• Non ci sono risultati.

Note e rassegne

Non c’è dubbio che la storiografia del Cinquecento abbia messo in luce la ‘perplessità’ tra il mondo politico e etico, suscitata dalle teorie di Niccolò Machiavelli, nell’animo di chi era determinato a raccontare avvenimenti storici. Godette invece di largo favore un genere particolare di storia: la biografia, benché, a quei tempi, fosse piuttosto «labile il confine tra genere biografico e genere novellistico», come giustamente ricorda V. Caputo, il curatore della Vita di Sandro Botticello (II, p. 394 n. 30) e non manca di rile- varlo proprio nel passaggio dalla Torrentiniana alla Giuntina. Infatti, dov’è là narrata soltanto la ‘novella’ in cui «Sandro accusò per burla un amico suo di eresia al vicario» (ivi, p. 395 rr. 30-31), qui invece è fatta precedere da due episodii: «il primo è uno scherzo ai danni dell’allievo Biagio» (ivi, p. 394 n. 30); il secondo è quello in cui il Botticelli «riesce a riportare a miti con- sigli un nuovo vicino (…) inizialmente insensibile alle [sue] giuste rimo- stranze» (ibid). Comunque, se nel Medioevo le biografie avevano come obiettivo primario quello di proporre esempii moralistici all’ammirazione dei lettori, oppure soddisfare necessità pratiche o cortigianesche, l’imperan-

E

dizioni vaSarianE*

* GiorGio vaSari, Le vite dei piú eccellenti pittori scultori e architettori. Edizione diretta

da Enrico Mattioda. Voll.: I, a cura di Enrico Mattioda. II, a cura di Vincenzo Caputo, Milena Contini, Alessio Cotugno, Donatella Frattini, Enrico Mattioda, Rosanna Morace, Émile Passignat, Giovanna Rizzarelli, Maria Luisa Russo, Giulia Tellini, Stefania Tullio Cataldo. III, a cura di Enrico Mattioda. IV, a cura di Vincenzo Caputo, Alessio Cotu- gno, Donatella Frattini, Enrico Mattioda, Émile Passignat, Giovanna Rizzarelli, Giulia Tellini. V, a cura di Vincenzo Caputo, Julia Castiglione, Alessio Cotugno, Donatella Frattini, Rosanna Morace, Émile Passignat, Giovanna Rizzarelli, Pasquale Sabbatino, Sara Stifano. Indici di Chiara Portesi (Contributi e proposte. Collana di letteratura ita- liana. 98, 99, 100, 110, 120), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2017, 2018, 2017, 2019, 2020 rispettivamente.

193

te individualismo che caratterizza il Rinascimento le ha finalizzate ad illu- minare il carattere e le virtù di alcuni uomini, perché spicchino sulla massa degli individui. Non meraviglia piú di tanto dunque, che in un secolo, in cui tutta l’attenzione era rivolta ad annunciare e a celebrare le facoltà uma- ne e le energie personali, l’impegno di letterati e artisti sia rivolto a fissare, ognuno con i suoi strumenti, i profili di personalità non comuni da conse- gnare ai posteri. Per quanto ci riguarda piú direttamente, gettando lo sguar- do al mondo dei letterati, non sono mancati autori di biografie, da Paolo Giovio (Vitae virorum illustrium, pubblicata a Firenze fra il 1551 e il 1553, con la traduzione in volgare di Lodovico Domenichi) a Jacopo Nardi (Vita

di Antonio Giacomini Tebalducci Malespini, Firenze, 1548), tanto per fare due

nomi. Su tutti però svetta lo scrittore-artista, o forse meglio artista-scrittore Giorgio Vasari, dato ch’è unanimemente riconosciuto «un pittore e archi- tetto di primo piano» (F. tatEo, Storiografi e trattatisti, filosofi, scienziati, artisti,

viaggiatori, in Storia della letteratura italiana, dir. da E. Malato, Milano, Cor-

riere della Sera, 2016, vol. VIII. Il primo Cinquecento, cap. XIV, p. 1059), dando dunque ragione a chi riconobbe ch’egli «nonostante gli errori e le false tradizioni raccolte formulò il testamento dell’arte italiana (…) e com- pose con le Vite il piú ampio e bello dei suoi quadri» (A. vEnturi, Epoche

e maestri dell’arte italiana, Torino, Einaudi, 1956, p. 321). Le Vite de’ piú ec- cellenti pittori, scultori e architettori, sono ormai da tutti riconosciute (con la

forma architetti nel titolo che compare nella prima edizione, la cosí detta Torrentiniana del 1550, ed è ormai entrata nell’uso), come il primo monu- mento della storiografia artistica moderna e quindi, considerare il suo auto- re, come uno dei primi critici d’arte (cfr., ma non è il solo!, H. lützlEr,

