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Open data e monitoraggio del processo di ricostruzione

ecologica partecipata

11. Open data e monitoraggio del processo di ricostruzione

Ogni linea guida cerca di sviluppare e dare risposte a un ambito strategico differente, anche se molti temi si presentano trasversali e si pongono a cavallo di più obiettivi. In particolare le linee si caratterizzano per

la ricerca di forme e modelli di sviluppo concernenti la riorganizzazione dei servizi e la corretta gestione delle risorse naturali e culturali, nuove forme di impresa, pubblica e/o privata per l’avvio di nuove attività imprenditoriali o il potenziamento di quelle esistenti. Di seguito sono stati analizzate singolarmente.

Nuovi scenari possibili

Dopo tre anni dall’evento avvenuto in Centro Italia ad indicare il permanere di una condizione di emergenza sono in particolare: la situazione della rimozione delle macerie e la condizione delle persone sfollate. Al momento, le prime considerazione da fare sono due a riguardo:

• la scelta di ricostruire i paesi là dove erano ha influito sui tempi, in quanto la necessità di catalogare opportunamente le macerie per consentire ai proprietari di recuperare i loro oggetti personali e per salvaguardare la specificità dei materiali (spesso di rilievo storico) ha allungato la propedeutica fase di smaltimento delle macerie che deve ancora essere completata: secondo i dati della Protezione civile, al 31.12.2019, almeno per quanto riguarda le provincie di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, il totale di macerie smaltite è di 705 mila tonnellate50, circa il 34% del totale;

• il susseguirsi degli eventi ha creato un intervento legislativo confuso e ambiguo. Le previsioni legislative del 2016 con dei contenuti particolarmente innovativi ma che drasticamente prevedevano delle deroghe di potere in termini di governo del territorio e successivamente, il secondo decreto sisma, che rimodulava e ridimensionava tali contenuti seguendo quanto disciplinato in precedenti catastrofi, ha prodotto una natura ambigua di alcuni aspetti e una deriva dell’efficacia del processo di ricostruzione.

Riguardo alla confusa e poco chiara gestione del processo di ricostruzione, la prima versione del sistema di pianificazione post-emergenziale, definita dal legislatore, mirava a soddisfare l’esigenza di creare i presupposti giusti in modo tale da affrontare in maniera unitaria ed organica il piano di ricostruzione, rispettando le best practices elaborate a livello nazionale. Questo approccio introduce fin da subito non solo i provvedimenti straordinari necessari ad intervenire immediatamente, ma anche degli organi che potessero monitorare e gestire il processo di ricostruzione, nella ricerca di un equilibrio tra la necessaria partecipazione degli enti locali alle fasi di ricostruzione e la volontà di accentramento di indirizzo e controllo in capo all’amministrazione centrale (Spinacci F, 2017).Il modello derogava il Commissario a definire ed elaborare i piani di ricostruzione dei comuni danneggiati. Il Legislatore con questo decreto, aveva deciso di spogliare i comuni, e secondariamente le regioni, della competenza della pianificazione, e assegnarla interamente al commissario straordinario e ad una conferenza permanente da lui presieduta, con funzioni amplissime, procedimenti straordinari e un criterio di votazione interna decisamente premiale per le amministrazioni ministeriali. Non è possibile dare una spiegazione certa del perché il legislatore avesse scelto di tentare l’inedita strada del decreto n. 189/2016, ma probabilmente vista l’emergenza e

dato il contesto morfologico ed il numero relativamente limitato dei Comuni coinvolti nella prima scossa, la predisposizione di un impianto che si fondava sulla presenza di una forte figura centrale di coordinamento era la scelta più giusta. Emerge chiaramente, come, nel modo del tutto atipico rispetto alle gestioni dei terremoti recenti dell’Abruzzo 200951 ed dell’Emilia Romagna 201252, il primo decreto sul sisma prevedeva che i comuni non avessero praticamente rilievo nei procedimenti di pianificazione locale.

Inoltre, non si comprendeva quale ruolo avesse il comune, dato che la procedura prevedeva che l’ente locale poteva solo adottare un atto elaborato dal Commissario, senza che ne fossero definiti eventuali diritti di ius variandi (Spinacci F, 2017). In sintesi, la formazione e l’elaborazione del piano era competenza esclusiva del Commissario, mentre la Conferenza permanente comuni e regioni deteneva solo un semplice diritto di partecipazione, paritetico a quello di altre amministrazioni centrali e di altri enti pubblici.

