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Nota bio-bibliografica

Giorgio Vigolo nasce a Roma il 3 dicembre 1894,1 primogenito di Umberto e Elisabetta

Venturi; a cinque anni di distanza nascerà il secondo e ultimo figlio della coppia, Mario. Entrambi i genitori possedevano spiccate qualità canore (la madre come contralto, il padre come baritono) ed egli, ancora molto piccolo, impara a suonare il pianoforte ad orecchio molto prima di iniziarne lo studio seguito da un maestro, rivelando così una predisposizione innata alla musica. Compie studi umanistici: dopo il liceo si iscrive alla Facoltà di Lettere, senza mai trascurare la passione musicale. Nel 1913 inizia a frequentare Arturo Onofri, che diventa la sua guida spirituale e il suo primo estimatore: a soli 19 anni infatti Vigolo pubblica il suo primo ‘poemetto in prosa’, Ecce ego adducam aquas, sulla rivista «Lirica» diretta proprio da Onofri. Sempre tramite la mediazione di Onofri alcuni frammenti lirici di Vigolo vengono pubblicati su «La Voce», diretta da Giuseppe De Robertis, nel 1914.

L’anno successivo viene chiamato al fronte ed è durante questa drammatica esperienza che un commilitone (Gaetano Anastasi) gli fa conoscere il Belli. È una scoperta che ha conseguenze determinanti sullo sviluppo del suo mondo interiore: nel maggiore poeta romanesco, infatti, l’esordiente poeta Vigolo sa riconoscere le singolari potenzialità espressive e ne avverte il senso tragico dell’esistere. Segnato dalla violenza della guerra, non aderisce al fascismo, pur non esplicitando la sua contrarietà; nei medesimi anni si allontana sempre più da Onofri, divenuto seguace della antroposofia steineriana. In un periodo di così profondi mutamenti, e personali e storici, Vigolo cerca una stabilità almeno lavorativa, scegliendo di impiegarsi al Ministero della Marina, dove aveva già lavorato il padre e dove rimarrà per vent’anni; si licenzierà solo quando avrà buone prospettive di mantenersi esclusivamente grazie alle sue attività letterarie.

Nel 1923 esce il suo primo libro, La Città dell’anima,2 in cui l’amore di Vigolo per Roma si manifesta in una serie di poetici ‘itinerari’ autobiografici; continua inoltre a collaborare con svariate riviste, come «L’Italia letteraria», «Circoli», «Letteratura» e «Espero». Nel 1931 cura per l’editore Formiggini la sua prima antologia dei Sonetti3 di Giuseppe Gioachino Belli, anticipo della memorabile edizione del 1952.4 Nel corso degli anni ’30 intraprende lo studio della lingua tedesca e si inserisce più profondamente nei circoli

1 Le informazioni per questo paragrafo sono state tratte in massima parte dalla monografia di MAGDA

VIGILANTE, L’eremita di Roma. Vita e opere di Giorgio Vigolo, Roma, Fermenti, 2010.

2 VIGOLO,La città dell’anima, Roma, Studio Editoriale Romano, 1923.

3 GIUSEPPE GIOACHINO BELLI,Sonetti, a cura di Giorgio Vigolo, Roma, Formiggini, 1931. 4ID.,I sonetti, a cura di Giorgio Vigolo, Milano, Mondadori, 1952.

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culturali romani: frequenta il pittore Virgilio Guidi, i critici Libero De Libero, Enrico Falqui e Giacomo Debenedetti, gli scrittori Alberto Moravia e Elsa Morante.

