III. Prospettive per il futuro ed altre considerazioni
1. Parte I : Situazione e tendenze a livello delle regioni
1.2. Occupazione e coesione sociale nell’Unione attuale e nei dodici paesi candidati
Nel 2000 l’occupazione si è accresciuta dell’1,8%, vale a dire che, in quell’anno, vi erano tre milioni di occupati in più rispetto al 1999. Il tasso di occupazione ha raggiunto il 63,8%, ossia l’1% in più rispetto al 1999. Il numero di occupati nell’insieme dell’Unione è aumentato di quasi 10 milioni di unità tra il 1995 e il 2000. Sul totale dei posti di lavoro creati durante questo periodo, oltre il 60% è rappresentato da impieghi terziari altamente qualificati. A livello nazionale, i tassi di occupazione sono ovunque superiori a quelli registrati all’inizio degli anni ’90, tranne in Germania, Svezia e Finlandia.
Le disparità relative al tasso di occupazione hanno continuato ad attenuarsi, sia pure leggermente, in parte grazie ad una netta avanzata dell’occupazione in Spagna, dove la proporzione delle persone occupate rispetto a quelle in età lavorativa è inferiore alla media. Nel 2000, il tasso di occupazione risultava inferiore al 60% in Grecia, Spagna e Italia, mentre in Danimarca, nei Paesi Bassi, in Svezia e nel Regno Unito
superava il 70%, obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Lisbona per l’insieme dell’Unione all’orizzonte 2010.
A livello regionale, le disparità in materia di occupazione rimangono più marcate tra le regioni che tra gli Stati membri. Nel 2000, il tasso di occupazione registrato nelle regioni più avanzate da questo punto di vista (cioè quelle con i tassi più elevati, le quali totalizzano il 10% della popolazione dei quindici) era in media del 77,2%, mentre quello registrato nelle regioni meno avanzate in termini di occupazione (con i tassi più bassi, anch’esse corrispondenti al 10% della popolazione) era inferiore al 46% (carta 3 - Tassi di occupazione, 2000; tabella 4 - Regioni caratterizzate dai tassi di occupazione più elevati e più bassi, 1999-2000). L’ampiezza dei divari esistenti nel campo dell’occupazione continua a frenare il potenziale economico dell’Unione, fenomeno ulteriormente aggravato dalle disuguaglianze sociali che impediscono a determinate fasce della popolazione di partecipare pienamente ai benefici della crescita economica.
Tra il 1999 e il 2000, la disoccupazione è calata dal 9,1% all’8,4% (7,6 % nell’agosto 2001). Nel 2000 risultavano complessivamente disoccupate circa 14,5 milioni di persone, ovvero 1,5 milione in meno rispetto all’anno precedente, il che rappresenta la più forte diminuzione del numero di disoccupati da dieci anni a questa parte.
A livello nazionale, la disoccupazione è regredita in tutti gli Stati membri nel corso del 2000. In termini comparativi, i più forti cali sono stati registrati in Belgio, Spagna e Francia, dove la disoccupazione è diminuita all’incirca dell’1,7%. Nel 2001 l’andamento del mercato del lavoro è diventato più stentato a causa del rallentamento della crescita. In quest’ultimo anno, il tasso di disoccupazione è leggermente aumentato in Austria, Portogallo e Germania. Per tornare all’anno 2000, il tasso di disoccupazione si è attestato sul 2,4% soltanto in Lussemburgo, mentre raggiungeva il 14,4% in Spagna, paese che, nonostante l’eccezionale contrazione del numero dei disoccupati in questi ultimi anni, detiene tuttora il più alto tasso di disoccupazione tra i quindici.
