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La società della conoscenza offre alla pedagogia una nuova sfida educativa, tesa a ritrovare quello spazio di identità e di libertà che la produzione di massa aveva equiparato alla mera sfera della produzione e del consumo.

Il valore pedagogico del lavoro deve poter rappresentare lo spazio generativo e di significato entro cui ricomporre la perenne tensione tra momento finale del pensare e dell’agire.

Ne emerge una sfida a cui non ci si può sottrarre: il lavoro può riacquisire valore nel soggetto-persona nella misura in cui sia in grado di esprimere una «progettualità ideativa ed esecutiva che unifichi i mezzi e i fini dell’agire, dapprima nell’intenzionalità del soggetto che pensa cosa e come operare e poi nel rapporto di fruizione con l’opera portata a compimento»102.

In tale situazione, in cui alcune prospettive si mostrano quanto mai usurate, lacerate o sconfitte dalla storia, occorre confrontarsi con un quadro valoriale più ricco e complesso.

Nel nostro paese come in altri dell’Unione Europea, Francia e Germania in testa, organizzazioni e personaggi autorevoli chiedono ogni giorno che sia accresciuta la flessibilità del lavoro.

Ma qual è propriamente il senso dell’espressione flessibilità del lavoro? Si usano definire flessibili, i lavori o meglio le occupazioni che «richiedono alla persona di adattare ripetutamente l’organizzazione della propria esistenza – nell’arco della vita, dell’anno, sovente perfino del mese o della settimana – alle esigenze mutevoli delle organizzazioni produttive che la occupano o si offrono di occuparla, private o pubbliche che siano. Tali modi di lavorare o di essere occupati impongono alla gran maggioranza di coloro che vi sono esposti per lunghi periodi un rilevante costo umano, poiché sono capaci di modificare o di sconvolgere, oltre alle condizioni della prestazione lavorativa, il mondo della vita, il complesso

101Ivi, p. 14.

dell’esistenza personale e familiare»103.

In questa prospettiva, il senso dell’essere al mondo si traduce in una questione più delimitata ma non meno centrale: la «ricostruzione di senso del proprio contributo umano al sociale, alla “persona” dell’altro in quanto membro di una comunità. Si tratta di risalire alle “sorgenti” della civiltà, di ritrovare il senso dell’umano e dell’essere cittadino di un mondo “locale” e “globale”, rispetto al quale si definiscono ogni giorno attese, responsabilità, decisioni, progetti»104.

Ciò sta a significare che il sapere – agire pedagogico deve essere costantemente legato alla dimensione progettuale e alimentato dalla dimensione teleologica105.

Mai come oggi è necessario rileggere il tema della centralità della persona come soggetto su cui poggia il compito di ri-fondare l’impianto valoriale di un’interpretazione ampia e ricca del lavoro.

È su questo piano che dobbiamo rintracciare la specificità dell’angolazione pedagogica in quanto elaborazione «originale di una sintesi interpretativa che scorge, in termini di intenzionalità, il lavoro come luogo di realizzazione del soggetto come

persona»106.

Si evidenzia, dunque, la necessità di favorire la diffusione di una cultura della

progettazione che innervi gli istituti di istruzione e formazione: «compito prioritario

appare quello di attuare una cultura organizzativa mirata a costruire comunità professionali personologicamente orientate, convinte, oltre che della irripetibilità del contesto, dell’unicità delle persone, della pro attività e agentività che è propria della persona, e consapevoli della forza trasformativa e sviluppativa personale e collettiva che consegue ai processi di formazione, caratterizzate dal ridursi delle relazioni gerarchiche e dell’affermarsi di reti e comunicazioni cooperative e coese»107.

Ne consegue, la necessità di accreditare e far vivere il contesto di lavoro

103 L. Gallino, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 4 104Cfr. G. Alessandrini, Risorse Umane e New Economy. Formazione e apprendimento nella società

della conoscenza, Carocci, Roma 2001, pp. 76-77.

105 «Come persona, l’uomo è quindi soggetto del lavoro. […] le attività del lavoro, al di là del loro

contenuto oggettivo, devono servire alla realizzazione della sua umanità, al compimento della vocazione ad essere persona, che gli è proprio a motivo della sua umanità», (Cfr. G. Paolo II,

Laborem excersens, in www.geocities.com/CapitolHill/Lobby/1697/laborem.html, consultato il 18/08/

2014).

106 G. Alessandrini, a cura di, Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, Guerini, Milano

2004, p. 35.

come luogo di formazione, come «educatore implicito», come singolare spazio di nuova e diversa educabilità, come luogo dove dare liberazione a «quell’intelligenza creativa che è necessaria per fare al meglio quello che va fatto»108, come particolare e pertinente espediente per l’apprendimento e per la formazione e dunque per la soddisfazione della tensione e dell’impegno verso la ricerca del sé.

