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L’ontologia della creazione

Nel documento Pascal filosofo e autore spirituale (pagine 150-198)

Ma, occorre ribadirlo, questa è e resta una presa di posizione polemica. Come i suoi contemporanei sopra ricordati335 Ŕ e non pochi degli esponenti della École

abstraite Ŕ Bérulle avverte cioè e stigmatizza i rischi di una dottrina della «deificatio»

che porti la «deiformitas» fino alla sfera delle essenze. E cerca di assicurare con la prudenza le proprie posizioni. È l’onda lunga delle decisioni teoriche di Gerson che pesa ancora sul grand siècle della mistica e continuerà a pesare fin nelle pagine di Leibniz336. Sarebbe indebito tuttavia ridurre l’apporto di Bérulle ad una sola messa a

333 Cfr. J.O

RCIBAL, Une formule de l’amour extatique, cit., pp. 516-518.

334 OC B 3, pp. 326-327 (testo tardo Ŕ attorno al 1627, corsivi nostri).

335 Ma anche poco più tardi la Theologia mystica seu contemplatio divina religiosorum a caluminiis

vindicata (1627) di Sandaeus che si chiede: «an deificatio mystica fiat per desitionem esse naturalis, vel

substantiae, animae hominis contemplativi» o poi più oltre: «fuerit-ne a Mysticiis Doctoribus quispiam, qui docuerit in Unione Animam desinere, et in Divinitatem per Transformationem realem converti?» (citato in COMBES, op. cit., t. I, p. 670 n. (c)).

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punto critica. La presa di distanza dall’opzione volontarista (di Canfeld) significò infatti la delimitazione di un campo di legittimità ma al contempo anche, e soprattutto, l’apertura di una questione: ovvero come pensare l’«unitas spiritus» in una dottrina che si vuole innanzitutto una «ontologie de la vie chrétienne» (Certeau)? Certo, la massima «celui qui aime s’oublie soi-même, et sorte hors de soi-même pour se transformer en la chose aimée»337 basta a prevenire i rischi di un essenzialismo dal sapore troppo platonizzante. Ma «entre une confusion d’essences et un accord purement extérieur de volontés n’existerait-il pas quelque domaine propre à l’expérience mystique où l’homme et Dieu puissent s’unir», senza scandalo anche per il «métaphysicien»338

? La quadratura di «qui adhaeret Deo, unus spiritus est» e «ut omnes unum sint» non può stringere nient’altro che la dottrina del ritorno all’«esse ideale» o dell’identificazione quasi-essenziale di volontà umana e divina? La risposta, e a chiare lettere, in un opuscolo della piena maturità:

Le Fils de Dieu opère continuellement avec Dieu son Père en la production du Saint-Esprit et opère tellement avec son Père qu’il est un même et seul Principe avec lui. Et c’est un modèle que nous devons adorer et imiter tout ensemble en nos opérations, n’opérant jamais seuls, mais conjointement avec Dieu qui est notre Père et quoiqu’avec dépendance de lui, dans une liaison si étroite avec lui que nous ne soyons qu’un même Principe et un même esprit: «Qui adhaeret Deo unus spiritus est». Jésus- Christ au dernier de ses jours demande à son Père que nous ne soyons qu’un avec lui et avec son Père: «Ut omnes unum sint». Et partant nous devons tendre à cette unité, tant en notre être qu’en notre manière d’agir339

.

Il tema delle righe appena citate è l’«adhérence» a Cristo. Bérulle si impegna a pensare le «via unitiva» ricorrendo al dogma dell’Incarnazione e alla dottrina del corpo

337 Cfr. J.-P. C

AMUS, La Théologie mystique (1640): «Bref elle se voit toute transformée en Dieu, et comme Deifiée, non par changement de substance, mais par en estroict lien d’affection et d’amour» (citato in COMBES, op. cit., t. I, p. 670 n. (c)).

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COMBES, op. cit., t. II, p. 249. Cfr. per una analoga delimitazione del locus della spiritualità, J.-L. MARION, Au lieu de soi. L’approche de Saint Augustin, cit., p. 158: «ces deux effets [l’amore o l’odio della verità] ne relèvent plus de la théorie, sans appartenir encore à l’éthique, mais désignent une instance qui reste à identifier» (cfr. p. 33).

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mistico, laddove la mistica delle essenze proponeva il ritorno all’esemplare increato. In breve: il «corpus mysticum» diviene cioè il Ŗluogoŗ del «commerce» con Dio: non solo lo strumento di una «médiation» ma, come afferma felicemente un opuscolo, «le milieu entre Dieu et l’homme»340

. La similitudine della goccia, nelle sue innumerevoli peripezie, come pure il confronto di Bérulle con Canfeld, ci ha permesso di evidenziare le difficoltà e i rischi di un pensiero dell’unione e della «deificatio». A tali difficoltà e rischi Bérulle decide di fare fronte con la sua dottrina del corpo mistico.

