Anche l’aspetto ontologico del concetto di nulla può servire a fornire di tale concettualità una più solida conferma. La riflessione su di esso in termini ontologici comincia in Leopardi già a partire dalla sua analisi del linguaggio, la quale si sofferma su un aspetto della lingua e delle idee concomitanti234
aventi a che fare con la memoria o ricordanza,235 introducendo
233 Cfr. Ivi, p. 4178, dove Leopardi sostiene che l’infinito diventa lo stesso che il nulla. In tal senso si può comprendere meglio la dimensione di infinito che l’illusione comporta, intesa come uno «spazio immaginario» - cfr. Ivi, p. 171, 12-13 Luglio 1821.
234 Ivi, p. 1701 ss.
235 Espressione utilizzata dall’autore in concomitanza con la parola rimembranza in molteplici delle sue opere, oltre che all’interno dello Zibaldone. Si vedano in particolare: Le rimembranze (1816)– “Idillio in sciolti” poi rinnegato nell’indice delle opere del 16 Novembre 1816 steso dallo stesso autore con l’indicizzazione tra le opere «Riprovate assolutamente dall’autore»-, Alla luna in principio intitolato La ricordanza (1819?) e Le ricordanze (26 Agosto- 12 Settembre 1829). Sono tutti canti che l’autore di Recanati dedica al tema della memoria. Di particolare interesse per il titolo indicante l’opposto argomento è
l’idea di assuefazione nell’argomentazione concernente la lingua e il suo sviluppo, e descrivendo il legame tra il sorgere delle idee e la nostra assuefazione ai dati sensibili. Non si tratta però dell’unico ambito dello Zibaldone in cui Leopardi tratta dell’assuefazione. Si deve aggiungere ora quanto Leopardi si sbilanci per dimostrare ciò che ha sostenuto anche in Zib. 601-606, dove l’affermazione più esplicita che descrive questa presa di posizione teoretica enuncia questo: «La mente nostra non può non solamente conoscere, ma neppure concepire alcuna cosa oltre i limiti della materia. Al di là, non possiamo con qualunque possibile sforzo, immaginarci una maniera di essere, una cosa diversa dal nulla».236 Per comprendere questa descrizione del nulla come una maniera di essere che sta al di là dei limiti della materia, si deve tenere conto dell’analisi che Leopardi fa delle facoltà mentali dell’uomo, e delle riflessioni da lui svolte in ambito antropologico.
Il ruolo dell’assuefazione in questo ambito è presto spiegato: la posizione di Leopardi nei confronti della dottrina platonica della reminiscenza accetta che il nostro sapere sia “reminisci”,237 ma non in un senso passivamente platonico che intenda affermare una conoscenza possibile da parte dell’anima di principi che precedano l’unione di essa col corpo, bensì in un senso lockiano a cui Leopardi dà totale adesione. Vale a dire che l’uomo conosce solo nella misura in cui ricorda ciò che i suoi sensi gli hanno fatto conoscere in esperienze precedenti. Questo processo è sovrinteso dalla memoria, che Leopardi descrive in queste pagine come assuefazione dell’intelletto, nella stessa misura in cui gli altri organi del corpo sono assuefatti ad altro per esperienze provate in precedenza. La memoria contiene, e ne è al tempo stesso il fondamento, tutte le assuefazioni. Sia materiali che non. E questo per Leopardi significa dare all’assuefazione un ruolo principale nel processo dello sviluppo
La dimenticanza (1816 o 1811?), “Burletta anacreontica” autobiografica con
personaggi reali facenti parte della famiglia Leopardi, compreso Giacomo stesso.
236 Zib. 601. Corsivo mio.
della conoscenza dell’uomo, che senza la assuefazione «non saprebbe nulla, e non saprebbe far nulla».238
Ma il ragionamento dell’autore prosegue oltre, alle pagine 1697 e seguenti, identificando come imitazioni tutte le facoltà umane descritte appena tre giorni prima, come risultato delle assuefazioni contenute nella memoria. «La memoria non è che un’imitazione di una sensazione passata, e le ricordanze successive, imitazioni delle ricordanze passate».
Il salto in termini ontologici viene effettuato da Leopardi all’interno di un brano che si stava soffermando in particolare sull’aspetto della sostanza della nostra anima. Il modello argomentativo utilizzato da Leopardi parte da una critica all’assoluto come concetto, e finisce per sostenerne la necessità in termini di dimostrazione dell’esistenza di alcuni concetti quali l’immortalità dell’anima e il bello in sé.
