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nzzn ratori tutti sul lato sud, dove doveva esserci verosimil

mente il torrente. Le abitazioni dei villani sono un tappeto continuo e omogeneo di « corti » messe una dopo l’ altra all’infinito. Nel disegno ce ne sono sei, messe tutte a sud della strada che conduce alla chiesa, ma a nord non c’ è un vuoto o qualcos’altro : nella pergamena originale c’ è la didascalia e questa sembra l’unica ragione, grafica, per cui non ci sono « corti ».

Dall’Una e dall’altra parte della strada si possono aggiungere quante altre « c o r t i » si vogliono: mentre all’interno del recinto abbaziale l’aggiunta anche di un solo nuovo elemento obbligherebbe a rivedere la posizione, la relazione stabilita tra tutti gli altri.

Un alveare di abitazioni popolari come era nel­ l’antica Teli El Amama, la città degli schiavi dei Faraoni: questo è U quartiere dei servi dell’abbazia.

In questo esempio di San Gallo non vi è traccia del piazzale davanti alla « porta » dove nascono i primi mercati medioevali (come troveremo invece a Clair­ vaux) ; la funzione commerciale dell’abbazia non si era ancora sviluppata nel IX sec. Quando insorgerà basterà a dare al quartiere dei « villani » il punto d’appoggio per far leva sull’ abbazia e arrivare alla definizione di una struttura cittadina?

In certi casi possiamo dire di sì: quando il punto d’ applicazione della forza non sarà all’interno della clausura, ma all’esterno, tra i « villani » ; quando si sarà rotto cioè il giro chiuso tra le donazioni e le elemosine e quando il mercato libero corrisponderà a una produzione non esclusivistica. La nascita della società comunale è la fine del regime abbaziale. Quando muore l’abbazia, allora nasce la città.

La « clausura » è tutta organizzata secondo la vita dei monaci, secondo il succedersi delle varie ore della loro giornata. Dal dormitorio una scala conduce direttamente nel transetto della chiesa per le funzioni del mat­ tutino ; a mezzodì andando dalla chie­ sa al refettorio i monaci incontrano prima l’armadio dove lasciare i li­ bri, poi la sala del focolare, l’unico luogo dove è ammesso scaldarsi, poi la fontana dove lavarsi prima di en­ trare nel refettorio. A vespro dalla chiesa risaliranno direttamente nel dormitorio collegiale.

Sul chiostro si apre la sala del capitolo : ossia del massimo organo di governo spirituale e amministra­ tivo dell’abbazia, composto di tutti i monaci. Sono esclusi dal governo dell’abbazia i servi e i contadini : essi non abitano nella clausura, ma fuori 0 dinanzi all’ abbazia, accanto ai magazzini e granai, o lontano nelle fattorie sui campi. Fuori dell’abbazia c’è anche la chiesa parrocchiale per 1 servi, le loro famiglie, i viandanti. Questa vasta comunità agricola che si è venuta formando accanto all’ab­ bazia vera e propria ha vita e biso­ gni differenti dai monaci : se non al­ tro è diverso il rapporto tra le atti­ vità materiali e le spirituali. L’accen­ to qui è sulle prime non sulle se­ conde.

Tra le case dei servi troviamo non solo i granai, la piccionaia, le stalle, gli altri impianti agricoli, ma anche uno o più mulini, un’officina per fab­ bri, una falegnameria e altri labora­ tori artigiani che producono gli at­ trezzi di lavoro, gli utensili e i ma­ nufatti necessari per la vita di ogni giorno.

Concentriamo adesso la nostra at­ tenzione di nuovo sulla porta del­ l’abbazia : questa è davanti alla clau­ sura in maniera da lasciare tra lo esterno e il monastero vero e proprio un ampio piazzale. Alla porta del­

l’abbazia abbiamo visto che si danno le elemosine ai poveri e ai mendi­ canti ; ma è sempre alla porta del­ l’abbazia che si ricevono le offerte e le donazioni. Alla porta dell’abbazia si dà e si riceve : si offre e si do­ manda. E’ la presenza di questo « mercato » che permetterà a un certo momento la trasformazione della comunità monastico-agricola in città.

Il monastero feudale nell’ epoca Carolingia (IX sec.)

Il processo di evoluzione del mo­ nastero benedettino era in pieno svi­ luppo quando salì al trono di Neu- stria e poi a quello del Sacro Romano Impero Carlo Magno (768-814).

