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Nei capitoli precedenti abbiamo passato in rassegna i sistemi normativi dei paesi europei che storicamente hanno sperimentato una maggiore pressione migratoria. Grazie all'analisi condotta in particolare nel capitolo secondo, si è potuto presentare le differenze che intercorrono tra i principali modelli di accoglienza ed integrazione fino ad oggi sperimentati in Germania, Francia, Regno Unito e Italia.

Dall'analisi comparativa di questi modelli risulta che il modello pluralista e multiculturalista britannico parrebbe, tra quelli esaminati, quello più capace di garantire il riconoscimento dei diritti sociali e culturali alle comunità straniere residenti; per questo motivo abbiamo ritenuto di assumere il modello britannico, pur con i limiti che abbiamo evidenziato nel capitolo 3, come termine di riferimento per l'introduzione in Italia di alcune misure innovative nel campo delle politiche di inclusione sociale dei cittadini immigrati. Le pagine che seguono sono dirette da un lato a descrivere le principali sfide che oggi il sistema italiano si trova a dover affrontare per effetto dei sempre maggiori e più strutturali flussi migratori, e dall'altro a verificare (anche grazie al supporto di alcune interviste a membri di due importanti comunità straniere residenti) la possibilità di introdurre nel nostro Paese misure di policy orientate da un atteggiamento più aperto al riconoscimento sia del carattere dinamico e complesso dei flussi migratori sia della diversità culturale e religiosa che questi hanno introdotto anche in Italia.

Il punto di partenza di questa riflessione muove quindi, come abbiamo detto, dalla verifica dei punti di forza e di debolezza del modello pluralista britannico.

Il modello multiculturale adottato nel Regno Unito (ed anche in Olanda), è descritto da molti studiosi come uno dei modelli più liberali e pluralistici attualmente presenti in

Europa. Come abbiamo già descritto, il punto di forza del modello britannico consiste nella messa in atto di specifiche politiche di integrazione basate su misure di discriminazione positiva a difesa e sostegno delle differenze culturali e religiose delle comunità etniche che si trovano nel territorio nazionale. Queste misure trovano applicazione con riferimento a diversi ambiti della vita civile e pubblica del Regno Unito, dalle norme sull'integrazione degli stranieri nel mercato del lavoro (che offrono pari opportunità di accesso nelle istituzioni pubbliche con quote riservate alle minoranze etniche nei concorsi e riconoscono la libertà di portare abbigliamenti tradizionali nei luoghi pubblici e di lavoro), al riconoscimento e concessione di spazi per l'aggregazione ed il culto (per i quali esistono specifiche concessione di fondi finalizzati alla costruzione ed al mantenimento), dal risonoscimento delle scuole confessionali alla garanzia in esse dell'insegnamento bilingue. Generalmente, nei paesi di tradizione multiculturalista, questo tipo di riconoscimento delle diversità e dei diritti politici, sociali e assistenziali agli immigrati non viene concepito come un fattore che possa mettere in rischio la cultura identitaria della maggioranza; al contrario queste misure sono percepite come una prova del livello generale di garanzia delle libertà civili, i cui effetti arricchiscono nel paese la capacità di convivenza in una società multietnica.

Una volta evidenziati, come abbiamo appena fatto, i punti di forza del modello multiculturalista britannico possiamo domandarci se queste misure potrebbero in qualche modo trovare applicazione in un paese come l'Italia che, come abbiamo visto sopra, attualmente non possiede un modello organico di policy per l'accoglienza e l'integrazione deli cittadini stranieri immigrati ma che al tempo stesso è attraversata da flussi migratori sempre più consistenti, differenziati e strutturali. Pur consapevoli della profonda differenza storica ed istituzionale tra le due realtà prese in esqame (modello britannico e non-modello italiano), tuttavia abbiamo ritenuto utile questo esercizio proprio perchè, nelle attuali sfide

che l'Italia sta attraversando, cogliamo l'opportunità di una sorta di "laboratorio ideale" nel quale testare l'applicabilità di alcuni principi del modello britannico, al netto dei principali punti di debolezza che sappiamo presenti e che sono stati oramai a lungo dibattui nella

letteratura scientifica e dnel dibattito politico124.

