quanto mi riguarda sceglierei senza esitare la prima. Ma probabilmente uno che ha scritto “la pura inquietudine della sua mente che spinge verso l’inconoscibile la difficile conoscenza”, dal momento che mi pare un po’ complicato, sceglierà la seconda.

Anche se ha a che fare con una donna reale, nega la sua esistenza in carne e ossa e la tratta come un’ideale “donna pura.”

Non so se è ha una “mente pura”, ma sicuramente “inquieto” lo è! Sembra sotto stress, mi fa pena! Se fossi io, mi trasformerei in una “donna pura” per dargli un po’ di conforto…

Io vado proprio a portare conforto, nel paese delle nevi. Come, dite che è una gentilezza non richiesta? Una visita inopportuna? Ma al contrario!

Almeno quando avevo quattordici anni mi ha trattato impeccabilmente da “donna pura.” Guardate, che galantuomo.

“Dal fondo dello stabilimento termale, immerso nella penombra, tutt’a un tratto una donna nuda sembrò venire di corsa verso di noi, poi salì in piedi sul parapetto dello spogliatoio come per saltare sulla riva del torrente e protendendo in avanti le braccia si mise a gridare qualcosa. Non aveva niente addosso, nemmeno un asciugamano. Era la danzatrice. Guardando il bianco corpo nudo

oggetti sono chiamati da Akasegawa “Thomason”, e fra essi compare anche la “scala pura” (junsui kaidan 純粋階段) (si veda ad es. il saggio “Diario di un’investigazione per le strade di Tōkyō” [Tōkyō rojō tankenki 『東京路上探険記』, Shinchōsha 新潮社, 1986]). Come scrittore di narrativa, col nome di Otsuji Katsuhiko, ha ricevuto il premio Akutagawa nel 1981 con il racconto breve Chichi ga kieta (“Papà è scomparso”, 『父が消えた』, Bungei shunju 文芸春秋).

dalle lunghe gambe, simile a un giovane albero di paulonia, ebbi la sensazione che il mio cuore fosse attraversato da una corrente di acqua limpida. Tirai un profondo sospiro e mi misi a ridere piano. Era una bambina. Una bambina che per la gioia di averci scoperto era balzata, nuda come si trovava, nella luce del giorno, e cercava di sollevarsi il più in alto possibile sulla punta dei piedi.”294

Andando avanti a leggere, pian piano è venuta meno la mia sicurezza Ero davvero una “bambina”, a quel tempo? A guardarmi ora, vedo con gli occhi della mente, per tutta la lunghezza delle “lunghe gambe simili a un albero di paulonia” una scura boscaglia. Forse sono impuri i miei occhi che avvertono così vividamente la parte di “donna” di quella “donna nuda”, più che il comportamento da bambina.

Impuri, ovvero fango. Dove c’era il fango poi l’acqua cristallina, ho detto prima. E così, è come se ritraesse anche una figura apparentemente “fangosa” della ballerina come presagio per il suo “candido corpo ignudo” che diverrà “una cascata di acqua limpida e cristallina” …

Qui, ecco, questa parte:

“«Oh, che vergogna! Ha già cominciato a far la civetta, questa ragazza. Su, su…» disse la donna aggrottando le sopracciglia con aria sconcertata, e le lanciò uno straccio. Lei lo raccolse e si mise ad asciugare i tatami con un’espressione avvilita.”295

Questo me lo ricordo. Era la prima volta che lui veniva a trovarci nella nostra camera e io avevo preparato un tè. Per una qualche ragione, il mio cuore

294La danzatrice di Izu, op. cit., pp. 1037-1038; Izu no odoriko, op. cit., pp. 304-305. 295La danzatrice di Izu, op. cit., p. 1034; Izu no odoriko, op. cit., p. 301.

aveva preso a battere forte forte. “Diventò tutta rossa e le tremavano le mani”: così finii per versare tutto il tè. Aaah, che ingenua che ero, a quel tempo. Se mi fosse successo adesso, con la scusa del tè, avrei finto di barcollare per potergli almeno afferrare una mano.

Che strano, no? Anche se adesso gli stringerei la mano, nuda “senza neanche un asciugamano” nella sala da bagno non lo avrei mai fatto.

E se vogliamo parlare di stranezze, c’è la scena a cui passa immediatamente dopo quella senza ritocchi di all nude. Era venuto nelle stanze dove avevamo passato la notte:

“[…] gli artisti non si erano ancora alzati. Imbarazzato, mi fermai in corridoio. La danzatrice divideva con la ragazza più giovane il primo futon che mi trovai davanti. Vedendomi, arrossì violentemente e si nascose il viso tra le mani”.296

Certamente è possibile che si avverta più vergogna in pigiama nel letto che nudi in una sala da bagno. Ma se nel letto “si coprì il volto con entrambe le mani”, non sarebbe stato male se anche nel bagno “con entrambe le mani” si fosse coperta là sotto…

Ma io, a quel tempo, che problemi avevo?!

