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ORATORIO DELLA BEATA VERGINE DI MONTE BERICO DI VILLA PORTO

STATO DEGLI STUD

4.2 ORATORIO DELLA BEATA VERGINE DI MONTE BERICO DI VILLA PORTO

STATO DEGLI STUDI

La chiesetta di Villa Da Porto a Dueville è ben documentata fin dalla sua fondazione da fonti contemporanee e autorevoli. Milizia nel 1781 descrive il complesso architettonico di Villa Da Porto nel secondo volume delle sue Memorie degli architetti antichi e

moderni mentre il cantiere della villa era ancora in costruzione e menziona la chiesetta

dichiarandola terminata nel 177566. Bressan la descrive nel manoscritto Studi sulle

fabbriche di Vicenza conservato nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza67;

Nel 1791 Villa Da Porto è messa addirittura in versi da Giovambattista Velo in occasione delle nozze tra Giangiacopo Thiene e Lucia Porto, figlia del committente della villa, il conte Antonio Maria Porto. A lui è dedicata la poesia Vivaro ossia Villa

Porto in cui viene descritto il complesso architettonico in tutte le sue componenti,

compreso l’oratorio, che viene appena citato68.

Il padre Giantommaso Faccioli, oltre a presentare la chiesetta nel terzo volume del suo

Musaeum lapidarium vicentinum collectum nel del 1804, è anche l’autore di una delle

descrizioni più complete sull’oratorio Da Porto69. Nel manoscritto Dichiarazione sulla

chiesa della Vergine di Monte Berico nella campagna di Vivaro70 egli riporta tutte le vicende che hanno portato all’edificazione della chiesetta nonché gli artisti che vi hanno lavorato e la descrizione del complesso programma iconografico che la decora. Nota al Maccà nel 1815, che la riporta nel XII volume della sua enciclopedica Storia del

Territorio vicentino71, la dichiarazione è stata citata e riportata da molti studiosi contemporanei.

66

MILIZIA 1781, pp. 397-398

67

BRESSAN, XVIII sec.

68 VELO 1781 69

FACCIOLI 1804, III, p. 360

70

ms.,Biblioteca Bertoliana di Vicenza, (G. 7.5.23) 1997, si veda APPENDICE VIII

131

La fonte più diretta di cui abbiamo conoscenza è la descrizione della chiesetta da parte dello stesso architetto Calderari. Egli la inserisce, completa di tre tavole, nel secondo volume della sua raccolta di Disegni e scritti di Architettura72, edita nel 1808, dopo la

sua morte.

Lo studioso Antonio Magrini riporta la chiesa all’interno dell’appendice critico cronologica del suo studio Dell’architettura in Vicenza, edito nel 1845. Cita l’oratorio nella sezione delle architetture religiose fuori città del periodo del Risorgimento collocandolo correttamente nell’anno 1775, ma attribuendolo erroneamente ad Enea Arnaldi73. Due anni dopo Giulio Pullè inserisce l’oratorio nel suo spettacolare Album di

gemme architettoniche della città di Vicenza e del suo territorio insieme a tre tavole di

Moro rappresentati una veduta della chiesetta, facciata, spaccato e pianta74 (FIGG. 19,21,22).

In epoca contemporanea sono soprattutto due gli studiosi che si sono dedicati all’architettura neoclassica di Ottone Maria Calderari, ponendo l’attenzione sull’oratorio di Villa Da Porto come un momento imprescindibile dell’attività dell’architetto. Franco Barbieri dedica un saggio al Neoclassicismo di Ottone Calderari nel 1953 all’interno della rivista Arte Veneta75, ampliando successivamente lo studio dell’argomento nell’opera Illuministi e neoclassici a Vicenza edita dall’Accademia Olimpica nel 197276

