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maltempo, con sbalzi termici significativi. Il 2018 ad esempio si è classificato fino ad ora come l’anno più bollente dal 1800, anno in cui sono iniziate le rilevazioni, con una temperatura superiore di 1,53 gradi rispetto alla media storica nei primi nove mesi dell’anno durante i quali però si sono alternati periodi di intense precipitazioni e momenti di siccità come a settembre in cui è caduta addirittura il 61% di pioggia in meno.

Su un territorio meno ricco e più fragile per l’abbandono forzato dell’attività agricola in molte aree interne si abbattono così gli effetti dei cambiamenti climatici, favoriti anche dal fatto che negli ultimi 25 anni è scomparso in Italia oltre ¼ della terra coltivata (-28%) per colpa della cementificazione e dell’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile in Italia ad appena 12,8 milioni di ettari. La disponibilità di terra coltivata significa produzione agricola di qualità ma anche sicurezza ambientale per i cittadini nei confronti del degrado e del rischio idrogeologico.

Per far fronte all’emergenza occorre avviare subito le procedure necessarie per la dichiarazione dello stato di calamità nelle zone più colpite e procedere per attivare una serie di misure come la sospensione del pagamento delle imposte e dei contributi, il ripristino della dotazione del Fondo di solidarietà nazionale e una moratoria sui mutui da definire con il sistema bancario. Ma per ridurre in maniera strutturale gli effetti del maltempo e dei cambiamenti climatici la Coldiretti ha presentato in occasione dell’Assemblea elettiva il decalogo #risanaItalia. Si tratta di una serie di proposte che prevedono, innanzitutto, un cambio di passo nell’attività di prevenzione, così da evitare di dover costantemente rincorrere l’emergenza. Si pensa, in particolare alla realizzazione di piccole opere di contrasto al rischio idrogeologico, dalla sistemazione e pulizia straordinaria degli argini dei fiumi ai progetti di ingegneria naturalistica.

Occorre poi ridurre il consumo di terreno fertile con la immediata approvazione della legge sulla salvaguardia della destinazione agricola dei suoli, sostenuta dalla Coldiretti, con l’obiettivo del

“saldo zero” di consumo del suolo naturale entro il 2050. Per razionalizzare gli interventi è necessario un piano sperimentale per la valorizzazione dei beni pubblici prodotti in aree montane e marginali compresa la possibilità di riconoscere i crediti di carbonio ai produttori di tali aree.

Ancora, è indispensabile la piena attuazione della legge di orientamento che consente alle pubbliche amministrazioni di stipulare convenzioni con gli agricoltori per lo svolgimento di attività funzionali “alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale”. Parimenti, serve rilanciare, tramite sostegno all’acquisto de capi e delle strutture di ricovero necessarie, la zootecnia di montagna e delle aree interne, che permette a tali superfici di essere pascolate e mantenute.

Ciò rappresenta il giusto riconoscimento della capacità delle imprese agricole di svolgere azioni costanti di tutela del territorio anche attraverso l’introduzione di misure di sostegno fiscale per chi risiede nelle aree di montagna e per incentivare l’insediamento e la prosecuzione di attività economiche in particolare nel campo dei servizi agricoli, forestali, turistici e culturali. Per limitare gli effetti devastanti del maltempo occorre inoltre contrastare ogni forma di abusivismo che espone a fallimenti e frustrazioni ogni nuova politica di pianificazione territoriale e promuovere interventi di rigenerazione urbanistica a partire dal censimento degli immobili già realizzati nelle aree a rischio.

Dal punto di vista ambientale serve poi avviare un piano per la riforestazione delle aree ad alto rischio con criteri adeguati alla vulnerabilità geologico-ambientale anche con risorse già destinate alle grandi opere di infrastrutturazione energetica e di mobilità.

Allo stesso modo serve un piano infrastrutturale per la creazione di invasi che raccolgano, in particolare nel Centro Sud del Paese, tutta l’acqua piovana che va perduta, contribuendo a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici con la regia dei Consorzi di bonifica e l’affidamento ai coltivatori diretti. Un esempio è il progetto promosso da Coldiretti, Terna, Anbi e Maccaferri per la realizzazione di 10.000 invasi e laghetti ai fini di regimazione della acque, irrigui ambientali e dell’accumulo/produzione di energia idroelettrica. Diventa qui strategica la semplificazione burocratica e degli impegni amministrativi per le imprese che operano nella aree montane e interne. Infine, occorre intervenire sulla manutenzione del verde urbano per garantire la sicurezza anche nelle città coinvolgendo direttamente le imprese agricole nelle iniziative di riqualificazione ambientale.

