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defunto marito, sarebbero toccate «Disputationen, Reden, Gedichte und ähnliches drucken», vale a dire documenti legati all’università, discorsi, poesie e simili stampe. Appare logico annoverare tra le “ähnliches drucken” anche i volumi di Lieder di Albert, i quali sin dalla prima edizione recano sul frontespizio la dicitura «Segebaden Erben» (eredi Segebaden) e, a partire dal quinto volume (1642), il nome di Paschen Mense.

II.2 Notazione, ritmo e armonia

I Lieder di Heinrich Albert si possono considerare, sotto numerosi punti di vista, come veri e propri testimoni di un periodo di transizione. Come si è già visto discutendo gli aspetti metrici e poetologici, essi sono la manifestazione di una nuova versificazione ai suoi albori; allo stesso modo la musica di Albert testimonia la transizione verso la notazio- ne moderna, verso la battuta ad accenti gerarchizzati e verso una concezione tonale dell’ar- monia. Oggetto di questo paragrafo sarà individuare i motivi che fanno del linguaggio notazionale, ritmico e armonico di Albert un vero e proprio linguaggio ibrido, fotografia di un delicato momento di passaggio nella storia della musica.

Le Arien di Albert, infatti, si collocano esattamente nel periodo in cui la notazione men- surale si trova nella fase finale della sua trasformazione in ciò che identifichiamo come «notazione moderna». Scrive Harald Heckmann, con un efficace gioco di parole consen- tito dalla lingua tedesca, che tra i secoli XVI e XVII si compie il passo decisivo da Tactus a Takt, dove tactus fa riferimento alla temporalità dell’antica tradizione mensurale e Takt indica la moderna battuta come espressione di una gerarchia di accenti.12 Dalla varietas

propria della mensuralità si va di fatto verso una maggiore prevedibilità del tessuto mu- sicale: «a partire dal XVII secolo l’articolazione temporale della musica tende a muoversi nel senso di una progressiva semplificazione e normalizzazione».13

Albert si è quindi trovato ad assecondare una nuova tendenza nella concezione del ritmo e del tempo musicali con i mezzi notazionali e tecnologici di cui disponeva. Tra i secoli XVI e XVII si inizia a percepire la musica come una successione regolare di accenti e

12 Harald Heckmann, Der Takt in der Musiklehre des 17. Jahrhunderts, «Archiv für Musikwissenschaft», X, 1953, pp. 116-139: 116.

non più come un fluire prosastico14 tendenzialmente imprevedibile com’era proprio della

grande polifonia dei secoli precedenti. La crescente dignità conferita alla musica strumen- tale (principalmente coreutica) abbisogna di una regolarità d’accenti tipica della danza e della versificazione e, non a caso, si colloca contemporaneamente alla Versreform di Martin Opitz, come fa notare ancora Heckmann.15 La versificazione, come scritto in conclusione

al capitolo precedente, va nella direzione della resa naturale del tedesco parlato e inizia a servirsi di un’alternanza regolare di sillabe atone e toniche, che nella monodia di Albert e dei suoi contemporanei si articolano in arsi e tesi, levare e battere: Hebungen e Senkungen termini comuni a entrambi gli àmbiti.

È risaputo che le novità dettate dal mutare del gusto trovano solo a una certa distanza di tempo la loro formulazione scritta; infatti la notazione musicale non è ancora del tutto pronta per esprimere questa nuova concezione: l’idea stessa di battuta è affatto estranea alla notazione mensurale, che si basa sulla divisione di un tempo totale al fine di dare forma scritta una musica governata da un senso di eterno presente privo di prevedibilità metrica e basato sul fluire parola. Qualora vengano impiegate delle stanghette verticali, è esclusivamente per aiutare il musicista a orientarsi nella declamazione del testo e non per suggerire una regolare e reiterata gerarchia di accenti metrici. Nei paesi di lingua tedesca il concetto di ‘battuta’ in senso moderno verrà formalizzato teoricamente solo nel 1668 da Wolfgang Caspar Printz nel suo Compendium Musicæ.