L’aspetto dell’Europa agli inizi del IX sec. è completamente diverso da tre secoli prima, al tempo di S. Be­ nedetto, e da due secoli prima, al tempo di Gregorio Magno. Il pro­ gressivo decadere delle istituzioni e della struttura dell’Impero Romano ha toccato il fondo: contemporanea­ mente i numerosi germi di una nuova organizzazione si sono sviluppati dando forma alla società feudale che caratterizza la vita europea fino a metà del XIII sec.

La « Regola » di Benedetto, la co­ lonizzazione di Gregorio Magno ave­ vano ancora rispetto al nuovo mon­ do feudale la loro ragione d’essere, la loro funzione da svolgere?

Il fatto è che non era cambiata solo la struttura del mondo fuori del muro monastico, ma anche, come ab­ biamo visto, l’interna struttura del monastero. Il problema è quindi quel­ lo di vedere se le due evoluzioni era­ no state parallele e se il monastero benedettino del IX sec. sta a quello del VI come la società feudale al mondo di papa Gregorio.

Il monastero benedettino è diven­ tato un grande proprietario terriero : in alcune regioni le proprietà

mona-stiche coincidono con tutte le terre abitate e coltivate.

Nel mondo feudale il perno del potere è la proprietà soprattutto fon­ diaria, come è ovvio in un’epoca in cui era minima la circolazione del denaro.

I monasteri si trovavano perciò automaticamente dotati di un enor­ me potere in un momento in cui è dalla proprietà che discendono diritti e doveri : gli abati non possono che essere degli autentici signori feudali.

Ciò era in completo contrasto con la «Regola» anche se era lo sviluppo, non previsto, ma logico, della poli­ tica gregoriana.

Agli inizi stessi del feudalesimo il problema viene discusso in un gran­ de concilio indetto ad Aquisgrana da Ludovico il Pio (817). Non stupisca la presenza dell’autorità laica e im­ periale : le enormi proprietà mona­ stiche sono una chiave di volta del­ l’intera società e l’Impero ne è diret­ tamente interessato.

Del resto il teorico del concilio di Aquisgrana non era un cortigiano del Sacro Romano Impero, ma un monaco benedettino : San Benedetto d’Aniano.

Tra il ritorno alla « Regola », l’ab­ bandono della ricchezza acquisita, la vita secondo uno spirito evangelico, la preghiera, la meditazione, l’ascesi e invece l’adeguamento della vita monastica ai tempi, la feudalizza- zione del chiostro, Benedetto d’Ania­ no sceglie risolutamente la seconda via. I tempi non erano più tali da permettere un ritorno puro e sem­ plice alla lettera della « Regola » e non erano ancora giunti al punto da permetterne una nuova interpreta­ zione dello spirito come attueranno i Catari e San Francesco. Benedetto d’Aniano tenta di portare alle estre­ me conseguenze la «politicizzazione» dell’ordine iniziata da Gregorio : questi aveva dato ai Benedettini il comando della Chiesa, Benedetto di

Aniano tenta di dare ai Benedettini il potere imperiale, tenta di trasfor­ mare l’organizzazione benedettina nelle gerarchie imperiali. Con Gre­ gorio Magno un benedettino era di­ ventato Papa; Benedetto d’Aniano vuol porre praticamente anche se non formalmente l’Imperatore a ca­ po dei Benedettini.

L’alleanza tra potere economico (Benedettini) e potere politico (Im­ pero) era la chiave del comando : o i due si alleavano come decise il con­ cilio di Aquisgrana o uno dei due avrebbe sopraffatto l’altro. I monaci videro di malocchio il tentativo di organizzazione feudale - gerarchico : la riforma di Benedetto d’Aniano re­ stò lettera morta e i singoli mona­ steri furono travolti dalla feudaliz- zazione imperiale.

Intendiamoci : i monasteri conti­ nuarono a vivere, anzi continuarono a moltiplicarsi, ma il loro potere in­ vece che aumentare andò diminuendo a scapito dellTmpero, finché le auto­ rità laiche detteranno legge nei chiostri.

Non si poteva in realtà conservare il potere economico senza volersi as­ sumere quello politico e rispettando nello stesso tempo la « Regola ». Per conservare i loro ricchi possedimenti gli abati dovettero prendere sotto i loro ordini non più solo monaci e ser­ vi, ma vassalli militari, indispensa­ bili alla difesa di così grandi beni, e tutta una clientela di gente di ceto inferiore che, dovendo vivere sotto qualcuno, preferiva la disciplinata ma sicura padronanza abbaziale a quella più avventurosa dell’aristocra­ zia laica.