Viene richiamato alle armi nel 1940, anche se gli viene risparmiato il fronte; di nuovo l’esperienza bellica si intreccia con quella dei Sonetti belliani: Vigolo lavora infatti all’edizione critica commissionatagli dalla Mondadori, che dopo un percorso travagliato e numerosi rinvii esce nel 1952; contemporaneamente si dedica anche alla traduzione del

Meister Floh di Hoffmann.5

Alla fine della seconda guerra mondiale inizia l’attività di critico musicale, che diventa motivo di numerosi viaggi sia in Italia sia all’estero. Al momento della chiusura dell’«Epoca», nel 1946, Vigolo è richiesto dal «Risorgimento liberale», un altro quotidiano, nella triplice veste di critico musicale e letterario, nonché di scrittore di racconti. Altra collaborazione importante è quella con «Il Mondo» di Pannunzio, iniziata nel 1949, e proseguita fino al 1966.6 Per avere un’idea di quanto fosse febbrile la sua attività intellettuale in quegli anni si devono considerare anche gli interventi saltuari richiestigli da numerose altre riviste e testate (un esempio su tutti, i contributi destinati all’«Approdo letterario») e le numerose conferenze che Vigolo tiene in tutta la Penisola, tanto di argomento musicale quanto letterario. Nonostante i gravosi impegni, Vigolo riesce ancora a dedicarsi alla poesia, seppur non quanto desideri: nel 1949 pubblica per Mondadori Linea della vita7 e nel 1953 ha modo di impiegare tanto la sua vena poetica quanto quella di traduttore, accettando di tradurre le poesie di Hölderlin per Einaudi.

Oltre che sulla pagina scritta, Vigolo è anche presente al grande pubblico in veste di conduttore radiofonico: dal 1949 al 1959 viene trasmessa la sua prima rubrica, «Punto contro punto, cronache musicali», che si rivolge esplicitamente ad un pubblico quanto più vasto possibile, ritenuto il naturale fruitore di una forma artistica, quella musicale appunto, capace di raggiungere senza troppe mediazioni l’interiorità degli ascoltatori. Questo l’intento della rubrica nelle parole dell’autore stesso: «Un discorso di critica musicale, che entra nelle case deve interessare anche chi di musica nulla sa».8 Nello stesso arco temporale gli vengono

5 ERNST THEODOR AMADEUS HOFFMANN,Mastro Pulce, con traduzione di Giorgio Vigolo, Roma, Perrella,

1945.

6 Come testimonia lo stesso Vigolo nella Nota introduttiva a Mille e una sera all’opera e al concerto: «I

pezzi dal 1945 al ’46 furono pubblicati sul quotidiano “L’Epoca”, quelli dal ’46 al ’48 sul “Risorgimento Liberale”, i successivi sul settimanale “Il Mondo”, in cui tenni la critica musicale dal primo all’ultimo numero» (VIGOLO, Mille e una sera all’opera e al concerto, Firenze, Sansoni, 1971, p. 7).

7 ID.,Linea della vita, Milano, Mondadori, 1949.

8 Le parole di Vigolo si possono leggere in: GIULIANA ZAGRA, Le collaborazioni radiofoniche di Giorgio Vigolo, in Conclave dei sogni. Giornata di studi per il centenario della nascita di Giorgio Vigolo, a cura di

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finalmente assegnati alcuni riconoscimenti pubblici per la straordinaria competenza musicale: nel 1951 diventa membro della Filarmonica Romana e più tardi, nel 1967, anche membro dell’Accademia di Santa Cecilia.

Dieci anni dopo Linea della vita Vigolo pubblica un nuovo volume di poesie, Canto del

destino, che vince il premio Marzotto nello stesso anno (1959);9 un’annata particolarmente

fortunata per Vigolo, dal momento che nel dicembre Bompiani accetta di pubblicare una silloge di racconti, uscita nel 1960 con il titolo Le notti romane (a sua volta vincitore del premio Bagutta).10 Dal 1963 al 1965, Vigolo conduce settimanalmente il «Taccuino

musicale», che confluisce nel 1966 nella rubrica «Sette arti» sul «Terzo Programma». Senza soluzione di continuità, inizia nel ’65 «Musica e Poesia», l’esperienza più significativa della sua attività di critico musicale. In questa trasmissione, terminata nel 1976, la dimensione del musicologo convive con tutte le altre sue conoscenze: allontanandosi dalla forma della cronaca Vigolo sceglie di abbracciare la fantasia, la digressione dotta, il ricordo personale. Siamo al di là, è chiaro, di qualsiasi intento propriamente pedagogico: in «Musica e Poesia» Giorgio Vigolo dà voce davvero al suo ‘conclave dei sogni’.11

