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Le opzioni in campo sul piano degli obiettivi e del metodo Le scelte operate dalla direttiva del 2014 e la sua attuazione con il d.lg n 202/2016 Nod

problematici in rapporto al possibile contrasto con taluni principi fondamentali, per l’esercizio di alcuni poteri di confisca, (talvolta) lacune di chiarezza negli strumenti legislativi dell’Unione e lentezze nei processi di attuazione degli Stati membri (MAUGERI, La direttiva 2014/42/UE, 301-303) sono dunque le coordinate

essenziali all’interno delle quali sono state individuate le opzioni generali e assunte le scelte di fondo della direttiva approvata nell’aprile del 2014 (che a differenza degli altri strumenti emanati sulla base dell’art. 83, par. 1, TFUE, e come del resto già osservato, non sostituisce precedenti decisioni-quadro già vincolate ad una regolamentazione per norme minime; lo nota PANEBIANCO, 1747).

Sul piano della politica criminale il motivo dominante (“il crimine non paga”) viene puntualizzato nei termini che seguono.

Si tratta, a ben vedere, mediante il rafforzamento a livello europeo di efficaci ed equilibrate aggressioni dei patrimoni illecitamente accumulati, di realizzare gli obiettivi della prevenzione e del contrasto delle più gravi manifestazioni della criminalità orientata al profitto: come si afferma nel considerando n. 1, il motore principale della criminalità organizzata transfrontaliera, comprese le organizza- zioni criminali di stampo mafioso, è il profitto economico: « Di conseguenza, le autorità competenti dovrebbero disporre dei mezzi per rintracciare, congelare, gestire e confiscare i proventi da reato. Tuttavia la prevenzione e la lotta efficaci contro la criminalità organizzata dovrebbero essere conseguite neutralizzando i proventi da reato e dovrebbero essere estese, in alcuni casi, a qualsiasi bene derivante da attività di natura criminosa ». L’importanza di una più efficace iden- tificazione, confisca e riutilizzazione dei beni di origine criminosa, del resto, è stata, negli anni precedenti all’adozione della direttiva del 2014, sottolineata dal pro- gramma di Stoccolma e dalle conclusioni del Consiglio Giustizia e Affari Interni in materia di confisca e recupero dei beni adottate nel giugno del 2010 (si cfr. in generale sul programma di Stoccolma KLIMEK, 79 ss.; MITSILEGAS, 16-18, con

particolare riguardo alle persistenti diversità che caratterizzano molti aspetti delle legislazioni nazionali; KARNELL, 37-38; LIGETI, 53 ss.).

Nel contempo, sembra affacciarsi anche l’indirizzo di rafforzare i meccanismi di tutela delle vittime del reato (affinché possano giovarsi effettivamente del recu- pero dei proventi delle attività criminose) e, più in generale, l’auspicio di contri- buire a rafforzare, specie mediante la corretta amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati, la fiducia nei sistemi di giustizia degli Stati membri. In questa prospettiva potrebbe in particolare leggersi quanto esplicitato mediante il

considerando n. 35, riguardo l’adozione, da parte degli Stati membri, di misure che

permettano di utilizzare i beni confiscati per scopi di interesse pubblico o sociale; misure che potrebbero comprendere, tra l’altro, la destinazione di tali beni a

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progetti di contrasto e di prevenzione della criminalità nonché ad altri progetti di interesse pubblico e di utilità sociale (il considerando n. 35 richiama anche « un obbligo procedurale per gli Stati membri quale un’analisi giuridica o un esame dei vantaggi e degli svantaggi connessi all’introduzione delle misure. Nella gestione dei beni congelati e nell’adozione di misure relative all’utilizzazione dei beni confiscati, è opportuno che gli Stati membri adottino adeguati provvedimenti per impedire infiltrazioni criminali o illegali »).

Quanto alle (possibili) opzioni di fondo, nel mutato quadro costituzionale le strade che il legislatore europeo avrebbe potuto esplorare sono, in definitiva, le seguenti. Teoricamente, facendo essenzialmente gravare sulle lentezze degli Stati la “re- sponsabilità” delle difficoltà registrate dal contrasto ai patrimoni illecitamente accumulati, la prima opzione percorribile sarebbe potuta essere quella di conser- vare lo status quo, senza che ciò implicasse necessariamente una posizione “rinun- ciataria”, visto che il protocollo 36 assicura che il quadro legale dell’Unione europea diventi, alla data fissata dal protocollo medesimo, cogente e possa essere fatto valere nei confronti degli Stati membri attraverso le procedure di infrazione. Per altro verso, si sarebbe pure potuta scegliere la strada di promuovere sempli- cemente l’implementazione, da parte degli Stati, degli obblighi di confisca e di cooperazione già esistenti, anche con iniziative tese a migliorare la conoscenza reciproca delle leggi nazionali in materia di confisca e sequestro.

