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Oltre l’endecasillabo: qualche considerazione sul settenario

Dopo la trattazione dell’endecasillabo in Vittoria Colonna, passiamo ora ad analizzare l’utilizzo del settenario. Il verso in questione è rarissimo nelle Rime, tanto che possiamo velocemente effettuare un’analisi sulla totalità dei settenari presenti nell’opera, senza ricorrere a campioni ristretti come nel caso dell’endecasillabo.

Rime amorose Rime amorose disperse

vv. 7 vv. 9 46 1 1 16 0 1 146 2 2 246 4 3 36 0 1 256 0 1

Tabella 2.1.1. Le occorrenze dei settenari nelle Rime.

In particolare, già ad un primo approccio emerge come il verso breve sia presente soltanto nella prima sezione delle Rime, mentre è totalmente assente nelle Rime spirituali, Rime spirituali disperse e Rime epistolari. Per quanto riguarda le forme metriche in cui questo verso viene utilizzato, la quasi totalità delle occorrenze dei settenari le possiamo rilevare nei madrigali, accompagnati da una sola canzone. Questa è anche l’unica canzone presente nelle Rime, con schema ABC ABC CDEeDD: nell’opera stessa, infatti, le forme metriche diverse dal sonetto occupano soltanto l’1,79% dei componimenti (tra cui troviamo anche un’epistola in terzine dantesche, un componimento in terzine dantesche e un’ottava, tutti realizzati con

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endecasillabi). Solo in 4 casi troviamo la presenza di settenari, su 390 componimenti nelle Rime.

Il campione, dunque, è molto ristretto e già questo è un segnale molto forte. Ricordiamo come nella tradizione, mentre Dante relega il settenario ad un ruolo inferiore e spesso contrapposto all’endecasillabo55, in Petrarca questo raggiunge maggiore dignità e forza. La Colonna, dunque, che spesso si innesta nella tradizione petrarchesca in maniera molto fedele, questa volta sembra discostarsene, prediligendo in maniera netta il sonetto rispetto, ad esempio, alla canzone. Ma è davvero così semplice la questione?

Per venirne a capo, entriamo ora nel merito delle frequenze. In generale, possiamo vedere come Vittoria Colonna prediliga il modulo a tre ictus rispetto a quello a due: complessivamente, quelli sono presenti dodici volte (su sedici settenari totali) con anche la presenza, seppur scarna, di moduli con ribattimenti. Nonostante le percentuali esigue nell’utilizzo del settenario, dunque, si nota la tendenza della poetessa ad addensare e a complicare l’assetto ritmico del verso, intensificando un verso altrimenti definito come ‘lieve’, imitando perfettamente ciò che avveniva già in Petrarca, e allontanandosi da Dante, Cino e altri Duecenteschi che prediligono il modulo a due ictus.56

Notiamo però delle piccole differenze nella frequenza dei moduli. In Petrarca, infatti, è il modulo 36 ad essere il più assiduo, con una percentuale di presenze del 20,2%, mentre questo in Vittoria Colonna è presente solo una volta. È il modulo 246, seguito da quello 146, invece, a essere più frequente nelle Rime: questo settenario a tre ictus rimanda direttamente ad uno schema accentuale a base giambica, tanto che troviamo una forte isoritmia con quello che è lo schema prediletto dalla Colonna negli endecasillabi (246810 e 246). Questo accade anche in Petrarca, ma appunto, in minor misura: il modulo più ricorrente usato dal poeta nell’endecasillabo è comunque il 24810, che non è coerente con quello più usato nei settenari.57

55 Cfr. Bozzola 2003, p.130 e Dante, De Vulgari Eloquentia,I, V, 2-3 “Pentasillabum et eptasillabum

et endecasillabum in usu frequentiori habentur […] Quorum omnium endecasillabum videtur esse superbius, tam temporis occupatione quam capacitate sententie, constructionis et vocabulorum.” 56 Cfr. Bozzola 2003 pp. 131-132.

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Mi sembra inoltre notevole evidenziare come il modulo 26 cali fortemente in Petrarca rispetto alla tradizione, con un divario anche di dieci punti, coerentemente con l’idea che il settenario debba cessare di «essere un verso veloce, che veicola i valori stilistici della levitas»58. Questa tendenza all’addensamento e all’eliminazione della dulcedo è potrebbe essere presente anche nelle intenzioni Vittoria Colonna, che elimina il modulo 16; tuttavia con numeri così esigui diviene difficile trarre conclusioni definitive e importanti.