Si pensi ad una nuova centralità della persona come risorsa fondamentale non più ai soli fini produttivi, ma in quanto promotrice di un sistema di relazioni che viene a costituire l’organismo essenziale di ogni sua attività.

Conseguenza di ciò è un processo decisionale in continuo auto- aggiustamento, la ricerca di soluzioni ottimali in linea con le modalità operative tipiche dell’organizzazione.

La figura rappresenta una formulazione molto nota nel campo degli studi organizzativi, il “rombo” di Leavitt109. La metafora che tale formalizzazione esprime è molto significativa per comprendere i rapporti intercorrenti fra gli elementi del sistema (la scuola rappresenta un classico esempio di sistema complesso), in quanto ne sottolinea l’interdipendenza; «il presupposto di base del modello è il concetto di sistema – in quanto potente dispositivo paradigmatico che ci aiuta a capire la realtà»110.

Da questo punto di vista, appare evidente come il «progressivo investimento

108Cfr. ivi, p. 15.

109 H. J. Leavitt, The organizational word, Harcourt Brace Javanovich, New York 1964. 110Ivi, p. 62.

sull’uomo come risorsa strategica vada al di là della pura cognitivizzazione strategica del lavoro, investendo appieno anche le dinamiche personali di significazione in cui l’autoeducazione appare investita»111.

In tal senso, è in gioco la possibilità di concedere all’individuo l’opportunità di conquistare l’autoidentità, di conferire agli eventi un significato autenticamente personale, di recuperare la possibilità di veder affermati il senso di efficacia, competenza, e in tal modo di consentirgli di farsi autore di un equilibrio tra la sfera personale e quella lavorativa.

In questo senso il contributo della formazione può rivelarsi indispensabile in ordine alla costruzione di un nuovo modo di essere e di convivere, garante del riconoscimento dell’uguaglianza di ogni soggetto-persona, dell’apprezzamento della sua costitutiva unicità, «della realizzazione di un ambiente lavorativo in cui tutte le differenze siano legittimate a trovare il loro luogo di manifestazione e di arricchimento»112.

In gioco è anche la creazione di contesti capaci di consentire alla persona di trovare nell’attività lavorativa lo spazio, il tempo, l’esperienza del miglioramento delle proprie aspettative, di sentirsi intellettualmente sfidata perché, come afferma Bauman, «la nostra vita è un’opera d’arte, che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo porci delle sfide difficili da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere degli obiettivi che siano ben oltre la nostra portata […]. Dobbiamo tentare l’impossibile»113.

Per quanto concepibile è necessario un impegno unanime finalizzato a fare del lavoro un’opportunità formativa che, in quanto tale, è destinata alla valorizzazione e all’arricchimento della soggettività personale.

La pedagogia del lavoro pertanto deve riuscire ad indagare la dimensione valoriale del lavoro, in cui il valore viene prodotto più dalla ricerca che dalle routine, più dalla creazione di nuove conoscenze e metodologie che dall’ottimizzazione di quelle già note e verificate. Il binomio pedagogia-lavoro rappresenta pertanto lo spazio dove le trame, tracciate sulle capacitazioni personali114, tessono il valore dell’innovazione, dello sviluppo e delle libertà.

111 G. Bocca, Pedagogia del lavoro. Itinerari, La Scuola, Brescia 1998, p. 101. 112 Cfr. ivi, p. 136.

113 Z. Bauman, L’arte della vita, Laterza, Roma - Bari 2003, p. 27. 114 Cfr. A. Sen, Etica ed economia, Laterza, Roma – Bari 2001.

In tal contesto, lo sviluppo di forme generative della conoscenza non può essere più espressione «di un processo etero-diretto guidato dal potere previsionale e programmatorio di realtà tecno-strutturali: avviene il superamento della formazione finalizzata al modo di lavorare, in cui la produzione di valore si realizza tramite l’applicazione, spesso imitativa, di un sapere precedentemente appreso, semplicemente utilizzato o replicato»115.

Oggi la formazione non è pensabile come semplice opzione di adeguamento prestazionale ma diventa strategia valoriale capace di rilanciare saperi, progettualità e scelte del lavoratore o dello studente in alternanza formativa: la dimensione progettuale diventa il panorama di significatività educativa e generativa di un agire

lavorativo sempre più flessibile (nel senso positivo del termine) e creativo.

CAPITOLO II

PROSPETTIVE DI STUDIO SULLA FORMAZIONE E