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Le nuove tecnologie a scuola tra paure e speranze

Nel documento Costruire un nuovo curricolo (pagine 146-152)

di Giovanni Biondi

1. Le paure

Spesso leggiamo sui giornali polemiche sull’efficacia o meno delle nuove tecnologie a scuola. Il tema viene presentato secondo diversi punti di vista ma non ci sono evidenze sperimentali a favore dell’una come dell’altra tesi. La scuola, non solo in Italia, fa coinci-dere i principali processi di innovazione con l’introduzione delle ICT.

È ormai un dato di fatto che il digitale sia una straordinaria opportu-nità per i percorsi formativi e basta andare al BETT che si tiene a Lon-dra a gennaio di ogni anno per rendersi conto di questo fenomeno.

Non si tratta solo di hardware. Da questo punto di vista anzi dopo le LIM, le stampanti 3D e la robotica non ci sono state rivoluzioni signi-ficative: l’elettronica segna il passo dopo anni di continuo sviluppo.

Le opportunità maggiori derivano piuttosto dal software, dai conte-nuti e dagli ambienti (laboratori) interattivi, dagli ambienti immersivi, dalla realtà virtuale, dai contenuti in 3D.

I rischi a cui va incontro la cosiddetta scuola 2.0 sono certamente molti, esattamente quelli di chi cerca di costruire qualcosa di nuovo.

Si tratta infatti di uscire da uno scenario che conosciamo da decenni fatto di lezioni, di pagine da leggere e di esercizi da fare a scuola e a casa, di verifiche orali e scritte, quella scuola che assomiglia così tanto a quella che abbiamo frequentato noi troppi anni fa, una man-canza di cambiamento che lascia a dir poco sorpresi.

Pensare però che il rischio che corre la scuola 2.0 sia quello di di-menticare il laboratorio di fisica a favore di quello di informatica, come ha scritto un illustre pedagogista in una recente intervista, è davvero singolare. Uno dei temi della così detta scuola digitale è pro-prio quello di chiudere “i laboratori di informatica” specialmente nelle scuole primarie dove il computer chiuso nel suo laboratorio finisce

“per predicare se stesso”. Ma l’argomento che va per la maggiore vede il libro sulla sponda opposta dei vari devices tecnologici. Se-condo questa bizzarra teoria, chi usa la tecnologia perde

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vamente il gusto della lettura. Gli studenti leggono poco e questo è un fatto sempre più rilevante, un trend costante cominciato ben prima della comparsa delle tecnologie a scuola. Ogni anno un’emor-ragia di lettori segna tragicamente il mondo dell’editoria. Ma è un dato che interessa in genere gli italiani e, se si va a guardare bene il dato, si scopre che i giovani rimangono i lettori più consistenti. La fascia d’età 11-17, secondo i dati ISTAT 2015 rimane comunque la più forte, quella che legge di più. In ogni caso il punto non è questo.

È evidente che il computer ha una funzione diversa da quella di leg-gere i testi. Legleg-gere sullo schermo o su carta non introduce partico-lari vantaggi se non forse quello del peso degli zaini e della possibilità di allargare i caratteri o salvare i commenti. Ma se si tratta di leggere tanto vale portarsi un libro in tasca, per lo meno non ha bisogno di essere ricaricato. E comunque credo proprio che in molti casi un testo nato per la carta il più delle volte in carta ritorna attraverso la stampante.

