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Non autosufficienza e compartecipazione al costo (copayment)

Capitolo 3 Long term care e sostenibilità

3.4 Non autosufficienza e compartecipazione al costo (copayment)

3.4.1 Aspetti generali, la “vision” di autorevoli studiosi

La compartecipazione al costo delle prestazioni, in particolare in sanità, ha suscitato negli ultimi anni molte polemiche, prese di posizione di politici e studiosi, anche pertinenti. Tuttavia, come si è già detto, il quesito principale che ci si pone è se la condizione economico finanziaria attuale e di un prossimo futuro del Paese possa permettersi un modello di welfare assolutamente gratuito.

I vincoli di bilancio, l’incremento della domanda indotta dall’invecchiamento della popolazione, lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate e dei costi correlati, richiamano già ad una risposta negativa.

E’ opinione diffusa che l’universalismo, valore prezioso del nostro modello assistenziale, può essere mantenuto solo a condizioni che si possano introdurre elementi più attenti di selettività e di compartecipazione alla spesa, secondo criteri di equità.

A riguardo si citano tre posizioni di autorevoli studiosi: - prof. Maurizio Ferrera9

- prof. Federico Spandonaro10 - Prof. Claudio De Vincenti11

Il prof. Maurizio Ferrera in un recente articolo sul Corriere della Sera dell’11 agosto 2011 afferma che “… la sanità universale non vuol dire servizi gratuiti per tutti, ma copertura equilibrata di bisogni connessi alla salute con appropriati “biglietti di ingresso”. …” L’ipotesi, seppur con declinazioni diverse, è sostenuta anche da autorevoli studiosi.

Si cita, a proposito, un estratto dell’intervista a “il Bisturi” del 26 settembre 2011 del prof. Federico Spandonaro, docente di Economia Sanitaria presso la facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata: “La sanità per tutti non regge più. Ora ticket, fondi integrativi e assicurazioni. La sanità è troppo

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Maurizio Ferrera è professore ordinario di Scienza Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano.

10 Federico Spandonaro, docente di Economia Sanitaria presso la facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata. 11

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costosa per essere sostenuta dalle sole casse dello Stato. Ed ora la crisi impone di guardare alla realtà". Non usa scorciatoie Federico Spandonaro, coordinatore del Ceis Sanità di Tor Vergata ed uno dei massimi esperti del nostro sistema sanitario, che specifica: “Se i cittadini vogliono la sanità che avevano prima, dovranno compartecipare alle spese”. Attraverso ticket più significativi, fondi integrativi e anche assicurazioni private.

Le compartecipazioni dovrebbero essere modulate per fasce di reddito?

Assolutamente sì. Non si può pagare il ticket in base al consumo, perché si colpirebbero paradossalmente i cittadini che hanno più bisogno.

Crede che i cittadini accetteranno l’idea di doversi pagare la sanità?

I cittadini già oggi se la pagano fra tasse e spesa out of pocket. Dovranno solo rendersi conto che se questo Paese non cresce o si aumentano (ancora) le tasse o è difficile avere prestazioni pubbliche gratuite. E non è più un problema di sprechi e di efficienza. L'idea dell'efficienza è servita solo a illuderci che si potevano risparmiare tanti soldi avendo le stesse prestazioni allo stesso costo. Ritengo che non sia più così: sicuramente la gestione della sanità annovera ancora aree di inefficienza, ma sostanzialmente allocativa (risorse messe in attività non prioritarie o di scarsa qualità). Il recupero di efficienza tecnica sostanziale ormai c’è stato e sprechi che liberino risorse non già “prenotate” da carenze di erogazione dei Lea ce ne sono sempre meno. Il vero problema è che se il Pil non cresce, la sanità (e in particolare l’innovazione) è sempre più difficile pagarsela. I cittadini dovranno capirlo. Del resto, forse, la verità è che nessuno ha mai sentito il “dovere” di spiegarglielo.

Compartecipazione alla spesa. E' quindi questa la ricetta.

