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L'officio delle premesse teoriche nell'in­ dagine storica ; con alcune riflessioni

sulle cause della decadenza della

Spagna.

Roberto Cessi: Problemi monetari veneziani (fino a tutto il sec. XIV) Vol. I della serie IV dei « Documenti finanziari della repubblica veneta » editi dalla Commissione per gli Atti delle assemblee costituzionali italiane presso la R. accademia dei lincei. Cedam, Padova, 1937. 8° pp. CL-196. S. i. p.

Jean Bouchary: Les marchés des changes de Paris à la fin du XVIII

siècle. (1778-1800) avec des graphiques et le relevé des cours. Vol. VIII

dei « Mémoires et documents » della « Collection des documents inédits sur l’histoire économique de la révolution française ». Hartmann, Paris, 1937, 8°, pp. 175, S. i. p.

Henry Ha u s e r: Recherches et Documents sur l’histoire des prix en France de 1500 à 1800, publiés par H. H., Les presses modernes, Paris,

1936, 4a, 4 c. s. n., 523 pp. S. i. p.

Earl J. Ha m il t o n: Money, Prices and Wages in Valencia, Aragon and Navarre, 1351-1500. Vol. 51 degli « Harvard Economie Studies », Har­

vard University Press, Cambridge, Mass., U. S. A., 1936. 8°, pp. XXVIII- 310. Doli. 4,50.

Earl J. Ha m ilto n: American T reasure and thè Price Revolution in Spaiti, 1.501-1650. Voi. 43 degli «Harvard Economie Studies ». Harvard

University Press, Cambridge, Mass., U. S. A., 1934. 8°, pp. XXXV-428. Doli. 4,50.

1. — I libri che qui si annunciano sono legati dal vincolo del comune oggetto studiato, che è la storia dei prezzi di merci o di servizi o di carta monetata; ma quanto diversi i metodi usati! Cessi ed Hauser hanno sovra- tutto l'abito mentale filologico-storico ; Bouchary si presenta come un tecnico monetarista; laddove Hamilton si interessa principalmente a quel che nei fatti v’ha di tipicamente economico.

2. — Roberto Cessi intende sovratutto a pubblicare documenti: 192 dal febbraio del 924 all’ottobre del 1399 e tutti rilevantissimi per la storia della moneta veneziana. La silloge fa parte di quei « Documenti finanziari della Repubblica di Venezia » la cui pubblicazione ebbe cominciamento nel 1902 ad iniziativa di Luigi Luzzatti ed a cura di una commissione speciale, di poi fusa con quella per gli atti delle assemblee costituzionali italiane creata in seno alla Accademia dei lincei. Tre volumi sui bilanci (976-1579, 1577-1641, 1736-1755) a cura di Fabio Besta, un volume sui prestiti (sec. XIII-XV) a cura di Gino Luzzatto, uno sulla regolazione delle entrate e delle spese (sec. XIII-XIV) e questo sulla moneta, ambi a cura di Ro­ berto Cessi, segnano le tappe della monumentale raccolta, divenuta ora­ mai necessario punto di partenza per ogni indagine ed elaborazione ulteriore.

L’elogio amplissimo per il rigoroso scrupolo dell’editore dei documenti e per la larghezza delle informazioni illustrative è temperato da un rim­ pianto. Perchè il Cessi non ha apprestato anche le chiavi tecniche per l’intel­ ligenza dei documenti e delle illustrazioni? Troppe volte, mentre, leggendo, forte pungeva la curiosità di conoscere i rapporti precisi fra l’una moneta e l’altra, d’oro e d’argento, della lira a grossi e della lira a piccoli, ho do­ vuto annotare : hic sunt leones. A differenza di quando si narra di lotte fra nobili e plebei, fra mercanti grossi ed artigiani minuti, non possiamo, in materia di moneta contentarci di pennellate e di scorci; non si può dare come evidente l’effetto di una novità monetaria sulle cose economiche o sociali. Se il lettore non capisce in che cosa con precisione consista quel mu­ tamento, da qual rapporto in grani o grammi fra due o più monete si sia partiti ed a quale altro rapporto si sia arrivati, a lui non è dato di

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zare le conclusioni che l’autore trae da quel mutamento. Leggendo le pagine così interessanti di Cessi, si ha l’impressione di un’economia continuamente turbata, tra il mille ed il millequattrocento, da crisi e da squilibrii di slancio e di assestamento, dovuti a cause monetarie. Poiché oggi, quando accadono fatti dello stesso tipo, è possibile calcolare le variazioni del rapporto fra Luna e l’altra moneta le quali poterono, forse, dar luogo al turbamento, così ho tentato, anche ricorrendo a scritti di Papadopoli ricordati dal Cessi, di illuminare a me stesso con qualche conteggio le premesse del problema. Purtroppo, ad un certo punto manca sempre un dato essenziale per la so­ luzione; ed il lettore deve restar contento ad una semi-nebbia che gli toglie il gusto della lettura di un testo che egli sente attraentissimo.