L’altro studioso che si è dedicato alla chiesetta del Calderari è Renato Cevese che con continuità ha pubblicato dal 1952 al 1971 contributi sull’argomento. Particolarmente interessanti risultano Ottone Calderari e in Neoclassicismo a Vicenza in cui lo studioso pone l’attenzione sugli edifici religiosi dell’architetto 77 , anche se il contributo fondamentale dell’autore è la scheda sull’oratorio all’interno del catalogo della mostra Palladio e la sua eredità nel mondo, tenuta a Vicenza nel 198078. Lionello Puppi nel

72 CALDERARI 1808, pp. 33-34, tavv. XXXIV-XXXVI 73

MAGRINI 1845 b, p. 60

74

PULLE’ 1847, p. 39, fasc. XXXIX, tavv. I-III

75 BARBIERI 1953, p. 75 76 BARBIERI 1972, pp. 104-108 77 CEVESE 1963, pp. 349-351 78 CEVESE 1980

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1968 scoprì una lettera di Ludovico Cordellina, altro committente del Calderari, in cui l’avvocato scrive all’architetto “ Il Co. Antonio M.a Porto qui presente vi fa mille saluti, e vi assicura che la fabbrica della chiesa si eseguisce con tutta esattezza, e senza dipartirsi un momento dalle prescrizioni dell’illustre Autore” datata 16 ottobre 1774 79 Un più recente contributo allo studio della chiesetta è stato scritto da Franco Barbieri nel 199980 in occasione della mostra I disegni di Ottone Calderari al Museo Civico di Vicenza in cui sono state esposte le tavole dell’architetto.

79

PUPPI 1968, pp. 214-215

133 FONDAZIONE E COMMITTENZA

A testimoniare la costruzione dell’Oratorio di Villa Porto ai Pilastroni di Vivaro è un manoscritto, intitolato Dichiarazione sulla chiesa della Vergine di Monte Berico nella

campagna di Vivaro, steso dal frate domenicano Giantommaso Faccioli e tutt’ora

conservato presso la Biblioteca Bertoliana di Vicenza (APPENDICE VIII). Padre Faccioli, oltre a indicare il nome dell’architetto e degli artisti che con statue e stucchi decorarono la cappella, rivela importanti notizie circa la committenza e l’anno di fondazione. Stando dunque alle sue parole, la chiesetta è risulta «compita e benedetta» nel 1774, eretta per volontà del conte Giulio Porto.

La documentazione archivistica, però, complica la comprensione della fondazione dell’oratorio con un fascicolo datato 1697 che riporta la dicitura Oratorium Publicum in

Villa Vivarij Pro Ludovico padre et Angelo filio Da Portij.81 All’interno è presente tutto

l’incartamento relativo alla costruzione di un precedente oratorio promosso dalla stessa famiglia Da Porto, fatto erigere poco lontano da dove sorge l’attuale, ma un secolo prima rispetto a quello progettato dal Calderari per Giulio Porto. La bibliografia più recente, affrontando lo studio della chiesetta, ha omesso questo importante precedente storico, dettaglio che, tuttavia, non sfuggì al Maccà il quale nel 1815 puntualmente scrive «questa chiesa fu reedificata in altro sito, cioè appresso il suddetto palazzo, e in più bella forma, a nostri tempi».82 Del perché l’oratorio sia stato riedificato ad un secolo di distanza non ci è dato sapere, ma alla luce delle argomentazioni trattate nei capitoli precedenti, questa doppia costruzione di oratori all’interno della stessa famiglia risulta molto interessante.

Procedendo con ordine, è bene fare chiarezza sull’identità e sulla parentela dei due gruppi di committenti per i due rispettivi oratori.