Un altro assioma che viene usato con la stessa finalità accusato-ria nei confronti delle scuole 2.0 sostiene che in genere il computer e la rete vengono usati per raccogliere informazioni, così – con un curioso salto logico – l’introduzione del computer abbasserebbe au-tomaticamente il livello culturale della scuola appiattendo l’attività didattica alla sola raccolta delle informazioni. Forse tutti ricordano ”i quaderni delle ricerche” che si usavano quotidianamente in migliaia di scuole. Su questi quaderni finivano cartoline, ritagli di vecchi libri di testo, fotografie tutte incollate e commentate magari con testi co-piati dalle enciclopedie di cui le famiglie si dotavano proprio per so-stenere le ricerche dei figli. Si trattava dello stesso processo: la ricerca come raccolta di informazioni. Con l’aggravante che spingeva migliaia di studenti a ritagliare e saccheggiare più o meno vecchi libri di testo. Dal processo di ricerca era assente tutta la fase “dina-mica”: formulare e verificare una ipotesi, sviluppare e allenarsi al senso critico. Quindi ben prima delle ICT la scuola spingeva gli stu-denti verso questo tipo di esercizi. Non sarà quindi il computer a spin-gere verso il basso il livello culturale dei ragazzi. Viene da pensare che faccia più danni un’attività ancorata al nozionismo con o senza il computer.

Viene poi agitato il fantasma della scrittura: smetteremo tutti di scrivere a mano, in corsivo, appena avremo a disposizione una ta-stiera o un touchscreen. Anche in questo caso non è difficile dimo-strare che, come per la lettura, il computer non si inserisce a scuola per sostituire la penna, o per ridurre la capacità di scrittura degli stu-denti. Forse si dovrebbe anche ricordare che anche la scrittura è a sua volta una “tecnologia”, una tecnica, una mediazione tra una pa-rola, un pensiero, un concetto e la sua rappresentazione su un qual-che supporto. Libro, lettura e scrittura non le percepiamo ormai più

come tecniche perché secoli d’uso ce le fanno apparire “amichevoli”.

Ma lo sono, né più né meno di come appaiono oggi le ICT agli stu-denti. Allora dove sta il digitale a scuola? Perché i governi di tutto il mondo stanno investendo in questa direzione? Si tratta della pres-sione dei produttori di hardware e software che vogliono conquistare la scuola? È da questa aggressione spinta da torbidi motivi econo-mici che la scuola si deve difendere?

2. Le speranze

È vero però che le tecnologie a volte vengono presentate come la panacea a tutti i mali della scuola e che a volte invece vengono de-monizzate perché ne ampliano i vizi, primo tra tutti quello della su-perficialità. Quindi ci dovremmo chiedere quale sia il posto delle tecnologie a scuola: cosa ci dobbiamo aspettare dalle tecnologie a scuola?

Questa è la domanda centrale alla quale è necessario rispondere per orientare le scelte. Credo che sia importante considerare che la nostra scuola ha dei valori fondanti che derivano dalla propria storia.

Ci è estranea l’idea dell’addestramento, della palestra degli appren-dimenti, dell’insegnamento finalizzato al raggiungimento dei risultati nei test. La scuola è un ambiente educativo nella tradizione italiana, un ambiente sociale dove si cresce e dove si impara. Un ambiente complesso che si sta inutilmente e pericolosamente burocratizzando ma che al suo interno conserva una spinta verso lo spirito critico e una forte attenzione agli studenti con quel sano buon senso che spesso porta tanti insegnanti e presidi a non seguire quella che ormai è diventata una selva di norme ed adempimenti. I migliori in-segnanti puntano sempre a realizzare una scuola fatta per gli stu-denti non aspettandosi stustu-denti fatti per la scuola. La principale missione della scuola rimane sempre quella educativa e questa con-vinzione credo sia radicata. D’altra parte se guardiamo alla storia della scuola incontriamo educatori come Montessori o Lombardo Radice, incontriamo i tanti movimenti della scuola attiva degli anni Cinquanta e Sessanta e quelli più recenti di book in progress. L’obiet-tivo è sempre stato lo stesso: creare un ambiente scolastico che si adattasse agli studenti, che permettesse loro di esprimersi anche at-traverso percorsi personalizzati, utilizzando in positivo la “pluralità”

delle loro intelligenze, ma soprattutto creando una organizzazione didattica che li coinvolgesse direttamente in attività di costruzione delle loro competenze.