Perchè, si può osservare, dovrebbe proprio lo storico dell’economia fornire al lettore curioso gli strumenti di intelligenza dei fatti narrati? Esistono manuali e libri di numismatica, per Venezia quelli di Papadopoli, frutto di lungo amoroso studio. Il lettore cerchi quei volumi ed impari di lì peso e titolo delle varie specie di moneta e faccia per suo conto i calcoli a lui occorrenti.

Dubito della saviezza del consiglio. Il numismatico ha altri interessi da quelli che assillano l’economista o lo storico. Quando il numismatico ha assodato il peso e il titolo di una moneta, ed ha ripetuto l’accertamento ad ogni variazione monetaria, il suo nobilissimo ed arduo ufficio è adem­ piuto. Cercare il perchè e gli effetti di quelle variazioni è compito dello storico e rispettivamente dell’economista. Ma nè l’uno nè l’altro raggiun­ gono l’evidenza persuasiva se essi non prendono le mosse dalle precise con­ statazioni del numismatico e su quelle ragionano avendo cura di non fare un passo che non sia spiegabile chiaramente sulla base delle constatazioni prima appurate. Manchi un anello e la catena della spiegazione storico- economica, rotta, resta in aria.

3. — Gino Luzzatto, collega del Cessi nella cura dei documenti eco­ nomici veneziani, nell’ampio rendiconto che del volume egli pubblicò, col titolo L’oro e l’argento nella politica monetaria veneziana dei secoli XIII

e X I V nella « Rivista storica italiana » (fascicolo terzo del 1937), ha

estratto il filo conduttore teorico dalla ricca messe di documenti e dall’am­ pia narrazione degli accadimenti contenute nell’opera del Cessi.

' Ridotta al puro schema monetario, la storia della moneta veneziana diventa logica e chiara. Nel 1202, Venezia, accanto al vecchio denaro piccolo d’argento al titolo di 250 millesimi e del peso in fino di grammi

0,0800541 conia un nuovo denaro grosso o grosso, più adatto al commercio internazionale, al titolo di 965 millesimi e del peso in fino di grammi 2,1003. Le lire corrispondenti, non coniate, composte dei soliti 20 soldi o 240 denari, pesavano rispettivamente grammi 19,33 e 504,72 di argento fino, e stavano tra loro nel rapporto di 1 a 26,11. Se il rapporto fosse rimasto fisso nel tempo, si sarebbe trattato semplicemente di un sistema alquanto complicato di calcolare i sottomultipli dell'unità monetaria (de­ naro di grosso), dotato però di perfetta stabilità. Invece, laddove il grosso per quasi due secoli, fino al 1379, rimane invariato nel peso e nel titolo, il piccolo comincia a peggiorare nel 1261, quando il rapporto legale col grosso scende ad 1 a 27, per peggiorare ad 1 a 28 nel 1269 ed a 1 a 32 nel 1282. Poiché la degradazione dei piccoli, usati sovratutto nelle con­ trattazioni interne, dava luogo ad arricchimenti dei debitori a danno dei creditori, si provvide ad adottare una lira immaginaria, non coniata, il cui denaro mantiene l'antico rapporto di 1 a 26,11 col grosso e serve perciò meglio a fissare le obbligazioni a scadenza futura. È il solito pro­ cesso, osservato in altri paesi, grazie al quale una moneta, che nella realtà del conio effettivo a poco a poco sempre più degrada, si conserva inva­ riata in peso e in titolo nella immaginazione dei contraenti.