I promotori della prima cappella gentilizia sono Ludovico da Porto, nato nel 1614, primogenito di Francesco da Porto e di Silvia da Porto, e il suo quarto figlio, Angelo. Tale Ludovico, che secondo le fonti risulta ancora vivente nel 1700, era una figura

81

ADVi, Stato delle Chiese, Vivaro, b. 337, 1697 Oratorium Publicum in Villa Vivarij Pro Ludovico padre et Angelo filio Da Portij

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politica di spicco per la città di Vicenza avendo ricoperto le cariche di consigliere, console e deputato della città. Egli, in qualità di primogenito di Francesco e Silvia Porto eredita tutte le proprietà di famiglia presenti a Vivaro nella località di Campagna e si prodiga per migliorarne le rendite grazie alla commutazione di 33 campi dall’uso di irrigazione a quello di risaia avendo la possibilità di utilizzare l’acqua di sua giurisdizione.83

Il figlio di Ludovico, Angelo da Porto, sposa Lavinia Trissino e da lei avrà sette figli, tra cui il suo erede Ludovico. Questi però, deceduto nel 1749, istituisce come successore ai beni familiari, il figlio Antonio Maria. Sarà poi questo Antonio Maria da Porto, assieme allo zio Giulio (fratello del Ludovico deceduto nel 1749), a portare avanti il grande progetto della villa e dell’oratorio da Porto ai Pilastroni commissionati al Calderari.

83

Lo studio di Loredana Bozzetto ricostruisce la proprietà delle Acque di Ludovico Porto: «per la zona di Campagna egli denuncia il possesso di una porzione delle acque della roggia Sora di Montecchio Precalcino, delle acque cadenti dal monte della Figarolla, di tutte le acque nascenti nei suoi campi, della fontanella detta “La Molesina” e delle acque che discenono dal torrente Astico attraverso la roggia delle legne.» BOZZETTO 2003-2004, pp. 20-21

135 IL PRIMO ORATORIO

Procedendo con ordine, la costruzione del primo oratorio iniziò, come richiedeva la prassi84, con la supplica al vescovo da parte dei due committenti: il padre Ludovico Da Porto e il figlio Angelo85. Questo documento risulta senza data, ma disponendo dell’intero carteggio datato 1697 possiamo ipotizzare che la richiesta sia stata inoltrata al vescovo tra la fine dell’anno precedente e i primi mesi del 1697. Già il 20 aprile dello stesso anno infatti, il Vicario Foraneo di Vivaro è incaricato da parte della Curia di recarsi sul luogo prescelto per l’edificazione86. Nello scritto si ricorda al vicario il pieno rispetto delle norme sinodali nell’ edificazione della chiesetta a partire dalla scelta del sito che dovrà essere «in fondi proprij di detti Signori Co.Co. vicina alla casa dell’habitatione de medesimi: con una sola porta che responderà nella via pubblica, senza alcun adito a prospetto da loco privato, e nel modo e forma prescritto dalle Costituzioni Apostoliche e Sinodali e senza alcun benchè minimo pregiudicio delle ragioni Parrocchiali.»87

Il Vicario, che si scopre dalla risposta essere anche il parroco di Vivaro, si mostra zelante nell’impegno che gli è stato conferito e, promettendo il rispetto delle leggi sinodali, aggiunge che la futura chiesetta sorgerà «distante dalla mia parrocchiale un miglio». Nello specificare la distanza dalla chiesa, spende alcune parole per giustificare la costruzione del nuovo oratorio affermando che «servirà anco da sommo beneficio a miei popoli, che parte de quali per la distanza, e parte per le private facende sono di quando in quando necessitati, particolarmente ne quei giorni piovosi, perdere la S. Messa»88

Queste specificazioni da parte del parroco sono importanti in quanto sostengono le argomentazioni e le tesi proposte nei capitoli precedenti di questo studio.

84 A tal proposito si veda il capitolo 2 dedicato alla prassi per la costruzione di un oratorio pubblico 85

Ludovico e Angelo fanno parte del ramo H della famiglia da Porto. (per l’albero genealogico della famiglia da Porto linea H si veda BOZZETTO 2003-2004, pp. 12-21 e TAVV. XIII-XVII)

86 ADVi, Stato delle Chiese, Vivaro, b. 337, 1697 Oratorium Publicum in Villa Vivarij Pro Ludovico padre et

Angelo filio Da Portij

87

Ibid.