Die Kunstkritik, «Jahrbuch für Aesthetik und allgemeine Kunstwissenschaft»,

8 [1963], pp. 16-21) non è soltanto lecito, ma doveroso. Egli infatti ha sa- puto senza pregiudizii accademici e con calore umano spesso affettuoso, ritrarre la personalità di un maestro o descrivere opere che hanno destato in lui ammirazione. E mettendo a disposizione di studiosi e lettori, di ogni spessore culturale, una tale messe di notizie ha confezionato non soltanto una vera e propria storia dell’arte italiana, ma, come ha scritto J. Burckhardt «senza Giorgio Vasari d’Arezzo e l’opera sua importantissima, noi manche- remmo ancora di una storia dell’arte del settentrione e in generale dell’Eu- ropa moderna» (La civilità del rinascimento in Italia, introduzione di E. Garin [Biblioteca Sansoni], Firenze, G.C. Sansoni, 1968, p. 304). E ciò vale al netto del giudizio che si può dare delle «valutazioni sugli artisti» (I, p. 20) e dei criterii che le hanno determinate (cfr. M. Pozzi, E. Mattioda, Giorgio

194

Letteratura, Paleografia 330], Firenze, Leo S. Olschki, 2006, cap. IV-V, pp. 203-307). E proprio per definire questo scopo, cioè «per tentare di ricostru- ire il ‘modo’ in cui Vasari giudica l’arte e le sue vicende storiche» (ivi, p. XV), i due Colleghi dell’Università degli Studii di Torino hanno affidato al volume testé citato le conclusioni di un lavoro lungo e non facile, condot- to però sempre con perizia e passione in modo collegiale, passando anche attraverso sane, benché talvolta «accese discussioni» (ivi, p. XXII), prima di giungere alla stesura definitiva dei capitoli. Ecco il programma come si an- nuncia nel Proemio alla Parte Seconda: «ragionerò di questa cosa general- mente, e piú presto della qualità de’ tempi che de’ le persone, distinte e divise da me per non ricercarla troppo minutamente, in tre parti, o voglia- mole chiamare età da la rinascita di queste arti sino al secolo che noi viviamo» (II, p. 10). Inoltre, in virtù dell’abilità espressiva non comune, dello stile piano e chiaro della lingua parlata, che si manifesta spesso in tratti rapidi e incisivi, che rifugge da un periodare troppo elegante e peregrino, seguendo le indicazione di Annibal Caro, che proprio nello stile popolare, che sa te- nersi lontano dai rigidi canoni accademici, individuava «il pregio del Vasari scrittore», come riporta L. Grassi (Giorgio Vasari scrittore e critico d’arte, «Cul- tura e scuola», 49-50 [1974], p. 204) ci ha offerto «una delle espressioni piú mature della prosa cinquecentesca» (E. Bonora, Il classicismo dal Bembo al

Taurini. Le Vite del Vasari, in Storia della Letteratura Italiana, dirr. E. Cecchi

e N. Sapegno, Milano, Garzanti, 1966, IV. Il Cinquecento, p. 606), che fa di lui, come perentoriamente afferma E. Mattioda, «uno dei piú grandi prosa- tori del secondo Cinquecento» (I, pp. 42-43), ribadendo il giudizio di chi collocava Giorgio Vasari «per la penna e non per il suo pennello, tra i mas- simi temperamenti del nostro Cinquecento» (R. BEttarini, Vasari scrittore:

come la Torrentiniana diventò Giuntina, in Vasari storiografo e artista. Atti del

Congresso internazionale nel IV centenario della morte, Arezzo-Firenze 2-8 settembre1974 [Atti di convegni 11], Firenze, Leo S. Olschki, 1976, p. 500). La materia è scandita in tre età, corrispondenti alle tre Parti delle Vite che, nel testo di riferimento – la seconda edizione, stampata presso i Giunti di Firenze nel 1568, in tre volumi con le correzioni dell’Autore, l’aggiunta di nuove vite e i ritratti degli artisti (che bene ha fatto Enrico Mattioda a con- servare), nel testo critico curato da R. Bettarini, con commento secolare di P. Barocchi, G. VaSari, Le vite de’piú eccellenti pittori, scultori e architetti, nelle

redazioni del 1550 e del 1568, Firenze, Sansoni [poi SPES], 1966-1987, voll.