Sinora però il sistema poteva essere considerato stabile. Imperniato sul monometallismo argento, con una unità monetaria, grosso d'argento e lira immaginaria aventi un titolo ed un peso costanti, non importava troppo che il piccolo, moneta divisionaria, di volta in volta venisse legato all’unità fondamentale con un rapporto variabilmente fissato dal legisla­ tore. Accade altrettanto oggi, senza inconvenienti, per le monete d'argento, di nikel e di rame. Ma la coniazione, avvenuta nel 1284, del ducato d’oro, del peso di grammi 3.559 al titolo di 24 carati, introduce un elemento di instabilità. L’ostinazione dell’autorità monetaria nel mantenere il rapporto legale tra le due monete ducato d’oro e grosso d’argento dapprima ad 1 a l l , quando nel 1311 il rapporto commerciale fra i due metalli era salito ad 1 a 13, e poi, a partire dal 1328, ad 1 a 14 l/ 0 produsse gli effetti teoricamente inevitabili: la fuga alternata dalla circolazione di quella tra le due monete, il cui metallo era nel commercio apprezzato di più che nella stima legale. Maggior consiglio ed ufficiali di zecca naturalmente ricercano altrove le cause del fatto che spiace alle autorità, crea malcon­ tento nel popolo e provoca crisi dannose. In verità, il danno era dovuto all’errore bimetallistico, dal quale i dirigenti erano fatti persuasi di potere contemporaneamente mantenere in circolazione due monete ad un

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porto legale diverso da quello corrente nel commercio. Poiché il proposito era assurdo, vano è cercare cause diverse della instabilità monetaria e delle dannose conseguenze economiche e sociali che ne dovevano essere e ne furono la conseguenza. Quando gli storici narrano le vicende della insta­ bilità e dei danni, fanno bene a discorrere, sulle tracce dei verbali dei consigli supremi e delle querimonie dei cronisti, di speculazioni, di lotte fra oriente ed occidente, fra bizantini genovesi e veneziani, di conquista di mercati, di prestigio monetario; ma, farebbero meglio a dichiarare aper­ tamente, come in sostanza fa il Luzzatto, correggendo il Cessi, che questi sono gli aggeggi psicologici e drammatici della storia, le credenze, Pa­ reto direbbe le « derivazioni », con cui gli attori di un tempo ed i nar­ ratori di oggi girano attorno al punto fondamentale: gli errori di eco­ nomia monetaria o di qualunque altra economia sono errori e non durano e bisogna pagarne lo scotto. Nelle cose monetarie lo scotto dell'ignoranza, dell’errore voluto e di quello imposto dal cosidetto color del tempo, si paga immediatamente; nelle altre cose economiche talvolta si paga a di­ stanza di decenni o di secoli; ma si paga sempre.

4. — La memoria di Bouchary è chiaro modello del modo di scri­ vere storia monetaria nuda, senza aggeggi di ornamenti extravaganti. Il fatto studiato, variazioni del corso in moneta estera dell'unità mo­ netaria francese dal 1778 al 1800, è grandemente più semplice e più noto di quello perseguito con tanta dovizia di documentazione e di dottrina dal Cessi; ma il meccanismo delle variazioni sarebbe ciononostante rimasto av­ volto in densa nebbia se il Bouchary non avesse premesso alla indagine sto­ rica un 28 pagine di introduzione tecnica. Nulla di sublime; anzi nozioni terra terra, di quelle che un tempo erano il pane quotidiano degli agenti di cambio specializzati in divise estere ed ora sono riservate, con grosse mutazioni di sostanza, ai funzionari dell’ Istituto dei cambi o del ministero delle valute. Ma, se giudico dallo sforzo di attenzione che ogni volta debbo fare quando mi tocca dT rendermi contezza precisa di un mutamento rela­ tivo tra i corsi di più di due monete, il Bouchary non ha durato piccola fatica a dar conto prima a se stesso e poi, concisamente e chiaramente, agli altri del meccanismo dei cambi esteri innanzi e durante la rivoluzione fran­ cese. Quelle ventotto pagine di definizioni sicure sul certo e l’incerto, sul pari, sulle varie specie di moneta, reale, di conto, di cambio, di banca, sui cambi diretti e indiretti, sugli usi dei cambi su diverse piazze, sulle rimesse indirette e continuate e sugli arbitraggi, valgono tant’oro quanto pesano,

esercizi compresi — sono invero, di giunta, offerti opportuni esercizi sui problemi di cambio in allora — per la intelligenza del testo storico seguente. Il lettore, il quale non capirebbe verbo dalle cifre contenute nelle tabelle delle variazioni monetarie, è messo, quando abbia letto l'introduzione, in grado di seguire, con gusto e con frutto, la narrazione storica. La quale non dice in fondo gran che di nuovo intorno ad un fatto conosciutissimo come è la storia della moneta cartacea francese nel tempo della rivoluzione. Aver però sostituito alle nozioni incerte, ai dati frammentari, alle narra­ zioni fatte a braccia, l’accertamento preciso dei corsi dei cambi anno per anno fino al 1788, giorno per giorno dal 1789 alla fine dell’anno IV e poi di nuovo anno per anno per gli anni dal V aU’VIII, per lo più su sette

ed almeno su tre piazze estere, non è davvero piccolo merito.