136

Gli oratori pubblici erano chiesette fortemente sentite dalla comunità locale, addirittura promosse dall’azione dei parroci. Come per i casi degli oratori Guzzo- Beretta a Villalta e Franceschini a Lisiera89, una delle ragioni che ne giustificava la costruzione era la distanza dalla Parrocchiale sofferta nei giorni di mal tempo e la possibilità, offerta pertanto alla comunità, di adempiere al precetto festivo.

Non trovando, dunque, alcuna incongruenza alle norme, viene rilasciata la licenza vescovile nel luglio dello stesso 1697 «delegando […] il Vicario Foraneo di Vivaro la facoltà di benedir e poner la prima pietra en la detta fabrica al quale anco raccomandiamo la vigilanza dovuta acciò la fabrica segua nel modo suddetto dovendo a tempo proprio farci tener le notitie dell’operato, gli ordini propri della dotazione e benedizione […]».90

Gli aggiornamenti sul cantiere della cappella, però, tardano ad arrivare, così la Curia vescovile, nella persona di Andrea Rondoni, il 6 settembre dello stesso anno scrive nuovamente al Vicario foraneo di Vivaro pregandolo di «osservar se sii dignitosamente fabricata e provista delle cose necessarie ad effetto che si possi benedirla e celebrarvi messa come pure che sia lontana da usi domestici e con porta sola respiciente in strada publica» .91

Quello che emerge da questo carteggio è la forte presenza della Curia Vescovile nella costruzione di un’architettura religiosa da parte di una committenza privata; la sua attenzione estrema nel far rispettare le Costituzioni Sinodali si concretizza in un’ossessiva ripetizione della condicio sine qua non un oratorio sia definito pubblico: la porta sulla via strada e la distanza dagli usi domestici.

Il Vicario Foraneo non manca allora di rispondere immediatamente alla Curia. Dal suo scritto si viene a conoscenza che la chiesetta, nel medesimo 6 settembre, era già costruita «contigua alla strada pubblica, disgiunta da corti domestiche con due

89 A tal proposito si veda pp. 14 e 19 90

ADVi, Stato delle Chiese, Vivaro, b. 337, 1697 Oratorium Publicum in Villa Vivarij Pro Ludovico padre et Angelo filio Da Portij

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fenestre laterali et una sulla porta […] d’alteza, lunghezza e larghezza conveniente alla fabrica».92

Due giorni dopo la Curia «relazione havuta che la chiesa sive oratorio pubblico sotto l’Invocazione dell’Apparizione della B. Vergine nel Monte Berico […] sia veramente fabricata nel modo e forma prescritta dalle Costituzioni Apostoliche e Sinodali e provvista delle cose necessarie si per uso del S. Sacrificio della Messa come per il culto divino […], stante la dote sufficiente per la sua decorosa manuten.ne» rilascia la licenza per la benedizione «ad effetto si possa in avvenire in essa celebrare la S.ta Messa da qualunque sacerd.e secolare da noi approvato o regolare di licenza del suo superiore».93 Il documento continua ricordando il divieto di celebrare nei medesimi orari delle Messe Parrocchiali e nei giorni festivi.

La dote menzionata in questa licenza si trova specificata in un altro foglio, datato sempre 8 settembre 1697. In esso vi sono riportati i beni materiali che Ludovico e Angelo Porto legano al rettore della chiesetta, ossia: «un cason con terra annessa a detto cason posto nelle pertinenze di Campagna parrocchia di Vivaro confina a mattina con contrà di Giupede [?] et a tutte l’altri parti beni di detti Signori Conti & obligando e promettendo per quanto intendo [?] Reverendo Padre Lucio Camisan servita».94

Il giorno stesso la chiesetta fu benedetta solennemente secondo il rituale romano dall’arciprete della Cattedrale e la benedizione fu registrata in un documento ad hoc che andava a concludere l’iter burocratico per l’erezione di un oratorio pubblico.95 I quasi ottant’anni di esistenza di questo primo oratorio si possono ricostruire dalle poche e diradate notizie che si rintracciano nelle visite pastorali.