Beh, in effetti… io che tremo davanti un uomo e verso il tè, io che in un ingenuo nudo integrale stringo le mani a un uomo, io che nel letto mi copro il viso con le mani… quale fra queste “io” aveva maggiori problemi?

Naturalmente so qual è la risposta…

Ma secondo quell’uomo la risposta è l’esatto contrario.

D’altronde è un uomo che ha l’indefinita sensazione che le cose reali non ci sono, e quelle che non ci sono esistono.

Probabilmente la piccola quantità di fango incrostata sull’ “età pericolosa”, sulla tremebonda scoperta dell’ “attrazione sessuale” davanti all’uomo, emana assai più splendore di un innocente nudo.

Anche se chiamarlo “innocente” è un’ammiccante ambiguità.

Non c’è niente di più ambiguo di mostrarsi come una “ingenua bambina” di fronte a un uomo. Anche se si hanno quarant’anni è una cosa abbastanza ambigua. A meno che non sia Marilyn Monroe, qualunque donna sopra i trenta che lo faccia, bucata la stratosfera dell’ambiguità, è da ricovero.

Ciò che esiste non c’è. E ciò che non c’è esiste. L’innocenza il possesso più sublime. La purezza un prodotto del processo di elaborazione di un’impurità. L’ambiguità, che cosa straordinaria.

Quando l’ambiguità arriva al limite della sua viscidità, improvvisamente la colla cade, e diviene acqua cristallina completamente trasparente. Che così va a bagnare le ali della fantasia dell’uomo assetato.

Il “dileguarsi delle fantasie”297 dell’uomo che mi era davanti mentre per la

“pericolosità della mia età” arrossivo di vergogna, mancava certamente di ambiguità, no? L’atto di vergognarsi non è ostinato, ma incompleto: c’è un ego che non riesce a perdersi completamente in qualcos’altro… La fortuna aiuta solo gli audaci o anche quelli un po’ incapaci?!?298

È dura però: se non si butta via l’io da sé, ci pensa qualcun altro a buttarti via. Però, mi chiedo, chissà che cosa succede se sono gli altri a sopprimere il nostro ego? Se lo faccio io, resta qualcosa che non è più me; già, se viene meno la singola persona di nome Kaoru, poi non resta che la ballerina. Ah, è una cosa odiosa… nella testa di quell’uomo già da lungo tempo c’è una io che io non

297La danzatrice di Izu, op. cit., p. 1034; Izu no odoriko, op. cit., p. 301.

298Nel testo, p. 98: “ware wo sutete koso ukabuse mo aru no dawa” (我を捨ててこそ浮かぶ瀬

もあるのだわ) proverbio: “mi wo sutete koso ukabuse mo are” (身を捨ててこそ浮かぶ瀬も あれ, letteralmente: se ci si butta (in acqua) può darsi che ci si salvi…”.

sono… Nel suo libro nel riferirsi a me dice sempre e solo “la ballerina” di qua, “la ballerina” di là… Ci fosse stata una volta che mi ha chiamato “Kaoru.” Quando ci siamo incontrati non abbiamo saputo i nostri nomi subito. Però guardate un po’ qua, nel quarto capitolo sta parlando con mio fratello che gli riferisce che:

“lui si chiamava Eikichi, sua moglie Chiyoko e la danzatrice Kaoru”299.

Mio fratello, che fino ad allora era stato semplicemente “il ragazzo”, da quel momento viene chiamato “Eikichi”; la stessa cosa succede anche per Chiyoko e Yuriko. Solo io rimango fino alla fine “la ballerina.” Che nervi. Di questa cosa si è accorto anche mio fratello, che gentilmente gli ha fatto presente il mio nome… è successo la mattina della sua partenza:

“Soffiava un vento mattutino d’autunno e faceva freddo. Lungo la strada Eikichi mi comprò quattro scatole di sigarette Shikishima, dei cachi e delle pastiglie rinfrescanti di marca ‘Kaoru’. «Perché Kaoru è il nome di mia sorella» disse con un vago sorriso.”300

Anche mio fratello ha degli sprazzi di gentilezza…

Almeno verso la fine, che cosa gli sarebbe costato scrivere “Kaoru” invece che “la ballerina”? Nonostante fosse un risparmio di inchiostro scrivere “KA-O- RU” invece che “LA-BAL-LE-RI-NA”… E ciononostante, ciononostante…

299La danzatrice di Izu, op. cit., p. 1042; Izu no odoriko, op. cit., p. 309. 300La danzatrice di Izu, op. cit., p. 1054; Izu no odoriko, op. cit., p. 321.

“Arrivando nei pressi del molo d’imbarco, tutt’a un tratto fui preso da una grande emozione alla vista della ballerina accovacciata vicino al mare.”301

Ancora…

“ «Vengono anche le altre?» chiese Eikichi. [La ballerina] scosse la testa.

«Stanno ancora dormendo?» [La ballerina] Assentì.”302

A leggere, mi sono intristita.

Nell’essere di carne e ossa di nome Kaoru c’è un ego, ma anche delle passioni. Mi sporco, mi intorbido, mangio, respiro. Probabilmente è molto più bella la trasparente visione, profondamente incarnata nel ruolo della ballerina… Ma, naturalmente, è il mio cuore di donna che mi porta a desiderare di essere chiamata solo col mio nome… Molto meglio essere chiamata “Kaoru” che “signorina”!