Opportunamente, si è preferito seguire la strada della c.d. “opzione legislativa massima”, che prevede di apportare dei miglioramenti al processo di armonizza- zione delle norme e all’esecuzione delle decisioni negli Stati membri, al fine di realizzare il riconoscimento reciproco di tutti i tipi di provvedimenti; ed infatti, nei primi considerando della direttiva si afferma che il suo scopo è quello di perseguire l’adozione di norme minime per riavvicinare i regimi degli Stati membri in mate- ria di congelamento e confisca dei beni, favorendo così la fiducia reciproca e un’efficace cooperazione transfrontaliera.

Scopo ultimo della direttiva è dunque la promozione del reciproco riconosci- mento dei provvedimenti di confisca, riconosciuto come il metodo indispensabile per un’efficace e reale implementazione dello strumento di ablazione, davvero necessario per il contrasto alla criminalità organizzata e del profitto in generale. Occorre peraltro intendersi sul significato di “opzione legislativa massima con riconoscimento reciproco”.

Dal punto di vista generale, è chiaro che tale dizione va rapportata al perimetro dei poteri legittimamente esercitabili dal legislatore dell’Unione, convenzional- mente limitato alla posizione di norme minime; per cui propriamente l’opzione legislativa è ‘massima’ nella misura in cui raggiunga tendenzialmente tutti i campi (settori o temi) pertinenti senza tuttavia risultare talmente dettagliata da compri- mere totalmente gli spazi riservati al legislatore nazionale.

In questo senso, si può dire che la direttiva tenda a realizzare tale canone senza tuttavia soddisfarlo pienamente.

Molti dei profili generalmente contemplati nei dibattiti e negli strumenti della politica criminale europea sono effettivamente riflessi nello strumento in que- stione.

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Così può dirsi in primo luogo per il campo ‘oggettivo’ di applicazione individuato (quanto cioè ai reati, anzi alle sfere di criminalità cui la direttiva è destinata ad applicarsi).

Infatti la direttiva in esame si applica ai reati contemplati: a) dalla « Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari »; dalla decisione quadro 2000/383/GAI del Consiglio, del 29.5.2000, relativa al rafforza- mento della tutela per mezzo di sanzioni penali e altre sanzioni contro la falsifica- zione di monete in relazione all’introduzione dell’euro; c) dalla decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio, del 28.5.2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti; d) dalla decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, del 26.6.2001, concernenti il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato; e) dalla decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13.6.2002, sulla lotta contro il terrorismo; f) dalla decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22.7.2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato; g) dalla decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25.10.2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti; h) dalla decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24.10.2008, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata; i) dalla direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5.4.2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI; j) dalla direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13.12.2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la porno- grafia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio; k) dalla direttiva 2013/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12.8.2013, relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione e che sostituisce la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio.

A tale elencazione si aggiunge un rinvio ad altri strumenti giuridici, ove questi ultimi prevedano che la direttiva in esame si applichi ai reati in essi armonizzati. Analogamente, come potrà osservarsi nel prosieguo dell’analisi, può dirsi per l’ampliamento della nozione di ‘provento’ del reato (in modo che esso, sulla scorta di indicazioni provenienti anche dalla Comunità internazionale comprenda pure i c.d. ‘vantaggi indiretti’); per la previsione dei presupposti e dell’oggetto della c.d. confisca allargata, per taluni chiarimenti circa la confiscabilità di beni presso terzi e, infine, per la previsione di un principio di autonomia del procedimento fina- lizzato alla confisca rispetto al procedimento penale (il che, in definitiva, garanti- rebbe la possibilità dell’esercizio di poteri ablativi anche in tempi successivi e differiti rispetto a quelli della decisione giudiziaria penale).

La direttiva interviene, invece, secondo quanto si vedrà, “in punta di piedi” sul tema della “non conviction based confiscation”; non scioglie il nodo e opta per una soluzione che possiamo senz’altro definire come minimale.

Il progetto di una disciplina generale e tendenzialmente completa, finalizzata al mutuo riconoscimento della grande varietà, presente nei singoli Stati membri, di

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strumenti di ablazione si realizza dunque solo parzialmente: a graduali ma signi- ficativi avanzamenti, anche dal punto di vista del rispetto delle garanzie fonda- mentali, si accompagnano ancora ambiguità e punti di incompletezza.

Non deve allora stupire che l’attuazione dello strumento, in un ordinamento attrezzato come quello italiano si sia in definitiva risolta in pochi accorgimenti, riguardanti, tra gli altri, l’inserimento della confisca diretta o per equivalente del profitto o del prodotto dei reati indicati dall’art. 240, c. 2, n. 1-bis, c.p., (v. nella Parte II, I. Profili generali, il commento sub art. 240 c.p.) e per talune ipotesi di reati di falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori di bollo (intervenendosi, in questo caso, sull’art. 466-bis c.p.; in argomento si veda, nella Parte II, II.15.

Falsità in monete).

Al proposito va anche tenuto presente la disposizione da ultimo introdotta nel

codice penale (art. 240-bis) dal d.lg. 1.3.2018, n. 21, la quale stabilisce, con

riferimento ad un catalogo esteso di reati, che è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche pe rinterposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (v., amplius, sub Parte IV, La confisca allargata).

5. La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio

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