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Nel documento Isola di San Giulio e Sacro Monte d'Orta (pagine 50-58)

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nevano la cera per le candele, l'olio, il vino che servivano per la celebrazione delle messe; venne abbattuta dal Nigra per riportare il campanile allo stato originario, durante i restauri da lui effettuati nell'isola.

Accanto alla chiesa vi è il Palazzo Vescovile, oggi sede del Monastero delle monache benedettine. «Giace questo al fianco meridionale e dello scoglio e della chie-sa: fu riedificato o in gran parte rinnovato da fonda-menti dal vescovo conte frate Guglielmo Tocchi cremo-nese nell'anno 1346, come appare dalle iscrizioni ripor-tate dal nostro Illustriss Bascapè e dal Torelli e farsi col peculio di quel cremasco, il quale per delitto d'usura fu de' suoi beni pribato dall'Arcivescovo Gio. Visconte Signor di Milano del quale esso vescovo era confessore, fu ristorato e ripolito da molti successori e singolarmente dal Bascapè. Chi lo fabbricasse è ignoto come anco è ignoto il tempo della fondazione; nulla di meno da quanto scrive il Ven. Bascapè si raccoglie, sia stato eretto dopo dell'anno millesimo quintodecimo perché di quel tempo si vede che il vescovo conte spedì alcuni suoi affari in Castro Insulae su la sua facciata (la quale verso alla parte di mezzodì fa una bella veduta) si dipingono l'armi gentilizie d'ogni vescovo conte... ».73

La tradizione locale, non confermata da alcun ele-mento, vuole che fosse costruito sulle rovine della forti-ficazione dei longobardi e poi successivamente ampliato da Vescovi di Novara, G. Amidano, G. B. Arcimboldi, C. Bascapè, G. B. Visconti e M. A. Balbis-Bertone, che per lunghi periodi dimorarono sull'isola. Ha l'antica facciata sul piazzale a sinistra della chiesa, ad arcate a tutto sesto disposte su due ordini, impostate su colonne poste su alte basi con capitello di tipo dorico su cui si innestano le volte a vela. Tra il primo e secondo piano e il tetto piatte lesene continuano le colonne scomparten-do la facciata in tre parti: è lo stesso motivo che si ritrova nel palazzo Vescovile della Cattedrale di Novara, l'e-sempio più immediato presente ai Vescovi che dettero l'ordine di costruzione. Appoggiato al fianco della chiesa vi è un alto atrio, la parte più nuova, mentre verso il lago vi è l'atrio più antico con lo stesso motivo delle coper-ture a volte. Il resto è stato rifatto ed è attualmente la zona riservata alla clausura delle monache benedettine che hanno in custodia la basilica.

All'interno S. Giulio possiede uno dei monumenti più

Di fianco: epigrafi e stemmi dei Vescovi di Novara Giovanni Morone e G. A. Arcimboldi murati sulla parete esterna del transetto.

Nella pagina seguente in alto: il Palazzo Vescovile oggi sede di una piccola comunità di monache benedettine; in basso il portale d'ingresso alla basilica preceduto dal pronao della fine del XVI secolo.

importanti e ammirati, e per questo molto discussi, della scultura romanica: il pulpito, opera tra le meglio con-servate, e giunta a noi in quasi perfette condizioni, non era stato mai oggetto di studi approfonditi fino al lavoro, serissimo e completo, della Chiovenda.74

Infatti nel passato le notizie si limitavano ad annotarlo tra le opere, beni mobili e immobili, contenute nella chiesa: il Cotta dice solamente «Merita d'essere notato il pulpito che è di marmo nero nostrano; sostenuto da tre colonne di ordine diverso ed è reputato un'anticaglia molto pregiabile per la sua eleganza».7 5

Nel «Libro Magno» della chiesa si legge questa an-notazione: «Vi era una ringhiera di marmo antichissimo nella quale sono scolpite le immagini di quattro animali che simboleggiano gli Evangelisti» e si aggiunge: «Ca-vete quaeso, ne unquam assentiatis a motioni huius suggesti qua aliquando a minus prudentibus et intelli-gentibus proposita fuit quos acriter argui audivi ab Ill.mo Cardinale Serbelloni et R.mo Speciani, olim No-variae Episcopi, asserentibus omnino conservandam es-se hanc antiquitatem». Evidentemente si era pensato, con una decisione arbitraria e diremmo inconsueta, alla possibile distruzione di un monumento di tale impor-tanza, evidentemente fermata da un miracoloso ripensamento! 76 E ancora negli inventari dei beni mo-bili della Collegiata « Fuori dalla balaustra, accanto dalla parte del Vangelo, vi è un pulpito grande tutto di mar-mo nero lavorato di vari intagli e ornato di alcune figure, sostentato da tre colonne, due di marmo nero lustro con i suoi capitelli ornati alla corinzia, l'altra pure di marmo, ma lavorata diversamente».7 7

La data dell'inventario, l'anno 1677, fa ritenere che la posizione del pulpito fosse da tempo quella attuale e contraddice l'opinione del Nigra che lo poneva dalla parte opposta e spostato in seguito alla costruzione della cripta.