Una simile «giustificazione metafisica del cammino di perfezione» (Orcibal) si concretizza più specificamente nella dottrina della sussistenza in Cristo. È infatti il ricorso a questo concetto Ŗtecnicoŗ della cristologia che permette a Bérulle di assegnare un ruolo centrale e speculativamente determinante al teologumeno paolino341. La sintesi della dottrina è tarda e la sua formulazione giunge a pieno compimento negli scritti berulliani soltanto a partire dalla metà degli anni venti342. Si sviluppa in effetti parallelamente alla riflessione di Bérulle sulla natura e i fini dell’Incarnazione343

: man mano che, nelle Collationes più tarde, Bérulle giunge ad affermare che il Verbo è la «subsistence» («subsistentia») della sua propria umanità344, altrimenti priva di sussistenza propria, si fa cioè sempre più frequente anche l’invito a «subsister en Jésus». E parallelamente l’«adhérence» a Dio a poco a poco si afferma come un vero e proprio sinonimo di «subsistence» in Cristo e assume i tratti di una sorta di «participation à

340

OC B 3, p. 26.

341 Per un esempio che testimonia per contrasto l’originalità berulliana cfr. F

RANÇOIS DE SALES, Traité de

l’amour de Dieu, XI, § 6: dove il tema del corpo mistico si perde come una similitudine tra le altre per

esprimere la partecipazione ai doni di grazia.

342 Sullo sviluppo e le radici del cristocentrismo di Bérulle cfr. O

RCIBAL, Le cardinal de Bérulle, cit., cap. II.

343 Prime avvisaglie se ne colgono comunque già nei Discours de Controverse, dove la privazione di

sussistenza del Cristo è messa in relazione con la dottrina classica del «corpus mysticum» come frutto della eucaristia e con quella renano-fiamminga della creatura che ritorna alla sua essenza dalla quale «elle est sortie par sa propre existence» (cfr. ORCIBAL, Le cardinal de Bérulle, cit., pp. 68-72).

344 Cfr. fra i molti testi in cui riappare questa tesi centrale OC B 4, p. 141 «Au mystère de l’Incarnation, il

y a une sorte d’anéantissement de la nature humaine qui est dépouillée de sa propre subsistence ou personne humaine pour être établie en la Personne divine du Verbe».

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l’union hypostatique» (Cognet). Questa filiazione non basterebbe tuttavia a distinguere la sintesi di Bérulle da quelle di molti padri della Chiesa come Cirillo e lo pseudo- Macario (o più recentemente teologi come il già menzionato Nacchianti). A meno che non si tenga conto che il lemma «subsister» abbraccia tradizionalmente Ŕ e ancor più presso l’oratoriano Ŕ uno spettro di significati più ampio di quello della teologia dell’Incarnazione. Da Dionigi Pseudo-Areopagita ai Principia (I, 21) di Cartesio «subsister» è in effetti innanzitutto vocabolo dell’ontologia e precisamente dell’ontologia della creazione345

. Ed è precisamente questa equivocità del termine che permette a Bérulle di triangolare «subsistence» cristologica e «subsister» nel «corpus mysticum» in una forma originale. Detto altrimenti: le pagine di Bérulle sull’esistenza del cristiano nel «corps mystique» possono ambire a rivestire «le rôle de l’esse ideale chez les mystiques du Nord» anche e soprattutto perché una riflessione sull’essere le sottende e articola. Per pensare l’«unitas spiritus» come «subsistence en Jésus» Bérulle ricorre agli strumenti della metafisica, in particolare ad una precisa dottrina della creazione; e così Ŕ o: soltanto così Ŕ riesce ad evitare i rischi insiti al volontarismo che intendeva unione come sinonimo di trasformazione. E a riconoscere nel corpo mistico il «luogo» de «l’être spirituel, qui est la vraie existence». Per delineare la figura assunta dal «corpus mysticum» nei testi dell’oratoriano occorrerà dunque seguire come egli sviluppi rispettivamente (a) la nozione di creatura; (b) quella di creazione.