In seguito Vigolo sente l’esigenza di tirare le somme e raccogliere buona parte dei suoi sforzi, letterari o meno: tutte le sue poesie già pubblicate vengono riunite in un unico volume,

La luce ricorda (edito da Mondadori nel 1967), che ottiene il premio Viareggio.12 Di poco successivo il suo unico volume di argomento musicale in senso stretto, Mille e una sera

all’Opera e al concerto;13 si tratta di una scelta decisamente parziale delle sue cronache:

Solo una piccola parte delle molte migliaia di articoli, ho raccolto nelle mie «Mille e una sera all’Opera e al Concerto», subito esaurite e ora introvabili come la maggior parte dei miei libri.

Le altre migliaia giacciono essicate [sic] in dozzine di grossi registri come in erbari.14

Leonardo Lattarulo, Carmela Santucci, Giuliana Zagra, Roma, Tipografia della Biblioteca Nazionale Centrale, 1995, p. 96.

9 VIGOLO, Canto del destino, Venezia, Neri Pozza, 1959. 10 ID., Le notti romane, Milano, Bompiani, 1960.

11 Stefano Verdino scriverà, confrontando le recensioni di Vigolo e di Montale che «la “psicanalitica

analogia” è decisamente un modo cardinale della scrittura vigoliana, ma coltivata non nello scavo analitico, bensì nelle sue efflorescenze fantasiose e barocche. L’andamento eminentemente digressivo di Vigolo comporta per lo più molte psicanalitiche analogie, di vario respiro, ma non mancano altre strategie, come il ricordo autobiografico (usato con estrema parsimonia, anche da Montale), che a volte può diventare un delizioso microracconto» (STEFANO VERDINO, Gli ingredienti della recensione, in Studi di letteratura italiana per Vitilio

Masiello, a cura di Pasquale Guaragnella e Marco Santagata, Roma-Bari, Laterza, 2006, v. III, pp. 113-140).

12 VIGOLO, La luce ricorda, Milano, Mondadori, 1967.

13 ID., Mille e una sera all’Opera e al concerto, Firenze, Sansoni, 1971.

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Gli anni ’70 sono funestati da numerosi lutti, tra cui quello del fratello Mario, cui era legatissimo; nonostante ciò nel 1977 riesce a pubblicare con Mondadori I fantasmi di pietra,15 un nuovo libro di poesie. Il 1978 avrebbe potuto rappresentare per Vigolo l’anno del tanto atteso riconoscimento, con una cerimonia in suo onore in Campidoglio, che viene però rinviata all’anno successivo a causa del rapimento Moro.

Nel 1982, grazie a un contesto più favorevole alla scrittura fantastica, le quotazioni vigoliane sono in netto rialzo, tanto che Vigolo riesce a pubblicare una raccolta poetica (La

fame degli occhi), una di prose (Il canocchiale metafisico) e un racconto fantastico (La Virgilia): le ultime grandi soddisfazioni.16 La vita del beato Pirolèo e I dialoghi con Amadigi (una raccolta di racconti scritti in gioventù), invece, esce postumo nel 1983.17 Rimpianto da

molti, Vigolo si spegne a Roma il 9 gennaio 1983.

15 ID.,I fantasmi di pietra, Milano, Mondadori, 1977.

16 Rispettivamente: ID.,La fame degli occhi, Roma, Edizioni Florida, 1982; ID., Il canocchiale metafisico,

cit.; ID.,La Virgilia, Milano, Editoriale Nuova, 1982.