Passando in rassegna la fortuna che la critica specia-lizzata ha riservato a quest'opera, notiamo che essa è stata presa in considerazione solo come riferimento ad altri lavori. Nel 1904 Venturi7 8 avvicina il pulpito a quello di Sant'Ambrogio e al gruppo del portale della chiesa di San Fedele a Como, legando tutto all'opera della corporazione dei «magistri comacini».

Della stessa opinione è De Francovich in un lunghis-simo articolo del 1936, l'unico che tratti in modo più profondo alcuni esempi di scultura da porsi intorno agli anni 1100: riferisce infatti alla corrente «comasco-lombarda» sia un tipo di scultura ornamentale che ac-compagna l'architettura, sia un gruppo «composto da rilievi di dimensioni spesso assai ampie, non sempre scolpiti in funzione dell'architettura, in cui la figura umana o predomina oppure occupa un posto non infe-riore agli elementi ornamentali zoomorfici e vegetali » e riallaccia il pulpito al rilievo della porta posteriore di San Fedele a Como, rappresentante Daniele nella fossa dei leoni, Abacuc e l'angelo e vari mostri: «i punti di contatto sono molti e palesi, la foggia e il trattamento delle vesti a larghe e lisce superfici, la posizione e le forme dei piedi composti inarticolati rivolti in fuori, la struttura del grifo alato che salendo lungo la parete

Nella pagina seguente: il pulpito.

sembra come sospeso nell'aria, il mascherone dalla cui bocca escono nastri filiformi, gli ornati che coprono il fondo composti soprattutto da palmette e tralci lineari e stilizzati». A. K. Porter nello studio fatto sull'architet-tura romanica in Italia, scrive: « Lo stile di queste scul-ture è caratterizzato da una tecnica consumata» e ritiene il pulpito un prodotto della scuola di Milano e Pavia;8 0

Carlo Nigra, che curò i restauri della chiesa e rimise a posto la quarta colonna, andata dispersa per secoli, confuta al Porter sia la datazione che i confronti stilisti-ci.81 L'ambone è stato ancora studiato dal tedesco Kautzsch, che trova una identità di mano con le sculture del Duomo di Magonza,82 mentre il Boeckler lo accosta alla porta di bronzo del San Zeno a Verona.83

Lo studio più ampio ed esauriente è quello della Chiovenda,84 a cui spesso si farà riferimento: la studiosa esamina la forma del pulpito, quadrato con lunette sporgenti, poggiato su una base sagomata decorata con un bellissimo fregio di foglie di acanto e retto da quattro colonne. È composto di sei pezzi, scavati internamente e scolpiti all'esterno.

Esamina poi, con una descrizione minutissima, pezzo per pezzo per passare poi ad una interessante interpre-tazione della figura d'uomo rappresentata sul pulpito, vista da alcuni studiosi come San Paolo, a cui peraltro manca la spada che gli è sempre posta accanto come attributo iconografico, come San Giulio da altri, ma senza barba e con la tonsura monacale, lui che monaco non era, o ancora come l'imperatore Ottone il Grande, a cui manca ogni attributo regale, senza contare che l'alta considerazione e l'onore in cui era tenuto nell'isola non bastano a giustificare la sua presenza in un'opera di destinazione sacra.

La Chiovenda vede invece raffigurata la figura di Guglielmo da Volpiano, ipotesi che purtroppo non tro-va precisi riscontri storici. Passiamo ad una analisi dell'opera che risulterà forzatamente noiosa per il letto-re, ma che riteniamo importante per una conoscenza più approfondita dell'oggetto artistico e dell'ambiente nel quale è stato prodotto: all'estrema sinistra, appoggiata al pilastro della navata la figura del centauro, rappresen-tato in atto di scoccare la freccia dall'arco che tende verso il gruppo che gli sta di fronte, con il braccio teso. La freccia è andata perduta, spezzata; il centauro ha il