Le disparità regionali in fatto di disoccupazione rimangono considerevoli (carta 4 - Tassi di disoccupazione per regione nel 2000). Il tasso di disoccupazione registrato, nel 2000, nelle regioni col tasso più basso (che totalizzano il 10% della popolazione dell’Unione) era in media del 2,7%, mentre raggiungeva il 21,9% nelle regioni col tasso più alto (compresi i dipartimenti francesi d’oltremare). In confronto al 1999, questi due gruppi di regioni hanno entrambi sperimentato una crescita sostanziale dell’occupazione, ma le regioni col più alto tasso di disoccupazione hanno visto diminuire quest’ultimo in misura più pronunciata di quelle del gruppo opposto (grafico 2 - Tassi di disoccupazione per paese e valori estremi regionali, 2000).
In alcuni Stati membri, i divari tra regioni rimangono consistenti. E’ soprattutto in Italia che essi assumono particolare ampiezza, dato che lo scarto tra il tasso di disoccupazione osservato nella regione con più disoccupati, la Calabria, e quello registrato nella regione con meno disoccupazione, il Trentino-Alto Adige, è di 25 punti di percentuale.
Una conseguenza della generale contrazione della disoccupazione è stata, in quasi tutti gli Stati membri, la diminuzione dei disoccupati di lunga durata. Rispetto al 1999, nel 2000 la proporzione di persone disoccupate da almeno un anno sul totale
dei disoccupati è regredita dal 46% al 44,8% (eccetto in Irlanda). Restano tuttavia ragguardevoli le disparità regionali quanto al tasso di disoccupazione di lunga durata, con cifre che variano dal 19% in Danimarca a più del 60% in Italia (carte 5 a, b e c che presentano i tassi di disoccupazione rispettivamente di lunga durata, giovanile e femminile).
La disoccupazione di lunga durata è nettamente più elevata nelle regioni che accusano un forte tasso di disoccupazione in generale; nelle regioni in ritardo, nonostante la generale contrazione della disoccupazione, essa è rimasta praticamente invariata tra il 1999 e il 2000. La causa di tale fenomeno va ricercata, in queste regioni, nella persistenza di problemi strutturali quali lo sfasamento tra l’offerta d’impiego e le qualifiche disponibili sul mercato del lavoro.
Anche tra i giovani di età inferiore ai 25 anni, il tasso di disoccupazione è ulteriormente diminuito, attestandosi, nel 2000, sul 16,1% nell’insieme dell’Unione, contro il 17,9 nel 1999. Nell’insieme della popolazione attiva, tuttavia, la probabilità di restare disoccupati è quasi due volte superiore per chi ha meno di 25 anni che per gli altri. Come la disoccupazione di lunga durata, anche la disoccupazione giovanile è maggiore nelle regioni con un tasso di disoccupazione generale più elevato. Nelle regioni con una percentuale di disoccupati minima, il tasso medio di disoccupazione giovanile non oltrepassava il 5,5%, mentre era pari al 41,8% in quelle più colpite dalla disoccupazione.
Nel 2000, per la prima volta dall’inizio degli anni ’90, il tasso di disoccupazione femminile è sceso a meno del 10%, restando sensibilmente inferiore al valore registrato a metà del passato decennio (12,6% nel 1994). Nondimeno, in parecchi Stati membri e regioni, sussiste un notevole divario tra le rispettive proporzioni di uomini e donne disoccupati.
Il tema della coesione sociale è già stato trattato in diverse riunioni del Consiglio europeo, a cominciare da quello di Lisbona del marzo 2000. Gli Stati membri hanno contratto una serie di impegni volti ad intensificare il loro sforzo comune in vista dell’attuazione della strategia europea per l’occupazione, fissando degli obiettivi da raggiungere in questo campo, nonché per combattere l’emarginazione promuovendo una crescita economica sostenibile e migliorando la situazione occupazionale in modo da prevenire l’ulteriore aggravarsi della povertà e dell’esclusione.