Se i monaci benedettini si erano opposti dopo Aquisgrana alla feuda- lizzazione ufficiale del monacheSimo, non tarderanno ad opporsi anche a questa feudalizzazione de facto, ma ormai una riforma come quella pro­

posta da Benedetto d’Aniano non è più possibile. Non si tratterà più di riformare l’ordine per conquistare il potere politico, ma di riformarlo per salvare il salvabile dell’antica « Re­ gola ».

La prima riforma : Cluny (X - XI sec.) L’11 settembre 910 Guglielmo di Aquitania e l’abate Bernone fondano sulle rive della Grosne Cluny. Nel 926 diventa abate di Cluny Odone: nel 930 le « Consuetudini Cluniacen­ si » — ossia la nuova « Regola » — sono già state scritte. Nel 942, quan­ do Odone muore, la riforma clunia­ cense sta conquistando il mondo be­ nedettino e mutando l’intera politica imperiale. L’apogeo della riforma cluniacense si avrà un secolo dopo con l’abate Ugo di Cluny, eminenza grigia della lotta delle investiture, consigliere di Enrico III ed Enri­ co IY e contemporaneamente di Leo­ ne IX e di Gregorio VII. Con que­ st’ultimo (1073 - 1085) la riforma cluniacense si trasforma nella rifor­ ma dell’intera Chiesa. A differenza di Benedetto d’Aniano, Odone riesce dunque nel suo intento.

L’obiettivo della riforma clunia­ cense è svincolare il monastero dal- l’ingranaggio feudale. Bisogna per­ ciò innanzi tutto ristabilire chiara­ mente l’unità e i confini del mona­ stero che erano alquanto labili in un’epoca in cui incertissima era la divisione tra ecclesiastici e laici e tra gli uni e gli altri oscillava una autentica folla di mezzi-ecclesiastici e di mezzi-laici.

La riforma cluniacense divide in tre rigorose classi coloro che vivono intorno al chiostro e attribuisce a ciascuna differenti funzioni.

Al vertice sta l’aristocrazia (di fatto e di nascita) dei monaci pro­ fessi, che hanno pronunciato voti solenni, costituiscono il « Capitolo », vivono nella clausura e dedicano le

ore libere dalla preghiera a lavori non manuali : studiare, salmodiare, copiare testi, fare miniature.

Poi ci sono i conversi che hanno pronunciato solo voti non solenni (sono di fatto e di nascita i ceti me­ di) : dirigono i lavori dei campi, delle officine, vanno in giro per le terre dell’abbazia ad amministrare i beni del Santo, presto si organizzeranno in corporazioni professionali. I con­ versi non partecipano al Capitolo, ma vi possono assistere dal chiostro (perciò il lato del Capitolo che guar­ da il chiostro è traforato come un matroneo) ; non entrano nemmeno in chiesa, ma anche qui possono as­ sistere alle funzioni dal nartece. Da­ to che i conversi sono molti (spesso più dei monaci) il nartece è una va­ sta aula anche a cinque navate. Più avanti nel tempo i conversi entre­ ranno in chiesa, ma si fermeranno in un coro attrezzato per loro nelle prime campate della navata centrale. Vivono fuori della clausura, ma vi­ cino al chiostro, con un proprio re­ fettorio che viene servito dalla stessa cucina dei monaci, e un dormitorio analogo anch’esso a quello monacale.

Infine ci sono i « villani » (i di­ pendenti cioè dal monastero, che era indicato con il nome latino delle re­ sidenze di campagna : villa) che ese­ guono manualmente gli ordini dei conversi, vivono fuori della cinta ab- baziale, hanno una o più parrocchie mai coincidenti con la chiesa abba- ziale. Sono i ceti inferiori (di fatto e di nascita) della comunità clunia­ cense.

Il motto benedettino Ora et labora è stato spaccato in due : la prima parte si applica all’aristocrazia dei monaci ; la seconda alla plebe dei « villani » ; tra le due ci sono i con­ versi.

Da un punto di vista amministra­ tivo la macchina cluniacense funzio­ na bene : il comune laico la prenderà a suo modello.

I D

L’ Abbazia di Clairvaux nel suo massimo sviluppo Clairvaux fu il centro della predicazione di San Bernardo, suo fondatore. La vita dell’abbazia fu prospera per circa cinque secoli: dai primi del ’300 all’inizio del ’700: Successivamente fu distrutta, ven­ duta, trasformata in casa di pena: oggi non ne sono riconoscibili che poche pietre. Prima della rovina l’abbazia fu però rilevata nel 1708, quando era ancora quasi integralmente quella del XIII secolo con gli ampliamenti del XIV.