La prima menzione della chiesetta si trova nella visita del cardinale Antonio Marino Priuli in data 9 settembre 1748. La relazione della visita pastorale ci informa che l’oratorio è «de jure nobb. D.D. Co.Co. Ludovici e fratrum Porto»96, ossia ,seguendo

92 Ibid. 93 Ibid. 94 Ibid. 95 Ibid. 96

ADVi, Visite pastorali, Card. Antonio Marino Priuli, b. 17/0569, si veda relazione della visita pastorale di Vivaro al dì 9 settembre 1748

138

l’albero genealogico della famiglia97, la chiesetta apparterrebbe al primogenito maschio del defunto committente Angelo Porto, Ludovico appunto, e ai suoi fratelli98, tra cui ci interessa in modo particolare Giulio Porto, futuro committente del secondo oratorio.

All’interno la chiesetta era dotata di un solo altare lapideo e di numerose reliquie tra le quali spicca per importanza un pezzettino della Croce di Cristo; la sacrestia era fornita di tutto il necessario per le celebrazioni e dal campanile pendevano due campane benedette.99 Lo stesso giorno il vescovo Priuli incontra il rettore dell’oratorio, Giovanni Manuzzato, il quale dichiara: «Sono sacerdote da Doville, ho anni 49: abito in casa con mia madre. Celebro la Santa Messa nell’Oratorio sotto il titolo dell’apparizione di M.V. del Monte Berico di ragione del Signor Conte Lodovico Porto con debito di 260 messe nell’anno cioè Messe 5 alla settimana, e mi viene contribuito d.ti 50: Campi 4: arativi, e casa per mia abitazione, le altre poi le celebro annuali [?]. intervengo quando posso attesa la lontananza alle funzioni Parrocchiali, così pure alla Dottrina Cristiana [..]».100 Altre notizie si ricavano dalla Visita pastorale del vescovo Marco Corner esattamente vent’anni dopo. Il verbale al giorno 24 ottobre 1768 riporta informazioni circa l’oratorio, di cui il proprietario sembra essere Antonio Maria Porto, anche se dall’intervista personale al parroco della cappella si viene a conoscenza che a pagare la mansioneria al prete è, invece, lo zio Giulio Porto101.

Queste sono le ultime notizie relative all’esistenza del primo oratorio Porto e ci confermano la piena funzionalità di cui godeva appena un anno prima del nuovo progetto102 per mano del Calderari.

97

BOZZETTO 2003-2004, TAV. XIV

98

Nel 1748 Ludovico aveva tre sorelle viventi (Elena, Isabetta e Anna Maria), un fratello, Giulio, che per certo a quella data è vivo, mentre è incerta la presenza di un altro fratello, Francesco, la cui vita è documentata fino al 1740.

99

ADVi, Visite Pastorali, Antonio Marino Priuli, b. 17/0569

100 Ibid. 101

ADVi, Visite Pastorali, Marco Corner, b. 17/0569

102

1769 è l’anno annotato sul disegno autografo custodito al Palazzo Chiericati (ora l’intero fondo è stato recentemente spostato al CISA), inventariato con il numero D 698

139

La domanda che viene spontaneo porsi è perché Giulio Porto volesse la costruzione ex

novo di un altro oratorio nonostante il precedente, costruito dal padre e dal nonno,

avesse appena superato i settant’anni dalla fondazione.