8: 6 di Testo e 2 di Commento – occupano, la Prima e Seconda, il volume I e la Terza, il II e il III. Questa invece, che il Direttore e Curatore, insieme ai Collaboratori, ha approntato e messo a disposizione della comunità scien-

195

tifica in meno di due lustri, riserva i volumi I e II rispettivamente alla Parte Prima e Seconda e distribuisce la Terza negli altri tre. Nel volume di aper- tura, Enrico Mattioda, dopo avere confessato (cfr. Premessa, pp. 5-6) di avere intrapreso il lavoro di allestire una nuova edizione annotata dell’ope- ra di Giorgio Vasari, su proposta dell’Associazione degli Italianisti, dichiara subito che il commento sarà ‘essenziale’ (non superficiale!) perché pensato e realizzato allo scopo unico di offrire «i supporti linguistici e informativi necessari per intendere il testo» (p. 5), senza lasciarsi tentare dal «trasformare le Vite in una moderna storia dell’arte» (ibid.). Ad essa segue l’Introduzione (pp. 7-43) in cui, negli otto paragrafi che la compongono (Questioni prelimi-

nari; La struttura storiografica; La prima edizione: fonti, collaboratori, impostazioni e finalità; I criteri di giudizio; L’edizione giuntina del 1568; Raffaello e Michelan- gelo; Lingua e stile di Vasari scrittore; Un’ipotesi inutile) si danno, di certo non

tutte, anche perché esulerebbe dalla finalità istituzionale dell’opera, ma molte risposte – e altre saranno relegate nelle note a pié di pagina – a do- mande di ordine filologico, storico, ecdotico, linguistico e critico che sol- lecitano nel lettore un lavoro come questo. Le Vite infatti si presentano – e lo sosteneva già L. Alpers (Ekphrasis and Aesthetic Attitudes in Vasari’s Lives, «Journal of the Wartburg and Courtland Institutes», 23 [1960], pp. 190-215) – non come un lavoro unitario, ma con una struttura composita e comples- sa, cioè come una «combinazione di quattro diversi modi di scrivere sull’ar- te, ossia: le «vite» degli artisti nella tradizione di Plutarco, la descrizione delle opere, le introduzioni, le prefazioni tecniche» (M. PEPE, Edizioni e

studi vasariani, «Cultura e scuola», 24 [1967], p. 130). Dedichiamo una bre-

ve riflessione all’ultimo paragrafo, riservato al problema della paternità, to- tale o parziale, dell’opera, perché non abbiamo tutta la certezza del Diret- tore, che una Introduzione non sia «il posto ideale per affrontare una teoria del genere» (p. 40), mentre siamo pienamente d’accordo con lui che, rico- nosciuta nella Giuntina «una patina sovrapposta (…) riferibile a maneggi editoriali autonomi» (R. BEttarini, Vasari scrittore: come la Torrentiniana di-

ventò Giuntina, cit., p. XXIX), conseguenza inevitabile del fatto che «nelle

su fatiche editoriali» (I, p. 3), in primis la correzione delle bozze, che sempre volentieri lasciava ai varii Pier Francesco Giambullari, Cosimo Bartoli, Car- lo Lenzoni, Vincenzio Borghini, resta comunque «senza fondamento» (R. BEttarini, Vasari scrittore: come la Torrentiniana diventò Giuntina, cit., p.

XXXIII) la proposta di non assegnare a Giorgio Vasari le Vite. Ci sono i dati ‘esterni’, forniti sopra tutto dall’ampio epistolario posseduto dal nipote e scoperto da Giovanni Poggi nell’Archivio privato Rasponi Spinelli di Fi- renze (cfr. Der literarische Nachlass Giorgio Vasari. I. Herausgegeben von K.