345 Come testimonia precisamente L

EONARD DE MARANDE, Abrégé de toute la philosophie, familier et

curieux (1642): «L’existence de la substance est appelée de quelques-uns Ŗsubsistanceŗ, de ce qu’elle

subsiste par ses propres forces. Mais ils se mécontent beaucoup, parce que l’existence est autre chose que la subsistance, puisque la nature humaine unie à Jésus Christ a son existence propre et non pas sa subsistance. Donc la subsistance est quelque chose autre que l’existence de la substance» (citato da J. Schmutz in L’héritage des subtils cartographie du scotisme de l’âge classique, «Les Études Philosophiques», 2002/1, n° 57, pp. 51-81; p. 81).

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(a) Creatura e relazione

La lettura dei mistici renano-fiamminghi e il clima neoplatonico della prima formazione determinarono, come in altri punti, l’atteggiamento profondo di Bérulle verso l’«ens creatum». In una lettera giovanile si legge «Dieu seul est et ce qui regarde Dieu et […] tout est un pur néant en sa sainte présence». Il rigore della logica è il medesimo che si riscontra in Canfeld: «si nous étions quelque chose …, là l’être de Dieu aurait fin où le nôtre commencerait»346. Si tratta di quel sentimento marcato della trascendenza del divino che ha spesso indotto i commentatori ad accostare Bérulle alle tesi di Rudolf Otto347. Ma si tratta anche e soprattutto della convinzione che l’esistenza in quanto fuoriuscita dall’«esse ideale» è una opposizione all’esistenza degli esemplari in Dio, alla quale sola il titolo di «esse» appartiene primariamente e pienamente. Tuttavia proprio la volontà di pensare concettualmente il niente creaturale condusse presto Bérulle ad una prospettiva differente da quella dei renano-fiamminghi. Per Eckhart e i suoi eredi il riconoscimento del «nihil» creaturale era infatti il preludio alla reintegrazione nell’«esse ideale» e cioè in Dio. La negazione del creato conduceva al fondo increato dell’anima nel quale Dio Ŗdimoraŗ: «Nos secundum hunc fundum (in quo divina latet imago) deiformes sumus. […] Iste ergo nudus atque indepictus fundus supra omnia creata, et supra sensus viresque omnes elevatus est, locumque ad tempus excedit, manens perpetua quidam adhaesione in Deo principio suo»348. La tradizione della teologia apofantica consentiva anzi di equiparare Dio e «néant»: «Que si je veux parvenir à ce noble néant et être fait rien, il est nécessaire que ce rien, c’est-à-dire mon

346 Règle, II, 3.

347 Cfr. in proposito le precisazioni di Dupuy su «Dieu seul est» in Bérulle, cit., pp. 55-56. 348

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âme, avec rien qui est Dieu, soit faite rien, car Dieu lui-même n’est rien de toutes les choses que nous pouvons dire de lui»349.

Bérulle conosce e talvolta ripete ragionamenti simili: ma si tratta di casi rari e dall’andamento mai sistematico350

. Sarà piuttosto lo specifico di Condren Ŕ anche sulla scorta di una coscienza esplicita del rifiuto scotista dell’«analogia entis» Ŕ pensare l’annichilamento della creatura come correlativo alla reintegrazione in Dio, unico Ŗveroŗ essere351. Al contrario l’opposizione di essenza (increata) ed esistenza non

sembra risultare più funzionale nel momento in cui, come Bérulle, si intende «le néant de l’être» come «le néant qui est propre à la créature». Ovvero nel momento in cui il niente creaturale non si costituisce in Ŗnienteŗ in quanto opposto ad un «esse ideale» ma si pensa l’«être» stesso come fatto dal e del «néant»352

. Per Bérulle si tratta cioè di definire la creatura come niente in quanto creata (cioè tratta dal nulla), non come «nihil» esistente (cio posto fuori e a distanza) rispetto alla sua essenza eternamente in Dio. Di fatto la prospettiva è piuttosto marcatamente agostiniana che neoplatonica. Non certo che si possa negare l’esemplarismo di molti testi di Bérulle, fino a quelli celebri delle

Grandeurs: «Dieu par son essence est le centre et la circonference de toutes choses, et

toutes choses sont en Dieu comme en leur estre eminent, par sa grandeur; comme en leur principe, par sa puissance; et comme en leur idée parfaicte, par sa sapience»353. Ma,

349 Perla evangelica, citata nella traduzione del 1608 da C

OGNET, op. cit., p. 43.

350 Cfr. per esempio OC B 4, p. 164; pp. 178-179; 351 Cfr. il testo citato da D

UPUY, Bérulle, cit., p. 158: «Lorsqu’il a fait sortir les créatures de lui, il leur a donné un être sur le néant et sur la boue, et ainsi quand leur a donné un être formel et visible, l’être réel et

véritable de ces mêmes choses-là est toujours plus demeuré en lui qu’il n’en est sorti par la création, car

ce que nous voyons maintenant dans les choses créées et dans les créatures n’est pas proprement leur être véritable et réel, pour ce que les choses créées et les créatures ne sont pas en leur réalité en elles-mêmes» (corsivi nostri).