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Realizzazione di piccole opere di contrasto al rischio idrogeologico, dalla sistemazione e pulizia straordinaria degli argini dei fiumi ai progetti di ingegneria naturalistica

Ridurre il consumo di terreno fertile con la immediata approvazione della legge sulla salvaguardia della destinazione agricola dei suoli

Attuare un piano sperimentale per la valorizzazione dei beni pubblici prodotti in aree montane e marginali compresa la possibilità di riconoscere i crediti di carbonio ai produttori di tali aree.

Dare piena attuazione alla legge di orientamento che consente alle pubbliche amministrazioni di stipulare convenzioni con gli agricoltori per la tutela del territorio

Rilanciare gli allevamenti di montagna la zootecnia di montagna con apposite misure per garantire la manutenzione dei territori interni

Introduzione di misure di sostegno fiscale per chi risiede nelle aree di montagna e per incentivare l’insediamento e la prosecuzione di attività economiche nel campo dei servizi agricoli, forestali, turistici e culturali.

Contrastare ogni forma di abusivismo e promuovere interventi di rigenerazione urbanistica a partire dal censimento degli immobili già realizzati nelle aree a rischio.

Avviare un piano per la riforestazione delle zone a maggior pericolo di dissesto

Un piano infrastrutturale per la creazione di invasi che raccolgano, in particolare nel Centro Sud del Paese, tutta l’acqua piovana che va perduta. Un esempio è il progetto promosso da Coldiretti, Terna, Anbi e Maccaferri per la realizzazione di 10.000 laghetti.

Intervenire sulla manutenzione del verde urbano per garantire la sicurezza anche nelle città coinvolgendo direttamente le imprese agricole

Fonte Coldiretti

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Fiume Misa a Senigallia: “un’altra gestione è possibile, e imprescindibile”

Potere al Popolo: "si ripropongono progetti inutili"

Il 12 di novembre si terrà al tribunale di Ancona l’udienza preliminare del processo c o n t r o 8 i n d a g a t i t r a c u i i l s i n d a c o Maurizio Mangialardi per i fatti risalenti al 3 maggio del 2014 con 3 vittime e 1 8 0 milioni di euro di danni.

E’ un evento importante e deflagrante rispetto ad una amministrazione cittadina coinvolta nella figura del sindaco, di alcuni tecnici e funzionari, e altresì, sono coinvolti tecnici e funzionari di rilievo di Provincia e Regione.

Il tutto, pur minimizzato dalla maggioranza politica che governa la città, evidenzia il pressante problema della gestione del territorio, delle responsabilità politiche recenti e passate, dell’incapacità di comprendere la complessità e le urgenze del territorio per mantenerlo e renderlo sicuro. La visione miope degli amministratori è stata condizionata dall’idea di profitto: “il territorio di cui ci si preoccupa è quello costiero che produce reddito e ricchezza”, magari speculazioni, espansione edilizia incontrollata ecc. il resto, l’entroterra, è da dimenticare, quasi un fastidio. La crisi dell’agricoltura e la deindustrializzazione si ripercuotono sul nostro territorio ormai da decenni.

Non ci sono state iniziative politiche in questo senso e la crisi di questi anni ha ulteriormente aggravato la situazione. A questo si sono aggiunti interventi dai chiari connotati speculativi e/o clientelari che momentaneamente la crisi ha fermato: Area Italcementi, Ex colonie Enel, Gli orti del Vescovo, via Cellini ecc…

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Questa situazione ha prodotto l’abbandono di quelle attività atte alla manutenzione del territorio amplificate da una gestione industriale dell’agricoltura. Il fiume è sicuramente stata la parte del territorio più trascurata, la parte che è stata più soggetta a trasformazioni e che avrebbe bisogno di continui interventi ordinari e straordinari. L’alluvione del 3 maggio 2014 ha fatto emergere con prepotenza le problematiche collegate che dovrebbero far considerare il territorio come un unicum e non un insieme di tante aree parcellizzate indipendenti le une dalle altre.

Un intervento con l’obiettivo di mettere in sicurezza la città di Senigallia da alluvioni del fiume Misa ha inizio nel 1985 (9 anni dopo l’alluvione del 1976). Il primo progetto casse di espansione 16 miliardi di fondi FIO 1982. Si prevedevano delle vasche nelle quali potesse defluire l’acqua nei momenti di piena.