196

Frey, München, Georg Müller, 1923; id. II, mit kritischem Apparate ver-

sehen von K. Frey, herausgegeben und zu Ende geführt von H.-W. Frey, ivi, 1930. III. Neue Briefe von G. Vasari, herausgegeben von H.-W. Frey, Burg am Main, Hopfer, 1940), ma, senza forse davvero avrebbe potuto bastare «la chiara impronta personale che la prosa del Vasari reca in ogni pagina a dimostrare infondate le varie ipotesi, suggerite da malintese e spe- ciose sottigliezze filologiche» (G. vaSari, Vite scelte, a cura di A. M. Brizio

seconda edizione [Classici italiani 42], Torino, Utet, 1964, p. 10). Ma quando sembrava che la critica moderna avesse ormai seppellito l’insinua- zione della – diciamo cosí – ‘partecipazione’ di Vincenzio Borghini (il «frate Priore») all’opera di Giorgio Vasari («Giorgio aretin») cesellata – è proprio il caso di dirlo! – da Benvenuto Cellini nei versi di un sonetto cau- dato, forse soltanto per essi, famoso: «Giorgio aretin e quel frate Priore / sono uno stesso, sebben paion due» (B. cEllini, Rime, edizione critica e

commento a cura di D. Gamberini, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2014, LXXXV, 12-13), ecco che il tarlo del sospetto ha «ripreso virulenza» (ibid.), almeno oltreoceano, in conseguenza dell’article-review che Ch. Hope (Can you trust Vasari?, «The New York Review of Books», 05.10.1995, pp. 10-13) ha riservato alla monografia, ampia e preziosa di P. Lee Rubin (Gior-

gio Vasari: Art and History, New Haven – London, Yale University Press,

1995). Bene ha fatto dunque Enrico Mattioda a ritagliarsi un breve spazio per contestare radicalmente la validità, sia del metodo seguito, sia delle con- clusioni raggiunte dall’allora Direttore del prestigioso Warburg Institute di New York (cfr. I, pp. 41-42). Lo spessore di detta polemica, per la verità già chiaro fin dal titolo del paragrafo, è ribadito nella considerazione finale che ha il sapore della saggezza antica. Se lo scopo del lungo lavoro condot- to era di offrire modelli di vite consacrate all’arte, secondo quel preciso ideale che trova in Michelangelo la somma espressione, «che quelle notizie ci siano state tramandate da Vasari o da Lenzoni o da chi altri cambia qual- cosa sull’affidabilità di quelle notizie? Possiamo anche decidere che Vasari sia un nome collettivo [un’altra pensata di Ch. Hope (Le «Vite» vasariane: un

esempio di autore multiplo, in L’autore multiplo, a cura di A. Santoni, Pisa,

Scuola Normale Superiore, 2005, pp. 59-74)] sotto il quale unire vari au- tori, ma questo non ci farebbe aumentare la conoscenza di quel testo» (p. 42). Dopo la Cronologia della vita e delle opere (pp. 45-47) del nostro artista- scrittore e una Bibliografia essenziale (pp. 49-54), divisa per settori e con i titoli elencati in ordine cronologico, è posta una Nota al testo (pp. 55-59), dove si trovano l’indicazione dell’edizione di riferimento (cfr. supra) e delle parti espunte: «oltre agli indici della Giuntina (…) la Lettera di M. Giambat-

197

tista di M. Marcello Adriani a M. Giorgio Vasari sull’arte antica, che là apriva

il terzo tomo» (I, p. 55), nonché le modifiche apportate alla punteggiatura, le correzioni, oltre che di errori della stampa cinquecentesca, degli interven- ti piú significativi condotti sul testo, pur nella convinzione, non taciuta, che per una vera e propria nuova edizione critica con «la collazione dei testimo- ni sparsi nei vari continenti occorrerà (…) un’équipe di studiosi e un pro- getto che abbia alle spalle dei finanziamenti adeguati» (p. 59). Vediamo ora cosa comprende la ‘parte vasariana’. Vol. I: Le Dediche, alla Giuntina (pp. 63-64), alla Torrentiniana (pp. 65-67), il Proemio di tutta l’opera (pp. 68-78); L’ Introduzzione di Messer Giorgio Vasari (…) alle tre Arti del Disegno, cioè Ar-

chitettura [capp. I-VIII], Pittura [capp. XV-XXV] e Scoltura [capp. VIII-XIV]