A breve mi sembra sia un dato di fatto. Sono sempre stato convinto che un sistema sanitario senza ticket, che cioè non rende visibile ai cittadini il valore delle prestazioni che riceve, sia un sistema sbagliato. E ne ho sempre fatto una questione di efficienza da una parte e di responsabilità dei cittadini dall'altra. Oggi, al di là di qualsiasi riflessione, si deve inserire la compartecipazione perché c'è la crisi, perché siamo di fronte a un evidente problema di sostenibilità. Il punto è, come ho già detto, che occorrerà modellare i nuovi ticket con equità e attenzione ai veri disagi sociali e sanitari. Altrimenti il rischio è che le fasce deboli della popolazione ne saranno fortemente danneggiate. La vera prova delle prossime manovre sarà sull'equità che saranno in grado di garantire.

I ticket potranno portare anche dei risparmi indotti dalla loro funzione di calmiere della domanda?

Un certo risparmio ci potrebbe essere, perché c’è sicuramente qualcuno che si serve più del necessario del Ssn approfittando della gratuità. Ma stiamo parlando di numeri minimi, perché chi ricorre alla sanità lo fa perché sta male. Oggi la compartecipazione serve a cofinanziare il sistema, non a comprimere la domanda.

E poi, basta con questa leggenda degli sprechi quale male assoluto della nostra sanità. Leggenda alla quale si lega un altro mito, quello dell’efficienza quale cura di ogni male. Come ho detto sprechi e inefficienze esistono. Ma già oggi in sanità spendiamo meno che nei Paesi a noi confrontabili e quindi anche se eliminassimo del tutto sprechi e inefficienze non avremmo risolto il problema reale del sistema

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sanitario, che oggi è lo stesso del Paese nel suo complesso: quello di crescere sistematicamente meno rispetto al resto di Europa e del mondo.

Il prof. Claudio De Vincenti, nel corso della relazione tenuta alla XXVIII Assemblea Annuale ANCI 5-8 ottobre 2011 a Brindisi, affronta la questione della compartecipazione e l’effetto “leva” sulle risorse pubbliche, come descritto nella diapositiva che segue:

La compartecipazione e l’effetto “leva” delle risorse pubbliche Nei servizi di prossimità il ruolo della compartecipazione è triplice:

sostenere una espansione dei servizi per ogni dato ammontare di risorse pubbliche impegnate (effetto “leva”)

fare da rilevatore delle preferenze effettive del cittadino per un servizio: la completa gratuità deresponsabilizza

dare potere al cittadino come acquirente nei confronti della struttura di erogazione del servizio

la differenziazione in base alle condizioni economiche è essenziale per realizzare le tre funzioni indicate:

ampliare le possibilità di accesso ai servizi e quindi espanderne la domanda

consentire di esprimere realmente le proprie preferenze anche ai cittadini in condizioni economiche svantaggiate

mettere tutti in grado di esprimere un potere di acquisto adeguato

Fonte: Claudio De Vincenti, Università La Sapienza di Roma, “Per un welfare sostenibile” XXVIII Assemblea annuale ANCI Brindisi, 5-8 ottobre 2011

Ovviamente l’approccio non si limita alla “bontà” della formula, ma anche alle modalità applicative, ovvero, alla rispondenza a requisiti di equità ed efficacia delle azioni intraprese.

In ambito sociale e della non autosufficienza, la problematica del copayment è già un dato di fatto nella dimensione residenziale e si pone, in prospettiva, in tutta l’area della domiciliarietà, ovviamente in relazione alle capacità di reddito dell’utente, tutelando le fasce più deboli della popolazione.

3.4.2 L’indagine della Fondazione ISTUD (Istituto Studi Direzionali)

A riguardo si richiama l’indagine INSTUD, presentata a Roma il 12 settembre 2011 sulla domiciliarietà e più segnatamente la posizione degli intervistati sulla compartecipazione alla spesa:

Fonte: Fondazione ISTUD, Osservatorio nazionale delle cure a casa “knocking on patient’s door”, Roma, 12 settembre 2011

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Come si può osservare, quasi il 70% del campione interpellato è favorevole a forme di compartecipazione alla spesa, pur di disporre di servizi qualificati.

