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Il nuovo Codice degli appalti pubblici

Nel documento LE CLAUSOLE SOCIALI (pagine 94-99)

CAPITOLO 3 Le clausole sociali di assorbimento della manodopera

3.1 Le clausole sociali di assorbimento della manodopera negli appalt

3.1.9 Il nuovo Codice degli appalti pubblici

Finora il focus dell’attenzione è stato rivolto agli appalti privati. Tuttavia, alla luce dell’emanazione del nuovo Codice degli Appalti pubblici, appare utile fare qualche breve cenno per chiarire i risvolti che tale Riforma avrà in tema di clausole sociali di assorbimento della manodopera.

I punti fff) e ggg) della delega al Governo (per l’attuazione delle Direttive 2014/23, 2014/24 e 2014/25 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure di appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) disciplinano le cosiddette clausole sociali rivolte e promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato.

Più precisamente il punto fff) sancisce che la Riforma degli Appalti Pubblici dovrà contenere una disciplina specifica per gli appalti pubblici di servizi, diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli ad alta intensità di manodopera, ossia quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto, prevedendo l’introduzione di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prendendo a riferimento, per ciascun comparto merceologico o di attività, il CCNL che presenta le migliori condizioni per i lavoratori ed escludendo espressamente il ricorso al solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta, comunque nel rispetto del diritto UE.

Mentre il punto ggg) prevede l’inserimento nel nuovo Codice degli Appalti Pubblici della previsione di una disciplina specifica per gli appalti pubblici di lavori e servizi che introduca clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato e stabilisca che i contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni devono intendersi quelli

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stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto e svolta dall’impresa, anche in maniera prevalente.

Le disposizioni riportate hanno generato alcune perplessità tra gli studiosi della materia. Il Tar Lecce, ad esempio, con la Sentenza n. 983/2016 del 16 giugno relativa ad un appalto per la raccolta di rifiuti solidi urbani, sottolineava che la clausola sociale non può addossare al nuovo appaltatore le pretese dei dipendenti che siano in lite con il precedente gestore.

Nel caso di specie, la Pubblica Amministrazione aveva previsto nel bando di gara per l’aggiudicazione dell’appalto che i concorrenti formulassero la loro offerta tenendo conto del costo di ventiquattro lavoratori da reintegrare. L’aggiudicazione della commessa avrebbe comportato il riversarsi sull’appaltatore vincente di costi effettivi dati dal reintegro dei dipendenti licenziati, ma anche di costi presunti per eventuali arretrati relativi a pretese risarcitorie.

Secondo l’impresa ricorrente, la clausola di specie rendeva impossibile il calcolo di convenienza tecnico-economica dell’offerta di gara, dal momento che al futuro gestore si addossavano oneri indeterminati e, allo stato, indeterminabili.

Come è stato anticipato, il Tar Lecce ha giudicato illegittima la clausola oggetto del contendere, perché notevolmente ingiusta nei confronti dei concorrenti per l’aggiudicazione del bando di gara.

Un’altra sentenza attinente alle clausole sociali di assorbimento di manodopera negli appalti pubblici è la n. 2433/2016 del Consiglio di Stato.

In questa occasione, si dibatteva sulla legittimità della clausola sociale di assorbimento della manodopera imposta per la concessione del servizio di distribuzione gas in capo all’appaltatore subentrante, dove si specificava che questi avrebbe dovuto assumere tutto il personale impiegato nella precedente gestione con l’integrale destinazione al medesimo servizio. Secondo i ricorrenti, tale clausola era da ritenersi oltremodo invasiva del principio della liberà di organizzazione d’impresa. I giudici hanno concluso ritenendo

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valido l’impegno dell’impresa subentrante ad assumere tutto il personale impiegato nella precedente gestione, anche senza confermare l’integrale destinazione al medesimo servizio, con possibilità cioè di destinare i dipendenti ad altri servizi in aree limitrofe per ragioni di economia di gestione.