17 ID.,La vita del beato Pirolèo e I dialoghi con Amadigi, a cura di Pietro Cimatti, Milano, Editoriale Nuova,

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Ideario

I C. 1 Per Hamann-Goethe v. 511 I e II Ideenklavier (Cembalo a idee) Ideario

Certe, prior anima quam littera, et prior sermo quam liber, et prior sensus quam stilus, et prior homo ipse quam philosophus et poeta. Tert. De test. animae 52

Il nome da me inventato di Ideenklavier corrisponde al3 Gedankenspiel di Kant

nella Crit. d. Giudizio, dove egli dice che esso scaturisce «aus dem Wechsel der Vorstellungen, in der Urtheilskraft, wodurch zwar kein Gedanke, der irgendein Interesse bei sich führte erzeugt, das Gemüth aber doch belebt wird».4

I par. 54

C. 2

Inverno 1949

1 – La Scrittura

Per ‘scrittura’ una volta s’intendeva la Bibbia, che era la Sacra Scrittura e poi la

1 Proprio in apertura d’Ideario si trova il primo dei rimandi interni, che motivano la numerazione

autografa delle pagine; qui Vigolo si riferisce al brano intitolato «Sentiva, pensava, immaginava in un’unità» alla carta27.

2 TERTULLIANO, De Testimonio animae, cap. V, par. 4. Il rimando ad Hamann e Goethe (cfr. nota

supra) non avrebbe motivo di essere qui inserito, dal momento che in questa carta Vigolo non scrive dei due autori tedeschi, né alla c. 27 scrive di quello latino. Dopo attente ricerche ho trovato che proprio Johann Georg Hamann commenta con la citazione di Tertulliano un passo di uno scritto anonimo sull’origine del linguaggio. Il volume in cui riporta le sue riflessioni è stato pubblicato nel 1760 con il titolo Versuch über eine akademische Frage (‘Trattato su una questione accademica’), poi confluito in

Crociate di un filologo, Königsberg, Kanter, 1762. Per chi volesse approfondire l’argomento rimando

all’esaustiva monografia di Angelo Pupi Johann Georg Hamann uscita nel 1998 per Vita e Pensiero, in particolare al volume terzo Pelicanus solitudinis 1763-1773.

3 Variante adiafora, aggiunta in un secondo momento: «sarebbe lo strumento del concetto del». 4 Il Gedankenspiel è, letteralmente, un gioco della mente, del pensiero, che «[nasce] dal variare delle

rappresentazioni nel Giudizio, con il che non viene, è vero, prodotto alcun pensiero che implichi qualche interesse, ma l’animo rimane vivificato», in IMMANUEL KANT, Critica del giudizio, a cura di Alberto Bosi, Torino, Utet, 1993, p. 305.

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Scrittura senz’altro, per antonomasia. Singolare è invece l’uso che di questo termine hanno cominciato a fare i letterati italiani durante il secondo quarto di questo secolo, quando cioè si andò costituendo un certo tipo di ‘letteratura come ragione di vita’5 e

cioè di estremo formalismo, di un ‘bello scrivere’ senza idee.

Questo bello scrivere divenne allora ‘la Scrittura’ per antonomasia, al posto dell’altra, e gli italiani lessero e studiarono la Bibbia di Cardarelli.6

15 – XI – 487

2 –

Letteratura fu anche il titolo orgoglioso di una importante rivista letteraria. Ed

anche lì è da notare la differenza fra le generazioni precedenti ottocentesche e poi giù anche con d’Annunzio, Pascoli, «La Voce» che dell’epiteto di letterati quasi avevano vergogna, per quel tanto di vacuo, di spiritualmente esteriore che il termine per loro implicava. Mentre poi, al decadere dei valori di interiorità, corrispose una rivalutazione piena del vocabolo letterato e del concetto di letteratura.