Una prima cinta esterna di mura racchiude a ovest (parte bassa del disegno) la zona agricola dove abi­ tano i « villani », gli artigiani con le loro famiglie : vi sorgono granai, fienili, torchi, stalle, una mani­ fattura tessile. A est invece (parte alta del disegno) la prima cerchia di mura racchiude gli orti e i giar­ dini dei monaci.

Una seconda cerchia di mura comprende il recinto abbaziale: il grande piazzale tra la porta e la chiesa con le scuderie, la foresteria, la casa dell’abate, magazzini di derrate alimentari, i mulini, la seghe­ ria e — dalla parte opposta della chiesa —- le infer­ merie, il noviziato e alcuni edifici più antichi.

Infine al centro una terza cerchia di mura rac­ chiude la clausura, organizzata attorno a due chio­ stri anziché uno: quello a est è il chiostro tradizio­ nale con attorno gli edifici fondamentali del mona­ stero; quello a ovest raccoglie la scuola di teologia e le celle per copisti e corrisponde alla fase di evolu­ zione aristocratica della vita monacale.

Da notare le latrine a cavallo del torrente\ e i ser­ vizi tutti organizzati intorno a questo: l’abilità idrica dei monaci è dimostrata dalla doppia derivazione del torrente dentro e fuori le mura del convento.

Anche a un seynplice sguardo appaiono chiare tre considerazioni, confrontando Clairvaux con la pianta di San Gallo che è di quattro-cinque secoli prima.

1 - La clausura non ha subito grandi varianti: naturalmente a Clairvaux l’architettura è gotica anziché carolingia, ma l’organizzazione é la stessa. E’ questa infatti quella parte del monastero benedettino che raggiunge la sua esatta tipologia già prima del­ l’ epoca carolingia e resterà poi immutata.

2 - La zona esterna alla clausura, ma interna al recinto abbaziale, la zona cioè di servizio dell’abbazia, indica un eccezionale livello tecnico che era solo rudimentale a San Gallo: ciò corrisponde alla evoluta organizzazione corporativo-professionale dei conversi.

3 - La « villania » ad ovest dell’abbazia è compieta- mente diversa da San Gallo: una valletta abitata, con pochi edifici sparsi e abitazioni — a quanto pare — separate dalle stalle. Le cause di questa pro­ fonda diversità sono essenzialmente due. Una interna all’organizzazione abbaziale, l’altra esterna:

a) - Nel IX sec. i terreni erano coltivati dai servi dell’abbazia: questi vivevano tutti assieme accanto al padrone. Sui fondi non viveva quasi nessuno.

Nel X III secolo molti dei contadini sono liberi: una enorme parte dei terreni di Clairvaux è data in mezzadria e sui fondi sorgono Numerose fattorie abitate dai contadini, dai mezzadri, dai conversi. Da- vanti .all’abbazia non c’è che una di queste fattorie, quella relativa ai terreni più vicini.

b) - Nel IX sec. al di fuori delle abbazie non c’era praticamente che poco o nulla. Tutte le energie che non si concentravano attorno ai castelli, finivano intorno alle mura del chiostro.

Nel XIII sec. il movimento comunale è in pieno sviluppo: l’ambiente di campagna risente per con­ traccolpo una chiara contrazione.

1 Antico ingresso all’abbazia ai tempi di San Bernardo 2 antica abitazione dell’abate 3 antica foresteria

4 cella, cappella e giardino di San Bernardo

5 Ingresso al recinto abbaziale 6 abitazione dell’abate 7 foresteria

8 scuderie 9 fienili

10 coro dei conversi all’ inizio del­ la chiesa

11 coro dei monaci al centro 12 sagrestia

13 chiostro 14 sala capitolare 15 grande aula dei monaci 16 sala del focolare 17 lavabo

18 refettorio 19 cucina 20 magazzini

21 dormitorio dei conversi 22 piccolo chiostro 23 celle dei copisti 24 latrine

25 sala delle conferenze della scuola di teologia

26 cappella dei Conti di Fiandra

27 infermeria

28 infermeria dei vecchi 29 noviziato

30 segheria

31 mulini del grano e delle olive 32 lavanderia 33 vivaio ittico 34 porta principale 35 granai o stalle 36 mattatoio 37 torchio e fienile 38 laboratorio artigiano con

fazioni

abi-39 ruderi di un antico fabbricato 40 tessitoria

Per ingranare però bisogna ridare al Capitolo dei monaci la sua auto­ nomia dal potere laico, l’autorità di nominare l’abate, il capo cioè del­ l’abbazia. Come feudatario questi era nominato dall’Imperatore, cui era tenuto a rendere omaggio, sia pure in forma diversa dall’omaggio del conte laico. L’abate di Cluny dipende invece solo e direttamente dal Papa, scavalcando tutte le gerarchie impe­ riali e anche quelle ecclesiastico-epi­ scopali (al Vescovo anzi è vietato addirittura l’ingresso nelle abbazie) : gli abati delle abbazie che abbrac­ ciano la riforma o che Cluny fonda direttamente dipendono dall’abate della casa madre di Cluny.