I nuovi eventi e l’aggravarsi della situazione hanno portato successivamente il legislatore a modificare pesantemente l’impianto originale, descritto fin ora e presente nel D.L. n. 189/2016, e ad emanare un secondo decreto sisma, il D.L. n. 8/2017, con delle sostanziali innovazioni. Il nuovo modello, come modificato nel 2017, in una logica unitaria e di sviluppo modifica pesantemente l’iter del processo di ricostruzione, in termini di governo del territorio. Nel nuovo articolo 16 è previsto, più modestamente che:

“Al fine di potenziare e accelerare la ricostruzione dei territori colpiti dagli eventi sismici di cui all’articolo 1, nonché di garantire unitarietà e omogeneità nella gestione degli interventi, è istituito un organo a competenza intersettoriale denominato ‘Conferenza permanente’, presieduto dal Commissario straordinario o da un suo delegato [...]”. Sono dunque scomparsi tutti i riferimenti alle funzioni urbanistiche, di pianificazione e attuazione, che tale conferenza avrebbe dovuto svolgere. A sua volta anche l’articolo 11 è stato così riscritto: ”Entro centocinquanta giorni dalla perimetrazione dei centri e nuclei individuati ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera e), i Comuni, anche con il supporto degli Uffici speciali per la ricostruzione, assicurando un ampio coinvolgimento delle popolazioni interessate, curano la

51 Ad esempio, nel 2009 per il caso abruzzese, veniva previsto che la pianificazione per la ricostruzione fosse interamente controllata dai singoli comuni coinvolti. I sindaci, che mantenevano la disponibilità dei normali strumenti urbanistici, potevano approvare un ulteriore atto pianificatorio, che qui viene esplicitamente nominato: piano di ricostruzione. Questo aveva dei contenuti tendenzialmente delimitati e non era pensato per sostituire gli altri piani tradizionali, ma solo per integrarli. L’iter prevedeva una centralità assoluta del comune, dato che il sindaco proponeva le perimetrazioni delle aree da ricostruire ed elaborava il piano di ricostruzione, successivamente approvato in conferenza dei servizi convocata dal sindaco stesso. Il commissario straordinario aveva esclusivamente un ruolo di coordinamento che espletava tramite la definizione e individuazione di linee di indirizzo strategico per la pianificazione di area vasta, in modo da garantire una certa armonia e coerenza degli interventi. Anche nella ricostruzione dell’Emilia post terremoto 2012, il modello non prevedeva spostamenti di competenze rilevanti. La legge regionale dell’Emilia Romagna n. 16/2012 prevedeva infatti che i piani per la ricostruzione fossero, facoltativamente, approvabili dai comuni coinvolti secondo un iter simile a quello abruzzese. L’unica differenza rilevante era rintracciabile nella conferenza dei servizi intermedia tra l’adozione e l’approvazione definitiva del piano, di competenza del consiglio comunale. Infatti nel caso emiliano questa non era convocata da ogni singolo comune, ma si trattava

pianificazione urbanistica connessa alla ricostruzione [...] predisponendo strumenti urbanistici attuativi [...]”. La nuova veste prevede che le competenze urbanistiche siano rimesse in capo ai comuni, ribadendo anche in questo articolo la necessità di coinvolgere le popolazioni locali. Nel nuovo modello il Commissario straordinario è tenuto solo ad emettere delle linee guida, dei principi di indirizzo per la pianificazione attuativa connessa agli interventi di ricostruzione nei centri storici e nuclei urbani maggiormente colpiti a cui i comuni dovranno attenersi nell’elaborare e adottare gli strumenti urbanistici concreti. Allo stato attuale, dunque, la procedura per la ricostruzione delle zone terremotate, si basa sui principi della partecipazione e del coinvolgimento delle comunità locali sulla scia di quanto già sperimentato in Abruzzo ed Emilia, dove i comuni mantengono le proprie competenze di pianificazione purché rispettose delle direttive commissariali, e la conferenza permanente funge da luogo di confronto e coordinamento tra le amministrazioni locali. Purtroppo, però, va sottolineato che, ad accezione di quanto avvenuto in Emilia e Abruzzo, dove il concetto di piano per la ricostruzione era definito53, in questo nuovo testo non sono nominati quanti e quali eventuali strumenti urbanistici dovranno essere utilizzati per la ricostruzione. Successivamente, per ovviare a questa mancanza, sono state pubblicate da parte del Commissario Straordinario una serie di ordinanze al fine di definire i principi per la pianificazione e la perimetrazione dei centri storici, in accordo alle nuove previsioni dell’articolo 11. L’art. 5, comma 1, dell’ordinanza n. 25 del 23 maggio 2017, prevede che: “Entro 150 giorni dalla approvazione dell’atto di perimetrazione [...] i Comuni, previo ampio coinvolgimento delle popolazioni interessate anche con il supporto degli Uffici speciali per la ricostruzione, predispongono i piani attuativi all’interno delle aree perimetrate a norma dell’articolo 11 del decreto legge n. 189 del 2016. Mediante apposita ordinanza commissariale sono disciplinate le modalità di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini alle scelte in materia di pianificazione e sviluppo territoriale”. In questa nuova previsione i piani attuativi riguarderanno solo limitate porzioni del nostro territorio, quelle maggiormente devastate, con livello di danno superiore al 90% e dove si prevedono cambi di destinazione d'uso dei suoli, per variazioni importanti dell'organizzazione urbana. Diventa impossibile, a questo punto, immaginare la rinascita di questi luoghi attraverso degli strumenti cosi limitati, senza una visione complessiva di scenario futuro.