Nonostante il relativo regresso della disoccupazione, le statistiche recenti dimostrano chiaramente che povertà ed emarginazione sono ancora ampiamente diffuse negli Stati membri dell’Unione europea3. Circa il 18% della popolazione, pari ad oltre 60 milioni di persone, fa parte di nuclei familiari che dispongono di meno del 60% del reddito equivalente medio (valore corrispondente alla soglia di povertà), situazione che, per la metà di esse, dura continuativamente da tre anni (grafico 3 - Popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà). Quanto alla distribuzione del reddito, risulta che il 20% della popolazione a reddito più elevato guadagna circa 5,7 volte più del 20% con reddito più basso. Si constatano, naturalmente, grandi differenze da uno Stato all’altro, ma le cifre parlano chiaro sulla portata delle disuguaglianze sociali e sulle persistenti carenze a livello di coesione sociale.
3 Cfr. la relazione congiunta sull’integrazione sociale.
1.2.2. Disoccupazione in un’Unione a 27
In un’Unione composta di 27 Stati membri, il tasso di disoccupazione raggiungerebbe mediamente il 9,3% in base ai dati del 2000, il che rappresenta un passo avanti rispetto al 1999 (9,6%) ma si discosta ancora dal livello dei quindici (8,4% nel 2000).
Nonostante la migliorata crescita economica, l’occupazione nei paesi candidati si è contratta dell’1,4% nel 2000, il che equivale ad una perdita netta di circa 600 000 posti di lavoro. Ungheria e Slovenia sono gli unici tra i paesi candidati ad aver registrato, nel 2000, tassi di occupazione superiori a quelli del 1999. Nell’insieme, il divario tra i rispettivi tassi di occupazione dell’Unione e dei paesi candidati si è ulteriormente allargato nel 2000, pur avvertendosi un certo rallentamento di questa tendenza nella seconda metà dell’anno. Per allineare il tasso medio d’occupazione dei paesi candidati con quello dei quindici occorrerebbe creare circa 3 milioni di nuovi posti di lavoro. Sono invece da prevedersi ulteriori perdite occupazionali nel settore agricolo e nell’industria. Quanto al terziario, l’occupazione in questo settore è indubbiamente cresciuta in misura sensibile nell’insieme dei paesi candidati, ma la distanza rispetto ai quindici rimane cospicua, poiché il tasso di occupazione terziaria rappresenta solo i tre quarti della media rilevata nell’Unione. Il settore terziario – servizi, distribuzione, finanza – costituisce senz’altro un’opportunità promettente per i paesi candidati.
La disoccupazione si è estesa nella maggior parte dei paesi candidati, superando mediamente il 12% nell’insieme di essi, con variazioni nazionali oscillanti tra il 6,9%
in Slovenia e il 19% e più in Slovacchia. Il più forte aumento della disoccupazione è stato registrato, nel 2000, in Polonia, Slovacchia e Bulgaria, mentre nello stesso anno Ungheria e Slovenia hanno visto diminuire i loro tassi di disoccupazione. Le disparità regionali in materia di disoccupazione si sono anch’esse approfondite nei paesi candidati. Il tasso di disoccupazione era pari al 4,9% nel 10% delle regioni con meno disoccupati, contro il 23,4% nel 10% di quelle più colpite dalla disoccupazione.
Una tendenza analoga si può riscontrare relativamente alla disoccupazione di lunga durata e a quella giovanile. Tra il 1999 e il 2000, il numero di persone senza lavoro da almeno un anno è passato dal 44,3% al 48,2% del totale dei disoccupati. La disoccupazione giovanile nei paesi candidati è aumentata del 3%, raggiungendo il 26% nel 2000 (contro il 16% nell’Unione), con punte superiori al 35% in Bulgaria, Polonia e Slovacchia. Contrariamente a quanto avviene nell’Unione, dove la disoccupazione è generalmente più diffusa tra le donne che tra gli uomini, nella maggior parte dei paesi candidati il tasso di disoccupazione maschile nel 2000 era superiore a quello femminile.
Attualmente la partecipazione delle donne all’attività lavorativa è maggiore nei paesi candidati che negli Stati membri, situazione che potrebbe modificarsi per effetto della profonda ristrutturazione in corso. A differenza del 1999, l’occupazione è calata praticamente in uguale misura per entrambi i sessi.