C. 2v

Anche il Croce fini poi col pagare un piccolo tributo a questa rivalutazione della ‘letteratura’ nel suo tardo libro su ‘la Poesia’.8

15 – XII

3 -

Che Hitler facesse delle Esposizioni di Monaco a base di floride madri, e paffuti poppanti, non è una buona ragione perché noi si debba oggi fare – per dispetto a lui – della sola arte del disgustoso e del ripugnante.

Questa sarebbe anzi un a maniera di farsi ancora governare da Hitler, sia pure alla rovescia; ciò che in realtà sta accadendo in molta parte della terra.

16 – XII

5 Forse un riferimento alle posizioni espresse da letterati come Carlo Bo.

6 Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia, 1 maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959). Da questa nota è

facile intuire quanto Vigolo si considerasse distante dalla poetica rondista, a cui pure alcuni dei suoi primi lavori vennero ricondotti.

7 Basandosi sulle indicazioni temporali degli appunti seguenti, si può risolvere la discrepanza tra la

data apposta di fianco al titolo (Inverno 49) e questa in favore della seconda.

50 4 –

Se una cosa gli uomini imparano con gli anni – chi prima, chi più tardi, ma qualcuno forse non lo impara mai – è di non dare alcun peso alla propria impressionabilità, alle proprie sensazioni di timore o preoccupazioni o presagi, lieti o pavidi che siano, su ciò che si sta per fare.

Se una cosa l’esperienza ci apprende è proprio che i fatti tanto poco dipen-

C. 3

dono da ciò che noi immaginiamo di essi prima che accadano. Fra l’immaginare di fare e il fare vi è un salto come dalla riva all’acqua: ma in questi salti l’immaginazione non può dare consigli, anzi se vuol darne è meglio non starla a sentire: perché magari farà buttare nell’acqua e annegarvi un fatuo che crede di saper nuotare e non sa; oppure farà restare per tutta la vita sulla riva il pavido che vorrebbe imparare a nuotare fuori dall’acqua.

17 – XII

La valutazione soggettiva dei propri atti, delle proprie opere è quasi sempre fallace: ma nei rari casi in cui non lo è, costituisce forse l’unica forma di giudizio sicuro che gli uomini possono dare.

Il poeta, novanta volte su cento, sbaglia nel giudicare la sua poesia; ma quando non sbaglia, è il solo critico al mondo che parli con cognizione di causa. Verum ipsum factum.9

C. 3v

Del non saper tenere nel cassetto

L’artista di un tempo sapeva di essere giudicato su canoni, su regole di comune accezione: il suono dei versi e delle musiche, il disegno e il colorito dei quadri; avendo, sia pure, di mira un certo scopo del gradevole, del piacevole, mettevano l’artista, il poeta, il musico in una condizione di maggiore esigenza verso i risultati oggettivi del proprio lavoro. Un operista, o un sinfonista dell’Ottocento non si sarebbero azzardati di mettere fuori un’opera, una sinfonia le cui arie, i cui temi ecc. egli non considerasse dotate di un certo potere di presa sugli ascoltatori. In caso diverso egli avrebbe tenuto i suoi parti nel cassetto; nel caso, cioè, che egli ne temesse l’insuccesso.

9 Espressione di Giambattista Vico rintracciabile nel De antiquissima Italorum sapientia, Napoli, Ex

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Oggi questi criteri essendo del tutto spariti dall’animo dell’artista – egli viene anche a mancare di un punto di riferimento fermo ed obiettivo per la sua severità. Dato che i contatti naturali con l’uditorio non esistono praticamente più – e in altri

C. 4

termini l’artista non si rivolge al suo pubblico, al suo popolo ecc. come a un ascoltatore ideale che vuole soddisfare e persuadere – in realtà il suo discorso si ravvoltola su se stesso e gira a vuoto.