(sic., pp. 79-162); Proemio delle Vite (pp. 163-184) e trenta Vite (pp. 186-419) da Cimabue, attraverso quelle, per esempio, di Nicola e Giovanni Pisani, Giotto, Andrea Pisano, Duccio, a Lorenzo di Bicci. Vol. II: Proemio [della Parte Seconda] (pp. 9-17) e cinquantatré Vite (pp. 18-492), da Jacopo della Quercia a Luca Signorelli, tra cui quelle di Paolo Uccello, Brunelleschi, Donatello, Paolo Romano, Botticelli, Mantegna. Vol. III: Proemio [della Parte Terza] (pp. 7-13) e quarantasei Vite (pp. 14-565) cominciando da Leonardo da Vinci per giungere, dopo quelle di Giorgione, Bramante, Raffaello, Giulio Romano, a Perin del Vaga. Vol. IV: Agli Artefici del Dise-

gno (pp. 9-11), allocuzione con cui Giorgio Vasari apre il vol. III della

Giuntina, seguono venti Vite (pp. 12-438) da Domenico Beccafumi a Gio- vanni Angelo da Montorsoli, tra cui citiamo almeno quella del Sodoma. Per quanto concerne l’ultimo volume della quinquepartita opera vasariana di Enrico Mattioda, la cui pubblicazione è prevista per l’autunno, esso si pre- senterà con una Nota introduttiva del Direttore – è alla sua cortesia che dob- biamo queste notizie – in cui si darà conto della scelta, metodologicamente ineccepibile, di escludere i testi spurii, come «la descrizione degli apparati per le nozze di Francesco I de’ Medici e Giovanna d’Austria e l’edizione della Vita di Iacopo Sansovino». Questa ultima specialmente, che mirava ad accreditarsi come un aggiornamento operato dallo stesso autore, ma che di fatto altro non è che una pura operazione commerciale messa in atto a Ve- nezia tra la fine del 1570 e l’inizio del 1571 dal figlio Francesco o da qual- cuno dei suoi collaboratori. Il volume conterrà, se si conferma quanto an- nunciato: le Vite di Francesco Salviati, Daniello Ricciarelli, Taddeo Zuc- chero e Michelangelo Buonarroti, figura eccelsa e conclusiva di quel ciclo artistico che, cominciato con Cimabue e Giotto, ha avuto nel Trecento i suoi grandi iniziatori; la Descrizione delle opere di Francesco Primaticcio, Ti- ziano de Cador, Iacopo Sansovino; le notizie di Lione Lioni, di don Giulio

198

Clovio, di diversi artefici e italiani e fiamminghi, degli accademici del dise- gno; per finire con la Descrizione delle opere di Giorgio Vasari. Il volume – e quindi l’opera intera – si chiude con quello strumento, di cui non cesseremo mai di tessere le lodi, utile sempre e indispensabile in lavori come questo, ch’è l’Indice degli artisti e dei personaggi, curato per l’occasione da Ch. Porte- sine. Negli oltre duecento profili, compreso il suo, che compongono l’o- pera Giorgio Vasari non si limita a illustrare le vicende biografiche dei varii artisti, come fanno altri suoi contemporanei, ma offre al contempo giudizii critici sulle loro realizzazioni, benché improntati tutti, al di là di parzialità campanilistiche, di preconcetti, di errori veri e proprii, di confusioni nelle date e nei nomi, al naturalismo accademico che ha segnato la sua epoca. Perfetto figlio del suo tempo, egli ci dà con le Vite una opera su cui domi- na incontrastato il senso tutto umanistico della dignità e dell’attività creatri- ce dell’intelligenza e che quindi esprime bene gli ideali dell’estetica e della storiografia rinascimentali: l’esaltazione dell’arte e il culto della bellezza, l’elogio dell’ingegno e della cultura, la contemplazione, satura di ammira- zione, della potenza creatrice, come abbiamo detto, dello spirito umano, che ha la sua massima espressione appunto in Michelangelo. Per quanto concerne le note, in linea di principio, siamo tutti d’accordo ch’esse debba- no sempre accompagnare, meglio se a piè di pagina, ogni testo letterario, in poesia o in prosa che sia, perché assolvono a funzioni precise di natura o esplicativa o informativa. Nel rispetto specifico di questo modus operandi, cercheremo di offrire qualche osservazione scaturita da una lettura attenta, come ogni opera di ingegno merita, benché rapsodica.