352 E per questo non può condurre a Dio ma solo alla capacità di Dio.

353 OC B VII, p. O ancora più nettamente: «les perfections en Dieu sont idées des ouvrages qu’il opère

hors de lui-même» e «nostrum esse est perfectius in Illo quam in nobis ipsis» (cfr. ORCIBAL, Une formule

…, cit., p. 521). Jean-Luc Marion ha insistito a giusto titolo sull’esemplarismo bérulliano in quanto ultimo

tentativo di una teologia Ŗeconomicaŗ opposta alla dottrina cartesiana della creazione come causalità efficiente (Sur la théologie blanche de Descartes. Analogie, création des vérités éternelles et fondement, PUF, Paris 1981 (19912), pp. 140-159). Occorre tuttavia osservare che Bérulle cita poco la divisa dell’esemplarismo neo-platonico («quod factum est in eo vita erat», Gv. I, 4; sulle ragioni Ŗfattualiŗ di tale

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per quel che concerne strettamente la riflessione dell’oratoriano attorno al concetto di creatura sembra sia piuttosto la quaestio 5 del De potentia di Tommaso a fare da guida e la versione dell’ontologia agostiniana che in quella sede il dottore angelico presenta. Tommaso, riflettendo nel primo articolo sulla «Dei conservatio», si obietta infatti:

Praeterea, dicit Augustinus, quod Deus ita administrat res sua providentia, quod tamen sinit eas agere proprios motus. Sed proprius motus naturae ex nihilo existentis est ut in nihilum tendat. Ergo dominus permittit naturam quae est ex nihilo, in nihilum tendere. Non ergo conservat res in esse354.

La formulazione esplicita che la creatura, di per la sua stessa essenza, «tendit in nihilum» non si trova nei testi di Agostino355. Ma essa è in qualche senso implicita nella preferenza che Agostino dimostra, allorché discute dell’atto della creazione, per «de nihilo» piuttosto che «ex nihilo». Il creato è portato all’essere a partire dal (ex) non- essere ma allo stesso tempo è impastato del (de) non-essere. «Laudant te opera tua […] De nihilo enim a te, non de te facta sunt» (Confessiones XIII, 38, 48). Per Agostino l’atto creatore trae il creato «de nihilo» e lo sostiene nell’essere impedendo che ricada in quella che è la sua origine. Ma il «nihil» rimane come il luogo in cui Dio pone la creatura e che per ciò stesso la compone in quanto contrappunta o controbilancia, come in un tema musicale o in un quadro, la sua destinazione ultima «ad Deum». «De nihilo» non si oppone cioè a qualche materia prima ma a «de Deo»: «dicitur Deus de nihilo fecisse quae fecit, non dici aliud, nisi quia de se ipso non fecit; non enim antequam aliquid faceret, coaeternum illi erat aliquid facere. De nihilo est ergo, quod non est de

reticenza cfr. ORCIBAL, Une formule …, cit., p. 521 n. 24) e pur parlando di Gesù come di un «monde archétype» sviluppa scarsamente l’idea del Verbo come luogo delle ragioni ideali.

354 De potentia, q. 5 a. 1 arg. 16. 355

Per il tema cfr. la nota complementare «24. De nihilo» di A. Solignac nell’edizione de Les confessions (Desclée de Brouwer Bibliothèque augustienne, vol. 14, Paris 1962, pp. 603-606), E.ZUM BRUNN, Le

dilemme de l’être et du néant chez saint Augustin des premiers dialogues aux Confessions, Études

augustiniennes, Paris 1969 (19842)e più recentemente N.J.TORCHIA, Creatio ex nihilo and the Theology

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aliquo»356. La tradizione agostiniana, più che Agostino stesso357 cercò una formulazione metafisica per questa intuizione. Lo si vede ad esempio nella definizione di creatura conservata nel pseudo-agostiniano De unitate Trinitatis contra Felicianum arianum: «Creatura namque est ex eo quod adhuc non est, aut aliquando non fuit, rei cuiuslibet corruptibilis (quantum in se est) per omnipotentis Dei voluntatem facta substantia»358. Dove «corruptibilis» viene esplicitato nell’idea che ciò che non sussiste(va) perché «de nihilo» viene fatto «substantia». E viceversa, la nozione metafisica di «substantia» trova la sua fondazione in quella Ŕ spirituale Ŕ di «creatura» tratta «de nihilo a Deo». A Bonaventura spettò l’onore di dare una sanzione piena a questa concezione del «nihil» creaturale e di annetterla al vocabolario filosofico coniando il termine «nihilitas». Suscitato da una meditazione sull’umiltà che ha in Gal. VI, 3 e in Bernardo le sue radici, il neologismo permette infatti di definire positivamente il creato in quanto impastato di «nihil»:

Quoniam ergo omnia, quaecumque facta sunt, ab uno principio manant et de nihilo sunt producta; ille vere sapiens est, qui veraciter recognoscit suam et aliorum nihilitatem et primi principii sublimitatem. [...] Nullus autem pervenit ad plenam notitiam Dei nisi per veram notitiam sui et rectam; nec recte se ipsum cognoscit qui suam ipsius nihilitatem non attendit; nam qui se existimat aliquid esse, cum nihil sit,

ipse se seducit [...]; sui autem nihilitatem cognoscere, hoc est se ipsum humiliare359.

356 Contra secundam Iuliani responsionem imperfectum opus, V, 31. Per la valenza anti-gnostica e anti-

platonica di questa posizione cfr. la già citata nota «De nihilo» di A. Solignac in Les confessions.

357

Cfr. tuttavia delle formulazioni esplicite ad esempio in De civitate Dei, XIV, 13: «Sed vitio depravari nisi ex nihilo facta natura non posset. Ac per hoc ut natura sit, ex eo habet quod a Deo facta est; ut autem

ab eo quod est deficiat, ex hoc quod de nihilo facta est. Nec sic defecit homo, ut omnino nihil esset, sed ut

inclinatus ad se ipsum minus esset, quam erat, cum ei qui summe est inhaerebat» e De vera religione, XVII, 34: «ita divina providentia, cum sit ipsa omnino incommutabilis, mutabili tamen creaturae varie subvenit, et pro diversitate morborum alias alia iubet aut vetat; ut a vitio unde mors incipit, et ab ipsa morte, ad naturam suam et essentiam, ea quae deficiunt, id est ad nihilum tendunt, reducat et firmet» (corsivi nostri).

358 PL XLII, 1162. 359

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A fianco della «humilitas severitatis», l’«humilitas veritatis» si affaccia come affezione fondamentale dell’ente creato in quanto tale, un’affezione che, svincolata dalla cesura del peccato, coinvolge anche angeli e beati:

Et secundum hoc humilitas, quae est per considerationem vel quae est considerativa nostrae nihilitatis, duplex est: una quidem dici potest humilitas veritatis, quae consurgit ex consideratione nihilitatis per oppositionem ad esse naturae; et haec non tantum reperitur in hominibus, verum etiam in Angelis, non tantum in viatoribus, verum etiam in Beatis360.

«Nihilitas» è dunque il nome della condizione creaturale: «[humilitas] per intellectum nihileitatis suae et omnis craturae ab omni vanitate speciei creatae mentem abstrahit ...»361. Ed è questa tradizione, o almeno questa visione della azione creatrice che Bérulle rinnova scrivendo, con una esattezza lessicale che non può non stupire: «dans la création il n’y a que le néant duquel Dieu fait tout ce qu’il veut». Oppure parlando molto opportunamente di un «reste du néant» che permane al fondo e come «fonds» della creatura362. In breve, come scrive Bossuet, qui perfettamente erede di Bérulle:

puisqu’il [Dio] est tout, il s’ensuit très évidement que les créatures ne sont rien d’elles-mêmes […] le néant est leur origine, c’est l’abîme dont elles sont tirées par la seule puissance de Dieu: de sorte que ce n’est pas merveille si elles retiennent toujours quelque chose de cette basse et obscure origine363.

Quanto questa percezione generale del senso della creatura sia marcata in Bérulle e faccia, come costante, da contraltare alla tesi classica («tendere in nihilum non

360 Ivi, p. 122a. 361

Compendium de virtute humilitatis, Quaracchi 1898, t. VIII, p. 659a. Emmanuel Falque ha attirato l’attenzione su questi testi in Le néant. Contribution à l’histoire du non-être dans la philosophie

occidentale, sous la direction de J. Laurent et C. Romano, PUF, Paris 2006, pp. 243-251.

362 Citato in Vetö, p. 151: «[Dio] tire du néant et du vide qui reste en tout être créé, à la consommation»

che parafrasa Confessiones, XII, 17, 25.

363

Citato in J.LE BRUN, La Spiritualité de Bossuet, Klincksieck, Paris 1972, p. 108. Il passo è di fatto un

Nel documento Pascal filosofo e autore spirituale (pagine 150-198)

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