5. — Ci passano dinnanzi agli occhi fatti che ingenuamente si sup­ ponevano proprii dei tempi nostri. Qualche anno fa, quando taluni stati europei ricorrevano al mercato di New York per ottenere capitali a mutuo al 7 od all’ 8 % , si facevano commenti sul giro vizioso compiuto da quei danari, che erano d’origine europea, recati negli Stati Uniti da risparmia­ tori paurosi dei proprii governi e lì depositati al 2 o al 3 % , affinchè gli americani più azzardosi potessero lucrare grossa provigione reimportandoli in Europa. Non si sa chi dei due, se gli europei o gli americani, avesse più torto. Certo è che, innanzi alla rivoluzione, i banchieri genovesi ave­ vano inventato astuzia più leggiadra; chè, in combutta con essi, tiravano lettere di cambio sui loro corrispondenti parigini, le quali, accettate da costoro, erano scontate e di volta in volta presentate al rinnovo, presso la

Caisse d’escompte al 4 % ; ed il ricavo dello sconto era dato a mutuo al

governo francese all’interesse dell’ 8 % ; il guadagno fatto sulle spalle del risparmiatore e dello stato francesi andando fraternamente ripartito fra i due sozi.

6. — La psicologia umana eternamente uguale a se stessa è illuminata talora da qualche rapido lampo. Il 13 germinale anno III (2 aprile 1795) Bacher, primo segretario interprete dell’ambasciata francese in Svizzera inveisce in una lettera al comitato di salute pubblica contro

« g li agenti di Pitt, i .quali son prodighi di oro per far ribassare g li assegnati e far perdere ad essi ogni valore, laddove il banchiere corrispondente del governo fran­ cese non sembra autorizzato ad applicare i provvedimenti che sarebbero bastevoli a controbattere siffatte indegne m anovre».

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Nella stessa lettera, lo stesso segretario, aveva tuttavia registrato il fatto che

« ogni settimana giungono a Basilea i fornitori dell’esercito del Reno carichi di balle d i assegnati ancora munite dei sigilli di piombo del tesoro francese per venderli ad ogni prezzo » (p. 83).

Sismondi aveva già bollato l’ipocrita faccia tosta dei terroristi i quali mandavano alla ghigliottina l’untorello speculatore accusato in Parigi di aggiotaggio sugli assegnati, quando invece questi erano ribassati a Londra, prima e in misura maggiore che a Parigi, a causa delle svendite che gli agenti del comitato di salute pubblica facevano sulla piazza di Londra di assegnati ancora umidi. Oggi si denunciano di nuovo a Parigi le colpe degli speculatori sul franco, per distogliere l’attenzione del pubblico dal­ l’istituto di emissione unico responsabile, lì come in ogni luogo e tempo, del ribasso, insieme con chi lo obbliga ad emettere masse di biglietti non confacenti al mantenimento del corso legale o voluto della moneta. Se il malgoverno fa precipitare a zero gli assegnati, le vittorie di Bonaparte e la speranza della restaurazione dell’ordine all’interno — per ora c’è solo la speranza che fruttificherà quattr’anni dopo — mutano d’un tratto la scena :

« Il soffio più tenue di fiducia » — esclama Barbé-Marbois 1' 8 messidoro del­ l'anno IV — « fa uscir dalla terra le specie metalliche che vi erano nascoste.... N o n o ­ stante le leggi di persecuzione contro l’oro e in difesa della carta moneta il nume­ rario metallico esce d ’ogni parte alla luce » (p. 88).

Quando la moneta cattiva non vai più nulla, quella buona, non ap­ pena si speri nell’avvento di un governo ragionevole, spontaneamente ne piglia il luogo.

