Esaminando il comportamento di uomini e donne nel mercato del lavoro nell’ultimo triennio per classi di
ore lavorate si evince una marcata differenza di genere. Il mercato del lavoro maschile presenta non solo
un numero di occupati in valore assoluto maggiore di quello femminile, ma anche una concentrazione prevalentemente sulle classi di ore lavorate più elevate. La quota maggiore degli occupati maschi, infatti, lavora mediamente 40 ore settimanali, seguita da chi ne lavora anche di più e in terz’ordine dalla classe di 26-39 ore settimanali. Una fotografia, questa, rafforzata dall’esame delle variazioni annuali (tabella 3), ove si evince che la crescita occupazionale per gli uomini si registra nella classe oraria di 40 ore settimanali, di
100 41 e più e nella classe compresa tra 26 e 39 ore lavorate. Tale incremento è parallelo, dal 2015, alla riduzione della presenza maschile nelle classi orarie medio basse. La quota maggiore di donne occupate, al contrario, si attesta nella fascia 26-39 ore settimanali, seguita dalla classe compresa tra 11 e 25 ore lavorate e solo in terz’ordine nelle classe di 40 ore settimanali. Le donne che lavorano più di 40 ore settimanali sono poco oltre le 900.000 unità e le variazioni annuali non determinano alcuna modifica di questo quadro. Trasferendo queste considerazioni all’interno dei settori produttivi, che per motivi strutturali e di standard contrattuali sono una variabile rilevante nel valutare il regime orario dell’occupazione, spiccano ulteriori differenze di genere. In particolare, il settore dei servizi che, pur non presentando differenziali di genere elevati in termini di occupati, registra tuttavia una qualità della partecipazione oraria assai diversa (ad esempio nell’alloggio e ristorazione la quota maggiore di uomini lavora 40 ore e anche più, mentre la quota maggiore di donne 11-25 ore settimanali). In agricoltura sono in netta crescita dal 2014 gli occupati maschi con orario di 40 ore settimanali e più, mentre l’analoga crescita delle donne in quelle fasce orarie è quasi impercettibile.
Tab.3 Occupati per genere e classi di ore lavorate (v.a in migliaia e variazioni % annuali) 2013-2016
M
Classi ore lavorate 2013 2014 2015 2016
v.a v.a var % v.a var % v.a var %
0 964 943 -4,6 947 -1,1 822 -8,3 1 a 10 215 206 -4,6 203 -1,1 187 -8,3 11 a 25 1054 1145 8,7 1115 -2,6 1070 -4,0 26 a 39 2551 2569 0,7 2617 1,9 2697 3,0 40 5313 5193 -2,3 5210 0,3 5407 3,8 41 e più 2703 2722 0,7 2777 2,0 2903 4,5 F
Classi ore lavorate 2013 2014 2015 2016
v.a v.a var % v.a var % v.a var %
0 908 929 2,3 929 0,0 857 -7,8 1 a 10 403 426 5,6 412 -3,2 420 2,0 11 a 25 2359 2379 0,8 2389 0,4 2399 0,4 26 a 39 2552 2553 0,0 2560 0,3 2662 4,0 40 2177 2135 -1,9 2108 -1,3 2198 4,3 41 e più 834 850 1,9 894 5,1 921 3,1
Elab, Inapp su dati Istat
Accanto alla segregazione orizzontale del mercato si manifesta pertanto, la segregazione oraria. Considerazione avvalorata dall’esame dell’istituto del part time che presenta la forma contrattuale tipica di orario ridotto.