Vol. I, p. 256 n. 77: si spiega «ratratti» del testo (r. 6) con ‘rattrappiti’ che significa o ‘intorpiditi’ o ‘irrigiditi’ a seconda che si faccia riferimento o alle membra o alle persone. Qui però il contesto ci porterebbe ad inter- pretare «ratratti», piuttosto come ‘storpi’, ‘deformi’, che non congetturare un errore di stampa per ‘ritratti’.

Vol. II, p. 10 n. 2. Del passo citato dal Proemio della Parte Seconda (cfr. supra), Enrico Mattioda chiarisce che, con l’espressione «qualità de’ tempi», G. Vasari ripropone il concetto già espresso da N. Machiavelli (cfr.

Principe, XXV, 4) che il successo degli uomini dipende certo dalla virtú,

ma in primis dalla capacità di adattarsi ai tempi, cioè al gioco imponde- rabile della fortuna. Noi però non avremmo dimenticato di sottolineare anche che il termine «rinascita» è qui usato per la prima volta, per indicare il rifiorire delle arti, dopo l’oscura parentesi medievale, determinato dal ritorno all’antico, cioè dal riappropriarsi dei modelli classici da parte dei nuovi ‘artefici’ per la creazione dei loro capolavori (cfr. E. Garin, Il tema

199

della «rinascita» in Vasari, in id., Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali

dal XIV al XVIII secolo, Bari, Laterza, 1975, pp. 39-47) anche se dovremo

aspettare Giosue Carducci, perché acquisti «il suo moderno significato periodizzante» (B. MiGliorini, Storia della lingua italiana [La Civiltà Eu-

ropea], Firenze, Sansoni, 19513, p. 397).

Vol. II, p. 21 r. 17. «Nelle quali lapidi sono queste parole». In realtà, l’iscrizione compare, con la data giusta, 1422, «in una tavola di marmo» (ivi, r. 9) e non sulle lapidi che, tra l’altro, riportano la data sbagliata: 1416. Vol. II, p. 46 n. 1. Qui leggiamo che «Paolo (Pratovecchio, Casen- tino 1397ca – Firenze, 1475) è figlio del barbiere [e chirurgo] Dono di Paolo». Poiché però «si dilettò piú degli uccelli che d’altro, fu cognomi- nato Paolo Uccello» (p. 50, rr. 4-5) e cosí compare anche su documenti ufficiali. Quello che non torna, come purtroppo non raramente capita, sono le date. Escludendo quella citata, il 1432, ch’è chiaramente un errore ‘di stampa’, se egli nacque nel 1397ca. e «si morì l’anno ottantatreesimo della sua vita» (p. 55, r. 17) essa andrebbe fissata al 1480. È piú probabile però che sia vissuto soltanto settantotto anni, perché cosí impongono il testamento stilato l’11 novembre 1475 e il libro dei morti di Firenze, che registra l’evento all’11 dicembre dello stesso anno.

Vol. II, p. 74, n. 78. St. Tullio Cataldo fa qui giustamente rilevare come Giorgio Vasari «non approvi la narrazione in prima persona [adot- tata da Lorenzo Ghiberti] anche se poi per la propria biografia adotterà lo stesso espediente» (II, p. 74 n. 78). Noi però avremmo anche fatto notare com’egli, pur esprimendo questo giudizio fortemente limitativo sui suoi Commentari, «un’opera volgare, nella quale trattò di molte varie cose, ma sí fattamente, che poco costrutto se ne cava» (II, p. 74, rr. 7-8), in realtà abbia poi approfittato di essa a piene mani, estrapolando interi passi. È questo sia detto ben sapendo che nel Rinascimento il concetto di plagio non esisteva e quindi l’appropriarsi di brani interi di altri autori, senza citare la fonte, non era ritenuto, come lo sarebbe oggi, un’azione illecita e riprovevole.

Vol. II, p. 145 n. 10. Qui la stessa Curatrice ha giustamente rimarcato

Documenti correlati