I primi studiosi a porsi il problema della battuta nei Lieder di Albert, in occasione del- la trascrizione delle Arien in notazione moderna, sono Éduard Bernoulli e Hermann Kretzschmar che, nella pubblicazione degli otto libri di Lieder nei Denkmäler deutscher

Tonkunst, optano per una trascrizione diplomatica, che Kretzschmar giustifica anche nel-

la sua Geschichte des neuen deutschen Liedes otto anni più tardi.16 Nell’edizione infatti si

scieglie di mantenere le indicazioni di tempo del tutto identiche a quelle delle prime edizioni a stampa e di limitarsi a trascrivere i Lieder in chiavi moderne e aggiungere alcune stanghette tratteggiate laddove Albert non le avevesse indicate. Nel suo saggio 14 Termine mutuato da Heinrich Besseler, Das musikalische Hören der Neuzeit, Akademie-Verlag, Berlin, 1959, trad. it. di Maurizio Giani, L’ascolto musicale nell’età moderna, il Mulino, Bologna, 1993 citato anche in Azzaroni, op. cit., p. 160.

15 Cfr. Heckmann, op. cit., p. 131.

16 Hermann Kretzschmar, Geschichte des neuen deutschen Liedes I. Von Albert bis Zelter, Breitkopf & Härtel, Leipzig, 1911.

II.2 Notazione, ritmo e armonia

introduttivo al dodicesimo volume dei DDT, Kretzschmar fa riferimento alla libertà me- trica propria della notazione mensurale e all’effetto di mutevolezza che porta con sé, se osservata attraverso le lenti della notazione moderna.17 Lo studioso approfondisce questo

aspetto nella sua Geschichte des neuen deutschen Liedes del 1911, nella quale associa la flessi- bilità (Beweglichkeit) che la notazione mensurale porta con sé alla genuinità e immedia- tezza dei Lieder di Albert.18 Kretzschmar vede nell’uso della notazione oramai desueta un

ostacolo per i non esperti che impedisce di cogliere la bellezza e la semplicità dei brani. Propone quindi alcuni esempi tratti dalle Arien trascritti secondo il moderno concetto di battuta accentuativa. La trascrizione in notazione moderna (Umnotierung) risulta tuttavia un limite per l’esecuzione e per la comprensione dei brani, dal momento che – continua Kretzschmar – le stanghette di battuta non sono che un semplice strumento di orien- tamento aritmetico; la mensuralità non conosce una gerarchia di accenti, ma si basa su quelli del testo, sugli accenti naturali della lingua. Quella proposta da Kretzschmar è una soluzione “pratica”, volta alla riscoperta di questo repertorio e ai fini pratici della sua ese- cuzione in tempi moderni, allo scopo di riportarlo alla luce, come dichiara egli stesso alla fine del saggio sopra citato.

Per parte sua Riemann, nella prefazione al Manuale di Storia della Musica,19 accenna breve-

mente al problema della notazione nella musica del primo Seicento: sostiene che a un pri- mo sguardo si potrebbe dire addirittura incredibile che i compositori del periodo preso in esame abbiano dotato di un segno binario come C brani che hanno un palese andamento ternario. Di fatto – continua Riemann – era la prassi e solo il mancato riconoscimento di questo dato di fatto ha portato a un giudizio sommario e distorto di queste composizioni. Riemann afferma quindi il suo modus operandi di fronte all’apparente confusione e con- traddittorietà della scrittura:

Mein Leitstern durch das scheinbare Chaos dieser Literatur war die felsenfeste Überzeugung, daß die metrische Beschaffenheit der Dichtungen den Schlüssel für die Rhythmik der Melodien geben müsse, […]. Nur durch die fortgesetzte Analyse des Strophenbaues, der Reimordnung und der Silbenzahl der Verse, also durch die Aufdeckung des rhythmischen Gerüsts, das der Komponist als durch den Dichter gegeben vorfand

17 Si veda DDT, XII, p. XVIII. 18 Cfr. Kretzschmar, op. cit., pag. 26.

19 Hugo Riemann, Handbuch der Musikgeschichte, Breitkopf und Härtel, Leipzig, 1912, vol. II, tomo 2, Das Generalbaßzeitalter, p. 329.

und unter allen Umständen zu respektieren hatte, […] wurde es möglich, klarzustellen, was eigentlich die Monodisten wollten, und ihre Faktur restlos zu enträtseln.20

Riemann abbozza dunque le linee guida per un’analisi delle composizioni monodiche a partire dal testo. Non riporta tuttavia, nelle pagine a lui dedicate, le indicazioni di tempo e le stanghette tracciate da Albert, bensì trascrive tutti gli esempi in battute moderne fa- cendo ricorso a di frequenti cambi di tempo.21 Riemann non modifica in sostanza il valore

delle note, lo mantiene identico alle edizioni seicentesche delle Arien e si limita a identi- ficarne gli accenti e a stabilirne, in base alla loro rilevanza nel testo poetico, la gerarchia e propone un’indicazione di tempo che permetta al lettore moderno di realizzarli.