All’altezza dell’appunto dello Zibaldone di pagina 606, infatti, Leopardi sta per spiegare perché non si può dire di che sostanza sia l’anima, né se le sue facoltà siano o non siano sostanzialmente costitutive di essa. Emerge un tema che non è più riguardante l’aspetto della materialità della stessa anima, trattato altrove, ma che ne concerne l’immortalità. E lì Leopardi utilizza un’espressione significativa: sarebbe necessario dimostrare, in primis, l’esistenza di una volontà o forza di un «padrone dell’esistenza»,239 per poi dedurre con certezza la natura della sostanza dell’anima e la sua immortalità, visto che non è dato all’uomo di poter conoscere nulla al di fuori della materia. Viene lì trattato il tema del principio e del fondamento del tutto, e il pensiero di Leopardi lo affronta in connessione con quanto può essere detto riguardo all’assoluto. L’impossibilità per l’uomo di reperire, nella sua esperienza sensibile, dati riferiti alla sostanza dell’anima, non legati all’assuefazione e ai sensi, non nega la possibilità di riflettere sul problema della natura di questa sostanza a partire da un ragionamento che è comunque figlio
238 Ivi, p. 1676.
dell’assuefazione come tutte le altre facoltà umane. Leopardi, in passaggi dello Zibaldone già trattati,240 sosteneva con una certa sicurezza di poter negare che l’anima sia materiale, in virtù del fatto che non potrebbe provare il sentimento della nullità delle cose materiali qualora fosse anch’essa fatta di materia. Però il ragionamento del poeta di Recanati si ferma lì, ossia non tenta di proseguire in una eventuale dimostrazione di cosa l’anima possa essere in termini di sostanza, come già visto. Questo arresto, alla luce dei pensieri svolti sul problema della conoscenza al di fuori della materia, non è assolutamente ingiustificato. E Leopardi, per quanto concerne la sostanza dell’anima, non trova altro percorso praticabile se non quello di introdurre un argomento che cambia l’oggetto per il quale sussiste l’onere della prova: non si può dire che l’anima sia immortale, a meno che non si dimostri che esiste una volontà o una forza esterna al mondo, e dunque un principio su cui l’esistenza stessa in generale si fonda, che abbia così voluto. Chiunque voglia dimostrare la natura dell’anima, perciò, si dovrà occupare di questo problema per poter risolvere il primo.
L’altra argomentazione strutturalmente simile, se non identica, si trova alle pagine dello Zib. 1259-60. L’interesse è ancora incentrato sul tema dell’assuefazione. Leopardi se ne occupa questa volta in termini di dimostrazione del “bello in sé”, di cui si occuperà qualche tempo dopo.241 L’idea del bello è legata a quella delle proporzioni, ma in entrambi i casi si tratta di uno sviluppo non assoluto di questa idea, ossia di un certo relativismo nella nascita dell’idea stessa, legato al luogo e alla società umana in cui una tale proporzione viene giudicata di volta in volta sintomo di bellezza o di bruttezza. Leopardi conclude in questo modo: un’idea assoluta comporterebbe un riferimento «al sistema intiero ed universale di tutte le possibilità».242 Ancora una volta l’oggetto dell’onere della prova non è più lo stesso:
240 Cfr. i passi 106-107 dello Zibaldone.
241 Cfr. Ivi, p. 1538 tra gli altri passi dello Zibaldone, dove l’idea della bellezza viene fatta discendere dall’assuefazione in termini sociali.
dal bello assoluto si passa alla necessità di cogliere in un solo momento l’intero sistema delle combinazioni possibili di proporzione e sproporzione. In sostanza: si chiede di dimostrare ciò che per natura l’uomo non sarà mai in grado di dimostrare, ossia cosa vi sia «oltre i limiti della materia».243
L’analogia che si è venuta a creare tra le due argomentazioni non deve essere interpretata come volontariamente volta a scoraggiare una ricerca in quel senso, ma come una naturale conseguenza delle riflessioni leopardiane su fatti che concernono il significato ontologico del nulla. «Oltre i limiti della materia» Leopardi aveva identificato proprio il nulla.244 Dunque la riflessione sul tema del «padrone dell’esistenza», e quella sul tema dell’intero sistema di tutte le possibilità, sembrano poter essere lette come due corni di una stessa indagine. E infatti in Zib. 1620-21 Leopardi definisce Iddio «come racchiudente in se stesso tutte le possibilità, ed esistente in tutti i modi possibili».245 Leopardi non sente di avere distrutto l’idea di Dio, nonostante la sua riflessione lo porti ad esprimersi contro ogni tipo di idea assoluta, semplicemente perché sta operando una ridefinizione dell’idea della divinità ponendo in questa quel «sistema intiero ed universale di tutte le possibilità».246
Anche se Leopardi, quindi, ritiene, «dopo Locke»,247 di non dover più proseguire nell’argomentazione sul principio in base al quale la madre di tutte le idee è la sensazione, tratta però, spesso, nello Zibaldone, del problema dell’assoluto, e se esso possa essere concepito. Già pochi giorni prima di stendere la famosa Teoria del Piacere Leopardi si era sbilanciato con un consiglio rivolto all’umanità in generale, affinché l’uomo apprendesse a formarsi un’idea della possibilità più estesa di quella comune, e per converso un’idea della necessità e verità
243 Ivi, p. 601.
244 Ibidem.
245 Ivi, p. 1620-21.
246 Ivi, p. 1261. Per questo Leopardi altrove sostiene che con il suo sistema la Religione Cristiana «resta tutta quanta in piedi», cfr. Ivi, p. 1645.