Sono proprio una stupida, io. Non c’è ragione perché una persona debba rivolgersi a un’umile artista di strada chiamandola “signorina.” Prima ho detto del fango e dell’acqua: gli artisti girovaghi sono inequivocabilmente “fango.” Anche quell’uomo lo sapeva, naturalmente. Leggere questo libro ora mi riporta alla mente molte cose di quel tempo per cui provo nostalgia, ma anche tante altre di cui mi vergogno. Anch’io ora sono una ballerina, dunque non certo un’artista. Ma a quel tempo ci definivano “attoruncoli mendicanti”303

301Ibid. [Abbiamo sostituito “ballerina” a danzatrice che compare sempre nella traduzione

italiana per odoriko].

302La danzatrice di Izu, op. cit., p. 1054 - 1055; Izu no odoriko, op. cit., p. 321. 303Kawara kojiki 河原乞食

ed eravamo visti male… Così è cresciuta in me una timidezza, frutto del senso di inferiorità, che ha reso il mio comportamento in un certo senso “servile”. Quell’uomo aveva deciso di fare il viaggio con noi artisti girovaghi. Uno studente del primo anno delle superiori di quel tempo, per noi era come dire un professorone, o un ministro. Anche se la compagnia di viaggio era assortita in maniera così singolare – uno studente di tal fatta e degli artisti di strada – il sole che splendeva sul nostro cammino era uno solo, così come anche la strada stessa. Il sole non fa distinzioni fra pini, bambù o prugni. Ma quando giungeva la notte, per le locande dove pernottare esistevano pini e prugni. I posti dove ci fermavamo noi di solito erano posti economici, con “tatami e fusuma304 consunti e sporchi.” Conscio di questo, mio fratello decise di

condurre quell’uomo “a un’altra locanda”:

“per tutto il tempo io avevo pensato di dormire nella modesta locanda dove si erano fermati gli ambulanti.”305

“Avevo pensato” è nella forma passata… a pensarci adesso, le nostre strade, quella nostra e quella di quell’uomo, erano strade separate.

“L’uomo se ne andò, e dal giardino si voltò in su per farmi un cenno di saluto.”306

“L’uomo” è mio fratello, che “stava andando via” dopo averlo accompagnato all’altro alloggio.

304Fusuma 襖, porta scorrevole utilizzata come divisorio per stanze, realizzata in legno e carta. 305La danzatrice di Izu, op. cit., p. 1034; Izu no odoriko, op. cit., p. 302.

“«Tenga, con queste si compri magari dei cachi. Mi scusi se glieli tiro dall’alto» gli dissi lanciandogli alcune monete avvolte in un pezzo di carta. Lui rifiutò e fece per andarsene, ma dato che l’involto di carta era rimasto per terra nel giardino, tornò indietro e me lo rilanciò. «No, non deve disturbarsi» disse tirandolo in alto. L’involto cadde sulla tettoia di paglia. Io glielo lancia di nuovo, allora lui lo prese e se ne andò.”307

Quell’uomo che getta i soldi dal secondo piano è sempre quell’uomo, quello che li prende e li porta via è sempre mio fratello.

“Di nuovo Eikichi passò la giornata nel mio albergo, dal mattino alla sera. La padrona sembrava una persona gentile e alla mano, però mi metteva in guardia, diceva che non valeva la pena di offrire da mangiare a uno come lui.”308

È così che va il mondo. Ma la cosa più penosa è che essendo abituato ai modi di quelli che appartengono a quel mondo, quell’uomo fissava con sguardo attento noi che ci avvicinavamo senza vergogna alla sua benevolenza, come un falco che punti la sua preda.

Successe anche un’altra cosa simile. Una sera che quell’uomo era venuto in camera nostra a giocare, arrivò il tipo della stanza accanto.

“In quel momento un uomo sulla quarantina, un mercante di polli che alloggiava in quella misera locanda, aprì i fusuma e invitò le ragazze a mangiare con lui. La danzatrice e Yuriko si spostarono nella stanza vicina 307Ibid.

portando con sé i loro bastoncini e si misero a mangiucchiare nella marmitta i resti di pollo bollito lasciati dal mercante.”309

È crudele, da far venire voglia di distogliere lo sguardo, essere descritti in questo modo dalla persona che si ama… Lo dico da me stessa, è uno schifo! (Lacrime) Questo è fango. È incrostato di fango, “mangiucchiare nella marmitta i resti di pollo”. (Piangendo forte)

Ah, grazie. Bello questo fazzoletto. Oh, scusa… ci si è appiccicato del mascara…

Va già meglio. È che ci metto poco a buttarmi giù, ma mi tiro su con altrettanta velocità. Ora che sto meglio possiamo leggere subito il seguito.

“Quei grandi occhi dalle iridi nere e lucenti erano la sua cosa più bella. La linea delle palpebre era di un’indicibile leggiadria. E poi quando rideva sembrava che

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