7. — Il volume dell’ Hauser è il frutto di un’iniziativa promossa dal- l’ International Scientific Conimittee on Price grazie all’aiuto finanziario della Fondazione Rockefeller, e sotto la direzione di Sir William Beveridge in Inghilterra, del professor Edwin Gay della Harvard University negli Stati Uniti e del. professor Henri Hauser in Francia. L’Hauser riassume in pochi tratti le ragioni per le quali la più parte delle opere di storia dei prezzi deve, essere pigliata con le molle e guardata bene di sotto, di sopra e da tutti i lati innanzi di azzardarsi a farne uso. I delitti statistici — così li chiama Beveridge — in materia di prezzi derivano dalle seguenti princi­ pali ovvie ragioni:

di misura di lunghezza, di superficie, di volume o di peso a seconda dei tempi, dei luoghi e delle derrate. Che cosa sono la libbra, il rubbo, l’oncia, la pinta, il boccale, la giornata, la biolca ecc. ecc.? Paiono domande sem­ plici. Eppure, sinché decine di studiosi modesti scrupolosi infaticabili non abbiano trascorso anni ad appurare con precisione cotali fatti semplici, le indagini sui prezzi non hanno valore. Prima di fare storia dei prezzi, fa d’uopo costruire una soddisfacente « metrologia ». Fatica ingrata, piena di trabocchetti insidiosi. Una unità di misura pare, in un dato paese, inva­ riata per secoli. Non è così. A poco a poco, per la prevalenza di un mercato sull’altro, l’emina od il sacco della città A ha ceduto il luogo aU’emina od al sacco di B. Non esiste il decreto od editto od ordinanza che abbia sancito il mutamento. Capitò che prima tutti usavano il sacco A; e poi accadde che un secolo dopo tutti usassero il sacco B, diverso dal primo. Il raccogli­ tore di prezzi, il quale non se ne sia accorto, va a finir male. Se l’unità « sacco » muta, tuttavia, in generale, lentamente, bisogna però ad ogni volta star attenti se il sacco sia pieno o raso, se sia il sacco di chi dà a prestito il frumento o di chi lo restituisce, se la consuetudine consenta o proibisca di dare il colpo atto a far assestare i grani l'uno sull’altro. Entro certi limiti di tempo, di luogo e di usanze, possiamo però fare assegnamento su una certa costanza.

2) Non così per l’unità monetaria. Qui è, come osservai sopra a proposito del libro del Cessi, l’imbroglio massimo. Sinché non si siano costruite per l’ Italia tabelle delle variazioni del peso e del titolo delle varie specie di monete effettive e di conto, nobili o di biglione, sinché non si conoscano i corsi legali ed i corsi effettivi delle monete medesime, potremo dire di avere una notizia qualunque di che cosa siano i prezzi? Se i francesi possono valersi dei risultati delle fatiche eroiche dei de Wailly e dei Dieudonné, purtroppo noi italiani, a causa della mancanza di una fonte unica o principale delle leggi, stiamo assai peggio. Troppo lavoro preli­ minare è ancora da fare prima di potere azzardare una conclusione.

3) Spesso è incerta la qualità del bene misurato, assai più incerta di quanto non sia oggi. Sui grandi mercati attuali, i prezzi si riferiscono a qualità definite di frumento, di granoturco, di lana, di cotone. A quali qualità si riferiscono i prezzi notati in contratti, in mercuriali, in ordinanze di tempi scorsi? Di qual sorta di vino o di birra o di sidro si tratta? Carne di bue o di vitello allevato per l’ingrassamento o carne di bue o di vacca magri assaettati per la fatica quotidiana? Se si tratta di prezzi di case o di canoni di affitto, parlasi di castelli e palazzi gentilizi, di casa di abitazione

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per mercanti facoltosi, di casetta per artigiani o di topaia per povera gente? Merci e derrate di uso quotidiano ovvero velluti sete e pizzi di lusso, droghe del paese o spezierie d'oriente? Se si voglia misurare la spesa del viaggiare, occorre saper prima se il documento discorra della spesa del passar la notte all'albergo ovvero del ricompensare l'ospitalità del monastero.

4) I prezzi raccolti sono riferiti ad una certa data. Come raggrup­ parli? Entro i limiti dell'anno? Che cosa vuol però dire «anno»? Anno solare od anno agricolo? A ll'11 novembre quando la terra si addormenta od in luglio quando i primi raccolti entrano sul mercato? Ma i novembre ed i lugli si chiamano con altri nomi di mese in altre regioni agricole o per derrate agrarie diverse da quelle fondamentali del paese. La scelta di un tempo piuttostochè di un altro per la determinazione dell’anno può modi­ ficare notevolmente le medie annue e sovratutto le congetture rispetto alle

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