La riforma cluniacense porta cioè ad una organizzazione gerarchica e accentratrice dell’ordine benedettino analoga nella forma a quella propo­ sta da Benedetto di Aniano, ma con a capo l’abate di Cluny anziché l’Im­ peratore e con obiettivo non la con­ quista dell’Impero, ma la riforma del Papato.

Perciò i Cluniacensi avranno tan­ ta parte nella lotta per le investi­ ture : dall’autonomia delle cariche ec­ clesiastiche dipendeva la loro stessa esistenza. Ma la lotta delle investi­ ture, questa enorme impresa di po­ litica estera, condotta da Ugo di Cluny, non ci interessa.

Ci interessa invece che vent’anni dopo Canossa, in cui il Cluniacense Gregorio VII aveva piegato l’Impe­ ratore Enrico IV, i tempi sono già maturi, dentro e fuori dei chiostri, per una nuova riforma, diretta que­ sta volta contro Cluny.

La seconda riforma : Citeaux (X II sec.) Il 21 marzo del 1098 l’abate clu­ niacense di Molesmes Roberto abban­ dona la sua abbazia e fonda, a cin­ que leghe da Digione, Citeaux. Nel

1111 il monastero è decimato da una epidemia : sembra debba chiudersi,

ma l’anno dopo vi entra invece con trenta compagni San Bernardo. Nel 1113 Citeaux genera la prima abbazia- figlia : La Fertè; nel 1114 la seconda figlia: Pontigny; nel 1115 la terza e la quarta : Clairvaux e Morimond. Nel 1119 Bernardo, Stefano Harding, Ugo di Macon, Bertrando e Arnoldo, ossia gli abati di Citeaux e delle sue quattro figlie, stendono la « Carta della Carità », lo statuto, la « Re­ gola » dei Cistercensi.

I Cistercensi non riconoscono nel­ la riforma di Cluny un miglioramen­ to dell’ordine benedettino : anzi ri­ tengono loro dovere restaurare lo spirito della « Regola » tradito da Cluny. Solo un’istanza morale è alla base della « Carta della Carità » ; qualsiasi considerazione politica è esclusa. Il giudizio morale sul mondo feudale è però estremamente reale e aggiornato, per cui la riforma cister­ cense è meno vaga di quanto possa sembrare.

L’obiettivo di Citeaux non è la conquista del mondo come era per Gregorio Magno e nemmeno la con­ quista del potere com’era per Bene­ detto d’Aniano, per Odone e Ugo di Cluny. Citeaux si propone l’antico obiettivo di San Benedetto : salvare le anime di chi crede nei valori dello spirito e ha fede per lasciare le oc­ cupazioni terrene.

I Cistercensi rifuggono dalle cit­ tà, quelle città che in parte avevano cominciato a riformarsi proprio at­ torno alle antiche abbazie benedet­ tine e cluniacensi : tornano a costrui­ re i loro conventi in località isolate. I Cistercensi si rifanno all’antica « Regola » : i monaci non possiedono che la terra che sono in grado di col­ tivare e con i prodotti di quella si nutrono. Quindi povertà e non i grandi beni, le ricchezze dei Clunia­ censi. Ciò si ripercuote anche nella architettura dell’abbazia : estrema- mente semplice, priva di ambiziose decorazioni, di qualsiasi pittura o

L’ Abbazia di Casamari

L ’abbazia di Casamari sorge nei pressi di Prosinone, al centro di una valle percorsa dal torrente Amaseno. Fu fondata nel 1036 da monaci benedettini; nel 1152 entrò a far p-’-rte della riforma cister­ cense. Tra il 1203 e il 1217 i Ci­ stercensi la ricostruirono inte­ gralmente: l’abbazia odierna è quella costruita allora salvo il lato meridionale che è andato di­ strutto.

A destra: Come per quasi tutti gli ordini monastici anche p er i Cister­

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