All’inizio erano 3, poi ridotte a 2 ed infine soltanto una vasca con una estensione di 50 ettari circa (la riduzione è da imputare alle limitate risorsa economiche). Progetto molto limitato rispetto alle necessità, con forte impatto ambientale: si prevedevano grandi interventi in cemento, arginature imponenti, pompe idrovore, espropri di 5 case coloniche, servitù delle terre agricole. Pur in fase di progetto definitivo, il progetto (studio Acquater) non venne attuato anche per il forte impegno di un comitato di cittadini che ne avevano evidenziato tutte le criticità.

Nel 2009/10 si affronta il problema con un nuovo progetto (perché trascorsi 20 anni – legge Merloni – i progetti devono essere riformulati); il nuovo progetto è firmato dall’ingegnere idraulico Alessandro Mancinelli. Il nuovo progetto prevede un abbassamento dei costi (un impegno di 5 milioni ca di euro si spesa totali), una riduzione della superficie occupata, una arginatura intorno a 3 case coloniche (per evitare il costo dell’esproprio), l’eliminazione della pompa idrovora, contenimento delle indennità di servitù (risibili rispetto ai danni che si riperpetueranno negli anni). Il comitato evidenzia molte criticità e pericolosità dell’opera: 1) a ridosso del ponte tra Bettolelle e Brugnetto è previsto un restringimento dell’alveo del fiume da 80 a 18 metri per forzare l’uscita dell’acqua nell’invaso che provocherà un innalzamento a monte del livello del fiume, mettendo a rischio abitanti e abitazioni a

ridosso del fiume tra Bettolelle e Casine di Ostra; 2) le arginature intorno agli abitati del nuovo condominio Villa Giannini metterebbero ulteriormente a rischio inondazioni il caseggiato da tracimazioni e rotture (frequenti) del Fosso del Sanbuco (ne ostacolerebbero il deflusso a valle). 3) l’impossibilità di deflusso di altri corsi d’acqua per l’interruzione che provocherebbero le arginature dell’opera e ciò provocherà il deflusso delle acque su abitazioni; 3) costo elevato di manutenzione dell’invaso 70.000 euro l’anno; 4) Difficile messa in funzione dell’opera al momento della necessità (sono previsti interventi manuali). 5) Ultima, ma sicuramente la più importante, la vasca entra in funzione quando passano nel punto oltre 300 metri cubi al secondo.

Nei successivi 7 km del corso del fiume si inseriscono altri 5 affluenti che aumenteranno la portata di almeno altri 100 metri cubi. Dagli studi della portata del fiume, alla foce, per il restringimento del porto canale, per la presenza dei piloni dei ponti cittadini, per l’innalzamento del letto del fiume (per mancata dragatura da almeno 30 anni), non possono passare più di 140/160 metri cubi di acqua al secondo. Da questi dati si dimostra l’inutilità dell’opera per la risoluzione del problema inondazione della città.

Ma non finisce qui. L’incapacità di comprensione dei problemi del fiume producono l’abbandono di manutenzione del porto canale (mancata dragatura del fondale) e inoltre

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viene chiusa un’apertura verso la darsena (sembra del tutto illegale nelle procedure) che aveva una funzione di scolmatore delle piene. Il prolungamento del bastione di ponente a protezione del nuovo porto produce l’insabbiamento della foce del fiume creando un ostacolo ulteriore al deflusso delle acque in mare.

Dopo gli eventi dell’alluvione del 3 maggio 2014 nella città e nel territorio è sicuramente cresciuta una sensibilità ed interesse per le problematiche del territorio ed in particolare della manutenzione e messa in sicurezza del fiume Misa. Sono nati comitati alluvionati di cittadini colpiti materialmente dall’alluvione, è nato un osservatorio del fiume Misa di cui facevano parte associazioni ambientaliste e comitati cittadini, allo scopo di studiare e trovare soluzioni con interventi di esperti e tecnici molto qualificati. Si sono prospettate soluzioni che partono dallo studio di tutto il bacino con interventi

lungo l’asta fluviale; vasche a pettine, raddoppio dove possibile degli argini, rifacimento dei ponti cittadini ad una sola campata, scolmatore sul lato levante della banchina, riapertura del canale verso la darsena oltre al rispetto di pratiche agricole che determinano tempi di corrivazione più lunghi, limitazione dell’urbanizzazione in aree a rischio ecc. Nel contempo, senza veri ripensamenti e correzioni si continua nella prosecuzione delle vecchie pratiche degli enti preposti Provincia e Regione: interventi tampone in ambito di somma urgenza, spreco di denaro pubblico, mancanza di una visione organica del problema. Quando si fanno gli interventi spesso sono precari quando non sbagliati, senza un reale rapporto e coinvolgimento delle popolazioni interessate. Si mantiene il progetto della cassa di espansione di Brugnetto, si canalizza il corso del fiume con interventi di consolidamento degli argini affidato al Consorzio di Bonifica con un importo di circa 3 milioni di

euro per 4 km di argini (gli argini da sistemare sono di oltre 20 Km). Si prospetta nel contempo un Assetto di progetto faraonico della Regione Marche che prevede un costo di 48 milioni di euro: visto l’importo preventivato, è da considerarsi più uno specchietto per le allodole che un serio proposito di realizzazione.