Tab.4 Occupati part time per genere (v.a in migliaia e variazione % annuale) e incidenza di genere (% donne sul totale part timers per anno) 2008-2016
M F
v.a. var % v.a. var % % utilizzatrici per anno
2008 730 - 2577 - 77,9
101 2010 733 6,5 2647 3,8 78,3 2011 785 7,0 2701 2,1 77,5 2012 941 19,9 2900 7,4 75,5 2013 1020 8,5 2947 1,6 74,3 2014 1083 6,1 3008 2,1 73,5 2015 1118 3,2 3049 1,3 73,2 2016 1154 3,2 3122 2,4 73,0
Elab, Inapp su dati Istat
La tabella 4 evidenzia due elementi importanti, anticipati in precedenza. Primo, il part time, seppur con notevoli differenze tra uomini e donne in termini di fruizione, dal 2008 al 2016 ha sempre fatto registrare variazioni positive, anche nei momenti di contrazione occupazionale. Secondo, il part time si conferma come istituto tipicamente femminile (le donne sono mediamente il 75% dei part timers). Il part time “al femminile”, è da sempre qualificato come “strumento di conciliazione”, ossia come possibilità offerta dalla norma di modulare in modo reversibile il proprio orario di lavoro, nei limiti della legge e dei contratti, per venire incontro a esigenze di carattere personale e temporaneo, quali ad esempio la cura. Il marcato gap di genere nell'utilizzo del lavoro part-time non stupisce se inteso in questa accezione di strumento di conciliazione, “scelto” dal lavoratore per la riduzione del proprio orario di lavoro e quindi del relativo salario. La femminilizzazione del part time volontario infatti si basa prevalentemente su due fattori: 1. le criticità esistenti nella cultura della condivisione dei carichi di cura all’interno della coppia, dimostrate dalla effettiva sproporzione tra uomini e donne nelle ore dedicate al cd. “lavoro non retribuito”34; 2. Il fatto che, considerando che le retribuzioni delle donne sono mediamente più basse di quelle degli uomini, e che il loro reddito è prevalentemente “integrativo” a quello familiare (a cui vi contribuisce per non oltre il 40%35), nell’ottica del bilancio familiare è preferibile che una riduzione dell’orario di lavoro, e consegunetementdel salario, avvenga sul reddito più basso.
Se all’interno dell’analisi del part time come libera scelta del lavoratore, andiamo ad isolare quella componente che non è scelta, ma determinata prevalentemente dalla domanda di lavoro, cd. part time
involontario (tabella 5), si evidenziano due elementi: in primo luogo, si manifesta nuovamente la
“femminilizzazione” dell’opzione, dal momento che anche in questo caso, le donne rappresentano la quota prevalente di part-timers involontarie (la “distanza” tra i valori del part time e quelli del part time involontario in termini assoluti è maggiore per le donne che per gli uomini, a dimostrazione che il part time maschile è molto meno “scelto” dal lavoratore e più facilmente “imposto” dal datore di lavoro). In secondo luogo, la crescita costante del part time involontario suggerisce la presenza di strategie di cui il sistema produttivo si è dotato lungo tutto l’arco della fase recessiva per operare stabilmente una riduzione dell’orario di lavoro, non corrispondente alle attese dei lavoratori, per esigenze di contenimento del costo del lavoro in un periodo caratterizzati da instabilità dei mercati e degli ordinativi.
Il fatto che nella fase di ripresa il part time involontario consolidi la crescita registrata nei periodi precedenti ma non diminuisca all’aumentare del numero degli occupati, suggerisce chiaramente che esiste e persiste uno stretto legame tra la creazione di nuova occupazione e la strategia di riduzione di orario di lavoro, con effetti di genere particolarmente rilevanti.
34 V. nota 6
102 Tab.5 Utilizzo del part time INVOLONTARIO per genere (v.a in migliaia e variazione % nnuale) e incidenza di genere (% donne sul totale part timers involontari per anno)
M F
v.a. var % v.a. var % % utilizzatrici per anno
2008 362 - 966 - 72,7 2009 382 5,6 1084 12,2 73,9 2010 435 13,8 1221 12,6 73,7 2011 496 14,2 1347 10,4 73,1 2012 632 27,3 1560 15,8 71,2 2013 727 15,1 1706 9,3 70,1 2014 806 10,9 1797 5,3 69,0 2015 844 4,7 1817 1,1 68,3 2016 858 1,7 1817 0,0 67,9
Elab, Inapp su dati Istat