Nella costruzione delle competenze il metodo che si usa è infatti fondamentale. Tutti questi tentativi hanno sempre avuto a disposi-zione delle “tecnologie povere”, soprattutto basate sulla carta. Può

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sembrare forse una osservazione priva di conseguenze, ma si può pensare davvero di creare un laboratorio fatto di carta? Una biblio-teca, un archivio certamente, ma non un laboratorio. Gli insegnanti che hanno cercato di realizzare un ambiente “laboratorio” hanno do-vuto inserire in un ambiente costruito per “imparare attraverso la let-tura” appunto quelle che erano in quel momento storico “nuove tecnologie”. Le aule delle scuole elementari si popolavano quindi di acquari, barometri, termometri, orti perché i bambini potessero fare delle esperienze dirette, limografi e ciclostili perché potessero scri-vere giornalini scolastici, duplicare e condividere pagine tratte da libri che non fossero il solo testo scolastico.

Vorrei a questo proposito inserire un ricordo personale proprio di Draghicchio che ho conosciuto negli anni Settanta quando, giovane insegnante, andai a visitare credo la prima scuola a tempo pieno messa in piedi proprio da Draghicchio a Spilamberto. Quello che mi colpì fu proprio la trasformazione complessiva dell’organizzazione didattica, del tempo e dello spazio della scuola. Non era il modello di tempo pieno, che poi si è affermato, della classe con due insegnanti che si alternano. Si respirava l’eccitazione e l’entusiasmo di chi co-struisce un nuovo modello, cambiando proprio i connotati alla scuola tradizionale. Non c’era ad esempio l’ora di educazione fisica ma du-rante il giorno si svolgevano nella palestra tornei di basket a ciclo continuo a cui partecipavano tutti i ragazzi intervallando così l’attività in classe con quella sportiva. Lo stesso per le attività cosiddette la-boratoriali. Una innovazione che ambiva a cambiare non solo il tempo ma anche lo spazio del fare scuola. Naturalmente non c’erano ancora le nuove tecnologie e tante cose rimanevano costrette “nella carta”, ma la dimensione del cambiamento era radicale. Lo scenario di queste trasformazioni ha sempre avuto dei confini ben precisi e anche il laboratorio che negli istituti tecnici e professionali è stato certamente più frequentato rispetto ad altre tipologie scolastiche, ha sempre limitato la possibilità di fare esperienza diretta su argomenti e tematiche differenti rispetto a quelle che si potevano riprodurre in laboratorio: molte materie restavano fuori. Il digitale invece offre oggi queste opportunità. Permette di esplorare una cellula e simulare l’or-bita di un pianeta, entrare nell’infinitamente piccolo e nel sistema solare, analizzare un’opera d’arte mettendola a confronto sullo schermo con altre dello stesso autore o periodo, usare una lingua straniera collegandosi con una classe di una scuola europea… In-somma rende possibile quello che lo spazio fisico, la carta, fino ad oggi aveva limitato. Ci sono quindi tutte le opportunità perché si possa trasformare l’organizzazione stessa della scuola, il tempo e lo spazio, gli strumenti come i ruoli dei suoi attori. Il posto delle tecno-logie digitali quindi non è certamente quello del laboratorio di infor-matica dove il computer è isolato. Anzi la scuola potrà trasformarsi

proprio se saprà utilizzare le grandi opportunità offerte dal “digitale”.

Si tratta di una rivoluzione annunciata che sta avvenendo un po’ in tutti i paesi del mondo. Ma “non si può mettere vino nuovo in otri vec-chi”. Questa rivoluzione richiede che si riveda l’intero modello, che si cambi il contratto di lavoro degli insegnanti basato e centrato sulle ore di lezione, che cambino le architetture interne delle scuole ed i loro arredi, che cambi la didattica e gli strumenti di lavoro in classe.

La nostra scuola sta passando da un modello ad un altro ed ha biso-gno di essere accompagnata da una “vision” ancora più importante delle risorse finanziarie. Senza questa consapevolezza e questo sguardo al futuro anche le risorse disponibili sono destinate a disper-dersi in tanti rivoli e a non accompagnare il processo di trasforma-zione che sta di fatto avvenendo.

Strategie e strumenti per progettare,

Nel documento Costruire un nuovo curricolo (pagine 146-152)