Successivamente, è stata varata l’Ordinanza n. 39 dell’8 settembre del 2017 del Commissario Straordinario del Governo per la Ricostruzione che fornisce i “Principi di indirizzo per la pianificazione

53 Anche se va detto che anche dove gli strumenti urbanistici speciali venivano esplicitamente nominati a tale identificazione non seguiva alcuna normativa speciale: P. Mantini, Il diritto pubblico della ricostruzione e dell’emergenza in Abruzzo, Padova, 2010, 64, ricostruisce come la L. n. 77/2009 per il terremoto dell’Abruzzo “introduce senza una particolare necessità e motivazione, alcuni nuovi strumenti urbanistici ma non ne definisce i contenuti, né la differenziazione rispetto ad altri strumenti ordinari previsti dalla legislazione nazionale e/o quella regionale abruzzese e senza richiamare questi e le loro procedure formative. È evidente al legislatore come l’emergenza prodotta dal sisma non possa essere affrontata con strumenti ordinari,

attuativa connessa agli interventi di ricostruzione nei centri storici e nuclei urbani maggiormente colpiti dagli eventi sismici”, introducendo il Documento Direttore e il Piano attuativo: due strumenti di base che dovranno fornire il quadro strategico di fondo essenziale per la riorganizzazione generale delle aree devastate e l’organizzazione puntuale del disegno di suolo. Compiendo uno straordinario passo in avanti rispetto alla prassi urbanistica vigente, l’intero processo di pianificazione si concentra, dunque, in strategie e azioni, alleggerendo e semplificando l’attuale filiera della pianificazione urbanistica (Moccia, Sargolini, 2016). A questo proposito nei giorni in cui vengono presentante le ultime proposte di perimetrazione dei centri storici, da sottoporre ai piani attuativi, prende avvio il percorso di ricerca voluto e promosso dal Consiglio regionale delle Marche che ha visto coinvolte le quattro università marchigiane54. Le ragioni dell’avvio di questa ricerca nascono dalla consapevolezza unanimemente condivisa che se non si fosse ricostruito in modo più intelligente di come si era fatto sinora e non si fossero date prospettive di vita e lavoro credibili, sarebbe stato molto difficile prevedere un ritorno da parte degli oltre 30.000 sfollati marchigiani nelle terre dove circa 46.000 edifici erano divenuti inagibili e interi borghi e centri storici erano scomparsi. Il Consiglio Regionale ha sentito l’esigenza di avviare un percorso al fine di nuovi modelli di sviluppo e favorire il confronto su nuove visioni di futuro. Su queste basi è stato dato il compito alle quattro università marchigiane di produrre un lavoro di ricerca finalizzato a costruire un quadro conoscitivo dell’area del cratere, utile a supportare la definizione di nuove linee strategiche di sviluppo delle aree terremotate. I quattro Atenei (Camerino, Macerata, Politecnica delle Marche e Urbino), con il coordinamento generale del Capo di Gabinetto della Presidenza del Consiglio Regionale dott. Daniele Salvi e il coordinamento scientifico del prof. Massimo Sargolini dell’Università di Camerino, hanno svolto un’attività di ricerca che è durata tre anni ed ha prodotto due rapporti che sono serviti come base per la realizzazione e la definizione del “Patto per lo sviluppo e il sostegno alle aree colpite dal sisma”. L’utilità di uno strumento non è soltanto quello di essere stato da musa ispiratrice per la definizione del “Patto per la ricostruzione e lo sviluppo”, ma nell’essere a disposizione dei vari livelli istituzionali ed amministrativi, dei corpi intermedi, dei soggetti privati e dei portatori di interesse, offrendo a ciascuno un quadro di riferimento coerente con le indicazioni dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile, con le 12 Aree della Specializzazione della Ricerca Europea, con la Strategia Nazionale per le Aree Interne. Questo lavoro ha messo sostanzialmente in luce, che difronte ad un processo di rigenerazione post-disaster non si riparte da zero, ma anzi devono essere razionalizzate e integrate le differenti fonti seguendo nuovi percorsi di governance locale. Emerge chiaramente l’importanza di affrontare una lettura integrata e coordinata delle diverse esperienze maturate in questi anni: ad esempio la Legge Quadro sulle aree