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Dopo avere visto quanto dispone la nostra Costituzione riguardo alla salute, l'indagine sarà adesso rivolta ad analizzare la legislazione che nel corso degli anni si è succeduta su questa materia, al fine di valutare come la Repubblica Italiana abbia tutelato questo diritto fondamentale78.

Possiamo rilevare subito che anche durante il Regno d'Italia vennero approvate delle disposizioni in materia di salute: basti ricordare la legge n. 2248 del 1865 e la legge n. 5849 del 1888. Il primo Testo Unico di legislazione sanitaria fu emanato con R.D. n. 603 del 1907, successivamente sostituito nel 1934 col nuovo Testo Unico. A quell'epoca, la salute veniva ancora considerata come un problema di ordine pubblico interno, la cui competenza era affidata a livello centrale al Ministero dell'Interno, e ai Prefetti e ai Sindaci a livello periferico. L'amministrazione sanitaria era costituita anche da un Consiglio

78 Cfr. C. E. Gallo, Organizzazione sanitaria e diritto alla salute, in C. E. Gallo e B. Pezzini (a cura di), Profili attuali del diritto alla salute, Ed. Giuffré, Milano, 1998

superiore di sanità e da una Direzione generale della sanità pubblica, entrambi incardinati nella struttura del Ministero suddetto. Nel 1945 fu inoltre istituito un Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica, direttamente dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La legislazione sanitaria si occupava di disciplinare, tra le altre cose, la tutela dell'igiene per gli alimenti e l'acqua potabile, la gestione delle malattie infettive e sociali, l'esercizio delle professioni sanitarie, la regolamentazione riguardante la polizia mortuaria e veterinaria.

Questa struttura organizzativa e questa normativa rimasero in vigore anche dopo l'avvento della Repubblica. Fu solo a distanza di qualche anno che si accolse definitivamente l'esigenza, avvertita già da tempo, di dare alla gestione della sanità pubblica una configurazione autonoma rispetto ad altri rami dell'amministrazione. Fu così che nel 1958 venne istituito il Ministero della Sanità, che assorbì le competenze degli uffici prima esistenti. Negli anni seguenti si sono avute diverse riforme del settore sanitario, tra cui la riforma ospedaliera del 1968, attraverso cui gli ospedali vennero trasformati in enti pubblici, e la legge n. 349 del 1977, con cui gli enti mutualistici vennero eliminati e le loro funzioni vennero trasferite alle Regioni.

La legge che ha riformato alla radice la sanità italiana è stata la L. n. 833 del 1978. Prima di questa data, le prestazioni sanitarie erano offerte da numerosi enti pubblici mutualistici e il cittadino aveva diritto a ricevere i servizi da questo o quell'ente a seconda della categoria lavorativa a cui apparteneva, secondo una antica logica corporativa che derivava dall'esperienza fascista. Ad esempio, i

dipendenti statali venivano assistiti dall'E.N.P.AS., i dipendenti del settore privato erano assistiti dall'I.N.A.M., i lavoratori autonomi dalle Casse mutue provinciali, e così via. Il sistema era quindi fortemente parcellizzato; mancava inoltre un collegamento tra questi istituti, cosicché a identiche patologie facevano riscontro differenti soluzioni sanitarie. Il legislatore del 1978 ha inteso risolvere questi problemi e ha adottato una diversa visione del sistema sanitario. L'idea di fondo che sta alla base della riforma è che a livello nazionale tutti i cittadini debbano ricevere le stesse cure, senza più distinzioni di carattere consociativo o sociale.

Facendo riferimento all'art. 32 della Costituzione, l'articolo 1 della Legge n. 833 stabilisce infatti che “la tutela della salute fisica e psichica del cittadino, intesa come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, viene garantita dalla Repubblica attraverso il Servizio Sanitario Nazionale nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana.”

Negli anni successivi si sono rese necessarie altre leggi di riforma del sistema sanitario italiano, soprattutto allo scopo di ridurre le disfunzioni e i disservizi riscontrati in questo settore. Nel 1993 è stato così emanato il D. Lgs. n. 502, che ha inserito anche in ambito sanitario il modello aziendale di ispirazione privatistica: le strutture sanitarie pubbliche devono essere gestite avendo ben presente la quantità delle risorse disponibili e ottimizzando la qualità delle prestazioni. Vi sono stati altri due principi a cui si è ispirata la riforma del 1993: da un lato, il principio della partecipazione dei cittadini alle fasi di gestione, organizzazione e verifica del Sistema sanitario nazionale, uti singoli o tramite associazioni; dall'altro lato, il principio della competitività tra strutture pubbliche

e strutture private, per elevare gli standard dei servizi pubblici e per consentire al cittadino la scelta tra queste due tipologie di offerte. Va anche aggiunto che il D. Lgs. n. 502 ha definito i livelli di assistenza uniformi sull'intero territorio nazionale, e ha dato maggiori responsabilità gestionali alle Regioni.

Successivamente è intervenuto il D. Lgs. n. 112 del 1998, il quale ha ripartito i compiti in materia di sanità pubblica tra Stato, Regioni ed Enti Locali minori ispirandosi al principio di sussidiarietà. Secondo questo principio, enunciato nel 1992 dal Trattato sull'Unione Europea, detto anche Trattato di Maastricht, la gestione dell'amministrazione pubblica deve essere affidata alla struttura più vicina ai cittadini. In questo modo, le Regioni hanno visto aumentare le loro competenze in ambito sanitario, mentre allo Stato sono stati affidati dei compiti di coordinamento.

Sempre nel 1998 è stata emanata la Legge n. 419, con la quale si è dato il via alla terza riforma sanitaria. Lo scopo di questa legge è stato quello di razionalizzare e riorganizzare l'intero settore sanitario; essa contiene ben quattro deleghe al Governo, riguardanti la riforma del D. Lgs. 502/1992, il riordino della medicina penitenziaria, la riorganizzazione dei rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale e Università, e infine la riorganizzazione dello stesso Servizio Sanitario. A seguito di questa delega, il Governo ha quindi emanato l'anno successivo il D. Lgs. 229 che, tra le altre cose, ha rafforzato il ruolo delle Regioni e dei Comuni, ha esteso la partecipazione dei cittadini, e ha aziendalizzato ancor di più le Unità Sanitarie Locali. Queste ultime sono infatti dotate di personalità

giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, agiscono con atti di diritto privato e hanno l'obbligo del rispetto del vincolo di bilancio.

Dall'insieme delle leggi che nel nostro Paese regolano il settore sanitario, risulta quindi che l'effettuazione delle prestazioni viene affidata a una rete di Aziende Unitarie Sanitarie Locali, articolate sull'intero territorio nazionale in presidi, uffici e servizi. Questi uffici operano in attuazione di norme legislative emanate dallo Stato e dalle Regioni, attraverso una complessa attività giuridica che comporta anche l'emanazione di direttive e la stipulazione di convenzioni.

Concludendo questa breve disamina, si può affermare che la Legge n. 833 del 1978 e le sue successive modificazioni e integrazioni, nonché gli atti regolamentari, amministrativi e negoziali posti in essere in attuazione di queste norme, sono attualmente le fonti che determinano le prestazioni di assistenza sanitaria che tutti i cittadini italiani hanno il diritto di ricevere.

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