Una notizia, che sicuramente non è determinante nel trovare una risposta al quesito, ma che potrebbe far luce sulla velocità con la quale la famiglia Porto fa costruire edifici sacri è l’informazione, scovata da Bozzetto nell’archivio della famiglia, sullo speciale “iuspatronato” che di cui i Porto godevano. Essi, assieme alle altre famiglie notabili dei Piovene, Ferramosca ed Arnaldi avevano facoltà di eleggere il parroco di Vivaro, che veniva poi confermato dal vescovo, grazie ad un diritto che esse detenevano nella chiesa parrocchiale che riconosceva loro una grande autonomia in ambito ecclesiastico.103

La successiva visita pastorale che menziona l’oratorio della Beata Vergine del Monte Berico è quella di Marco Zaguri del 1791, che, vista la data, visita sicuramente il nuovo oratorio. Dalla relazione della visita si viene a conoscenza che la proprietà è attestata al Conte Antonio Maria, erede universale del defunto zio Giulio.

Le prime notizie che abbiamo del nuovo oratorio, dunque, sono le disposizioni lasciate dal Zaguri dopo la visita alla cappella nelle quali stabilisce che la reliquia della croce sia portata in Curia affinché se ne attesti l’autenticità, mancando delle «lettere patenti», assieme alle tre reliquie della Vergine contenute in una teca d’argento in quanto il sigillo si era corroso; dispone inoltre che venga pulita la patena e che sia apposta una croce di ferro sulla sommità dell’oratorio.104

Non ci sono documenti che attestino la distruzione della prima chiesetta, ma è probabile che essa sia stata demolita e il materiale sia stato riutilizzato per costruire parte della seconda. Le demolizioni di architetture sacre, a questa data, venivano minuziosamente registrate nel fondo Diversorum degli Atti di Curia. Sfogliando questo fondo dall’anno 1767 all’anno 1775105, anno di costruzione del nuovo oratorio Porto, non si trova nessuna notizia; l’ipotesi più probabile è che il materiale edilizio della

103

BOZZETTO 2003-2004, p. 27

104

ADVi, Visite pastorali, Marco Zaguri, b. 20/0572

140

prima cappella sia stato utilizzato per la costruzione della seconda in quanto il materiale era benedetto quindi non era utilizzabile per usi profani. Una costruzione consacrata non poteva essere smenbrata senza prima esser stata ridotta allo stato secolare. I Diversorum ci presentano tanti esempi106 di oratori che per essere abbattuti dovevano prima essere sconsacrati, perciò, se la stessa sorte fosse toccata alla chiesetta di casa Porto, si sarebbe dovuto trovare l’atto in questo fondo archivistico. La supposizione più logica potrebbe essere quella della costruzione di un nuovo edificio attraverso il reimpiego dei materiali del precedente e senza il bisogno di nuova licenza da parte della Curia in quanto “semplice” riedificazione. In questo modo verrebbe spiegata anche l’assenza di documenti in Archivio Diocesano sulla nuova architettura del Calderari.

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Risulta chiaro ed interessante, ad esempio, l’atto di demolizione della chiesetta dedicata a San Giuseppe che doveva trovarsi presso l’omonima via di Villalta di Gazzo padovano. Dalla relazione presenta in data 6 settembra 1784 si può ricostruire in modo sommario la storia dell’oratorio per il quale viene chiesta la distruzione. Fondato all’inizio del Settecento da Battistina e Giovanni Battista Aleardi, rispettivamente madre e figlio, e mai officiata, viene chiesto dagli eredi la possibilità di demolirlo in quanto la famiglia non poteva più far fronte alle spese del mantenimento, ne poteva permettersi un restauro. La chiesetta era stata addirittura sospesa in seguito alle visite pastorali in cui era stata trovata in disordine.

La notizia più interessante che presenta questo caso, però, è la richiesta da parte della famiglia di poter utilizzare il materiale edile dopo la secolarizzazione del medesimo. ADVi, Diversorum (1767-1793), b. 190/0190, r. I

141 IL SECONDO ORATORIO

Il fatto che l’oratorio sia stato ricostruito con la stessa titolazione alla Vergine del Monte Berico è spiegabile, come suggerisce Bordignon Favero107, con la tradizionale