Infatti, la clausola sociale va interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale garantita dall’articolo 41 della Costituzione per cui, fermo l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle proprie dipendenze, il nuovo gestore del servizio può collocarne alcuni in altri contratti da esso eseguiti (e anche ricorrere agli ammortizzatori sociali previsti dalla legge allorché in esubero), quando nell’organizzazione prefigurata gli stessi risultino superflui.

Quindi, la clausola sociale funge da strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori, ma nel contempo non può essere tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante, che ritenga di poter ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, e dunque ottenendo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento.

Si precisa che, solo per i call center, l’art. 1, comma 10, della Legge 11/2016 prevede la clausola sociale come obbligo di legge (ma di questo se ne dirà nel prossimo paragrafo), mentre nei nuovi appalti la clausola sociale potrà, a scelta dell’ente, essere imposta nel bando (art. 38 del D. lgs 50/2016) oppure essere utilizzata come requisito premiale nel calcolo dei punteggi (articolo 1, lettera ddd), Legge n. 11/2016).

3.1.10 La clausola sociale di assorbimento della manodopera nei Call Center

Come già anticipato, nel settore dei Call Center, la clausola sociale di assorbimento della manodopera è, ad oggi, garantita ex lege.

La norma di riferimento recita: “In caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, il rapporto di lavoro continua con l’appaltatore subentrante, secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento,

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stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. In assenza di specifica disciplina nazionale collettiva, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con proprio decreto adottato sentite le organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.”

In questo caso, il legislatore ha ritenuto giusto intervenire per tutelare la continuità occupazionale in caso di cambio d’appalto dal momento che quello dei call center è un settore fortemente esposto ad una concorrenza spietata del massimo ribasso e del risparmio tutto a carico del costo del lavoro.

Un’ulteriore considerazione in merito alla norma di legge attiene al rinvio ai CCNL. Ciò è, a bene vedere, un segnale molto importante, che conferma la centralità della contrattazione fra le parti sociali come strumento più idoneo per la costruzione di una comune cornice di condizioni applicative e regole.

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CONCLUSIONE PARTE SECONDA Le clausole sociali di seconda generazione: problematiche e questioni in sospeso

Così come si è avuto modo di vedere nella prima parte della presente trattazione, anche in merito alle clausole sociali di seconda generazione il legislatore italiano è intervenuto nel corso degli anni raramente ed in modo poco chiaro.

I dubbi di illegittimità costituzionale, il controverso rapporto tra avvicendamento di appaltatori e trasferimento d’azienda, sia pure quello fra cessazione di un appalto e licenziamento sono tutte questioni che hanno generato e continuano a generare contrasti in dottrina ed in giurisprudenza.

La problematica più spinosa, fra quelle elencate, riguarda sicuramente il difficile rapporto fra cambio d’appalto e trasferimento d’azienda, poiché il dettato normativo dell’art. 29, co. 3, D. lgs n. 276/2003 sembra fornire una visione del problema lontana dalle conclusioni cui è pervenuta la Corte di Giustizia Europea, anche alla luce delle più recenti modifiche.

D’altro canto, stante la supremazia del diritto UE sul diritto interno, si può concludere affermando che qualsiasi sia la previsione interna, nel momento in cui esiste una direttiva comunitaria che disciplina l’argomento, il disposto nazionale deve essere interpretato conformemente al diritto dell’Unione.

Venendo ora al ruolo assunto dalla contrattazione collettiva è evidente come, in tema di clausole sociali di assorbimento della manodopera, l’intervento delle organizzazioni sindacali sia stato e sia ancora, più che per le clausole sociali di prima generazione, assolutamente fondamentale al fine di garantire i diritti dei lavoratori.

Anche se l’efficacia delle disposizioni contrattuali non è pari a quella garantita dalla legge, poiché i contratti collettivi non sono recepiti in atti legislativi, il CCNL resta comunque valido per sua natura tra le parti firmatarie, perciò l’appaltatore che autonomamente sceglie di autolimitare la sua libertà di organizzazione non può, in un secondo momento, disattendere quanto specificato nel contratto collettivo.

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