3.4.3 L’indagine SINA (Sistema Informativo sui servizi sociali per le Non Autosufficienze)

La compartecipazione alla spesa del cittadino è fatto assodato e consolidato nella residenzialità extra ospedaliera, è applicato sovente anche nelle domiciliari.

Sul tema della compartecipazione alla spesa nell’ambito della non autosufficienza, è oltretutto utile per una visione, Regione per Regione, della normazione della materia, osservare i dati che emergono dal progetto SINA (Sistema informativo sui servizi sociali per le non autosufficienze), anno 2010 elaborata da Synergia, Milano.

I cartogrammi che seguono individuano le Regioni che hanno definito con propri atti i criteri di compartecipazione dell’utenza alla spesa.

[71] Grafico 23b - Retta per centri diurni

Grafico 23c - Retta per prestazioni residenziali

Nell’ambito della loro potestà, in molte realtà, i Comuni o le Associazioni intercomunali hanno disciplinato direttamente la materia, in particolare per quanto riguarda i servizi di assistenza socio assistenziale

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familiare, la distribuzione dei pasti, e/o lavanderia a domicilio e gli interventi per rette, per prestazioni residenziali, dove le percentuali superano il 70%.

La tabella che segue evidenzia le percentuale di Comuni che disciplinano la compartecipazione nei vari ambiti di intervento.

Tabella 19: Percentuale di Comuni/Associazioni intercomunali che disciplinano la compartecipazione alla spesa da parte dell’utente anche con propri atti ad hoc (valori percentuali – campione complessivo

%

Assistenza domiciliare socio-assistenziale 83,2

Assistenza domiciliare integrata 51,1

Telesoccorso e teleassistenza 62,9

Assegni economici per sostegno alla domiciliari età 53,9

Distribuzione pasti e/o lavanderia a domicilio 72,2

Trasporto sociale 64,9

Retta per centri diurni 62,4

Retta per altre prestazioni semiresidenziali 54,8

Retta per prestazioni residenziali 72,6

Fonte: SINA, settembre 2010

“Per la valutazione del reddito dell’assistito o del nucleo familiare si ricorre generalmente all’indicatore ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente), a cui in poco più della metà dei casi si aggiungono criteri regionali o stabiliti dal Comune/Associazione intercomunale (54,7% e 58,2% dei casi che adottano l’ISEE rispettivamente)”.

L’ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente) disciplinato dal D. Lgs 109/1998 è lo strumento per definire sul territorio nazionale l’accesso alle prestazioni pubbliche e per individuare il livello di compartecipazione dell’utenza al costo delle prestazioni.

I tre “determinanti” dell’indicatore, sono:

1. la scelta a favore del reddito familiare, anziché individuale;

2. la inclusione nella determinazione delle condizioni economiche del patrimonio e dei redditi di natura finanziaria (20%);

3. la “pesatura” del numero e problematiche del nucleo familiare.

Lo strumento è utilizzato in larga misura per accesso alle prestazioni socio assistenziali. Le criticità principali riscontrate nell’utilizzo dell’indicatore, oltre alla capacità di esprimere, per i noti fenomeni di evasione fiscale, la reale situazione economica e di reddito, è la definizione del nucleo familiare. Si è acceso, infatti, per la mancanza di un coerente indirizzo, tra l’utilizzo dell’ISEE familiare e individuale, un notevole contenzioso tra Enti Locali, utenti e strutture assistenziali.

La normativa a riguardo va meglio definita sia nelle definizioni della capacità economica (reddito/patrimonio) sia nella individuazione delle fattispecie di utilizzo dell’ISEE individuale e familiare, mancano nella materia due decreti attuativi previsti dal D.L. 130/2000: in particolare il DPCM di definizione dei “confini” di applicazione dell’ISEE nelle prestazioni di natura socio sanitaria destinate alla non autosufficienza (irs pag. 54).

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Obiettivo ultimo della ipotizzata revisione dell’ISEE è il perseguimento di una maggiore uniformità ed equità nell’erogazione della spesa sociale.

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