Nel 1925 Günther Müller, in Geschichte des deutschen Liedes, dedica la penultima sezione del terzo capitolo (Der Opitzsche Liedtypus) ai regiomontani, ma non porta avanti una trattazione delle caratteristiche musicali dei Lieder, limitandosi a una sintesi delle caratte- ristiche generali all’interno di un lavoro di ampio respiro, una completa storia del genere dalle sue origini (rintracciate in Regnart) sino all’Espressionismo.22 Nell’appendice Müller

inserisce due Lieder di Heinrich Albert (I.6 e III.14) trascritti in notazione moderna con criteri simili a quelli adottati da Kretzschmar; Müller non varia le figure musicali, non cambia le indicazioni di tempo e non trasferisce i Lieder in una moderna struttura di bat- tute ad accenti gerarchizzati. Quel che fa di diverso rispetto a Kretzschmar è, in entrambi i Lieder da lui pubblicati, raddoppiare il numero delle battute. I due Lieder nella prima edizione recano nell’accollatura il segno C e Müller lo rende in battute da 4/4, attribuen- do alle note i valori della notazione moderna e non il loro doppio. L’intento di Müller è puramente esemplificativo: non intende dunque conferire una trattazione sistematica del 20 «La mia stella polare, attraverso l’apparente caos di questa letteratura, è stata la convinzione granitica che la struttura metrica delle poesie dovesse suggerire la chiave per il ritmo delle melodie […]. Solo attraverso la continua analisi della costruzione delle strofe, dello schema delle rime e della quantità di sillabe nel verso, attraverso quindi lo svelamento della struttura ritmica che il poeta ha consegnato al compositore e che questi doveva a ogni costo rispettare, […] è stato possibile chiarire che cosa effettivamente volessero i monodisti e decifrare completamente il loro lavoro.» Riemann, op. cit., p. VIII.

21 Riemann, op. cit., p. 329, § 81. Die Monodie in Deutschland.

22 Günther Müller, Geschichte des deutschen Liedes vom Zeitalter des Barock bis zur Gegenwart, Drei Masken Verlag, München, 1925, pp. 47-80.

II.2 Notazione, ritmo e armonia

lavoro di trascrizione né della sua posizione sulla questione della battuta nel Lied mono- fonico seicentesco.

Un’argomentazione più ampia del problema, per quanto non esaustiva e limitata ai suoi contorni più generali, tesi all’applicazione alle singole composizioni in oggetto, è quella fornita da Walter Vetter nel suo Das Frühdeutsche Lied.23 Vetter muove dall’assunto che

non sussista alcun concetto di battuta per la musica di questo periodo, motivo per il quale l’uso del termine risulterà sempre e dichiaratamente improprio, di natura esclusivamente comparatistica. Una suddivisione delle note tramite stanghette verticali anche solo lonta- namente corrispondente ai moderni principi metrici non era affatto concepita né, di con- seguenza, applicata. L’uso delle stanghette, continua Vetter, non si presta che a un utilizzo superficiale e non serve in alcun modo all’espressione di un fatto musicale. In questo si trova pienamente concorde con Kretzschmar: Vetter loda i risvolti pratici e i vantaggi del- la sua trascrizione, utile a diffondere tale repertorio presso i moderni interpreti e amanti del genere, tuttavia solleva una questione che getta un’ombra sulla proposta di Hermann Kretzschmar, tacciandola di impraticabilità:

Wer bietet die unbedingte Gewähr dafür, daß er [Kretzschmar] durch die Setzung echter Taktstriche in modernen Sinn dem oftmals reichlich verzwickten und durch un- sere heutigen Hilfsmittel teilweise auch nur recht unvollkommen fixierbaren metrischen Sachverhalt in der alten Liedliteratur absolut und in jedem Zweifelsfall gerecht wird?24 La soluzione proposta è la medesima cui era giunto Riemann: «ein tieferer Einblick in die metrisch-rhythmische Struktur der alten Lieder»,25 attenendosi fedelmente all’asserzione

di Giulio Caccini «Io scrivo giustamente come si canta». Attraverso la constatazione che anche grandi compositori dell’èra classico-romantica (lo studioso cita, per esempio, l’in- cipit della terza sinfonia di Ludwig van Beethoven) hanno avuto difficoltà a esprimere infallibilmente dei fatti musicali in battute metricamente corrette, Vetter sostiene che i compositori antichi si trovavano in una situazione più congeniale. Pertanto, chi volesse intraprendere uno studio dei Lieder del XVII secolo dovrebbe – in prima istanza – ap- 23 Walter Vetter, Das Frühdeutsche Lied, Helios, Münster, 1928.