Le ragioni di interesse per l'esperienza italiana, sotto questo profilo, risiedono nei seguenti tre motivi:

1) L'Italia ha urgente bisogno di sviluppare un nuovo modello migratorio. L'urgenza di una

politica migratoria e di inclusione emerge dalla consapevolezza che l'immigrazione è un fenomeno in continua crescita (basta ricordare che oggi in Italia risiedono 5 milioni e 11 mila stranieri residenti regolari) il cui impatto sulla società di arrivo inevitabilmente ne aumenta il livello di complessità ed eterogeneità. Secondo le previsioni del dossier statistico immigrazione 2012, nel 2065 la popolazione italiana che attualmente è di 61,3 milioni di residenti, subirà una diminuzione nella componente autoctona di 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite e 40 milioni di decessi) ma contemporaneamente verificherà un saldo migratorio positivo di 12 milioni (17,9 milioni di ingressi contro 5,9 milioni di uscite).

2) L'immigrazione in Italia è un dato oramai strutturale. Nella maggior parte dei casi

gli insediamenti sono a lungo termine e a titolo definitivo; ne è prova il fatto che i permessi di soggiorno di lungo periodo ha raggiunto quote elevatissime (52,1% del totale). Il carattere strutturale delle migrazioni è poi confermato anche dal fatto che si sono registrate

nel solo 2011 più di 80 mila nascite di bambini con entrambi i genitori stranieri125. Se è

124 Cfr. sopra par. 3.2

vero che i minori segnalano la presenza delle minoranze126, il fatto che oggi in Italia si trovino più di 1 milione e 80 mila bambini nati da genitori stranieri o che hanno fatto il loro ingresso nel paese in una età inferiore ai 5 anni indica sicuramente un processo di radicamento sempre più intenso e duraturo di interi gruppi etnici. Complementare a questi processi è ovviamente quello dei ricongiungimenti famigliari, che nel paese sono fortemente aumentati negli ultimi anni sia perchè oramai costituiscono uno dei due principali canali di ingresso regolare (l'altro canale è rappresentato dalla richiesta di asilo), sia però anche perchè conseguono alla progressiva strutturazione in Italia di quelle che il

dibattito scientifico ha definito reti migratorie di tipo familiare127.

3) L'Italia si sta trasformando in un paese super-diversificato. Non possedendo l'Italia

un passato coloniale radicato ed avendo inoltre il paese una posizione geografica centrale rispetto ai percorsi migratori che dal mediterraneo meridionale ed orientale muovono verso i paesi dell'Europa Centrale, i flussi migratori che attraversano l'Italia hanno una composizione interna estremamente eterogenea per lingue, culture, etnie e religioni. Ma il livello di diversificazione dei flussi migratori che hanno per destinazione l'Italia non si limita a questo, dal momento che ogni comunità migrante possiede una propria storia migratoria e quindi sul territorio nazionale convivono situazioni di comunità radicate fino quasi alla terza generazione con altre situazioni di comunità arrivate in Italia per la prima

volta attraverso l'insediamento di alcuni "pionieri"128 che faranno da apripista per successive migrazioni familiari nel medio periodo.

Il livello di complessità e di eterogeneità raggiunto dalla società italiana per effetto delle migrazioni si sta avvicinando a quello che nel dibattito scientifico sui processi di

126 TOMEI G., Città, cittadinanza e welfare municipale, Mauro Baroni Editore, Viareggio, 2001 127Cfr sopra cap.1

integrazione è stato definita la situazione di "super-diversità"129, una nozione "diretta a sottolineare un livello ed un tipo di complessità che supera tutto ciò che i paese ha precedentemente sperimentato. Questa condizione è caratterizzata da una relazione dinamica tra le variabili che definiscono il crescente numero di nuovi immigrati arrivati nelle ultime decadi, dispersi in piccoli gruppi, provenienti da origini diverse, transnazionalmente legati al paese di origine, al loro interno diferenziati dal punto di vista

socio-economico e stratificati dal punto di vista legale"130.

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