Da un paio di anni è nato il “Contratto di fiume”, un progetto a carattere nazionale che prevede la partecipazione di tutti gli attori interessati del territorio ad una forma di coogestione e progettualità dei fiumi. Al Contratto del fiume Misa partecipano i comuni del bacino del Misa-Nevola, associazioni di categoria, sindacati di categoria, comitati, associazioni ambientaliste, associazione di tecnici e associazioni professionali. Nei numerosi incontri, fino ad ora, si è affrontata la parte conoscitiva del bacino del fiume, sia di carattere generale che specifico ed anche sui vari interventi in corso d’opera.

Nonostante le osservazioni, i pareri critici sugli interventi, questi continuano ad essere portati avanti senza tenere conto di quanto emerso nel Contratto di fiume. Si ha la sensazione che il contratto di fiume abbia il ruolo di foglia di fico per coprire tutti gli interventi approssimati, quando non sbagliati e “vergognosi” che imperterriti si continuano a realizzare: canalizzazione del fiume con l’effetto di diminuire i tempi di corrivazione (diminuzione dei tempi che impiega l’acqua dal momento della caduta all’arrivo in mare: aumento di accumulo di acqua in minor tempo) ed aumento di possibilità di esondazione nella città e nel territorio, riedizione della

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vasca di espansione di Brugnetto poco funzionale a prevenire alluvioni e pericolosa per parti del territorio a monte, interventi di consolidamento degli argini molto limitati ed in alcuni casi il tratti meno vulnerabili. Pertanto resta del tutto costante la pericolosità del fiume rispetto alla città di Senigallia e di altri piccoli centri abitati.

Il comitato degli alluvionati ha chiesto di essere parte civile nel prossimo processo e si chiedono i risarcimenti dei danni materiali e morali. Non possiamo sapere l’esito del processo ma gli imputati (il sindaco Maurizio Mangialardi, il suo predecessore Luana Angeloni, il dirigente dell’Area tecnica Gianni Roccato e il comandante della polizia municipale Flavio Brunaccioni, Massimo Sbriscia, ex dirigente della Provincia di Ancona, Mario Smargiasso, direttore dell’Autorità di Bacino, l’ingegnere Alessandro Mancinelli consulente del Comune nella fase di riperimetrazione del Pai e Libero Principi, funzionario della Regione) sono accusati di reati quali omicidio colposo plurimo, il disastro colposo, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio, inondazione colposa e morte e lesioni in conseguenza di altro reato.

Siamo dalla parte dei cittadini perché ottengano un giusto risarcimento per i danni subiti e ci interessa soprattutto che si proceda alla messa in sicurezza del fiume con una progettazione e investimenti, che affrontino il problema, rovesciando il percorso finora intrapreso, palesemente sbagliato ed inefficace, dove professionisti e imprese, sempre gli stessi, riescono ad ottenere commesse economicamente molto importanti al di la dei risultati (spesso disastrosi). Pensiamo che per opere di pubblica utilità, di importanza strategica, sia necessaria una progettualità che parta dalla condivisione dei cittadini interessati, dove l’interesse pubblico prevalga su quello privato. Progetti risolutivi, di ampio respiro, che interessino tutto il bacino e che vengano assegnati a tecnici di provata esperienza, sia interni che esterni all’amministrazione pubblica. Trasparenza su piano economico e assegnazioni di incarichi e appalti, coinvolgimento informato dei cittadini sui progetti con la possibilità di apportare modifiche e trasformazioni ed eventuale referendum di approvazione sul progetto definitivo.

Pensiamo che un’altra gestione del territorio sia possibile, urgente e imprescindibile.

Da

Potere al Popolo

Redazione Senigallia Notizie

Pubblicato Lunedì 12 novembre, 2018 alle ore 9:42

alluvione 3 maggio 2014 fiume Misa

Potere al Popolo sicurezza territorio

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