24 «Chi offre l’assoluta certezza che, tracciando vere e proprie stanghette di battuta in senso moderno, [Kretzschmar] sia assolutamente e senza possibilità di dubbio nel giusto nei confronti del fatto musicale dell’antica letteratura liederistica, spesso piuttosto contorto e talvolta fissabile solo in maniera davvero imperfetta tramite i nostri mezzi odierni?» Vetter, op. cit., p. 10.

prendere a ignorare le stanghette di battuta tracciate dal compositore. Riprende dunque quasi alla lettera Riemann e la sua interpretazione del segno C, ma parte dalla conven- zione mensurale per cui tale segno esclude la ternaria mensura perfecta in favore della bi- naria mensura imperfecta. Di conseguenza nei Lieder del XVII secolo non si manifesta la presenza di singoli valori tripartiti, bensì una sintesi di valori singoli distribuiti all’interno di battute tripartite: «die Zusammenfassung von Einzelwerten zum Tripeltakt». Vetter, sempre sulla scia di Riemann, ritrova in Heinrich Albert l’autore tedesco paragonabile a Giulio Caccini per caratteristiche ritmiche di base, la cui comprensione può illuminare la via attraverso il dedalo metrico-ritmico della letteratura liederistica del Seicento.

Per portare un esempio della non corrispondenza tra stanghette di battuta originali e configurazione ritmica del brano, Vetter sceglie il sesto pezzo dal primo volume di Arien che, afferma con certezza, si articola in battute di 3/2, tranne nei punti in cui ha inizio una nuova semifrase, nel quale caso si sovrapporrebbero due battute di 3/2. Questo sa- rebbe possibile dato che Albert inserisce una minima isolata a conclusione di ciascun verso a prolungamento dell’ultima parola. Nel citare questo esempio, Vetter fa riferimento all’edizione di Joachim Moser all’interno della sua monumentale Geschichte der deutschen

Musik.26 Pur rifiutandone, giudicandola fuorviante, la trascrizione in battute di 4/4, Moser

ne loda il profondo lavoro di ricerca e vi trae il concetto di agogische Triolierung. Tale concetto risulta completamente assente nella teoria della musica in lingua italiana, tradu- cibile, non senza forzature linguistiche, come «terzinazione agogica». Secondo Vetter, essa sarebbe essenziale per la comprensione del Lied sia popolare che artistico e getterebbe luce sulla struttura metrico-ritmica di questi, ma anche di composizioni più recenti. La

agogische Triolierung si basa sul riconoscimento di terzine implicite che, nel Lied citato, si

manifestano nella successione minima-semiminima attraverso cui Albert intona il secon- do emistichio di ogni verso. Si tratterebbe, dunque, di una sfumatura agogica atta alla re- alizzazione del motto cacciniano sopra citato: nella fattispecie, della dilatazione ritmica di alcune note o gruppi di note. Lo studioso tuttavia giunge ad ammettere che né la proposta di Riemann né la sua propria sono da applicare schematicamente e sommariamente, né possono fungere da base per un’esecuzione meccanica dei Lieder interpretati in tal senso, 26 Hans Joachim Moser, Geschichte der deutschen Musik, in 3 Bänden, Vol. 2. Geschichte der deutschen Musik vom Beginn des 30 jährigen Krieges bis zum Tode Joseph Haydns, J. G. Cotta’sche Buchhandlung, Stuttgart, Berlin, 1920.

II.2 Notazione, ritmo e armonia

così come la trascrizione in battute moderne non deve considerarsi coercitiva per la libertà e la flessibilità del ritmo del Lied seicentesco. Entrambe le soluzioni sono da applicare, scrive Vetter, cum grano salis e da mettere in pratica con la massima cautela, in quanto non si tratta che di tracce (Andeutungen) del fatto musicale vero e proprio, per la cui scrittura il moderno sistema di notazione sarebbe troppo approssimativo.