molto più limitata.248 Proprio in questo stesso appunto egli sostiene che le idee dell’uomo sulla propria natura o sulla natura delle cose sono comunque sempre relative, mai assolute. Le sensazioni insegnano all’uomo che le cose stanno così «perché così stanno, e non perché così debbano assolutamente stare».249 Ossia se di idea o di affermazione sulle cose si può parlare, non se ne deve mai parlare in termini platonici. Le idee platoniche250 vengono confutate perché l’interpretazione di esse da parte dei metafisici comporta un riferimento all’assolutezza che in un ordine dotato di un fondamento sarebbe ammissibile,251 ma in un ordine che avrebbe potuto essere diverso da come è effettivamente non si dà. Per questo Leopardi spinge la propria critica alla metafisica tradizionale sostenendo che «non v’è quasi altra verità assoluta se non che Tutto è relativo. Questa deve essere la base di tutta la metafisica».252 Leopardi adopera la formula preventiva di non demolire metafisica e religione, ma di favorirne una diversa lettura consapevole di quanto si può dedurre dalla formula «Tutto è relativo». Il rapporto tra la metafisica stessa, la religione cristiana che «resta tutta quanta in piedi» e l’idea del tutto inteso come relativo viene quindi riletto sulla base di questa relatività del tutto appunto.
In sintesi, si è rilevato come attraverso il «dimenticare che l’uomo fa le piccolezze della natura, conosciute da lui colla scienza»253 possa nascere un «risorgimento dell’immaginazione».254
248 Ivi, p. 160.
249 Ivi, p. 1339-40.
250 La letteratura sul rapporto tra Leopardi e Platone è molto cospicua. Si vedano, tra gli altri, in particolare: M.A. Rigoni, Il materialista e le idee, in Saggi sul pensiero leopardiano, Liguori Editore, Napoli 1985², pp. 55-72; M. Mandolini Pesaresi, Leopardi’s Platonic temper, in Giacomo Leopardi, Estetica e
poesia. Atti del Convegno «Giacomo Leopardi: Aesthetics and Poetry», Loyola University – Chicago, 18-19 Ottobre, 1991, a c. di Emilio Speciale, Longo
Editore, Ravenna 1992, p. 55-75; Cacciari, Magis amicus Leopardi. Due saggi, cit.; F. D’Intino, L’immagine della voce. Leopardi, Platone e il libro morale, Marsilio Editori, Venezia 2009; M. Natale, Il canto delle idee. Leopardi fra
«Pensiero dominante» e «Aspasia», con presentazione di A. Folin e una nota di G.
Lonardi, Marsilio Editori, Venezia 2009.
251 Cfr. quanto detto sopra sull’esistenza di un «padrone dell’esistenza» e sulla definizione di Dio come «sistema intiero ed universale di tutte le possibilità».
252 Zib. 452, corsivo dell’autore.
L’immaginazione ha fondato il sistema della lingua e dell’operazione metaforica che sta alla base dello stile poetico, della nascita delle lingue e dei sensi delle parole, e la sua opera ha causato il capovolgimento assiologico del valore da attribuire al dolore e all’illusione nella percezione del nulla, anche nelle ricerche riferite alla dimensione più ontologica. Dopo aver chiarito tutto ciò, Leopardi, rifacendosi alla possibilità che proprio nell’abitudine e nell’assuefazione si collochi la dimensione della convenzione linguistica tra diversi individui, e la concordia nell’identificazione delle idee, pur all’interno della massima relatività ontologica, apre allo spazio immaginario e all’illusione: se per provare l’immortalità dell’anima la cogenza del ragionamento porta a immaginare che esista un «padrone dell’esistenza», per intendere l’assolutezza dell’idea del bello si deve immaginare la completa gamma delle possibilità; dalla somiglianza tra i procedimenti argomentativi e da ulteriori passi del suo Zibaldone si deduce che i due concetti coincidono in Dio, il quale, per questo, è collocato nello spazio immaginario del nulla, che si trova al di là di ciò che può essere percepito con i sensi. Su questo al di là, la cui pensabilità ha alla base l’immaginazione, Leopardi, checché ne dicano i sostenitori del suo materialismo, sta tentando di interrogarsi, considerando la dimensione della aporeticità del nulla, tenendo filosoficamente, poeticamente e disperatamente conto della impossibilità di ottenere delle risposte.
Se si deve, comunque, essere cauti nell’identificare una trattazione sul nulla da parte di Leopardi come qualcosa di definitivamente determinato in chiave ontologica e metafisica, è rilevante come, dal punto di vista delle strutture del pensiero leopardiano, tanto la questione del nulla, tanto la questione della vita attiva, come si dimostrerà, non debbano più essere concepite e lette secondo una prospettiva di carattere assiologico-emozionale. Secondo una omologazione a quella stessa
254 Ibidem. Ma cfr. anche il tema della ratio calcolante chiarito in chiave leopardiana da parte di Cacciari, di cui si è parlato in una nota in precedenza.
pregnanza filosofica che caratterizza la dottrina sul nulla, anche i suoi scritti sulla vita occupata ricevono dignità di discussione filosofica e quindi di teoria.