viso girato di 3/4 verso l'esterno, un viso molto lungo con una strana acconciatura composta da tre bande piatte, divise al centro e ricadenti sul collo in profonde scannellature, molto probabilmente capelli e non un copricapo; gli occhi sono orientaleggianti, a mandorla, tirati in su verso le tempie con doppio solco, naso lungo e diritto, le labbra sottili, serrate e una corta barba a leggere onde gli orna il mento piuttosto allungato. Le braccia piegate a tendere l'arco sono rese in modo rozzo con due segmenti diritti, piatti che formano un angolo e che terminano con le due dita del braccio destro che reggono la corda e con le due dita piegate sull'arco. La parte umana del corpo è coperta da una corta tunica formata dalla pietra a fitte picchiettature e delimitata da un bordo liscio che la divide dalla parte animale resa tecnicamente con lo stesso uso di piccole punteggiature: questa parte risolve in modo migliore la ricerca anato-mica. Intorno al centauro, dalle spalle fin sopra la testa e l'arco girano motivi ornamentali composti da lunghe foglie piatte riunite a gruppi di tre, terminanti in cima a punta e tenute insieme da un motivo a nastri con tre scannellature.

La lavorazione del centauro appare diversa, di al-tra mano dal resto del pulpito, soprattutto per certe «cadute tecniche «come la resa delle braccia, la spro-porzione della testa rispetto al corpo e lo stesso motivo delle foglie che, benché simili ad una analisi superficiale ad altre parti, risultano scolpite tutte d'un pezzo, piatte, senza essere scavate internamente.85

Segue sulla parte sporgente del lato, la scena con due animali che ghermiscono un cerbiatto. Le due grosse fiere si fronteggiano, simmetriche, accucciate sulle due zampe posteriori che terminano con grossi e acuminati unghioni, si ergono con il corpo e ghermiscono con le zampe anteriori l'animale accovacciato tra di loro; le loro teste larghe e appuntite hanno un grosso occhio spor-gente, allungato con un semplice motivo di contorno, un naso camuso e una grossa bocca con denti digrignanti disposti a scacchiera, quadrati quelli dietro e acuminati triangolari davanti. Il loro corpo presenta in alcuni punti, sulla schiena e sul collo il motivo della superficie rugosa che ha fatto pensare al leopardo. Il cerbiatto, tra di loro, ha le zampe posteriori ripiegate e le anteriori distese quasi sull'animale che gli sta di fronte; il muso è

Nelle pagine seguenti: particolari della decorazione e delle volte dei bracci del transetto, opera di G. B. Cantalupi. Di fianco: particolare del pulpito: le due fiere ghermiscono il cerbiatto. In basso: particolare del pulpito: il centauro in atto di scoccare la freccia.

allungato con l'occhio segnato allo stesso modo, con un incavo che lo circonda e lo delimita e due alte e diritte corna da animale giovane che si confondono con lo sfondo occupato dal medesimo motivo di foglie «trat-tate addirittura a meplat» allungate, piatte con solchi che le dividono e unite dal motivo di nastro a tre scan-nellature del rilievo precedente. È facile notare che ogni spazio è riempito, niente viene lasciato libero, le stesse zampe degli animali escono dai bordi, così come la coda si erge diritta trovando il suo spazio tra il corpo del leopardo e le foglie.

Ritengo che i due pezzi siano da «leggersi» unita-mente: il centauro è visto nei bestiari medievali, e spe-cialmente nel «Physiologus», come uomo «duplici cor-di» proprio per l'ambiguità del suo corpo, metà uomo e metà cavallo, che lo vede associato alla sirena e inter-pretato come il simbolo dell'eretico: scocca la freccia contro il cervo, Cristo o meglio i dottori sui quali la Chiesa e la dottrina di Cristo è fondata, che a sua volta viene azzannato dal leopardo, ritenuto simbolo della doppiezza del diavolo, a causa della pelle maculata.86

Nella chiesa di S. Maria del Tiglio a Gravedona ritro-viamo infatti riunito in un unico fregio lo stesso motivo del centauro che scocca la freccia contro il cervo. Il pezzo successivo, rettangolare, è occupato da un motivo decorativo composto da tre fili in rilievo che partono dal basso e si dipartono uno a destra e uno a sinistra con un andamento a doppia esse, fermati ogni tanto da tre fili orizzontali che li legano; nello spazio che si viene a formare due grosse foglie di palma con lunghe foglie lanceolate, scavate profondamente; gruppi di tre foglie sono disposti nelle parti libere, piegate a seconda dello spazio.

Notiamo la diversità di mano con il motivo decorativo dei pezzi precedenti: qui la tecnica è piuttosto elegante e maggiormente misurata la composizione nello spazio.87

In parte si inserisce il bue del pezzo successivo, simbolo dell'evangelista Luca, costretto in uno spazio ristretto da cui deborda il corpo grosso e tozzo; le zampe posteriori piegate ad angolo ottuso, con zoccoli pesanti escono sulla cornice inferiore, così come pure la parte terminale della lunga coda, segnata da solcature oblique che vor-rebbero dare l'impressione del pelo, così come le linee parallele fitte e irregolari indicano le pieghe del collo. A

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