Nel suo saggio del 1963 anche Richard Hinton Thomas si serve del medesimo Lied (il «Dialogo tra la vergine e il roseto appassito», I.6) per accennare alla questione delle battute nei Lieder di Heinrich Albert:

A modern transcription of this song [I.6] would have to bar it in triple time, which could make it look as if Albert sometimes disregarded the natural stress of the words. […] Albert, however, in accordance with the usual practice of the time, uses vertical lines down to the stave, not to separate bar from bar as in modern convention, but to divide the song up for the guidance of the performer.27

Hinton Thomas riprende dunque l’interpretazione di Kretzschmar, che attribuisce alle stanghette il semplice ruolo di divisori aritmetici al fine di fornire un aiuto di natura es- senzialmente pratica ai musicisti; lo studioso introduce l’elemento della consuetudine, che il musicologo tedesco non aveva in quella sede preso in considerazione. Albert infatti si rivolgeva a un pubblico per il quale l’esecuzione di Lieder era esperienza affatto quotidiana e condivisa, che rispondeva pertanto a numerose consuetudini non scritte di cui autori e fruitori erano ben al corrente.

Nel suo breve quanto fondamentale saggio Rhythmus. Eine Begriffsbestimmung,28 Wilhelm

Seidel sintetizza la concezione del concetto di ritmo attraverso i diversi periodi storico- musicali e fornisce importanti strumenti linguistici atti a formulare i termini del problema, a definirne quanto meno la portata e a individuarne i confini. Nel documentare alcuni esempi della persistenza di consuetudini ritmiche e grafiche proprie della mensuralità, Seidl afferma che «la battuta è concepita – similmente alla perfectio medioevale – come 27 «Una trascrizione moderna di questa canzone porterebbe a suddividerla in battute ternarie, il che potrebbe far sembrare che Albert a volte non avesse rispettato l’accento naturale delle parole. […] Albert, tuttavia, in linea con la pratica del tempo, traccia linee verticali sul pentagramma non per separare una battuta dall’altra come di norma in tempi moderni, ma per suddividere la canzone allo scopo di guidare l’esecutore». Richard Hinton Thomas, Poetry and Song in the German Baroque: a Study of the Continuo Lied, Clarendon Press, Oxford, 1963, p. 49.

28 Wilhelm Seidel, Rhythmus. Eine Begriffsbestimmung, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1976. Trad. it. di Claudio Annibaldi, Il Ritmo, il Mulino, Bologna, 1987.

una vuota misura, aprioristicamente assegnata alla musica».29 L’utilizzo dei mezzi grafici e

notazionali propri della notazione mensurale come semplice “carta quadrettata” nella quale vengono inserite idee musicali già modernamente accentuative è una delle caratteristiche più vistose che balzano all’occhio nel prendere in esame i Lieder di Heinrich Albert, come sovente si avrà modo di riscontrare nel corso del capitolo analitico del presente lavoro. Il ragionamento di Seidel prende le mosse dalla constatazione che la musica per danza fa il suo ingresso nell’alveo della musica d’arte, il che contribuisce ad alimentare la rinnova- ta attenzione nei confronti della metrica antica, nella quale il ritmo non era concepibile senza il movimento.30 Tutto questo trova terreno fertile nel coevo tentativo di recuperare

la primigenia unione di musica e parola perseguito dagli umanisti italiani che intravedono l’inverarsi di questa possibilità nella monodia solistica o accompagnata. Seidel smentisce parzialmente il primato del testo come portatore assoluto di valenza ritmica, rintracciando quest’ultima in un altro fattore, più astratto e legato alla percezione: la forza della battuta.

Wer indessen genauer hinhört, aufs Ganze, auf den Gesang und die Begleitung, der wird auf die ordnende Kraft eines spezifisch musikalischen Rhythmus aufmerksam, auf die Kraft des Taktes. Auf dem Verhältnis, das Deklamations- und Taktrhythmus jeweils miteinander eingehen, beruht die Wirkung einer Monodie.31

A sostegno di ciò, lo studioso cita Giovan Battista Doni, che si espresse polemicamente nei confronti di chi identificasse ritmo poetico e ritmo musicale.

La ritmica antica assurge a elemento chiave anche per la successiva questione affrontata da Seidel: la suddivisione delle unità ritmiche più piccole, cosa di cui la teoria mensurale non si era occupata, derivando questa per deduzione dalla suddivisione della totalità temporale 29 «Noch im 18. Jh. denkt man den Takt als ein leeres, der Musik vorgegemenes Maß, ähnlich der mittelalterlichen Perfektion». Seidel, op. cit., p. 66.

30 Per una trattazione più estesa di tale fenomeno, illustrato tramite l’esempio della gagliarda, si veda Dianne M. McMullen, German Tanzlieder at the Turn of the Seventeenth Century: The Texted Galliard, in

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