Possiamo però riflettere su come Vittoria Colonna, nonostante si discosti dalla tradizione petrarchista che favorisce un uso maggiore del settenario e di quelle forme metriche che Petrarca stesso ama inserire nei Fragmenta, usi comunque il settenario spesso linea con quello che è il suo modello di stile, discostandosi dal paradigma solo nell’apparenza, ma non nella sostanza.

Volendo quindi tracciare i confini di un’analisi tematica, ci basiamo appunto sul rapporto funzionale che può essere presente tra l’utilizzo del verso breve e la demarcazione di unità tematiche nuove o a sé stanti: non possiamo non ricordare come nelle canzoni petrarchesche il settenario segni spesso la transizione dalla fronte alla sirma. Tipico del poeta è la presenza, nel primo verso della sirma, della stessa rima dell’ultimo della fronte: spesso questo verso è proprio un settenario, che si pone come verso di confine tra una prima e una seconda unità tematica.

Se volgiamo l’attenzione allo schema metrico dell’unica canzone della Colonna pervenutaci, possiamo notare come questo sia, nonostante l’assenza del settenario nella concatenatio, tipicamente petrarchesco: ABCABC CDEeDD, con presenza del doppio piede, della concatenatio e anche della combinato conclusiva. Questo schema è presente frequentemente in Petrarca, come ad esempio nella RVF 323 (ABCABC cDEeDD), ma qui in tutte le strofe «ad esclusione della prima, il settenario è il perno tra primo e secondo momento della rappresentazione»59. Ciò non avviene però in Vittoria Colonna, dove se nella fronte si può dedurre che il settenario demarchi il dolore e la sofferenza della poetessa, poi questo utilizzo apparentemente strumentale viene meno.

58 Cfr. Bozzola 2003 p. 131.

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Per quanto riguarda i tre madrigali della Colonna, mi sembra interessante evidenziare non tanto l’uso del settenario come snodo sintattico, ma piuttosto come esso sia funzionale a rafforzare l’incipit del componimento. Nel madrigale 10, ad esempio, il primo verso, settenario, è quasi epigrafico («Non più timor omai;»), lasciando presagire la perdita della speranza e la sopraffazione del dolore che la poetessa tratterà nei versi successivi. Lo stesso nel madrigale 52, in cui il settenario serve, a mio avviso, a dare maggior gravitas e rilevanza all’incipit del componimento, mettendo in chiaro rilievo la sofferenza della poetessa anche grazie all’isolamento del sintagma iniziale («Occhi, piangiamo tanto»).

Infine, non è forse di scarso rilievo evidenziare l’assenza del settenario nella seconda parte del canzoniere della Colonna, come già avevamo rilevato nella parte iniziale di questo capitolo. Le Rime, infatti, sono strutturate su modello petrarchista: una prima parte, comprende componimenti amorosi dedicati al marito; e una seconda parte, in cui l’amore terreno viene sostituito da un amore più spirituale, tanto che non si parla più di un amore benedetto dal volere divino, ma di un sentimento impuro, umano e quasi di ostacolo alla perfetta realizzazione cristiana dell’amore con Cristo. Presa coscienza di questo apparente cambiamento ideologico della Colonna, che rivela comunque l’intenzione di dare quantomeno una bipartizione al suo canzoniere, bisogna però tenere conto ciò che viene affermato da Tatiana Crivelli:

L’intera produzione “amorosa” di Vittoria Colonna è stesa dopo la morte di Ferrante, avendo per di più la scomparsa di costui come vero e proprio nucleo generatore della propria ispirazione. Pertanto da un punto di vista stilistico e tematico la raccolta si configura semmai più correttamente […] come una serie significativa di testi vedovili, variamente incentrati o sulla commemorazione dell’amore perduto – evocato in forma più o meno spirituale, più o meno carnale, fra memoria del passato e suoi effetti sul presente – o sull’oggetto d’amore a cui l’anima anela in prospettiva di un’unione futura, ovviamente di carattere spirituale, e che si allarga fino alla contemplazione mistica del divino.60

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L’eliminazione quindi del settenario in questa seconda parte del canzoniere, può essere funzionale al dare ai testi della parte spirituale una maggior gravitas e serietà che spesso (nonostante la sua ri-funzionalizzazione attuata da Petrarca) il settenario, e in particolare il madrigale, non riescono a dare.

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