Viene a mancare il senso del committente – sia pure ideale – per cui si lavora. Ciò a lungo andare allenta le esigenze dell’artista. Io sono convinto che oggi si pubblicano con orgoglio o si fanno eseguire cose che una volta si sarebbero tenute nel cassetto.

Non è detto che le cose tenute nel cassetto non si rivelino in certi casi eccellenti: ma questi casi sono i posteri a deciderli.

Le Arpie

Oggi è quasi impossibile, se uno non ha un grande coraggio, parlare in faccende d’arte degli argomenti più importanti, poiché le Arpie hanno bruttato coi loro escrementi la tavola di ogni possibile mensa dello spirito. Se quattro persone dabbene vi si riuniscono attorno e le men-

C. 4v

se vengono apparecchiate, le Arpie sentendo di lontano l’odore dei buoni alimenti subito svolazzano sopra e sporcano ogni cosa.

L’espressione del Manzoni nel I Cap. dei Prom. Sposi10 – delle lunghe figure che «nell’intenzione dell’artista e agli occhi degli abitanti volevano dir fiamme» – coglie in maniera semplicissima ma essenziale, sia pure con legger inflessione ironica – il rapporto, il chiasmo dell’opera d’arte nella quale si incrociano sempre l’intenzione di chi esprime e l’impressione di chi vede o ascolta, per convergere in un significato.

10 ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, a cura di Alberto Asor Rosa, Milano, Feltrinelli, 1964, p.

11: «I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là». Vigolo potrebbe aver richiamato questo brano del Manzoni dietro la suggestione del sonetto belliano Un ber quadro a sguazzo.

52 Volevan dir fiamme.

Il che vuol dire che in sé non sono oggetti.

Di molte cose si potrà accusare Gregorio XVI e di moltissime lo accusò il Belli ne’ suoi sonetti mordaci: ma non d’incoerenza. Finch’egli visse non si udì un fischio di locomotiva, il satanico «mostro si sferra»11 del Carducci, non si sferrò affatto nel territorio dello Stato pontificio. Ma ciò che

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più dimostra come quel Papa volesse tagliare il collo all’idra del progresso con più risoluta e quasi metafisica misura, lo si vede in quella curiosa proibizione che egli fece ai vetturali contro la velocità, comminando loro dieci scudi di multa e otto giorni in carcere se avessero coperto la via da Viterbo a Roma in un giorno solo, anziché nei prescritti due.

L’Assistito

Come io oggi dedico una vera passione alla cura dei Sonetti del Belli e sento quasi la sua presenza che mi aiuta – con forme perfino di ‘bibliomanzia’ (trovare una parola fra 2400 son. ad apertura di pagina) –, così forse un giorno ci sarà uno che curerà le tante mie pagine inedite e, spero, con la stessa passione, che lo circonderò di messaggi. Ma questa non è forse la sorte che tocca, più o meno, ad ognuno nella vicenda, nella distribuzione del lavoro spirituale fra le generazioni?

Per quello che dicevo dell’aiuto che mi viene dal Belli e che io sento – mi ricordo di quella curiosa espressione che usano i napoletani: l’Assistito (il visionario che dà i numeri sicuri).

C. 5v

Questa è stata la migliore12

Nel Segneri vi sono pagine strane, ma singolarissima è quella (Quaresimale, Pred

11 L’espressione è ripresa dall’Inno a Satana del Carducci, verso 170.

12 Avendo dedicato il brano precedente ai sonetti del Belli, non è fuori luogo pensare che uno di

questi, riguardante l’ostinazione di un condannato nel rifiutare la conversione in articulo mortis (La

ggiustizzia de Gammardella), possa aver spinto Vigolo a cercare proprio questa predica del padre

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XI, 9 – pag 243 del I vol. ed. Silvestri)13 dove per dare un esempio a suo vedere terrificante della sentenza: In peccato vestro moriemini, narra una pungente storia

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